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Le streghe di Soraggio e altri eretici
Le streghe di Soraggio e altri eretici
Le streghe di Soraggio e altri eretici
E-book185 pagine2 ore

Le streghe di Soraggio e altri eretici

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Info su questo ebook

l 18 giugno del 1607 si presentò nel convento di San Francesco, tra Pieve Fosciana e Castelnuovo, il presbitero Joannes Paninius, parroco di Soraggio. Lo ricevette padre Lorenzo Lunardi da Sillico, vicario del Sant'Uffizio per la Provincia della Garfagnana. "Per zelo e scarico della conscenza mia, et anche per l'offitio che tengho di curato nelle ville di Soraggio, depongo come in questa mia cura vi sono in torno a 60 malefitiate che perciò anche credo che vi siano alcune streghe che faccino questi malefitii, tra le quali ve ne sono quattro particolari che sono Lucretia moglie di Biagio dalla Villa di Soraggio, Jacopino di Luca da Bricca di Soraggio, Maria di Gian Antonio frate da Bricca di Soraggio, e Maria moglie già di Francesco del Cappa da Bricca di Soraggio". Iniziò così un processo che vide coinvolte numerose persone accusate di stregoneria, di eresia, comportamenti irriverenti di frati, calunnie su inquisitori, libri malefici, abuso di sacramenti, offese al papa e bestemmie. I fatti accaduti tra il 1607 e il 1609, tra Soraggio e Castelnuovo furono al centro del lavoro del tribunale dell'inquisizione di Modena.
LinguaItaliano
Data di uscita8 nov 2019
ISBN9788832281019
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    Anteprima del libro

    Le streghe di Soraggio e altri eretici - Giuliana Ricci

    Diego

    Premessa

    I quattro streghi

    La campagna tra Castelnuovo e Pieve Fosciana era di un verde ipnotico. Una distesa di campi coltivati, alberi carichi di frutti e boschi ombrosi.

    Un piacere per gli occhi.

    Padre Lorenzo Lunardi si allontanò dalla finestra, abbandonando con un sospiro di rassegnazione quel meraviglioso panorama. Dopo le preghiere e le solite faccende quotidiane, avrebbe desiderato fare una passeggiata. Invece, era chiuso nella sala delle udienze del convento di san Francesco. Come vicario del Santo Uffizio, lo attendeva un serio colloquio con il rettore della chiesa di san Martino in Soraggio. Un caso di possibile stregoneria andava affrontato con solerzia e indagato con scrupoloso impegno.

    Bussarono alla porta e il suo assistente introdusse tre uomini nella stanza. Il più anziano, un cinquantenne, avanzò con un portamento eretto e fiero. Un tipo dal carattere energico e deciso, anche se le labbra serrate e i gesti misurati tradivano una certa inquietudine. Si trattava del presbitero Joannes Paninius, il sacerdote che aveva chiesto l’incontro. Gli altri due erano suoi parrocchiani, cristiani devoti e accompagnatori fidati.

    I visitatori furono fatti accomodare al grande tavolo centrale, dal lato opposto a Padre Lorenzo. Espletati i dovuti convenevoli, don Joannes non indugiò e affrontò subito lo spinoso argomento:

    «Sono molto preoccupato. Non potevo rimandare oltre la questione e con questa denuncia intendo sottoporre alla vostra attenzione i numerosi casi di stregati verificatisi in quel di Soraggio. Una vera sciagura, un’infestazione di streghe da debellare all'istante.»

    Padre Lorenzo puntò gli occhi in faccia al rettore. Osservò lo sguardo lucido e il volto tirato in una smorfia rigida, ma non fu in grado di comprendere quali sentimenti nascondesse l’espressione del suo interlocutore. Quell’uomo provava ansia? Rabbia? Forse paura? O una miscellanea di questi sentimenti?

    «Dalle vostre parole deduco che si tratta di una situazione grave», si limitò ad affermare.

    «Molto grave» rincarò l’altro. «Gli infelici episodi verificatisi negli ultimi tempi mi hanno spinto a recarmi in fretta da voi. Mi sprona la coscienza e lo zelo con cui ho sempre svolto i miei doveri di curato. La comunità è davvero nei guai e io ho bisogno del vostro aiuto.»

    A quel punto l’incontro andava formalizzato. Padre Lorenzo interruppe don Joannes e gli chiese di prestare il giuramento de veritate dicenda, poi ordinò al suo assistente di prendere il necessario per scrivere. Frate Hieronymus occupò la sedia accanto al vicario e, dopo aver intinto la penna d’oca nel calamaio, riportò la data e il luogo nell’intestazione di un foglio. Sotto elencò i nomi dei presenti e, riguardo al rettore, aggiunse le parole sponte comparuit per sottolineare che l’uomo aveva volontariamente fatto la denuncia. Conclusa quella necessaria pratica, invitò il prete a continuare.

    «Come ho detto, con profondo rammarico ho constatato che nella mia parrocchia vi sono molte persone spiritate. Per zelo e scarico della coscienza, e per il ruolo che ricopro a Soraggio, depongo che vi sono circa una sessantina di affatturati. Vengono a cercare conforto da me ma, per quanto sia grande il mio impegno, la piaga si sta diffondendo rapidamente. Chi ha una figlio e una nuora stregati, chi la moglie o la nipotina spiritata. La vista di immagini sacre genera scompiglio, urla, tremori e fughe. Scene da brivido. E se nella comunità vi sono degli spiritati, devono esserci anche delle streghe.»

    «Non si può scindere l’esistenza degli stregati dalla presenza di fattucchiere» convenne padre Lorenzo.

    «Infatti! Ne ho individuate quattro: Lucrezia di Biagio da Soraggio, Maria di Gian Antonio, Jacopino di Luca e Maria di Francesco di Cappa. Quest’ultima è una vedova ed è conosciuta da tutti come La Capina.»

    «Li definite già responsabili e non sospetti. La questione è delicata e bisogna agire con prudenza.»

    «Ne sono cosciente.»

    «Bene. Quali indizi avete preso in considerazione?»

    «Lucrezia discende da una famiglia di streghe. Si dice che la nonna praticasse arti magiche. La madre è Maria di Gian Antonio, una delle streghe che vi ho appena nominato. Inoltre, a suo carico vi è la pubblica fama di incantatrice e ho raccolto molte dichiarazioni contro di lei» asserì don Joannes, elencando una serie di persone pronte a deporre.

    Hieronymus fece segno al rettore di rallentare il ritmo dell’esposizione. Aveva bisogno di più tempo per compilare la relazione senza errori e mancanze. Non si trattava di trascrivere con precisione solo i nomi dei denunciati ma anche quelli dei loro accusatori e dei luoghi di residenza. Il vicario avrebbe dovuto convocarli tutti e interrogarli.

    Colpe simili a quelle di Lucrezia furono attribuite a tutti gli altri sospetti e riguardo all’ultima presunta fattucchiera, La Capina, lo stesso don Joannes era un testimone.

    «E’ in ansia per quello che posso scoprire durante gli esorcismi» spiegò il rettore. «Teme che i demoni decidano di rivelare i suoi peccati. Mi ha chiesto, nel caso in cui gli spiriti la nominassero e la chiamassero strega, di avvertirla perché non è vero.»

    Padre Lorenzo attese che Hieronymus terminasse di scrivere, poi espresse i suoi dubbi.

    «Forse è solo turbata dagli accadimenti. Oppure non crede alle affermazioni degli spiriti, o alla buona fede degli stregati. Naturalmente, le mie sono solo supposizioni. In fin dei conti, voi avete vissuto queste esperienze in prima persona e siete sicuramente in grado di giudicare le motivazioni che spingono i vostri parrocchiani ad agire. Conoscete altre persone che possano aver detto parole o compiuto atti contro la religione e la fede cattolica?»

    «No, non mi viene in mente nessun altro.»

    «Dovete perdonarmi se vi sembrerò brusco ma il dovere mi impone la domanda che sto per farvi. Possono esistere motivi di risentimento personale tra voi e le persone denunciate?»

    «Assolutamente, no! Agisco per zelo e coscienza, perché ho a cuore la salute di questi poveri indemoniati e voglio evitare i molti scandali che ne possono derivare» dichiarò il rettore con risolutezza, ma senza un reale turbamento di fronte a una consueta prassi del Santo Uffizio.

    «Tenete molto alla salvezza dei vostri parrocchiani. Questo vi fa onore. Immagino che siano tutti confessati e comunicati» continuò padre Lorenzo.

    «Certamente. Sono tutti confessati e tutti hanno ricevuto la comunione, tranne Jacopino di Luca.»

    «Questo è un fatto grave. Lo avete scomunicato?»

    «No… non ancora» tentennò don Joannes.

    «Ma le regole di Santa Romana Ecclesia e dei Sacri Canoni ve lo impongono.»

    «In realtà… preferisco aspettare che tutti siano rientrati nelle loro case. Durante l’inverno, la maggior parte degli uomini va via per trovare lavoro e spesso si spostano anche in luoghi lontani. Appena tornano, con una predica dall’altare, li esorto ad adempiere ai loro doveri di buoni cristiani. Ma, Jacopino non si è ancora visto.»

    «Avete altro da aggiungere?»

    «No.»

    «Gli accusati posseggono dei poderi o dei beni?» cambiò argomento padre Lorenzo.

    «Non so quanto valore abbiano di preciso i loro averi ma tutti hanno casa e terreni» rispose il rettore, sapendo che il Sant’Uffizio contava di far pagare loro le spese processuali.

    «Direi che per il momento può bastare» concluse il vicario.

    A quel punto, frate Hieronymus lesse ad alta voce quanto aveva scritto nella relazione.

    «Stavo per dimenticare un fatto importante» si rinvenne don Joannes, dopo aver ascoltato con attenzione ogni parola dell’assistente. «Le persone che ho denunciato, quando incontrano dei religiosi, mostrano timore e non hanno l’ardire di alzare gli occhi. Questo è un chiaro segno di coscienza sporca.»

    Il rettore fece aggiungere quell’ultimo indizio alla querela. Giurò di mantenere il silenzio, dietro la pena di dieci scudi, e firmò il documento. I suoi due accompagnatori e frate Hieronymus firmarono a loro volta.

    «Verrò quanto prima a Soraggio» promise padre Lorenzo a don Joannes.

    «Sarete il benvenuto. La vostra presenza porterà sicuramente sollievo ai miei parrocchiani e anch’io conto su di voi per affrontare questa ombra malefica che ha oscurato la mia comunità. Sarò tranquillo solo quando vedrò quei quattro in prigione.»

    «Datemi il tempo di indagare.»

    «Avrete a disposizione l’intera canonica. Potrete citare i testimoni, condurre gli interrogatori e far arrivare al più presto la denuncia sul tavolo dell’inquisitore generale. Sono sicuro che non ritarderete nell’adempiere al vostro dovere, che valuterete ogni deposizione con scrupolosa attenzione e farete arrivare al Santo Uffizio un rapporto dettagliato» prospettò don Joannes, alzandosi dalla sedia.

    Lo stato di agitazione stava cominciando a prendere il sopravvento. Don Joannes fece un respiro profondo e cercò di calmarsi. Non aveva motivo per essere dubbioso. Padre Lorenzo era da anni al servizio del Santo Uffizio ed era avvezzo a sospettare di chiunque cadesse nella sua rete. Un inquisitore non credeva nell’innocenza, sapeva bene che ogni creatura umana nasce macchiata dalla scellerata colpa del peccato originale.

    Frate Hieronymus accompagnò i visitatori all’uscita, poi tornò dal vicario. Iniziò a riordinare gli strumenti per scrivere, interrogando padre Lorenzo con lo sguardo. Ma l’altro restò zitto e pensieroso.

    «Non avete nulla da dire?» domandò infine. «Non è vostra abitudine lasciarmi senza un commento.»

    «Non ho ancora elementi sufficienti per comprendere la situazione. Preferisco esprimermi quando avrò ascoltato i testimoni e avrò raccolto tutti gli indizi. Per ora ho solo qualche pubblica fama, qualche sospetto e dei gesti inconsulti. Anche se la presenza di un così alto numero di stregati, non può essere casuale.»

    «Don Joannes sembra molto preoccupato.»

    «Sì! È talmente preoccupato da permettersi di ricordarmi i miei doveri. Ma l’esperienza mi ha insegnato che pure una fede ossessiva e morbosa può allontanare dai piani di Dio, e genera sovente l’isteria all’interno di intere comunità. E’ un debole confine.»

    Nei giorni successivi, padre Lorenzo organizzò i propri impegni e archiviò alcune cause, tra cui quella di un medico che in base alle testimonianze era risultato innocente dalle accuse di eresia. Passarono due settimane prima di potersi dedicare alla denuncia di don Joannes ma, risolte le urgenze, si recò personalmente a Soraggio. Come promesso, era ospite del rettore, nella canonica della chiesa di san Martino. Non volendo perdere tempo, si era messo subito in azione e aveva trasformato una delle stanze al pianterreno in ufficio per le udienze.

    Desiderava operare in un luogo dall’aria austera, così aveva costretto don Joannes a sgomberare molti oggetti. Poi si era dedicato alla disposizione dei mobili rimasti, in modo da presentarsi con benevola ma salda autorità proprio di fronte agli interrogati. Aveva preso posto a un tavolo, voltando le spalle a una delle pareti più corte, e il suo sguardo cadeva dritto su una sedia collocata al centro del locale. Frate Hieronymus sedeva a un secondo tavolino, posto lateralmente, attrezzato con carta e penna d’oca. Un presbitero di Soraggio e un abitante dell’adiacente borgo di Villa Soraggio, avevano il compito di assisterli.

    La prima a comparire fu una certa Anastasia di Francesco. Una donna dall’aspetto sobrio e dal portamento umile, con un vestito perfettamente stirato e i capelli raccolti sotto una cuffietta immacolata. Dopo aver giurato di riferire la verità, affermò di abitare a Villa Soraggio e di avere quarant’anni. L’aspetto corrispondeva all’età dichiarata.

    «Conoscete il motivo della vostra convocazione e del presente esame?» iniziò padre Lorenzo.

    La domanda aveva un preciso scopo: capire se vi era stata una fuga di notizie o se addirittura la testimone fosse stata indottrinata da qualcuno.

    «No! Io non posso immaginarlo» dichiarò la donna. «Non so nemmeno la cagione di questa citazione e di questo esame.»

    Di solito le persone erano reticenti di fronte agli inquisitori, anche se non avevano niente da temere. Quella risposta apparve troppo prolissa e puntigliosa a padre Lorenzo. Ne prese nota e continuò con l’interrogatorio.

    «Conoscete o sospettate persone che compiano atti eretici, blasfemie, sortilegi, malefici o comunque azioni contrarie alla Santa Chiesa Cattolica?»

    «Non proprio.»

    «Spiegatevi meglio.»

    «Non so niente di queste cose se non che Lucrezia, la moglie di Biagio di Villa Soraggio, è da tutti ritenuta strega. Ma io non ne sono proprio sicura.»

    «Non avete mai osservato dei segni anomali in lei?»

    «Non ho notato comportamenti strani in lei, però… abita vicino a casa mia e sento che a volte i figli la chiamano di notte, ma lei non risponde. Allora, immaginando che sia andata al sabba, le ho domandato dove sta la notte. Mi ha risposto che sta fuori a vegliare.»

    «Cosa intendeva di preciso?»

    «Non lo so. Non ho chiesto altro.»

    «Siete al corrente che vi sono persone stregate nella vostra comunità?» cambiò argomento padre Lorenzo.

    «Sì! Ve ne sono molte. Io stessa ho un figlio e una nuora affatturati. Non so assolutamente a chi dare la colpa ma immagino che sia stata Lucrezia a stregarli, e questo mio pensiero si fonda sul fatto che quella donna è ritenuta strega per pubblica fama.»

    «Avete altri indizi?»

    «Sì! Io ho conosciuto sua nonna. Tutti dicevano che era una fattucchiera e può averle insegnato.»

    «Avete altro da dire a carico della suddetta Lucrezia?»

    «No.»

    «Conoscete altre persone sospettate di agire contro la religione e la fede cattolica?» insistette padre Lorenzo.

    Lo sguardo della testimone vagò un attimo per la stanza come se seguisse delle figure fluttuanti nell’aria, poi tornò a posarsi sul vicario del Santo Uffizio.

    «Pubblicamente, in tutto Soraggio, sono considerati streghi anche Jacopino di Luca, Maria di Gian Antonio detta Mariuzza e La Capina.»

    Ecco! Tutti e quattro gli accusati erano stati nominati a conferma di quanto denunciato da don Joannes. Tutti! Non uno di più né uno di meno. Eppure, all’inizio quella donna aveva sostenuto di conoscere solo Lucrezia e di non avere nemmeno la certezza della sua colpevolezza. Alla fine, aveva fornito un grave indizio di partecipazione al sabba, una nonna compromettente e dei compagni scellerati. Padre Lorenzo si chiese se sotto un aspetto tanto virtuoso, potesse nascondersi un’indole cupa e ingannevole. Non sapeva come giudicare quella deposizione ma era presto, e continuò con l’ultima domanda d’obbligo.

    «Avete qualche inimicizia o avete litigato con le sopraddette persone?»

    «Io non ho inimicizie con nessuno.»

    Terminato l’interrogatorio, Anastasia dichiarò di non aver alterato la verità accrescendo o sminuendo i fatti, poi firmò con una croce.

    La testimone successiva si chiamava Lucia di Francesco. Una trentenne di Villa Soraggio, con la pelle riarsa dal sole e le braccia forti, tipiche di una contadina. Visibilmente a disagio, si guardava continuamente intorno e cedeva al vizio di stringere le labbra tra i denti. Prese posto sulla sedia, composta e tesa come una corda di violino. In attesa dell’interrogatorio, con le mani raccolte in grembo, non smise un minuto di tormentarsi le dita.

    Anche lei accusò Lucrezia di stregoneria e rammentò la fama di cui godeva sua nonna. Raccontò che l’imputata le aveva toccato la gamba sinistra e, a causa di quel contatto, si era formato un grosso livido. Da quel momento, si sentiva tutta travagliata.

    Non solo.

    Otto mesi prima l’avevano stregata ma, grazie

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