D'apnea fremo
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(dall’Introduzione)
Una silloge di esordio di rara eleganza stilistica, caratterizzata da una sintassi a tratti indisciplinata, che miscela atmosfere sommesse e viviseziona l’animo umano percorso da fragilità e speranze.
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Anteprima del libro
D'apnea fremo - Giorgia Alderuccio
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Prefazione
La ragione che mi spinge a stilare queste poche righe deriva dall’aver avuto l’onore di assistere alla palingenesi di questo libro, cadendone vittima prima di molti. Ho sempre creduto che il potere della Poesia consista nel sequestro del lettore; lo si sequestra dall’ordinarietà, dalla banalità, dalle convenzioni, da tutto ciò che è precostituito. Quando e se, la vittima viene restituita al reale, il suo microbioma è cambiato in maniera definitiva e irreversibile. Ogni singolo componimento di quest’opera, oltre a essere un dono insperato, ha scombussolato, dunque riscritto, il mio personale codice genetico poetico.
Di fronte a queste poesie mi sono sentita osservata. Pur partendo da una profondissima e intima soggettività, è l’essere umano, in fondo, a essere vivisezionato, in un’esplorazione che va dagli organi interni all’inquisizione dell’anima, dalle dinamiche relazionali a ciò che di lui si vede dall’alto.
L’architettura bidimensionale del testo crea un sentiero immaginativo che induce la fantasia del lettore alla proiezione di immagini vivide, le quali confluiscono poi in una caleidoscopia di emozioni che diventano sensazioni, e sensazioni che danno vita a percezioni. L’esito è l’edificazione di atmosfere, tanto emotive quanto spaziali, che ricordano il cosiddetto pensiero alalico, dunque preverbale. Dall’ipnosi onirica, alla brutalità esistenziale – senza trascurare la dolcezza del melanconico – quella che si respira è, per usare le parole della stessa autrice un’aria mezza assopita, quella che sfiora la mente quando la coscienza disperde, in mari lontani e agitati, il suo egocentrismo
.
La sintassi selvaggia, libertina, e a tratti indisciplinata, infine, rende impossibile abituarsi ai brani, favorendo una dipendenza da rilettura.
Alexandra Alba
Introduzione
Finora, credo di essere diventata grande tre volte. La prima volta è accaduto senza la benché minima consapevolezza. Mi sono staccata, come un pezzo di roccia, da quella che era la mia montagna sacra. L’ho fatto ascoltando le urla di protesta, pur non sapendo da dove provenissero, l’ho fatto non pensando alle conseguenze pratiche che avrei subito. Impeto di ribellione nei confronti di quel mio tutto, improvvisamente diventato gabbia arrugginita, dolorosamente limitante. Quello è stato il primo passo – quello necessario, quello per il quale sono grata alla mia parte istintuale – verso una seconda nascita, più vera. Rinascere a quindici anni però, è incredibilmente fuori luogo. Per un po’ ho smesso di svelarmi, agli altri e a me. Per un po’, tutto è stato superficie.
Letteratura, relazioni umane, e una riattivazione volontaria di muscoli quasi atrofizzati, mi hanno fatta diventare grande una seconda volta. All’improvviso, strati di domande sedimentati e urgenza di armarmi di pazienza e meticolosità da ricercatrice per cominciare a esplorare, a scavare. Il vuoto causato dalla mia sovversione da un lato, e disillusione dall’altro, poteva essere, se non guarito, addolcito parlando di più con me. Mi sono detta così tante cose che mi sembrava di conoscere un’altra persona. Mille erano le combinazioni delle mie note, altrettante, scoprivo, le sintesi di umano.
La terza volta è stato quando ho capito che alcune cose, forse, non le avrei mai capite, ma che nonostante ciò non avrei mai più spento il mio iperattivo motore di ricerca. È successo anche che, attraversando ogni giorno ponti, ho osservato il cielo con maggiore attenzione: nonostante non vi fosse una sola sfumatura di alba uguale alla precedente, non ho mai potuto accusare quel cielo di incoerenza. Era estasiante la sua bellezza cangiante ma comunque leale a se stessa: mille, come le mie combinazioni, come le sintesi di umano, erano le sue forme, eppure quel cielo era sempre altamente sincero.
Il motivo di tale premessa è che ho cominciato a scrivere qualche mese dopo quest’ultima fase e solo ora, a posteriori, ho capito che la melma imbrigliata nei miei versi è retrodatata: tutto cominciò quando smisi di parlare con