#noncientro - l'immigrazione non è un reato
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In questo nostro viaggio abbiamo incrociato anche altre storie, quella ad esempio dei profughi che hanno occupato le palazzine dell'ex Villaggio Olimpico di Torino. Anche in questo caso più volte abbiamo visitato quegli edifici cercando di ascoltare le storie di queste persone e di comprendere le loro ragioni.
L'immigrazione non è un reato e non può essere considerato un problema per il nostro Paese. Come abbiamo visto nelle pagine precedenti gli immigrati sono stati e saranno una ricchezza per l'Italia: portano profitto economico e culturale.
L'obiettivo di #NonCIEntro è quello di raccontare l'altra faccia della medaglia, quella che nell'immaginario collettivo piace meno e che da una certa politica viene cavalcata per racimolare i voti che nascono dalla rabbia e dall'intolleranza. Con questo libro vogliamo raccontare l'altra verità, quella delle sbarre che fungono da recinto ad aree di detenzione amministrativa; quella dell'acqua calda bevuta in piena estate; quella dei figli separati dai genitori e dei fratelli che non possono raggiungere i propri cari uccisi in guerra; quella dei ragazzini che non hanno un sostegno scolastico; quella dei lavoratori che vengono sfruttati e sottopagati da imprenditori italiani; quella di ragazzine che arrivano in Italia con il sogno di una vita nuova e che si ritrovano sulla strada a prostituirsi.
Non solo perché #NonCIEntro vuole anche essere una proposta politica per una nuova concezione dell'immigrazione nel nostro Paese: basta alla politica della gestione dell'emergenza; basta alla politica della paura del diverso; basta alla politica del respingimento.
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Anteprima del libro
#noncientro - l'immigrazione non è un reato - Gioele Urso E Monica Cerutti
copertina
Prefazione
Il punto è che alcune forze politiche vogliono recuperare il consenso utilizzando la crisi e la paura che ne deriva
Monica Cerutti
Infatti direi che alcune forze, purtroppo sempre più in crescita in Italia ed Europa, hanno fatto del tema migranti e/o rifugiati il loro cavallo
di battaglia per affermarsi nel tessuto sociale e garantirsi la presenza nella sfera istituzionale a partire dai Consigli comunali, Giunte comunali/regionali fino ai parlamenti e ai governi. Utilizzando strumentalmente o ideologicamente i migranti, in particolare dentro il contesto di crisi economica e culturale, come capro espiatorio
per nascondere la disoccupazione di massa che affligge l’Italia, l’abbandono delle persone non autosufficienti scaricate dallo Stato sul lavoro domestico di colf e badanti, di una gioventù senza speranza, disorientata ed arrabbiata contro tutto e tutti.
Insomma si da la caccia ai migranti per non ammettere che la nave Italia o Europa
naviga, nella situazione di crisi, in cattive acque. La colpa di tutto questo è da attribuire alle politiche di austerity imposte dalla BCE e non alla presenza o meno dei migranti.
Quindi affrontare il tema dei migranti non può che partire da questa contestualizzazione che sul piano socio economico ha effetti drammatici sulle condizioni materiali dei migranti e non solo. Le stesse politiche con le loro norme a livello locale, nazionale ed Europeo hanno alla base questa filosofia
di fondo della caccia alle streghe. Sono diventate delle vere gabbie
, normative in cui sono rinchiusi i migranti/rifugiati con le loro storie.
Una filosofia che si materializza mostruosamente con l’istituzione, per la prima volta in Italia, dei Centri di Permanenza Temporanea (CTP) attraverso la legge Turco-Napolitano (Giorgio Napolitano l’attuale Presidente della Repubblica) opera dell’allora Governo di Centro-Sinistra e successivamente modificate lessicalmente
con i Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE) attraverso la legge Bossi-Fini ad opera del governo di Centro-Destra. Quindi vere prigioni che non possono essere né giustificate, né legittimate e né modificate, ma luoghi che vanno chiusi tout court dando dignità alle persone e riaffermando il principio della libertà di movimento.
Il viaggio della consigliera Monica Cerutti, col suo impegno quotidiano, racconta un panorama mortificato dalla negazione di diritti basilari, una politica latitante che non può rifugiarsi dietro a nomine simboliche
come quella del Ministro all’Integrazione Cécile Kyenge.
Non bastano le lacrime davanti ai morti nel Mare Mediterraneo. Ci vuole impegno per ottenere un cambiamento politico culturale.
Per parafrasare il filosofo Miguel Benasayag, quando parlava delle rivolte nelle Banlieu in fiamme, direi che resistere è creare
. Creare con la riappropriazione della propria dignità, come hanno fatto i rifugiati con l’occupazione dell’Ex Moi a Torino o altri spazi in giro per l’Italia e l’Europa.
*Soumahoro Aboubakar
Attivista Movimento Migranti e Rifugiati
Da Lampedusa a Torino: l’immigrazione in Italia
Lampedusa, è il 3 ottobre del 2013 quando circa alle 6,30 del mattino alcuni pescherecci locali lanciano un primo allarme in merito al naufragio di un’imbarcazione con a bordo migranti provenienti dall’Eritrea, dal Ghana, dalla Somalia, dall’Etiopia e dalla Tunisia: il bilancio finale conterà 366 vittime accertate, circa 20 presunti dispersi e 155 superstiti di cui 41 minori. Quella notte la Guardia Costiera per giungere sul luogo del naufragio impiegò quasi un’ora ed i primi soccorsi furono merito degli stessi pescatori che lanciarono l’allarme. I migranti che riuscirono a sopravvivere a quella tragedia furono inseriti nel registro degli indagati e accusati di reato di clandestinità