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Nostalgie
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E-book279 pagine4 ore

Nostalgie

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Info su questo ebook

Grazia Deledda nacque a Nuoro, nella sua amatissima Sardegna, il 27 settembre 1871. Si sposò giovanissima e si trasferì a Roma. Studiò da autodidatta e all'età di 17 anni scrisse le sue prime storie, basate sui temi sentimentali e sul folklore. Deledda ha spesso usato il paesaggio della Sardegna come sfondo per descrivere le difficoltà incontrate dai suoi personaggi. Gli antichi modi della Sardegna sono spesso in conflitto con i costumi moderni, e i suoi personaggi sono costretti a trovare complicate soluzioni ai problemi morali. Nel 1926 vinse il Premio Nobel per la letteratura. Morì a Roma il 15 agosto del 1936. Cosima, romanzo autobiografico, fu pubblicato postumo nel 1937.
LinguaItaliano
Data di uscita25 nov 2019
ISBN9788835338819
Nostalgie
Autore

Grazia Deledda

Grazia Deledda was born in 1871 in Nuoro, Sardinia. The street has been renamed after her, via Grazia Deledda. She finished her formal education at 11. She published her first short story when she was 16 and her first novel, Stella D'Oriente in 1890 in a Sardinian newspaper when she was 19. Leaves Nuoro for the first time in 1899 and settles in Cagliari, the principal city of Sardinia where she meets the civil servant Palmiro Madesani who she marries in 1900 and they move to Rome. Grazia Deledda writes her best work between 1903-1920 and establishes an international reputation as a novelist. Nearly all of her work in this period is set in Sardinia. Publishes Elias Portolu in 1903. La Madre is published in 1920. She wins the Nobel Prize for Literature in 1926 and received it in a ceremony the following year. She dies in 1936 and is buried in the church of Madonna della Solitudine in Nuoro, near to where she was born.

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    Anteprima del libro

    Nostalgie - Grazia Deledda

    levrotin?

    ¹ – egli chiese usando uno dei nomignoli graziosi che aveva appreso nel paese di lei, dove era stato tre mesi commissario regio. – Ma dove? Ieri a quest'ora eravamo a Parma, oggi qui. Pensa che distanza! E tre mesi fa non ci conoscevamo neppure! Ti ricordi il primo giorno che ci siamo conosciuti sull'argine? Quel gran sole cremisi dietro il bosco! Il maestro ci guardava, e sorrideva: egli sapeva già che dovevamo sposarci!

    – Ecco il signor Antonio Venutelli, vice-segretario al Ministero del Tesoro; ecco la nobile signorina Regina Tagliamari, – proseguì Antonio, imitando la voce nasale del vecchio maestro che aveva preparato il suo primo incontro con Regina. – Una vera Regina di bontà e d'ingegno, degna di regnare nella Città Eterna. Roma intangibile! Ci andremo e ci resteremo!

    – Povero vecchio! – disse Regina di nuovo seria. – Sì, certo, a lui dobbiamo il nostro incontro.

    – E a casa tua cosa diranno, ora? Diranno: Regina ora è a Roma, ed è ancora a letto, pigrona; e non è stata ancora a messa, scomunicata. Essere a Roma e non andare a messa!

    – Ma guarda! – ella disse, battendo le mani e imitando l'accento un po' comico del marito. Ma non era più allegra, no. Una cara visione le struggeva il cuore: vedeva la sua mamma, la sua buona e delicata mamma, e la sua sorellina graziosa, e il fratello più piccolo, il suo prediletto, che uscivano per andare alla messa delle nove. Il villino sull'argine rimaneva deserto, velato di nebbia, tra i pioppi nudi, come una casina fantastica in fondo a uno scenario; nell'interno il gran camino ardeva; il gattino nero contemplava il fuoco; il quadro del Baratta si illuminava di tinte grigie e rosate che gli davano un rilievo suggestivo.

    Un suono di campana, purissimo, si spezzava con vibrazioni metalliche nell'aria rigida, e tutto un paesaggio nordico, attraversato da un gran fiume serpeggiante, azzurrognolo come una vena enorme sul biancore della pianura nivale, stendevasi sotto il cielo vaporoso. Silenzio, immensità misteriosa, vapore di sogno.

    Ma da quella visione nostalgica, che pur le dava un piacere melanconico, vista così attraverso le carezze di colui per il quale ella aveva tutto abbandonato, la strappò l'entrata cauta della signora Anna. La vecchia signora s'avanzò ansando, sospirando, tutta composta sotto l'aureola dei capelli ancor più neri e più oleosi del solito, tutta tonda ed enorme nell'abito da camera di lana rossa. Regina arrossì: tolse le braccia dal collo di Antonio, e si coprì vivamente.

    – Ma che fai? – disse il giovine, sollevando la coperta. – Fa invece veder subito subito le tue belle braccine. Guardate, mamma, guardate com'è bianca la mia Regina!

    – No! no! Lasciami! – ella disse, nascondendosi sotto la coperta.

    Ma la vecchia signora s'avvicinò, ajutò Antonio a sbottonare i polsini della camicia di Regina, passò un dito sulle braccia bianche e infantili della sposa.

    – Ah! – disse, sospirando. – Dio ti benedica: sei davvero bella!

    – Dio! Dio! Lasciatemi! – gridò Regina, tuttavia lusingata.

    – Non è vero che è bella? – insistè Antonio, baciandole le braccia carine.

    – Bella, ben fatta! Brava! – approvò soddisfatta la suocera, quasi Regina si fosse fatta da sè. – Anch'io ero bianca e ben fatta, una volta! Ora son vecchia, ma da giovane anch'io ero ben fatta.

    – Piacere! – pensò Regina, guardando le grosse mani della suocera, brune, screpolate, puzzanti d'aglio, che contrastavano sul candore venato di viola delle sue braccia delicate.

    – Vuoi il caffè? Vuoi del latte? Ora ti porterò il caffè, il latte, una frollata, un po' di panna...

    – Per carità! Non voglio niente.

    – Alzati! – disse Antonio. – Comincia a spiovere:

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