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Racconti del passato
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E-book255 pagine3 ore

Racconti del passato

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Info su questo ebook

Gentile lettore, questo libro è il risultato di quando in tempi odierni sì nefasti, uno piscopatico puro decide di credersi scrittore. Il lettore può anche apprezzare molti passi dei deliziosi racconti che qui seguono.

Ma che ben ponga attenzione !

Questo libro non è un libro di memorie o rimembranze. Tutt'altro.

Questo libro rappresenta le memorie di un pazzo; e se Gogol ne intitolò un di suo immenso racconto, il gentile signorino Belsito non di meno ne intesse il sentiero da psicopatico autentico. E già sappiamo quanto rari e preziosi per la ricerca medica siano gli psicopatici. Accingiti orsù dunque oh Lettore nell'intraprendere un viaggio senza ritorno che qualcun altro, malato e abietto, ha immaginato per te.
LinguaItaliano
Data di uscita2 apr 2019
ISBN9788831613514
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    Anteprima del libro

    Racconti del passato - Francesco Belsito

    633/1941.

    Prefazione

    Gentile Lettore,

    questo libro è il risultato di quando, in tempi odierni sì nefasti, uno Psicopatico Puro decide di credersi scrittore. Il Lettore può anche apprezzare molti passi dei deliziosi racconti che qui seguono. Ma che ben ponga attenzione! Questo non e un libro di memorie o rimembranze. Tutt’altro. Questo libro rappresenta le memorie di un pazzo, e se Gogol ne intitolò un di suo immenso racconto, il Gentile Signorino Belsito non di meno ne intesse il sentiero da Psicopatico Autentico. E già sappiamo quanto rari e preziosi, per la ricerca medica, siano gli Psicopatici. Accingiti orsù dunque oh Lettore nell’intraprendere un viaggio senza ritorno, che qualcun altro, malato e abietto, ha immaginato per te.

    Maurizio Pocci Roma, febbraio 20

    Ringraziamenti

    Ringrazio...

    gli amici e conoscenti che si riconoscono nei racconti, sia chi c’è ancora, sia chi non c’è più.

    Chi mi ha sostenuto e incitato a scrivere questa raccolta di racconti che, altrimenti, si sarebbero perduti nel web come tante altre cose che si scrivono.

    Andrea, che mi ha aiutato nell’impaginazione e Gabriele, con cui ho passato tanti pranzi e cene fuori della norma negli ultimi anni. Il Maestro Maurizio Pocci per la sua introduzione e per la sua follia controllata.

    Ringrazio Davidone e Valerio che mi hanno raccontato due storie che ho interpretato e trasferito su questo libro.

    Ringrazio Marco Galanti, che mi ha riportato alla mente una di queste storie che, altrimenti, sarebbe rimasta seppellita sotto la sabbia dei miei ricordi.

    Ringrazio Valeria, Alessandra, Leonardo, Adriana, Maria Teresa, Paco, le persone più importanti della mia vita.

    Francesco Belsito

    L’AFFITTO

    Quello che sto per raccontarvi si perde oramai negli annali del tempo.

    Forse erano 2000 anni fa, forse era ieri, ma più probabilmente venti anni fa.

    Era un pomeriggio di sabato d'autunno, il mio amico Domenico, per una serie di assurde vicissitudini familiari, si ritrovò ad abitare da solo in una casa non sua, presa in affitto dalla madre con la promessa che avrebbe pensato lei a pagare l’affitto.

    La cosa non del tutto ovvia, è che in quel periodo non stava lavorando e non aveva i soldi per pagare né le bollette né l’affitto.

    La sua grande forza era anche la sua grande debolezza, tendeva a minimizzare qualsiasi cosa, o forse era semplice superficialità, convinto com’era che tutto si sarebbe messo a posto da solo, un incosciente affidarsi al fato, un insolito ottimismo, quasi dovessero cascargli i soldi dal cielo.

    Quel sabato pomeriggio di tanti anni fa, avevo appuntamento a casa di Domenico, in quel periodo suonavamo nella stessa band e dovevamo andare a suonare in qualche sala prove o in qualche locale, non ricordo più oramai.

    Arrivai a casa sua, ed era già pronto per uscire, con la sua immancabile autoradio sotto il braccio e la chitarra in spalla.

    Avevo il mio basso elettrico che pesava una tonnellata in spalla, e in più Domenico mi diede in custodia una borsa con la pedaliera degli effetti della chitarra. Avevamo moltissimi oggetti in mano e sulle spalle, sembravamo un esercito che doveva scavallare una montagna.

    A malapena passavamo per la porta di casa, intruppammo dappertutto con borse e chitarre e iniziammo a scendere le scale, finché la pace e i buoni propositi di quel pomeriggio furono interrotti da qualcosa d’inaspettato...

    Sceso un piano, Domenico mi disse

    Zitto un po’, zitto un po’... !

    Qualche attimo di silenzio…continuammo a parlare sottovoce…

    Che succede ?

    Er citofono, hanno sonato al citofono !

    Embè? Rientra e vai a sentire chi è, no?

    No, no, aspè... me sa che è la padrona di casa che vole l'affitto

    Perché… non stai a pagà l'affitto?

    No, sò due mesi che non pago, non ciò na lira e mia madre è sparita

    In quel momento capii la tragedia di Domenico, che lui aveva tenuto nascosto forse per vergogna, forse per orgoglio, per non ammettere che le sue ottimistiche previsioni erano completamente errate.

    Oramai ero lì, con lui, nella tromba delle scale, mai mi sentii più complice di qualcuno.

    Capii anche che saremmo arrivati in ritardo all’appuntamento per suonare, immaginavo che la questione sarebbe andata per le lunghe.

    Domenico Si affacciò dalla finestra delle scale per vedere chi stesse al citofono.

    Davanti al portone c'erano due anziane signore che confabulavano come comari, una era la padrona di casa, l'altra era la portiera.

    Sentimmo inconfondibilmente la voce della portiera che affermava di avere visto Domenico…

    L'ho visto, l'ho visto, è rientrato un paio di ore fa, deve sta pe forza a casa ...

    Domenico ritirò la testa dalla finestra e disse…

    Tacci sua ...sta vecchiaccia che non se fa mai li cazzi sua…

    Una scena che mai avrei immaginato di vedere neanche nel migliore dei film tragicomici, figuriamoci ora che la stavo vivendo.

    Vedevo Domenico per le scale del suo condominio, con la chitarra in spalla, in una mano una borsa con degli effetti per la chitarra, e l'autoradio sotto l’altro braccio. I nostri sensi erano come due antenne radar, per percepire ogni minimo rumore, ogni minima voce o movimento. Passo felpato e bocche cucite per non farci sentire dalle due signore, in quel momento acerrime nemiche.

    Domenico rimase qualche minuto immobile a pensare.

    Non potevamo scendere le scale, c'erano le due arpie ad aspettarci.

    Non avevamo lenzuoli con cui calarci dal retro, e sono sicuro che se Domenico avesse potuto lo avrebbe fatto ed io lo avrei seguito.

    Vidi Domenico risalire le scale senza dirmi nulla, come un gatto, gli andai dietro, non sapevo se ridere o se piangere e tra di me pensai al misto di tragedia e comicità della situazione.

    Mise le chiavi nella toppa di casa, con gli occhi spalancati e con un cenno della mano mi fece capire di rientrare in casa.

    Eccitato dalla situazione gli chiesi Ma che stai a fa? Ora ci barrichiamo dentro casa?

    E do voi annà? de sotto non se po’ annà! Daje sbrigate, che mò quelle salgono, già è venuta ieri !

    Chiudemmo la porta facendo attenzione a non fare rumore, poi Domenico  disse

    Spostamo 'sto mobile, mettemolo davanti alla porta

    A Domè, ma se quella cià le chiavi ?

    Che ne so se cià le chiavi, speramo che non se l’è portate….

    E se chiama i pompieri pe fà buttà giù la porta?

    Nooo, ma che stai a dì...mò chiama i pompieri...ah ahah ah…ma tu sei proprio matto….i pompieri…ah ah ah .

    Avevamo messo un mobile dell'ingresso davanti alla porta come fosse una barriera per rallentare l'avanzata del nemico.

    Non avevamo un piano per il dopo barricata, o almeno non pensavo a come avremmo fatto se la padrona di casa avesse avuto le chiavi, ma di certo Domenico aveva un talento unico per l’improvvisazione, la così detta arte di arrangiarsi..

    Sentimmo dei passi giungere dalle scale.

    Avevamo il cuore in gola, come fosse stato l'appuntamento del mezzogiorno di fuoco.

    Eravamo immobili a fissare la porta d’ingresso con le chitarre e le borse in mano.

    Voltai in silenzio lo sguardo verso Domenico, aveva una faccia assurda, preoccupata. Aveva gli occhi spalancati, trasmetteva un senso di ansia ma nello stesso tempo il suo volto era talmente buffo che quasi mi rassicurava, infatti ne stava pensando un’altra.

    Si voltò e lo vidi dirigersi verso l'altra stanza, senza dirmi nulla, lo seguii in silenzio.

    Era un angelo che poteva trasformarsi in diavolo e viceversa.

    Entrammo nella stanza da letto, lo vidi aprire il capiente armadio per entrarci.

    La cosa più assurda è che lo vidi entrare nell'armadio con l'autoradio sotto braccio, come se fosse disposto a perdere tutto... ma non l’autoradio !

    Trattenni le risate ed entrai anch’io.

    Quando lo vidi dentro l'armadio con il volto rosso e gli occhi spiritati come a trattenere un’ansia che lo divorava, quell'autoradio sotto braccio che faceva di lui un essere mitologico mezzo uomo e mezzo autoradio, scoppiai a ridere dentro l'armadio...

    Successe ciò che stavamo aspettando che accadesse. In quel preciso istante sentimmo suonare il campanello... mi tappai la bocca con le mani per trattenere le risate...

    DRIIIIIIIIIIIIIIIIIIN DRIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIN !

    Silenzio tombale.

    Passarono secondi interminabili.

    Percepii il cuore di Domenico rimbombare d'ansia dentro l'armadio.

    Il campanello risuonò una seconda volta.

    Una terza scampanellata, questa volta lunghissima, come a far capire che sapeva bene che c’era qualcuno dentro casa.

    Passarono minuti, forse fu un solo minuto, ma erano interminabili..

    In quei momenti mi passò la voglia di ridere e iniziai a soffocare e sudare dentro l'armadio, non era per nulla piacevole stare in quella situazione claustrofobica, ma per Domenico stare chiusi in un armadio era in quel momento l’unica salvezza.

    Dopo cinque minuti dall'ultima scampanellata, uscimmo timidamente e di soppiatto dall'armadio.

    Finalmente respirai.

    Ci arrampicammo sul mobile che avevamo piazzato davanti alla porta d'ingresso, quel tanto che bastava per spiare dall'occhiolino.

    Non c'era nessuno sul pianerottolo.

    Aspettiamo altri cinque minuti, poi aprimmo la porta, con chitarre, borse e autoradio sottobraccio.

    Guardammo dalla finestra.

    Non c'era più nessuno, Domenico l'aveva sfangata.

    Ovviamente le cose non durarono a lungo.

    E così, una sera a casa sua, casa libera..., stavamo preparando la pasta, e vedemmo la fiamma del gas spegnersi  rantolando sotto la pentola.

    Gli avevano staccato il gas.

    Il giorno dopo mi chiamò al telefono e mi disse…

    Aò, ma lo sai che m'è successo?

    Eh che t'è successo?

    Stamattina me stavo a fà la barba col rasoio elettrico... e tutto a un botto s'è spento

    Ah… e allora? Se sarà rotto

    No... m’hanno staccato la corente.

    IL VIAGGIO PER FLORES

    Era una bella giornata di sole di Maggio, metà degli anni 90.

    In sella al mio motorino, un Piaggio SI che avevo a quei tempi, mi stavo dirigendo verso un'agenzia di viaggi consigliatami da un amico.

    Emozionato, eccitato da mille fantasie, arrivai davanti all’agenzia. Se fosse stato per me, sarei partito in quello stesso momento. C'era da aspettare invece, e c'era da aspettare fino a Settembre.

    Entrai nell’agenzia, con il cuore che batteva forte dall’emozione e le idee chiare su quello che dovevo fare.  Insieme al mio amico Cristian avevamo progettato un viaggio in Messico zaino in spalla, non dovevo far altro che comprare i biglietti per la trasvolata oceanica.

    Aspettai impaziente il mio turno seduto dentro l’agenzia, e quando fui chiamato corsi verso il bancone dell'operatrice, come se fosse rimasto l’ultimo biglietto per il Messico.

    Buongiorno, vorrei fare due biglietti per il Messico, volo Roma-Cancùn, per i primi di Settembre e ritorno i primi di Ottobre.

    La signorina difronte a me, guardando fissa il monitor e battendo su una tastiera, dopo un minuto di silenzio disse:

    Mi dispiace, ma per quel periodo i voli per Cancùn sono tutti occupati…dovevi muoverti prima, a Maggio è un po’ tardi.

    In quell’istante sentii crollare il mondo, ero disperato, non era possibile, avevo l’impulso di strozzare la signorina dell’agenzia e costringerla in qualche modo a tirare fuori questi biglietti e nello stesso sarei voluto scoppiare a piangere imprecando contro la malasorte.

    A volte si dice la speranza è l'ultima a morire. E in quel caso la speranza venne in soccorso, era scritto nel cielo che saremmo dovuti partire. Infatti, l’operatrice dell’agenzia mi lanciò un’idea illuminante:

    Beh, perché invece che atterrare a Cancùn non atterrate a Città del Guatemala?

    Coooosa ? Ma noi volevamo andare in Messico , non in  Guatemala!

    Lei Da Città del Guatemala potreste prendere un mezzo e il giorno dopo sei in Messico, un mio amico l'ha fatto.

    Non ci pensai su troppo, anche perché non c’erano altre possibilità, era meglio prendere questo imprevisto con la giusta condizione di spirito, immaginando che era un'opportunità unica per visitare Città del Guatemala.

    Ok, facciamo questi due biglietti per Città del Guatemala.

    Dopo qualche minuto uscii dall’agenzia con due biglietti, andata 5 settembre, ritorno 5 ottobre, nessun hotel prenotato, ma solo una gran voglia  di avventura, con un sacco in spalla pieno di speranze e voglia di spaccare il mondo.

    Avevo poco più di venti anni e avevo lavorato tutto l'anno senza mai andare ferie, il mio progetto era quello di usare tutti i permessi per il viaggio in Messico..

    Il mio compagno di viaggio Cristian si era appena iscritto all'università, facoltà di antropologia. Era stato lui a lanciarmi l'idea del viaggio in Messico, introducendomi ai suoi studi antropologici sul Messico, parlavamo degli sciamani, del peyote, ma in cuor nostro sapevamo bene che erano solo una scusa per ammantare di un'aura intellettuale il viaggio. L'unica vera ragione per la quale volevamo andare in Messico era comunque un sano gusto per l'avventura, della scoperta.

    A quei tempi però c’era una grossa differenza tra me e il mio amico Cristian.

    Lui era studente e Luglio e Agosto fece comunque una vacanza, io invece lavorai in tutti i mesi di calura estiva.

    Contavo i giorni alla nostra partenza e sembrava che non passassero mai. Mentre Cristian era comunque distratto dalle ferie che si stava godendo dopo avere sostenuto un paio di esami, per quel che mi riguardava, non c’era giorno che non pensassi alla partenza.

    Arrivai a quel 5 settembre così stressato che avrei potuto strozzare qualcuno, quel giorno arrivò come una liberazione.

    Il volo prevedeva alcuni scali, Roma-Madrid, Madrid-Miami, Miami-Città del Guatemala.

    A Madrid, quando l'aereo decollò, sentimmo un forte rumore sotto l’aereo SCLOCK SCLOCK SCLOCK, l'aereo rallentò, si fermò, dei pompieri si avvicinarono, ci fecero scendere.

    Quando scendemmo, ci accorgemmo che l’aereo aveva avuto dei problemi, c’erano alcune fiamme, che i pompieri stavano spegnendo, sul carrello dell’aereo.

    Tuttavia non ci spaventammo più di tanto, con la testa eravamo già in America Centrale, nulla avrebbe potuto fermarmi.

    L'aereo dopo un paio di ore ripartì, arrivammo a Miami, durante lo scalo ricordo la camicia hawaiana di un americano appoggiato al banco del bar dell’aeroporto intento a sorseggiare un drink, proprio come nell’immaginario dei film e telefilm ambientati a Miami.

    Da Miami ripartimmo per Città del Guatemala con un piccolo aereo, non avevo mai visto né ero salito su un aereo così piccolo e un po’ vecchio, ogni minimo movimento delle ali sembrava che stessimo per cadere giù, avevo l’impressione di essere sull’aereo del barone rosso..

    Guardai l'orario e mi accorsi che era giunto quasi il momento di atterrare, iniziò a formicolarmi la pancia dall'emozione e proprio in quel momento sentii la voce del comandante dire qualcosa in spagnolo Seniores y Senioras…etc. etc.. Tra le parole in spagnolo l’unica che distinsi nettamente fu El Salvador.

    Mi voltai verso Cristian e dissi Ehi ? Hai sentito ? Ho sentito dire El Salvador, ma che ci fanno atterrare in EL Salvador ???.

    Sì, era proprio così, a causa di una forte temporale su città del Guatemala, saremmo atterrati a San Salvador, capitale dell'El Salvador.

    Qualcuno ci disse che il giorno successivo un altro aereo ci avrebbe portato in Guatemala.

    Così passammo una giornata a San Salvador, di cui ricordo camion pieni di militari, baracche di lamiera e cartone, Mac Donald con sbarre di ferro alle finestre per evitare furti, militari con Kalashnikov a sorvegliarne l'entrata.

    Durante il nostro soggiorno a San Salvador, Cristian iniziò con la sua guida a pianificare un percorso di massima.

    Così, aprendo la cartina, mi disse Domani da città del Guatemala prenderemo il pullman e ci dirigeremo verso il confine con il Messico. La nostra prima tappa sarà Flores/San Benito

    Leggemmo qualche notizia su Flores, era una cittadina non molto lontana dal confine con il Messico, su un lago, vicina alle rovine maya di Tikal.

    Attaccata a Flores c'era un'altra piccola cittadina, San Benito. Il mattino successivo mi svegliai e mi affacciai alla finestra dell’Hotel, dove la compagnia aerea, a causa dell'imprevisto, ci aveva dirottato a sue spese. Dalla finestra vidi una vegetazione fitta, ascoltai affascinato il verso di tantissimi uccelli di tutte le dimensioni, avevo l’impressione che fossero milioni, c’era molto di primitivo in quella vegetazione tropicale e negli animali che nascondeva.

    Dopo una ricca colazione ci portarono all’aeroporto.

    Il tragitto del bus passò nel mezzo di baracche di lamiera e cartone, ebbi quasi timore che ci assaltassero, era la prima volta che vedevo così tanta miseria insieme.

    Un altro piccolo aereo ci portò a Città del Guatemala, finalmente eravamo arrivati.

    Usciti dall’aeroporto, salimmo un Taxi.

    Salve ci porti alla stazione dei Bus per Flores, gracias.

    Muy bien senior.

    Durante il tragitto, per spezzare il silenzio, chiesi al tassista la cosa più banale che potessi chiedere:

    Qual è lo sport preferito in Guatemala?

    Il tassinaro fece il segno della pistola con le dita e con una risata quasi malefica disse El tiro al bersaglio senior…AHAHAHA.

    Non si scherza mica in Guatemala!

    Arrivammo alla stazione dei bus, un edificio basso e vecchio con i muri sporchi e ridotti male, nel mezzo uno spiazzo di terra con 4-5 scuola bus americani degli anni 50 sgangheratissimi in fila.

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