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Dalla terra di nessuno - Ultimatum per il Detective Guerrero
Dalla terra di nessuno - Ultimatum per il Detective Guerrero
Dalla terra di nessuno - Ultimatum per il Detective Guerrero
E-book291 pagine3 ore

Dalla terra di nessuno - Ultimatum per il Detective Guerrero

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Info su questo ebook

Due settimane fra i delinquenti di mezzo mondo insegnano molto. Vivere intensamente e morire in quindici modi diversi, uno al giorno.


 

Anche un detective privato abbronzato, cinico e navigato come Rafael Guerrero avrà difficoltà ad assimilare le vicissitudini di questo periodo, breve e frenetico, che ha inizio nella vetusta camera da letto di una prostituta venezuelana che vive ad Augusta, in Sicilia.


 

A questo scenario così prosaico,ne seguiranno altri ancora più più scioccanti, pericolosi e intriganti. Anche se non tanto quanto i personaggi che li popolano.


La Sicilia, Madrid e la Siria sono gli scenari del terzo romanzo del detective privato Rafael Guerrero: questi scenari gli lanceranno un Ultimatum per per se stesso, per il suo personaggio e per il suo lavoro. Prostitute, mafiosi, gangster, spie e detective privati fanno tutti parte della stessa storia: una storia che affonda le sue radici nella realtà di un detective privato che ne è sia protagonista che autore.


 

“Il detective Rafa Guerrero, quello del romanzo e forse anche il mio amico Rafael Guerrero, risulta essere un uomo che non crede più a niente e a nessuno, ma non abbastanza da abbandonare questo mondo avventuroso.” Juan Madrid

LinguaItaliano
EditoreBadPress
Data di uscita14 mag 2019
ISBN9781547586790
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    Dalla terra di nessuno - Ultimatum per il Detective Guerrero - Rafael Guerrero

    Ad Antonio e Maria

    «È un gioco tinto quello dei ricordi, nel quale finisci sempre per perdere.»

    L'odore della notte

    Andrea Camilleri

    «Arriva un momento nel quale t'adduni, t'accorgi che la tua vita è cangiata. Fatti impercettibili si sono accumulati fino a determinare la svolta. O macari fatti ben visibili, di cui però non hai calcolato la portata, le conseguenze.»

    Il ladro di merendine

    Andrea Camilleri

    Come se fosse un prologo

    Il mio amico Rafa Guerrero ha da poco finito di scrivere il suo terzo romanzo poliziesco e ha dato al detective protagonista il proprio nome. Non è la prima volta che un investigatore privato, con o senza licenza, si mette a scrivere romanzi polizieschi: senza andare tanto lontano, a inizio secolo Dashiell Hammett è stato un detective dell’Agenzia Pinkerton, la più grande e potente degli Stati Uniti e ha scritto dei bellissimi romanzi che sono rimasti e rimarranno nell’immaginario di tutti i suoi lettori nel mondo.

    Ci sono anche altri esempi di detective scrittori, sia in Spagna che in altri paesi. Esistono anche poliziotti, rapinatori di banche ed ex detenuti che ci hanno provato e che sono riusciti a scrivere un buon romanzo: è questo il caso del mio amico Rafael e del maestro italiano, romanziere e regista, José Giovanni (morto nel 1983), che fu un malavitoso e finì in carcere.

    È evidente che il lettore è affascinato da mondi a lui estranei e che la maggior parte di noi è affascinata da argomenti come il carcere, gli assassini o i killer di professione, gli avvocati, i servizi segreti, i truffatori, gli investigatori privati, il riciclaggio di denaro sporco, ecc

    Una delle funzioni della letteratura, e sottolineo una delle funzioni, è quella di mostrare i differenti mondi che esistono all'interno del mondo. Uno scrittore, un romanziere, deve rendere verosimile il suo racconto mediante determinati elementi della tecnica narrativa: il suo romanzo deve sembrare vero senza esserlo. Proprio come fece Cervantes, il romanziere costruisce la sua opera di fantasia in modo tale che sembri vera.

    Il mio amico Rafael Guerrero ci narra in modo agile e vivace le avventure di un detective spagnolo a cui, vestendone i panni, attribuisce verosimiglianza. La storia ha inizio in Sicilia, a Catania, dove deve portare a termine un’indagine per un cliente che vuole scoprire se la moglie si prostituisce: per scoprirlo, il detective andrà a letto con lei. Prima di tornare a Madrid, passa da Roma a trovare Raquel, la sua ex amante, che è già comparsa nel suo romanzo precedente (Muoio e torno).

    A Madrid, quando si trova faccia a faccia con il cliente e questi gli domanda se è andato a letto con la sua ex moglie, lui risponde: Non era sul contratto? Nella sua agenzia compaiono personaggi legati al suo precedente romanzo e anche un nuovo caso, questa volta di grande importanza: deve recarsi in Siria a investigare, per conto di una grande multinazionale, su alcune irregolarità.

    La narrazione è vivace, spensierata e piena d’azione, a metà fra il thriller e il romanzo di spionaggio senza però smettere di essere un romanzo poliziesco di investigazioni. Il protagonista riuscirà a raggiungere i suoi obiettivi e tornerà a Roma dalla sua Raquel, prima di riprendere il suo lavoro a Madrid e andare avanti con i suoi casi.

    Il detective Rafa Guerrero, quello del romanzo e forse anche il mio amico Rafael Guerrero, risulta essere un uomo che non crede più a niente e a nessuno, ma non abbastanza da abbandonare questo mondo avventuroso.

    Aspettiamo con ansia i prossimi romanzi.

    Juan Madrid

    Indice

    Capitolo I Hot_hot

    Capitolo II Il catalogo

    Capitolo III Regola d'oro

    Capitolo IV Duecento euro

    Capitolo V Le cose

    Capitolo VI Chili e litri

    Capitolo VII Sant'Anonimo

    Capitolo VIII Il bilancio

    Capitolo IX I cani e la città

    Capitolo X Cena a Los huevos de Lucio

    Capitolo XI Marie la bigotta

    Capitolo XII  Un microonde

    Capitolo XIII In quel momento

    Capitolo XIV Kaled è grande

    Capitolo XV O tutto o niente

    Capitolo XVI Non ne ho la minima idea

    Capitolo XVII Bollicine e ancora bollicine

    Capitolo XVIII Canne da pesca e fuochi d'artificio

    Capitolo XIX L'unione fa la forza

    Capitolo XX Un divano lercio

    Capitolo XXI Il balletto di Occam

    Capitolo XXII Shopping

    Capitolo XXIII Da che parte stai? Dalla mia!

    Capitolo XXIV Lattosio

    Capitolo XXV Ghada e altro ancora

    Capitolo XXVI Separare il grano dal loglio

    Capitolo XXVII Il vero amore

    Capitolo XXVIII Ultimatum

    Capitolo XXIX Epilogo. Fumo per scacciare altro fumo

    Capitolo 1

    Hot_hot

    «Pronto?»

    La voce addormentata e pastosa suggeriva che si fosse svegliata davvero tardi e con in bocca impastata da un misto di tabacco e limoncello: non aveva digerito né si era lavata i denti.. E ovviamente quel «Pronto» non si poteva tradurre letteralmente... a meno che non si intendesse pronto a scappare via.

    Ma non lo feci e non misi nemmeno giù. Continuai invece ad articolare la seguente frase, in un italiano degno di un indiano cherokee, sperando di non doverne dire più di tre o quattro prima di ottenere l’appuntamento.

    «Ciao, scusa il mio italiano..., vorrei parlare con Mara...»

    Un tempo, non saprei dire quanto tempo prima, una chiamata di questo genere si sarebbe fatta da una cabina, probabilmente la più nascosta e distante del quartiere più lontano dal proprio, con quello stato mentale di eccitazione e senso di colpa, di perversione, di sfogo e proibito che faceva ribollire il sangue e rimbalzare il cervello, solo una volta, per provare.

    Adesso visiti una pagina internet dal cellulare, guardi le sue foto, ammiri le sue grazie (anche le più nascoste), apprendi le sue misure, vedi la sua eleganza, tocchi lo schermo e l’apparecchio si occupa di metterti in comunicazione con lei via telefono, e-mail o chat. In pieno giorno e da qualsiasi luogo, circondato da altri tuoi simili che ti ignorano, immersi come sono nei loro sistemi operativi, nelle loro relazioni sociali virtuali, nella loro solitudine condivisa ed esibita sotto la maschera di un avatar o di una faccina stronza che arrossisce, manda bacini, piange o si infuria a seconda dei casi.

    Hai accesso alle cose più squallide o più belle (ormai si somiglia tutto) mentre sorseggi un tè o un caffé merdoso in un bicchiere di carta cerata e utilizzando il tablet o il computer portatile, concludere un affare con la stessa apatia priva di eccitazione ed entusiasmo. Ciò che il mondo ha guadagnato in velocità e prossimità, l’ha perso in sensualità: bigiotteria 2.0 per nascondere le malefatte di tutta una vita. Un po’ come i gamberi senza né testa né zampe che servono nei ristoranti statunitensi, di modo che gli ospiti non si sentano a disagio se li si accusa di gambericidio.

    Uscii da quella caffetteria di catena, tutta piena di plastica e cercai un vicolo se non oscuro almeno appartato, come se si trattasse di un omaggio ai vecchi tempi. Non c’era una cabina del telefono e fra le varie opzioni del menù, avevo già scelto di parlare con Mara, angelo hot_hot_xoxo, come dichiarava sul suo profilo.

    «Io sono Mara, quello che posso per aiutarti, amore?»

    «Ho visto l’annuncio su Internet e mi piacerebbe...»

    «Ehi, bello, puoi anche parlare spagnolo.» mi interruppe, in onore di un miglior servizio al cliente. L’accento mi aveva tradito.

    «Benissimo. Ti stavo dicendo che ho visto il tuo annuncio su Internet e sul giornale e mi piacerebbe tanto vederti, cosa ne dici?»

    «Che bello, certo che mi piacerebbe amore mio. Quando? Io sono libera anche adesso.» Il tono non era più quello di una donna sbronza e sonnolenta, ma quello di una professionista che recitava quella parte ogni giorno.

    «Sono a Palermo per lavoro, sono qui di passaggio. Pensavo che potresti passare dal mio hotel stasera. Ovviamente ti pago il taxi sia all’andata che al ritorno. Per te va bene?».

    «Vedi tesoro, io non faccio visite a domicilio... Perché non passi tu di qua e io ti ricevo come piace a te? ».

    «E come piace a me?». Non riuscii a trattenermi dal porre quella domanda in tono scherzoso. Mara avrebbe potuto benissimo confondersi con un cliente abituale, anche lui di passaggio, che parlava spagnolo come me e amante dei benvenuti angelici hot hot. O forse a tutti piace la stessa cosa e quella frase poteva andare bene sia per uno sconosciuto che per un habitué.

    «Non sei Antonio, amore mio?». Si rese conto del suo errore.

    «Mi chiamo Javier ed è la prima volta che ti chiamo. Allora, come possiamo fare? Mi piacerebbe molto vederti... e non solo! ».

    «Javier, mio caro, piacere di conoscerti e scusa per l’equivoco. Allora, ascoltami bene, io ricevo in un appartamento di Augusta, un bellissimo paese sulla costa, vicino a Siracusa. Lo conosci?».

    «No, temo di no».

    «Ti piacerà, c’è tutto ciò che si può desiderare. Per me è stato amore a prima vista. Tu vieni lì e io ti coccolo per bene, d’accordo tesoro?».

    Solo per quella descrizione, mi immaginavo il peggio da quel paesino e da quell’appartamento. Inoltre, quello spostamento imprevisto stravolge completamente i miei programmi ma, stando a quanto mi avevano raccontato di Mara, il viaggio valeva la pena.

    «D’accordo, allora farò una deviazione solo per te. Per le sette va bene?».

    «Tesoro, è l’ora migliore. Vuoi cominciare con qualcosa in particolare?».

    «La stessa cosa che ti chiede quel tipo...Antonio...». Pensai che non riuscisse cogliere il sarcasmo e mi pentii subito di averlo detto.

    «Vuoi che Antonio si unisca alla nostra festicciola, tesoro? Questo ti costerà un po’ più della tariffa standard.». Infatti non lo colse e io, per non saper tenere la bocca chiusa, per poco non me la vedo brutta.

    «No, no era solo una battuta, una minchiata, come dite voi. Io e te, nessun’altro. Ti voglio tutta per me».

    «Come dici tu, tesoro. Io ti aspetto qui» mi diede l’indirizzo, che memorizza visto che non ero in una cabina e non avevo in mano una biro con la quale pasticciare sui muri o sui foglietti appesi alle pareti da altre professioniste che offrivano i loro servizi alla vecchia maniera 1.0. «E preparati per benino, tu sai come» e sottolinea la battuta con una risata che si sentì per mezza Sicilia.

    «Lo farò amore mio. A presto, Mara».

    «Ciao, ciao, hot, hot, mio caro Jorge».

    Jorge. Accidenti a lei. La conversazione terminò così, con me battezzato con un nome con la stessa iniziale di quello che le avevo detto io, ma altrettanto falso. Di sicuro me l’avrebbe ripetuto altre tre o quattro volte quando saremmo stati faccia a faccia e questo, non lo nego, non faceva che aggiungere morbosità a quell’incontro.

    Percorrendo l’autostrada A-19 fino a Catania e da lì in direzione Augusta e sperando che non fosse affollata da tanti Antonio, Javier e Jorge alla guida. In due ore e mezza, più o meno, avrei raggiunto la casa-bordello... giusto per ora di cena.

    Quando avevo più o meno superato la prima fase di quel misto di eccitazione e senso di colpa, di perversione, di sfogo e proibito, mi rimaneva il tempo sufficiente per dare libero sfogo agli istinti, nobili o biechi che fossero, nel capoluogo siciliano e mi preparai a un’abbuffata degna del guerriero che Mara avrebbe conosciuto dall’altra parte di quell’isola del peccato, delle carni e della gola.

    Avevo letto ottime recensioni de Al Fondaco del Conte, al numero 24 di Piazza Conte Federico, una zona poco raccomandabile in orario notturno, cosa che non mi impediva di passare di lì con la protezione della luce del sole e di assaggiare la cucina tradizionale palermitana con un’influenza della moderna gastronomia internazionale. Al Fondaco era un locale piccolo e semplice, gestito dalla tipica mamma italiana e dai suoi due figli, uno ai fornelli e l’altro in sala, a servire e sorridere. Gente gentile e ospitale, cosa per nulla scontata da queste parti che hanno la fama di essere popolate da gente scontrosa, cupa e silenziosa (il potere della leggenda, la famosa omertà, immagino), che mi trattò come se mangiassi tutti i giorni allo stesso tavolo e come se le mie generose mance pagassero l’istruzione dei nipotini. Essere coccolati e nutriti (pur pagando) sono due lussi che riconciliano  l’uomo con la sua specie, un po’ meno con le specie di cui si nutre: cosa possiamo farci, non si può stare simpatici a tutti. È una regola di vita... e di morte.

    Guidato dal meraviglioso profumo che inondava la stanza e dai saggi consigli di Pietro scelsi millecinquecento piatti dalla fornitissima carta del menù Adulti (in realtà non erano così tanti, ma le abbondanti porzioni e la dettagliata presentazione contribuirono al mio conteggio al rialzo). Che sia messo agli atti:

    Come antipasto di terra, una caponatina di melanzane accompagnata da salsette. Come antipasto di mare, volevo assaggiare quello che gli isolani preparano a partire da ciò che offre loro il Mediterraneo, zuppa di cozze, accompagnata da crostoni di pane all'aglio.

    Generosi nella quantità e nella qualità, io sarei stato sazio dopo questi due antipasti di terra e di mare ma, senza dubbio, il meglio doveva ancora venire.

    Come primo, linguine del conte (zucchine, radicchio, gorgonzola): a definirlo squisito, peccherei di avarizia. Come secondo (già con una certa difficoltà a fargli spazio) trancio di tonno alla griglia, accompagnato da un piccolo contorno scelto dallo chef: il piccolo era assolutamente ironico. E come dolce, per finire alla grande, sfera di cassata siciliana.

    Il tutto annaffiato da un vino dolce e profumato come il Nero d’Avola il vino che, come dicono gli intenditori, vanta la storia più lunga in Sicilia, ha una produzione modesta ed è arricchito da uve moscatello. Se Mara fosse riuscita a darmi un 10 % del piacere che mi passava in quel momento attraverso le papille gustative e lo stomaco, la ragazza si sarebbe guadagnata un altare nel cielo degli angioletti hot hot. Il mio stato di felicità e rilassamento era tale che rifiutai le tre chiamate che arrivarono sul mio telefono durante il pranzo: non l’avrei interrotto nemmeno se papa Francesco avesse richiesto i miei servigi per indagare sui casi di corruzione all’interno della curia vaticana cosa che, del resto, lui sapeva benissimo.

    Fu solo per un senso di pesantezza e per pudore che non abbracciai Pietro, il fratello cuoco e la loro mamma: lo avrei fatto volentieri. E poi il conto era decisamente abbordabile, per non dire economico. Se fossi stato più giovane, avrei chiesto immediatamente l’adozione in seno a quella famiglia. Grazie mille.

    Sul menù, i nomi delle portate non erano tradotti: sarebbe un sacrilegio tentare di esprimere sapori e sensazioni se non in versione originale. Me li presentarono così, in versione originale e, anche se non avessi capito tutto nei minimi dettagli, il mio palato avrebbe rimediato: la sfera emotiva non ha bisogno della conoscenza assoluta, ma di un pizzico di ignoranza, di lasciare da parte la ragione anche solo per un attimo durante il quale ci ribolle il sangue, la pancia la fa da padrone e il cervello si spegne o si addormenta, lasciandoci in pace. O quasi.

    Congedato con lo stesso calore e lo stesso buon umore con cui ero stato accolto e con il biglietto da visita del locale al sicuro nel portafogli per la prossima volta in cui il caso mi avrebbe portato da queste parti, decisi di andare a piedi fino in hotel e di smaltire, grazie alla passeggiata, quella scorpacciata di calorie e proteine che mi ero messo in pancia: il posto migliore dove immagazzinarle.

    Avevo prenotato una stanza all’albergo San Paolo Palace, all’altezza del numero 91 di via Messina Marina che, come preannuncia il nome stesso, corre parallela al mare fino a incontrare la foce del fiume Oreto. Riassunto in questo modo, si ha l’impressione che la zona valga la pena ma in realtà questo quartiere era ed è abbastanza insignificante, brutto e triste. La maggior parte delle case erano formate da blocchi di cemento costruiti nella seconda metà del secolo scorso, con balconi su cui stendere gli asciugamani della spiaggia e con facciate dipinte di giallo, scrostate a causa dell’umidità e dell’incuria dei loro abitanti. Non c’è traccia di quanto promesso dal marchio Italia, perlomeno non in quest’area urbana progettata su misura per il turismo della classe media e di una popolazione preoccupata più di sopravvivere che di esibire un primato architettonico. Le malelingue del nord osservano che se dipendesse da loro, venderebbero il Mezzogiorno e le isole meridionali a un paese africano qualsiasi, ma il problema è che nessun paese africano vorrebbe comprarlo. Nessuno è più crudele e stronzo di un ricco col fratello povero.

    Passai vicino alla stazione ferroviaria, un covo di borseggiatori attivi ventiquattr’ore su ventiquattro, camminai per viale dei Picciotti e poi per viale Amedeo d’Aosta e in appena mezz’ora, ancora con i piedi pesanti, mi ritrovai di fronte il Mare Nostrum e alle spalle l’albergo in cui Mara non sarebbe mai entrata e forse neanch’io, dipendeva da come si evolveva la serata con lei dall’altra parte dell’isola. (letteralmente dall’altra parte della cartina geografica).

    Accesi una sigaretta con lo sguardo perso nell’orizzonte e nelle imbarcazioni di diverse dimensioni e provenienze che riversano i loro rifiuti organici e, probabilmente, anche chimici nell’acqua salata senza il minimo rimorso di coscienza ecologica o di rispetto per la leggi, sempre che ci siano delle leggi che regolano tutto ciò. Sicuramente prendevano alla lettera il Nostrum, trasformando in un water gigante quella che altri utilizzano come piscina per una stagione: umanità allo stato puro.

    Dopo essermi fatto la doccia, vestito e agghindato nel modo migliore che la mia valigia mi permetteva, presi una macchina in affitto dalla reception dell’hotel e mi diressi verso Augusta, il paradiso di Mara, l’angioletto hot_hot. Ebbi molte difficoltà a uscire dalla città e trovare l’autostrada giusta. Rischiai anche di andare a sbattere contro un’altra auto che non si era fermata a un semaforo privo di luci: a giudicare dai gesti che mi rivolsero gli occupanti dell’auto, la ragione e l’assicurazione erano le ultime cose di cui dovevo preoccuparmi. Quando uno mima di tagliarti la gola con il suo dito indice urlando in siciliano, ti dimentichi di qualsiasi tecnicismo.

    Per calmarmi e dimenticare l’incidente, accesi la radio e con mia grande fortuna sentii, senza volerlo, l’ex primo ministro Silvio Berlusconi che cantava Il vero amore. Che suggestione incredibile: l’umanità allo stato impuro.

    Capitolo II

    Il catalogo

    Arrivai con quaranta minuti di anticipo sull’orario previsto, e dire che avevo effettuato una sosta tecnica a metà strada, in un’area di servizio, per fare il pieno di benzina e di nicotina, fumandomi un paio di sigarette. Pare che non sia permesso abbandonarsi a questo vizio sulle macchine in affitto, di modo che i futuri autisti non si lamentino per l’odore di tabacco, tuttavia non si fa menzione dei crimini che è possibile commettere con un auto o dentro di essa, sia che puzzino o profumino... i crimini. Fare le leggi è un’arte praticata da idioti.

    Per quanto hot_hot fosse Mara nel suo orario di lavoro e per quanto io mi fossi appena fatto la doccia e profumato per l’occasione, una cosa era la puntualità e una cosa (molto differente) era l’ansia. Parcheggiai la mia auto inodore nei pressi di via Generale Ferla e decisi di farmi un giro nello stupendo paradiso di Mara, quello che l’aveva fatta innamorare a prima vista perché c’era tutto: a quanto pareva, il tutto era ben poca cosa.

    Augusta è una sorta di isoletta della costa orientale della Sicilia, collegata alla terraferma attraverso un paio di strade sul mare che, logicamente, la circonda da tutti e quattro i punti cardinali e che la fa sembrare un isola. In quei giorni di fine settembre c’erano ancora gli ultimi turisti che, in costume da

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