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il nebbiolo fiorisce a maggio
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E-book391 pagine5 ore

il nebbiolo fiorisce a maggio

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Info su questo ebook

Giorgio, quasi settantenne, ama percorrere in bicicletta strade non frequentate in mezzo ai vigneti, al verde della Valtellina, ascoltando i profumi delle stagioni che cambiano. Ama pedalare nelle contrade, nei vicoli stretti, nei centri storici dei paesi di montagna della sua Valle, anche alla ricerca dei prodotti enogastronomici più autentici, più legati al territorio. Quelli dei piccoli produttori.
Federica ha diciassette anni, è cresciuta, senza padre, nell’albergo di Tirano, gestito dalla madre.
Una mamma indifferente, assente, sempre occupata nel lavoro, lontana dai bisogni della figlia, dai suoi interessi, dal suo desiderio di calore umano, di parlare, di condividere la sua contentezza per un bel voto.
È una bellissima giornata primaverile. Giorgio sta pedalando in montagna, la vibrazione de cellulare nella tasca posteriore della maglietta Stelvio Mapei interrompe il suo lento pedalare tra i boschi della Valgerola: un invito a cena da parte della figlia in un rinomato ristorante vicino a Sondrio.
Da quel momento la vita di Giorgio si trasformerà, le sue abitudini cambieranno, il suo quotidiano vivere in solitudine nella grande casa di Morbegno sarà vivacizzato dalla presenza della nipote Federica.
Una convivenza piacevole, lunghi discorsi a tavola, durante e dopo cena, racconti riguardanti l’enogastronomia valtellinese da parte di Giorgio, sogni nel cassetto mai raccontati alla mamma da parte di Federica, ricordi di nonna Domenica, prematuramente scomparsa lasciando Giorgio vedovo.
Per Federica sarà la scoperta del profumo della famiglia, della bellezza di un abbraccio, della dolcezza di un sorriso ma anche il piacere di confidarsi, di raccontare la sua storia d’amore con Samuele.
LinguaItaliano
Data di uscita2 ott 2019
ISBN9788834192467
il nebbiolo fiorisce a maggio

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    il nebbiolo fiorisce a maggio - Renato Ciaponi

    valle.

    La badante

    La vita ti cambia all’improvviso.

    Quando meno te l’aspetti.

    Anche a settant’anni, quando pensi che ormai devi solo cercare di vivere tranquillo assaporando le piccole emozioni che la vita ti sta ancora regalando.

    Quando ti senti vecchio e pensi di non essere più utile a nessuno.

    Quando guardi con un po’ di nostalgia i giovani che iniziano la propria avventura lavorativa e magari pensi che la tua vita poteva essere diversa.

    E allora rifletti su quell’occasione che hai avuto e che poteva cambiarti la vita, ma non hai voluto prenderla al volo, non hai avuto il coraggio di lasciare, hai preferito la tranquillità della professione di insegnante, la certezza degli affetti familiari.

    Perché iniziare una vita nuova in Toscana, voleva dire abbandonare il tuo paese, la tua valle che hai sempre amato.

    E così l’orto, il giardino, le passeggiate in bicicletta diventano il passatempo preferito, riescono a riempirti le giornate. Puoi godere dei colori dell’autunno, del risveglio della primavera, dei fiumi che scorrono lenti d’estate in mezzo ad alvei selvaggi, delle mani gelate sul manubrio della bicicletta d’inverno sulla strada bagnata dalla neve che si scioglie ai bordi della strada.

    Giorgio pedala sulla strada che porta in val Gerola, una bicicletta a pedalata assistita, la sua badante , come scherzosamente dice sempre agli amici quando racconta di paesi di montagna dove con una bici normale non sarebbe mai arrivato.

    Sente vibrare il cellulare nella tasca posteriore della maglietta Stelvio Mapei che indossa sempre con orgoglio, ricordo di una domenica sui tortuosi tornanti dello Stelvio, quando era più giovane e non aveva ancora bisogno della badante.

    Si ferma sul ciglio della strada.

    Ciao papà, dove sei?

    Ciao Silvia, sono a Rasura.

    Sei con Giacomo?

    No, da solo, questa mattina Giacomo doveva fare le analisi del sangue, ma non preoccuparti, arrivo a Gerola e torno a casa.

    Sei il solito testone, quante volte ti ho detto di non andare in bici da solo?

    Ok, ma non devi preoccuparti, stai tranquilla, sto benissimo, nessun segno premonitore di un possibile infarto.

    Sì, va bene, ma ti dimentichi sempre che hai settant’anni.

    No, io purtroppo non lo dimentico. Ma hai visto la giornata?

    Va bene, va bene, tanto fai sempre quello che vuoi. Comunque ti ho chiamato perché ho bisogno di parlarti … è un discorso un po’ lungo … che ne diresti di una cenetta intima nel tuo ristorante preferito a Montagna?

    Deve essere un discorso importante. L’ultima volta che mi hai invitato a cena, dopo il buonissimo semifreddo al Braulio, mi hai detto che avevi bisogno di diecimila euro. E poi ho pagato anche il conto.

    No, non ho bisogno di soldi. È una cosa importante. Se preferisci un altro ristorante per me fa lo stesso.

    No, no, va benissimo, ci vediamo lì alle otto.

    Giorgio riprende a pedalare. La sua mente vaga.

    Pensa a sua figlia, quarantacinque anni, una vita difficile, sfortunata. Un matrimonio durato poco, una figlia che non ha conosciuto il padre, morto in un incidente stradale durante la gravidanza della madre. L’albergo di Tirano da gestire, senza il marito, la piccola Federica da crescere.

    Un grande favore

    Come sempre è in anticipo. La puntualità è sempre stata un suo grande pregio.

    Apre l’antico portone di legno del ristorante e subito il maître lo accoglie:

    Buonasera professore. Solo?

    Buonasera. No, aspetto mia figlia.

    Benissimo, vi preparo il tavolo. Un prosecchino in terrazza?

    Certo, con una serata così non posso assolutamente rinunciare.

    Giorgio attraversa la sala, apre la porta a vetro del ristorante, si siede a un tavolino della terrazza. Il fascino silenzioso del panorama sottostante lo avvolge regalandogli un’emozione che come sempre gli riempie il cuore. Lo sguardo si allarga dalle prime luci della città di Sondrio al castello Grumello già rivestito dalla fioca luce dell’illuminazione, ai vigneti avvolti dalle prime ombre della sera e accarezzati da una leggera nebbia.

    Guarda immobile il panorama, quasi estasiato, come se lo ammirasse per la prima volta.

    Pensa a sua figlia, una donna complicata, sola, austera, spesso fuggente.

    I tocchi di un campanile in lontananza che annunciano le otto lo riportano alla realtà.

    Come sempre è in ritardo.

    Il traffico, il vigile che l’ha fermata, il parcheggio non trovato. Tutte le volte una scusa per giustificare il suo cronico ritardo. Gusta il suo prosecco lentamente, accompagnato da alcune scaglie di Valtellina Casera invecchiato.

    Poi sente passi decisi che attraversano la sala, guarda l’orologio, quindici minuti di ritardo.

    Ciao papà. Scusa non ho ... non aggiunge altro, ride, consapevole di non poter trovare una scusa.

    Niente di grave, sai che su questa terrazza io sto bene anche in solitudine, il panorama da qui è stupendo soprattutto a quest’ora. Bevi un aperitivo?

    No grazie, sediamoci a tavola.

    Silvia si avvicina al tavolo indicato dal maître. Giorgio la segue e non può fare a meno di osservare il suo fisico robusto, mascolino, anche se mascherato da un abbigliamento molto femminile. Quando sono seduti continua a guardarla.

    È da tanto tempo che non si trova così vicino per osservarle il viso.

    È invecchiata, alcune rughe vicino agli occhi e alle labbra. Il viso ancora uguale, viso ordinario, gli occhi vicini, il naso schiacciato, le labbra fini, quasi assenti … era così anche da adolescente, quando al liceo non era riuscita a farsi nessuna amica e ovviamente nessun amico. Quando passava i pomeriggi in camera a leggere, a studiare. Mai nessuna telefonata. Nessuna compagna che s’interessasse a lei.

    Allora cosa prendiamo? chiede Silvia aprendo il menu.

    Per me va bene un primo.

    Anche per me.

    Gnocchetti?

    Sì, benissimo, anch’io.

    Giorgio apre il piccolo scrigno della carta dei vini. Legge ad alta voce un pasto senza vino è come un giorno senza sole, poi sceglie un Sassella Grisone servito al bicchiere.

    Silvia guarda il padre, seria, silenziosa, timorosa di introdurre l’argomento per il quale l’ha invitato a cena.

    Lui muove il bicchiere con grazia. Delicatamente lo avvicina al naso, annusa. Guarda la figlia. Nei suoi occhi vede il desiderio di introdurre immediatamente l’argomento. Finge di non capire.

    Profumi elegantissimi di viole, rose e lamponi, poi un piccolo sorso in bocca veramente peccato che tu sia astemia e non possa apprezzare la piacevolezza di questo vino.

    Lei non risponde, prende un grissino, lo spezza lo mette in bocca.

    Sai perché si chiama Grisone?

    No, papà non lo so. Risponde con un tono insofferente.

    Giorgio sorride. "Una brava albergatrice come te dovrebbe sapere tutto sui nostri vini. Comunque, prende il nome da una vigna della zona Sassella, già citata nel 1616 da Giovanni Guler von Weinerk: s’innalza una collina rocciosa e soleggiata, ma fertile di vino, detta Grisoni; essa produce il vino migliore e più squisito di tutta la valle ..."

    Papà, ti prego, non ho voglia di sentire le tue storie sul vino.

    Giorgio la guarda, avvicina le labbra al bicchiere.

    Ottimo.

    Aspetta.

    Aspetta che sua figlia inizi a parlare.

    Le sue mani muovono e rimettono a posto le posate con una particolare agitazione. Ancora alcuni secondi di silenziosa attesa. Una situazione che Giorgio non sopporta e finalmente rompe il silenzio.

    Federica come sta? È alcuni giorni che non la sento.

    Bene, studia, legge, sente musica, tipica adolescente non problematica.

    Certo, sei molto fortunata, anche quando stava con noi era una brava bambina. I nonni l’hanno tirata su bene.

    Silvia sorride.

    Papà, ho bisogno di un grande favore. Si ferma, lo guarda, il sorriso si spegne, un leggero tremolio appare sulle labbra.

    Dimmi figliola, sai che sei la mia figlia preferita.

    Dai smettila. Le ritorna il sorriso È una cosa seria, e finalmente mi hanno offerto un lavoro a New York, aprire e gestire per sei mesi un albergo italiano."

    Giorgio spalanca gli occhi:

    " Complimenti, è sempre stato il tuo sogno … e anche Federica sarà contenta, dice sempre che la Valtellina è troppo piccola. Un nuovo film, Due valtellinesi a New York."

    Non scherzare, non è così semplice. Federica non può abbandonare la scuola, il suo inglese non le permette di trasferirsi in una scuola americana.

    Ma figurati, ci sono scuole apposta per stranieri.

    Ma poi io non ho tempo per seguirla, sarò impegnata tantissimo… e lei dopo la scuola sarebbe sempre sola.

    Ok, va bene, ma anche là potrà trovare amici, amiche …

    Papà, io ho paura, lavorerei malissimo e poi io vivrei in albergo, non mi danno l’appartamento. Io lo faccio anche per lei, è un ottimo contratto e avrò sicuramente opportunità di nuove conoscenze, magari utili per la sua carriera.

    E quindi?

    Quindi, lo guarda, cerca di abbozzare un sorriso per essere più convincente potrebbe stare con te. Riesce a dire velocemente come se avesse avuto paura a pronunciare quelle parole.

    Con me? Giorgio diventa serio, lo sguardo agitato, scuote la testa, alza leggermente la voce.

    No, no, non se ne parla proprio, tu sei pazza, non puoi chiedermi questo, io ho quasi settant’anni non posso occuparmi da solo di una bambina, io ho la mia vita tranquilla da pensionato, l’orto, il giardino, la mia bicicletta, i miei amici … la mia vita. Non puoi chiedermi di cambiare le mie abitudini, da solo con una bambina, no, no, non posso.

    Papaaaà … guarda che la bambina ha quasi diciassette anni, non le devi cambiare il pannolino, non la devi mettere a letto, devi seguirla, prepararle da mangiare, così magari trovi il tempo per cucinare e cominci a mangiare bene, evitando i tuoi pranzi e cene acquistati in gastronomia.

    Guarda che io sono un ottimo cuoco e se non fosse per l’età farei la selezione per Master Chef e magari riuscirei a stupire anche Cracco.

    Va bene, lo so, ma tu cucini solo per gli amici.

    Certo, non sciupo il mio talento per un pranzo o una cena da consumarsi in solitudine e poi i piatti della gastronomia son anche curati, buoni e dietetici.

    Il cameriere porta gli gnocchetti. La discussione si interrompe.

    Buoni.

    Sì, ottimi.

    Mangiano silenziosi per qualche minuto accompagnati solo dal rumore delle posate che toccano i piatti. Giorgio appoggia la forchetta, alza lo sguardo, cerca gli occhi di lei e li trova pensierosi, stanchi.

    Silvia, io sono vecchio, potrei prendere un infarto.

    Smettila, quando vai da solo in bicicletta non pensi mai all’infarto, anche quando pedali su sentieri isolati. Guarda che lo so che lo fai e poi mi racconti bugie, che vai con Giacomo, che fai solo strade frequentate, ma poi chissà perché ti hanno visto da solo a Castello sopra Gerola mentre prendevi il sentiero per l’alpe Tagliate.

    Giorgio ride.

    Io sono vecchio, non posso rapportami con gli adolescenti. Federica ha bisogno di una mamma, del papà, non può raccontare al nonno i suoi problemi adolescenziali.

    " Appunto, il papà che non ha mai avuto. Lei è sempre stata bene con te, ti adora, le piace la tua casa, il tuo giardino. Ti ricordi come era contenta quando aiutava la mamma nel giardino? E poi non eri tu il dirigente scolastico di una scuola superiore che quando è andato in pensione si è trovato un grande cartello con scritto grazie per averci ascoltato, grazie per averci capito, grazie di averci fatto crescere ?"

    " Sì, ero io, ma sono passati dieci anni, non ho più avuto rapporti duraturi con i giovani… Sono giù di allenamento. Lo so che lei sta bene con me, che parliamo molto, che è contenta di aiutarmi in giardino. Ma è un giorno, poi torna da te.

    Quelle volte che si è fermata a dormire a Morbegno da me è uscita con una sua amica e io ho aspettato davanti alla televisione, guardando in continuazione l’orologio. No, Silvia, sinceramente, adesso mi sento vecchio, sono diventato apprensivo, mi agito subito, non me la sento. Trova un’altra soluzione, portala con te o rinuncia all’incarico."

    Silvia sembra arresa.

    Prendiamo il dolce? chiede.

    Certo.

    Consumano in silenzio il dolce, i visi piegati sul piatto, quasi avessero paura a guardarsi. Giorgio è pensieroso, ogni tanto scuote la testa.

    Silvia mette in bocca l’ultimo cucchiaio della creme brûlé all’albicocca e vaniglia con gelato all’amaretto.

    Facciamo così, dice con un mezzo sorriso sulle labbra, io dovrei partire fra una decina di giorni. Per la metà di giugno tornerò, mi fermerò una settimana, vedremo come è andata, se ci sono problemi cercherò un’altra soluzione.

    A Federica l’hai già detto?

    Certo, le ho detto che mi hanno offerto questo lavoro e che lei non può venire con me e che quindi prima di accettare dovevamo trovare una sistemazione.

    Si ferma vorrebbe continuare ma aspetta. Ormai sa che è riuscita a convincerlo.

    E lei ha detto che non c’erano problemi, mi trasferisco a Morbegno dal nonno e tutte le mattine prendo il treno come fa Alessia. Mamma, lo sai che il nonno ed io andiamo perfettamente d’accordo.

    Una storia di sassi

    Nel baule le valigie, due scatoloni di libri di scuola, qualche romanzo che non ha ancora letto, il computer, le casse acustiche, due valige con vestiti e scarpe primaverili ed estivi.

    Quelli invernali no, tanto a settembre tornerai ancora a vivere qui. Aveva detto la mamma.

    Il personale dell’albergo l’aveva salutata teneramente.

    Se hai nostalgia vienici a trovare, e lei, sempre sorridente, non aveva osato dire che non le sarebbe sicuramente mancata la sua casa/albergo.

    Mentre aveva ascoltato tutte le frasi di circostanza, finalmente, come una liberazione, aveva visto l’auto del nonno. Si era diretta correndo verso di lui.

    Ciao nonno, ti aiuto a caricare la mia roba.

    Hai fretta?

    No, è che… non sopporto questi saluti, sembra che stia andando lontana, in collegio, senza affetti, senza amore. Non sanno che sto andando dal mio nonnino, in una bella casa, dove mi troverò sicuramente bene.

    L’aveva preso sottobraccio, appoggiandosi al suo corpo.

    Vieni, le mie valigie sono nella hall.

    La mamma?

    È di là con un signore, ha detto che dopo ci raggiunge.

    Ti spiace lasciare il tuo albergo? Le aveva chiesto il nonno.

    Lei si era fermata, l’aveva guardato seriamente.

    Assolutamente no, non l’ho mai considerato mio, ma della mamma.

    Il nonno aveva sorriso, sapeva benissimo che da un po’ di tempo la nipote viveva con insofferenza il dover vivere in albergo.

    Poi, non vedendola arrivare, erano entrati nell’ufficio della mamma per i saluti.

    Ciao, fai la brava, mi raccomando, ubbidisci al nonno.

    Lei si era avvicinata e la mamma senza alzarsi dalla poltrona, aveva allungato il collo per un bacio frettoloso.

    Ciao mamma, ci sentiamo. Ed era uscita senza più girarsi.

    Ed ora eccoli, nonno e nipote seduti sui sedili della vecchia Audi pronti per una nuova convivenza nella grande casa di Morbegno.

    Bene, spero tanto che ti troverai bene nella città del Bitto, io sono vecchio, ma ancora autosufficiente…

    Federica lo interrompe, gli tocca delicatamente una gamba: Nonno, tu non sei vecchio, sei ancora un giovanotto, anzi sono sicura che avrai anche qualche spasimante.

    Dai, non dire stupidaggini. Tu piuttosto, così carina, avrai sicuramente tanti ragazzi che ti corrono dietro.

    Sì, certo, però a me non interessano, tutti amici, per ora niente amore.

    Sono fermi a Madonna di Tirano per il passaggio del treno.

    Se vuoi un po’ di musica… io però sono nostalgico, sono tutti cd un po’ datati.

    Federica fa passare i cd e sceglie il meglio dei Beatles .

    Bello, mettiamo questo.

    La voce di John Lennon si espande nell’abitacolo. Il trenino rosso, con il suo fischio, passa lentamente davanti a loro. Il semaforo si spegne e le auto riprendono a muoversi sulla statale 38.

    Il nostro trenino, dice Federica mentre abbassa il volume della musica sai che da quando è diventato Patrimonio Mondiale dell’Unesco in albergo abbiamo aumentato notevolmente le presenze?

    È sicuramente una grande attrattiva per il turismo valtellinese, un paesaggio stupendo che cambia di continuo da qui fino a 2300 metri… dai vigneti alle cime innevate.

    Un cliente un giorno mi ha detto che durante il viaggio gli era sembrato di essere entrato nel trenino elettrico che costruiva quando era bambino, con le piccole locomotive, le minuscole stazioni con il capostazione, i viadotti rettilinei che finivano con pezzi elicoidali, le gallerie, le curve strettissime, le pendenze spaventose.

    Giorgio sorride.

    Non ci avevo mai pensato, è perfetta. Anch’io avevo un trenino, era proprio così.

    La voce di John Lennon si fa più intensa. Federica ascolta mentre guarda dal finestrino i terrazzamenti ormai vestiti di verde.

    Ho saputo che ultimamente anche i terrazzamenti della Valtellina sono diventati patrimonio dell’umanità.

    Non è esatto. Non sono i terrazzamenti, ma l’arte nel realizzarli.

    Cioè?

    I beni culturali Unesco si dividono in beni materiali e in beni immateriali. Materiali quando sono fisicamente tangibili, esempio il trenino Rosso del Bernina o le incisioni rupestri della Valcamonica. Immateriali quando non sono fisicamente tangibili, come una lingua o un dialetto, una manifestazione folkloristica o anche una ricetta. Prendi la pizza, per esempio. È l’arte del pizzaiolo napoletano che è diventato patrimonio dell’Umanità, non la pizza.

    E i terrazzamenti?

    Anche. Non sono i muretti a secco a diventare patrimonio dell’umanità, ma l’arte nel costruirli. Sono patrimonio immateriale. I muretti sono così perché c’è qualcuno che li ha costruiti con quell’arte. E l’Unesco ha voluto riconoscere questo ingente lavoro, ma soprattutto la capacità, l’arte di realizzarli.

    Non mi ero mai accorta, sono veramente belli, sembrano disegnati sulla montagna.

    Certo e farli conoscere ed apprezzare sarà sicuramente una grande occasione per promuovere iniziative e valorizzare il nostro territorio, la nostra enogastronomia, soprattutto i vini che nascono sui terrazzamenti. Sarà importante raccontare la storia, spiegare ai turisti come sono fatti i muretti e soprattutto fare in modo che questo saper fare venga trasmesso alle nuove generazioni, che non si perda, che non venga dimenticato, perché è patrimonio storico, perché sono stati i nostri antenati, perché rappresenta un’antica tradizione. Gira la testa verso la nipote. Guarda come sono belli. Dice indicando alcuni muretti.

    È vero. Uno spettacolo.

    Sai quanti chilometri di muretti a secco ci sono in Valtellina?

    Non so, da Morbegno a Tirano ci sono circa 50 chilometri …

    Quindi?

    150, 200.

    Devi pensare di mettere in fila tutti i muretti di ogni terrazzamento, uno dopo l’altro e arriviamo a...?

    500?

    No, molti di più, anzi moltissimi di più. In Valtellina c’è l’area vitata di montagna più estesa di tutta Europa ed è composta da terrazzamenti sorretti da 2.500 chilometri di muretti in sasso tutti costruiti a secco.

    Ma cosa vuol dire muretti a secco?

    Vuol dire costruire un muro senza l’uso di calce e cemento, solo un lavoro di incastro di sassi e un po’ di terra. Una costruzione laboriosa, un lunghissimo lavoro fatto tanto tempo fa da uomini pazienti, tenaci che, adagio adagio, sono riusciti a realizzare un capolavoro architettonico inusuale. Uomini e donne che hanno recuperato materiale pietroso da quello esistente sul posto, derivante da frane, da vecchi muri, ma anche ricavandolo dalla roccia riuscendo a costruire muri che, pur con una doverosa manutenzione, hanno retto all’usura di secoli di storia. Un lavoro certosino che ha permesso di creare degli spazi tra la roccia e la nuova costruzione, riempiti poi con terra.

    E la terra dove l’hanno presa?

    " Sul fondovalle, trasportandola a spalla o con i muli. Pensa ancora quanta fatica. È stato un lavoro grandissimo fatto da uomini e donne.

    Avevano capito che l’unico modo per poter coltivare in certe zone era costruire dei contenitori, riempirli di terra e formare così delle piccole superfici leggermente inclinate. Ma i muri avevano anche la funzione di trattenere le acque in caso di siccità, permetterne il deflusso regolare e creare le condizioni più idonee per evitare frane."

    In che periodo siamo?

    Bella domanda. Sembrerebbe che i primi a coltivare la vite in Valtellina siano stati i romani. Quindi?

    I Romani raggiunsero Como nel 196 a. C., ma conquistarono le Alpi solo due secoli dopo.

    Brava, ma la vite fu forse introdotta anche prima, con i liguri ed etruschi che formarono i primi insediamenti urbani nella valle. Quindi?

    Età del ferro, se non ricordo male gli etruschi si insediarono sulle Alpi centrali nel 500 a.C. e i liguri ancor prima.

    " Sempre più brava. Sembrerebbe anche che furono i liguri, conoscitori della coltura della vite a costruire i primissimi terrazzamenti che in realtà sono molto simili a quelli dei famosi vigneti delle Cinque Terre.

    La costruzione dei nostri muretti è però più recente. Iniziò nel Medioevo, ma la diffusione sul versante retico è successiva al 1500, con un grande impulso quando i Grigioni si impossessarono della Valtellina. Anno?"

    Dal 1512 al 1797. Giusto professore? Ride, lo guarda e gli accarezza la mano che in quel momento è posizionata sul cambio. I loro occhi si incontrano e Giorgio non può fare a meno di notarne il colore verde, luminoso, occhi che dimostrano contentezza, gioia di ascoltare, con nessuna nostalgia per l’albergo di Tirano, per la mamma che non vedrà per diversi mesi.

    Sai che i tuoi occhi hanno il colore delle prime foglie delle viti che proprio in questi giorni cominciano a formarsi?

    Grazie nonno, un complimento bellissimo, un paragone stupendo, dovresti fare lo scrittore.

    Lo diceva sempre anche tua nonna. In realtà quando c’era lei ho scritto diversi racconti, ma dopo la sua morte non sono più riuscito, ho perso la concentrazione o forse semplicemente era il sapere che lei non avrebbe potuto leggermi.

    Con un dito si asciuga l’umidità di un occhio. Federica nota il gesto, cerca subito di cambiare discorso.

    Quindi eravamo rimasti ai Grigioni.

    " Certo. Il dominio svizzero da parte dei Grigioni diede un grosso impulso alla viticoltura valtellinese soprattutto con il commercio e l’esportazione di vino in tutta Europa, che purtroppo terminarono con la fine dell’amministrazione svizzera. Allora si cercarono e si trovarono nuovi mercati, come quello della Lombardia, ma per la viticoltura cominciò una lunga crisi che culminò a metà del diciannovesimo secolo. Ricorda però che la vite non si coltivava solo sui terrazzamenti retici. Anche nei paesi del fondovalle e in diversi paesi orobici c’erano vigneti.

    Nei primi anni del 1800 ne risultavano censiti oltre 6000 ettari, di questi solo 1700 erano terrazzati. Ma come dicevo a metà del diciannovesimo secolo iniziò il declino. per una serie di calamità di natura climatica e a causa di gravi malattie delle piante: oidio, peronospora, filossera.

    Per un decennio la produzione di uva si annullò quasi del tutto portando ad una crisi economica gravissima tanto che l’intera Lombardia si commosse di fronte a questa situazione, e l’arciduca Massimiliano, viceré del Regno Lombardo-Veneto, promosse una lotteria a favore dei «poveri di Valtellina».

    Lentamente si ricominciò, ma poi sopraggiunsero la prima e la seconda guerra mondiale che portarono alla forte diminuzione della manodopera maschile reclutata al fronte.

    La superficie vitata diminuì sempre più. Gran parte dei vigneti coltivati sui conoidi furono riconvertiti a meleti o anche sottratti all’agricoltura per la forte urbanizzazione.

    Anche gli ettari vitati terrazzati diminuirono. Il dopo guerra, con la ricostruzione, con le prime industrie in provincia, richiese sempre più mano d’opera e portò all’abbandono dell’agricoltura come attività principale che diventò sempre più un’attività svolta come secondo lavoro. E ovviamente anche la viticoltura diventò un’attività secondaria. Negli ultimi decenni del secolo scorso il settore riprese gradatamente grazie soprattutto alla collaborazione fra enti, istituzioni e a grossi investimenti di imprenditori che investirono nella qualità e nella professionalità soprattutto in cantina. Arriva anche il riconoscimento dei nostri vini come DOC, poi come DOCG, ci sono importanti interventi anche economici per nuove politiche di comunicazione, di marketing e oggi possiamo dire con orgoglio che la nostra viticoltura è diventata una grande protagonista dell’enologia nazionale e internazionale".

    Ma quanto vino si produce in Valtellina?

    Già eravamo rimasti ai 6.000 ettari di vigneti. Oggi si stimano circa 1250 ettari di vigneto, tutti terrazzati, di cui 850 dedicati alla produzione di vino DOCG, DOC e IGT, con una produzione totale di circa tre milioni e mezzo di bottiglie all’anno.

    Una bella storia che andrebbe raccontata a tutti i giovani valtellinesi.

    Certo. Ricordati che la Valtellina è oggi la più grande area viticola terrazzata di montagna in Italia, e quindi quando attraversi la valle, alza gli occhi verso le Alpi Retiche, e lasciati trasportare dal fascino dei secoli di storia e tradizione che c è dietro ogni muretto.

    Fascino, ma anche sudore e fatica dei nostri antenati che hanno costruito questo gigantesco vigneto.

    Sì, ma ci sono diversi motivi che giustificano l’immane fatica, la caparbietà … risponde Giorgio alzando il volume dello stereo come per chiudere il discorso.

    Federica lo guarda, rigira la manopola, No, dai raccontami, mi interessa tantissimo quello che dici.

    " Ok, dicevo, diversi motivi. Primo perché nel periodo invernale non avevano molto da fare e quindi cercavano sempre qualche lavoro che potesse aumentare la superficie coltivabile. Ma poi devi sapere che i contadini non erano padroni dei loro terreni.

    I terreni e boschi erano tutti in mano a poche famiglie aristocratiche o a enti religiosi ed erano dati ai contadini attraverso un contratto d’affitto di durata indeterminata. Se il contadino riusciva ad aumentare la produttività attraverso il miglioramento del fondo, il contratto non cambiava e la maggiore produttività era interamente goduta dal contadino. Questo portò a realizzare terrazzamenti proprio sui terreni più inospitali, ripidi pendii, quelli più impervi. Adesso però ti lascio sentire la tua musica."

    E con un movimento deciso alza il volume dello stereo.

    Federica guarda dal finestrino, la testa girata verso le montagne, verso i terrazzamenti, che ormai si fanno sempre più erti. Un grande spettacolo che Federica guarda con occhi diversi, più attenti. Un fascino paesaggistico che non aveva mai notato nella sua completezza, nei particolari. Adesso sente il profumo di storia, di tradizioni, di fatica. E poi guarda la disposizione dei filari, tutti rivolti da

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