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La speranza che resta: Ryan Lock, #8
La speranza che resta: Ryan Lock, #8
La speranza che resta: Ryan Lock, #8
E-book429 pagine11 ore

La speranza che resta: Ryan Lock, #8

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Info su questo ebook

Vincitore del premio internazionale del thriller "ITW" di New York.

Con questo romanzo, insignito del prestigioso "ITW Award", Sean Black entra a pieno titolo nell'olimpo del thriller, accanto ai precedenti vincitori del premio: Megan Abbott, Jeffery Deaver, Joseph Finder e Stephen King.

Nel corso della sua carriera, Ryan Lock ha collezionato una folta schiera di nemici. 
Era solo questione di tempo, prima che il suo passato tornasse a chiedergli il conto. 

Uno stupratore seriale ucciso all'interno di un carcere femminile. 
Un frenetico scontro a fuoco nei quartieri centrali di Los Angeles. 
Un'affascinante penalista rapita da un commando di professionisti armati fino ai denti.
Eventi apparentemente casuali, collegati da un sottile filo rosso: un vecchio nemico è assetato di vendetta, e il suo bersaglio è proprio Ryan Lock.

LinguaItaliano
EditoreSBD
Data di uscita16 mar 2023
ISBN9781071518830
La speranza che resta: Ryan Lock, #8

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    La speranza che resta - Sean Black

    LA SPERANZA

    CHE RESTA

    un thriller di

    Sean Black

    Capitolo Uno

    Manhattan Beach, California

    Quell’uomo non si decideva a staccare lo sguardo dal figlio di Alicia Hallis. Quanto ad Alicia, la situazione non le piaceva, e non avrebbe potuto sopportarla ancora a lungo. Con un colpetto di gomito, richiamò l’attenzione del marito, che stava rispondendo a un’e-mail di lavoro sul suo iPhone. C’è un tizio che continua a guardare il nostro Jackson. Lo sta fissando da un’eternità. Saranno almeno cinque minuti.

    Jim Hallis alzò la testa dallo schermo con una disinvoltura tale che ad Alicia venne voglia di mettersi a gridare. Che tizio? Fammi vedere.

    Laggiù. In piedi, di fianco alla panchina. Berretto nero, a torso nudo, pantaloncini a strisce rosse e nere.

    Jim abbassò gli occhiali da sole, che fino a quel momento erano rimasti appollaiati sulla cima della sua testa. Guardando attraverso le lenti, spostò lo sguardo in direzione della panchina. Lo individuò subito. Forse sua moglie avrebbe dovuto aggiungere un paio di dettagli alla descrizione. Ad esempio, la stazza di quell’uomo: un metro e novanta di altezza, almeno novanta chili di peso. Aveva una folta barba nera ed era coperto di tatuaggi dalla testa ai piedi. I colori erano particolarmente vivaci, niente a che vedere con gli inchiostri a buon mercato dei tatuatori hipster di Manhattan Beach. Un’aquila gli decorava il petto, sfoggiando le sue enormi ali, mentre dal collo una serie di piccoli fulmini si arrampicavano fino al mento. In faccia, aveva tatuate due lacrime. Jim aveva sentito dire che, nella cultura dei gangster, la lacrima significava che avevi ucciso una persona.

    Il tizio si accorse che Jim lo stava guardando. Non fece una piega, e non distolse lo sguardo. Continuò a fissarlo, dritto negli occhi.

    Fingendo disinteresse, Jim Hallis si voltò verso sua moglie. Dove si è cacciato il nostro Jackson? Non riesco a vederlo.

    La domanda sbagliata al momento sbagliato. Alicia sprofondò immediatamente nel panico.

    Santo cielo, che fine ha fatto? Dov’è andato? Disse, stringendo al petto la borsa.

    Jim fece scorrere gli occhi sui ragazzini che sfrecciavano sui loro skateboard. Le traiettorie si intrecciavano e si sfioravano, mescolandosi a quelle dei pedoni che affollavano la piazza. Dopo qualche secondo rintracciò Jackson, fermo su marciapiede, impegnato a parlare con un gruppo di ragazze leggermente più grandi di lui. Stai tranquilla, l’ho visto. Da quella parte, le disse, con un cenno del mento.

    Alicia passò rapidamente dal panico più profondo a uno stato di normale agitazione. Jim si domandò se quell’ossessivo bisogno di controllare ogni movimento del figlio sarebbe mai scomparso. Aveva sentito parlare di madri iperprotettive, ma Alicia stava davvero esagerando. Aveva perfino installato di nascosto un’applicazione sul cellulare di Jackson per tracciare i suoi movimenti quando usciva di casa.

    Alicia si incamminò verso il figlio. Jim fu costretto ad allungare il passo, per non perderla tra la folla. Le e-mail di lavoro avrebbero dovuto aspettare. Non rovinargli la scena, mammina, le disse, cercando di rallegrarla. Hai visto che stile? È un vero rubacuori.

    Non dire scemenze. Ha soltanto otto anni.

    E quelle ragazzine ne hanno almeno undici. Sono quasi invidioso. Alla sua età, non riuscivo nemmeno a guardare una ragazza negli occhi senza arrossire.

    Alicia cominciò a rallentare e Jim si adattò al nuovo ritmo, rimanendo al suo fianco.

    Nel frattempo il bellimbusto se n’è andato.

    Bellimbusto? Che razza di parola. Dove sei andato a pescarla?

    Alicia lanciò un’occhiata verso la panchina. Jim aveva ragione. Il tizio era scomparso. Si fermò ad osservare la folla, facendo ruotare lo sguardo su tutta la piazza, ma non c’era traccia dell’uomo tatuato. Accidenti. Sembrava davvero interessato al nostro piccolo Jackson. Pensi che io sia pazza, non è vero?

    No, tesoro. Ti credo, mentì Jim. La verità era che, dal giorno in cui avevano adottato il bambino, Alicia non aveva mai smesso di temere che lo portassero via. Non si era ancora resa conto che l’adozione sarebbe stata permanente. Nessuno sarebbe venuto a reclamare il ragazzino. Che ci credesse o meno, adesso era la madre di Jackson.

    Alicia lo aveva desiderato con tutta sé stessa, e l’adozione era stato un processo lungo e faticoso. Ma ce l’avevano fatta. Erano stati fortunati. Così fortunati che ad Alicia sembrava troppo bello per essere vero. Si era convinta che la loro buona stella avrebbe potuto abbandonarli da un momento all’altro.

    Anche Jim era preoccupato, ma per motivi completamente diversi. Temeva che gli atteggiamenti autoritari e invadenti di Alicia potessero danneggiare suo figlio. I ragazzini avevano bisogno di spazio, per crescere in modo sano. Qualche volta bisognava perfino lasciare che commettessero degli errori, e che imparassero dalle proprie esperienze.

    Jackson salutò le ragazze e raggiunse i genitori.

    Abitano dalle nostre parti, le tue amiche? Gli domandò Alicia.

    Jackson arrossì. Non ne ho idea, le ho appena conosciute. Hanno visto la mia nuova tavola e mi hanno chiesto dove l’avevo comprata. Abbiamo parlato solo di skate e di scuola. Insomma, la solita roba, disse, abbassando lo sguardo sui colori brillanti dello skateboard che teneva sottobraccio.

    Jim gli diede una pacca sulla schiena. Complimenti, ragazzo. Sei un vero dongiovanni.

    Guardandolo attraverso la scompigliata frangetta di capelli biondi, Jackson gli lanciò un sorriso da agnellino.

    Jim! Lo rimproverò Alicia.

    Tesoro, il nostro ragazzo ha un certo fascino, nonostante la sua tenera età. E non provare a dirmi che non è vero, perché si vede lontano un miglio. Jim appoggiò una mano sulla spalla di Jackson. Drizzate bene le orecchie, ho una proposta per voi. Che ne dite di andare al fast food messicano a mangiarci un bel chili-burger? La mamma può sempre ordinare un’insalata, se non vuole interrompere la sua noiosissima dieta.

    Alicia lo fulminò con lo sguardo. Non sono a dieta. Mi piace mangiare sano e mantenermi in forma.

    Jim le rispose con un sorriso. Ti stavo solo prendendo in giro. Effettivamente sei in splendida forma, devo proprio ammetterlo. Jackson, perché non vai ad occupare un tavolo, visto che hai le rotelle?

    Jackson lasciò cadere lo skateboard sul marciapiede e colse al volo l’opportunità di allontanarsi dai suoi genitori, lasciandoli liberi di punzecchiarsi a vicenda.

    È una giornata meravigliosa. Non possiamo permettere che un pazzoide coi tatuaggi ce la rovini. Adesso pensiamo solo a divertirci, d’accordo?

    Il modo in cui lo disse sembrò allentare improvvisamente la tensione. Alicia riuscì perfino a sorridere. D’accordo.

    Jim la prese per mano e, uno accanto all’altra, tornarono a immergersi tra la folla. In lontananza riuscivano ancora a vedere il loro piccolo Jackson, in equilibrio sullo skateboard, che si faceva strada tra i passanti, tagliando come un coltello la massa compatta dei corpi.

    ***

    Le tre ragazze girarono l’angolo e si trovarono davanti l’uomo coi tatuaggi e la barba scura. Fecero un passo indietro, scambiandosi qualche sguardo nervoso.

    Allora? Domandò l’uomo.

    È un tipo interessante, disse la ragazza più grande, una dodicenne.

    Un po’ troppo giovane, per i miei gusti, aggiunse una delle altre. Quella faccenda le era sembrata inquietante fin dall’inizio. Un uomo grande e grosso che le pagava per scambiare due chiacchiere con un ragazzino.

    Quando vorrò sapere la vostra opinione sui maschietti, ve la chiederò. Per il momento, ho bisogno soltanto di un’informazione: che scuola frequenta?

    La ragazza più grande si strinse nelle spalle. È iscritto alla Pacific.

    Che classe?

    Terza elementare.

    Avete chiesto il nome della maestra?

    La ragazza tese una mano verso di lui, il palmo rivolto verso l’alto. Dove sono i miei venti dollari?

    L’uomo estrasse un rotolo di banconote da una tasca dei suoi pantaloncini a strisce. Tolse l’elastico, rintracciò una banconota da venti e la sbatté sulla mano della ragazza. Le sue dita si chiusero di scatto, afferrando il denaro come se fossero artigli.

    La classe della maestra Parsons. Mi sembra che fosse questo il nome.

    Ti sembra?

    Parsons. Era questo. Ne sono sicura.

    Non aveva molta importanza. Sarebbe stato facile da verificare. Le ragazze avevano fatto un buon lavoro, gli avevano risparmiato ore e ore di indagine. Meglio così, pensò Padre. Il pedinamento non era mai stato la sua specialità. Soprattutto in un posto come Manhattan Beach, dove un uomo come lui non aveva la minima possibilità di passare inosservato. Oltretutto, se qualche abitante del posto avesse avvertito la polizia, Padre se la sarebbe vista davvero brutta. Gli sbirri potevano sbatterlo in carcere per violazione della libertà vigilata. E questa volta non sarebbe stato facile uscirne.

    Capitolo Due

    Chowchilla, California.

    Carcere femminile della California Centrale.

    I furgoni della TV satellitare erano parcheggiati su entrambi i lati della strada. La più alta concentrazione di giornalisti e reporter si registrava negli ultimi metri, quelli intorno al CCWF, il carcere femminile della California Centrale, l’unica prigione femminile d’America che possedesse un proprio braccio della morte.

    Accanto al cancello d’ingresso, una reporter televisiva dai capelli biondi e dal trucco impeccabile, parlava senza sosta davanti alla telecamera. Alle spalle della donna, alcuni manifestanti agitavano i loro cartelli fatti a mano, mentre una mezza dozzina di agenti con la divisa della polizia locale li costringevano a spostarsi dal cancello, schiacciandoli contro la recinzione metallica che circondava il complesso del carcere. La giornalista indicò i manifestanti con un movimento del braccio, e la telecamera si spostò per qualche istante su di loro, quindi tornò ad agganciare il viso della giornalista, che stava pronunciando le sue ultime parole di fuoco, gli occhi fissi dentro alle lenti della videocamera.

    Come puoi vedere, Brad, il trasferimento dello stupratore seriale Gerard Browell, il cui nome è stato recentemente cambiato in Ginny Browell, ha causato un’ondata di proteste e manifestazioni. L’assegnazione di Ginny a un carcere femminile ha destato una grande preoccupazione nei parenti delle detenute, che temono per la sicurezza delle loro mogli e figlie. Il Dipartimento di Correzione e Riabilitazione della California sostiene che, nonostante i dubbi e le perplessità iniziali, sarebbe stato inutile opporsi al trasferimento, considerando che un eventuale processo davanti alla Corte Suprema si sarebbe indubbiamente risolto a favore di Browell. Considerando la natura dei crimini commessi dal soggetto in questione, la comunità transgender ha preferito mantenere il silenzio e astenersi dal dibattito. Nelle prossime ore, uno dei più noti e pericolosi stupratori seriali d’America sarà introdotto in un carcere femminile. Il Dipartimento è disposto ad assumersi la responsabilità delle conseguenze?

    ***

    La donna che chiamavano Chance, ma il cui vero nome era Freya Vaden, sedeva al suo solito posto, mentre le detenute del reparto chiocciavano intorno a lei. Erano spaventate, come galline che hanno appena intravisto una volpe intenta a scavare un passaggio sotto il recinto del pollaio. Con l’unica differenza che questa volpe non aveva bisogno di sporcarsi le zampe: la Corte Suprema della California aveva fatto tutto il lavoro per lei.

    Clarissa Thoms, una tossicodipendente consumata dalle metanfetamine, dal fisico gracile e dai capelli rossi e crespi, che si era guadagnata un ergastolo senza condizionale per aver annegato i suoi figli gemelli, si fece strada a spintoni e si sedette accanto a lei. Cosa facciamo, Chance? Abbiamo bisogno di un piano d’azione. Così, se quel porco dovesse combinare qualche scemenza, saremo pronte a reagire.

    Chance si chinò verso di lei e scostò una ciocca di capelli dagli occhi della ragazza. Non ti preoccupare, tesoro. Ho tutto sotto controllo.

    A quelle parole, le loro compagne ricominciarono a starnazzare.

    Sotto controllo? Ci costringeranno a convivere con un mostro.

    Non è una donna, questo è poco ma sicuro. I dottori possono dire quello che vogliono, io non ci credo.

    Ha cambiato sesso soltanto per farsi trasferire e ricominciare a stuprare.

    E come potrebbe riuscirci, se gli hanno tagliato l’uccello?

    Sei davvero ignorante, amica mia. Dicono che utilizzi una specie di manganello. Te lo infila con tanta violenza che un uccello sarebbe dieci volte meglio.

    Chance ne aveva avuto abbastanza. Sbatté entrambe le mani sul tavolino di plastica. Smettiamola con questi discorsi, ragazze. Se dovessero assegnarlo al nostro reparto, me ne prenderò cura personalmente. Ve lo prometto.

    Ma questo sollevò altre domande.

    E come pensi di riuscirci?

    Cosa vorresti fare, Chance, prenderlo a pugni?

    Quel tizio è un ammasso di muscoli. Non puoi batterlo, se combatti da sola.

    Chance le guardò sorridendo. Non ho mai detto che lo farò da sola. Si voltò di nuovo verso Clarissa. La nostra Ginny Browell piangerà più forte dei tuoi due gemellini. Credi di farcela, Clarissa?

    Il sorriso di Clarissa scomparve e due grosse lacrime germogliarono all’estremità dei suoi occhi. Smettila, Chance. Hai detto una cosa terribile. Non avrei dovuto fare del male ai miei bambini, lo rimpiango ogni maledettissimo giorno.

    Chance si alzò dal tavolo con un’alzata di spalle. Se non vuoi collaborare, mi inventerò qualcosa. Per quanto mi riguarda, non fa la minima differenza.

    Mentre un paio di gallinelle intervenivano a consolare Clarissa, Chance raggiunse la scalinata che conduceva alle celle del piano superiore. In cima alle scale, incrociò una delle guardie carcerarie. L’uomo stava avanzando verso di lei a lunghi passi. Chance non gli rivolse nemmeno uno sguardo. La guardia proseguì dritta per la sua strada.

    Mentre passava accanto a Chance, allungò una mano e le consegnò un piccolo smartphone. Senza rallentare il passo, lei afferrò il telefono e procedette verso la sua cella. Entrò, chiuse la porta, accese lo smartphone e cominciò a leggere i messaggi in arrivo.

    Si fermò al terzo. Schiacciò il dito sull’immagine in allegato, che si ingrandì e andò a riempire lo schermo per intero. Mostrava una coppia, sul marciapiede di fronte a un bar. Freya conosceva la donna, ma vederla accanto a quell’uomo le fece balzare il cuore in gola. Quell’uomo. Ogni tratto del suo volto era scolpito nella memoria di Freya.

    Non ci credo, borbottò tra sé e sé. Neanche per sogno.

    Quante possibilità c’erano, dopo tutti quegli anni?

    Che diamine, questa faccenda andava di bene in meglio. Meglio di quanto avesse mai osato immaginare.

    Capitolo Tre

    Santa Monica, California.

    Ryan Lock non credeva nelle seconde occasioni. O forse, per essere più precisi, aveva scelto di non crederci. Quando le cose si mettevano male – e intendo male davvero – avevi una sola opportunità per evitare il disastro. E dovevi coglierla al volo, se volevi sopravvivere per vedere l’alba di un nuovo giorno, perché non ce ne sarebbero state delle altre.

    Bastava un piccolo indugio a rovinare tutto. Il tuo avversario avrebbe fatto la sua mossa, facendo di te una vittima, un animale ferito sul bordo della strada.

    Lock era un agente di sicurezza privata, specializzato in operazioni di protezione ravvicinata – quello che la maggior parte delle persone chiama guardia del corpo. Nel suo campo, non esistevano le seconde occasioni. Un errore poteva costarti la vita. Non c’era il pulsante del reset. Non si poteva tornare indietro.

    La posta in gioco era altissima. E le regole erano brutali. Le persone si affidavano completamente alla tua protezione, con due possibili risultati: potevano vivere o morire. Non c’era mai stata una terza opzione.

    Col passare del tempo, Lock aveva cominciato a pensare che la sua vita privata dovesse obbedire a quello stesso principio. Incontrare la donna dei suoi sogni era stata una fortuna incredibile, una di quelle cose che capitano una sola volta nella vita. Carrie Delaney gli aveva aperto un mondo nuovo, e in qualche modo aveva cambiato la sua vita per sempre. Si erano incontrati a New York, si erano innamorati l’uno dell’altra ed erano stati felici. Ma adesso era tutto finito. Carrie era morta davanti ai suoi occhi, mentre cercava di fuggire dai due uomini che l’avevano rapita.

    Lock era sicuro che per lui non ci sarebbero state altre donne. L’amore gli aveva dato una possibilità, ma lui non era riuscito a difenderla. Eppure adesso, con sua grande sorpresa, cominciava a dubitare delle proprie certezze. Una donna, spuntata fuori dal nulla, era entrata nella sua vita, facendogli provare di nuovo quei sentimenti che aveva creduto perduti per sempre.

    Ryan?

    La voce di Carmen Lazaro lo richiamò al presente, alla candida immagine di un tavolo perfettamente apparecchiato, strappandolo all’orrore dei suoi ricordi e del temporale, della pioggia battente che sferzava la strada del Topanga Canyon dove Carrie era morta e la sua vita si era trasformata in un incubo. Lock fece scorrere gli occhi sul tavolo, fino a incrociare lo sguardo di Carmen. Era una donna stupenda, il fisico slanciato e la pelle color caramello, con una lucida chioma di capelli castani e due occhi magnetici. Nata da una madre messicana e da un padre metà guatemalteco e metà irlandese, era cresciuta nei sobborghi orientali di Los Angeles e aveva studiato legge all’Università della California, laureandosi con ottimi voti, tanto da essere inserita nella lista d’onore che elencava gli studenti migliori del suo corso – probabilmente, senza i tre lavori part time che era stata costretta a svolgere per pagarsi le tasse e l’alloggio, sarebbe stata la migliore in assoluto. Aveva rifiutato le generose offerte di alcuni studi legali dell’alta società per costruirsi con le proprie mani una carriera da penalista, meno lucrativa ma molto più gratificante, che l’aveva portata a prendere le difese di numerosi innocenti. Il suo studio si trovava al centro di Los Angeles.

    Ryan? La voce di Carmen si era fatta più incalzante.

    Che succede?

    Potresti smetterla di lavorare? Soltanto per stasera.

    Dallo sguardo di Lock, traspariva tutta la sua confusione. Di lavorare?

    Sei sempre in viaggio, e quando finalmente riusciamo a trascorrere una serata insieme, tu non fai altro che guardarti intorno, come se qualche criminale dovesse sbucare da sotto una tovaglia con un mitra in mano.

    Era la verità. Da quando erano entrati nel ristorante, Lock aveva passato tutto il tempo a osservare gli altri clienti del locale. Un’abitudine che aveva sviluppato a lavoro: l’ambiente circostante andava tenuto sotto controllo, rivalutando il livello di rischio minuto per minuto. Qualsiasi dettaglio poteva rivelarsi di fondamentale importanza, specialmente quando stonava con il contesto.

    Nel corso degli anni, Lock aveva sviluppato una specie di mantra personale: l’assenza del solito e la presenza dell’insolito. Erano il suo campanello d’allarme, il segno che qualcosa non stava andando per il verso giusto. La sua circospezione lo aveva reso un ottimo agente di sicurezza e un pessimo candidato per qualsiasi tipo di appuntamento romantico. Non era la prima volta che Carmen glielo faceva notare.

    Lock cercò di raddolcirla con un sorriso – non che fosse famoso per i suoi sorrisi o per la sua abilità nel raddolcire le persone, ma Carmen non era una persona qualunque. Lei andava pazza per i suoi sorrisi. Mi dispiace. Hai la mia piena e incondizionata attenzione, le disse, bevendo un sorso d’acqua.

    Questo non succederà mai. Mi accontenterei dei tre quarti, se non ti dispiace.

    Affare fatto.

    Dovresti cercare di rilassarti un po’. Siamo nella zona più tranquilla della città. Lo sai come viene chiamata dai poliziotti?

    Lock non ne aveva la più pallida idea, ma l’esperienza gli diceva che doveva trattarsi di un nomignolo poco lusinghiero. I poliziotti denigravano qualsiasi cosa. Era come se odiassero il mondo intero. Forse era colpa delle ingiustizie a cui il mondo li costringeva ad assistere. No. Come la chiamano?

    Il settore LC. Latte e Ciambelle.

    Una rapida occhiata alla sala da pranzo del Mélisse sarebbe stata più che sufficiente per confermare l’assenza di qualsiasi pericolo. La zona che andava da Marina Del Rey a Malibu, estendendosi fino ai famosi quartieri B – Beverly Hills, Brentwood e Bel Air – era quanto di più raffinato ed esclusivo si potesse desiderare a Los Angeles. Da queste parti la criminalità era un fenomeno quasi inesistente. Di tanto in tanto le forze dell’ordine dovevano preoccuparsi di tenere sotto controllo qualche testa calda, ma i crimini di sangue rimanevano una rarità. Quando si verificavano, finivano sulla prima pagina di tutti i giornali e dei gazzettini locali. Il colpevole veniva rintracciato nel giro di pochi giorni e la calma tornava a regnare. A una ventina di chilometri da lì, gli omicidi erano all’ordine del giorno, e molti cimini restavano impuniti. Ma sulle rive dell’Oceano Pacifico i residenti erano imbottiti di denaro, e potevano acquistare perfino la giustizia e la sicurezza.

    Un cameriere bello come un adone si materializzò accanto al tavolo. Lanciò un sorriso fin troppo familiare a Carmen e il suo sguardo scivolò qualche centimetro più in basso di quanto fosse accettabile. Volete ordinare?

    Lock non si scompose. Quando frequentavi una donna come Carmen Lazaro, prima o poi finivi per abituarti alle reazioni degli altri uomini. Durante uno dei loro primi appuntamenti, Carmen gli aveva confessato che il modo in cui le persone reagivano a quelle attenzioni indesiderate era un indicatore di maturità ed autostima. E la freddezza con cui Lock riusciva a gestire certe situazioni l’aveva affascinata fin dall’inizio. Tra tutti gli uomini che avesse mai frequentato, lui era l’unico che riuscisse a mantenere la calma anche quando le rivolgevano un complimento ammiccante. Carmen non aveva mai conosciuto una persona dotata di tanto autocontrollo.

    Lock non avrebbe potuto comportarsi diversamente, neanche se lo avesse voluto. Non si trattava di una strategia per sedurla. Era fatto così. Carmen doveva essere libera di decidere se voleva stare con lui oppure no. Essere geloso o possessivo non avrebbe migliorato le cose, e senza ombra di dubbio non avrebbe favorito la loro relazione.

    Lo sguardo di Lock si staccò per qualche istante dal cameriere. Fuori dal ristorante, sul Wilshire Boulevard, una Ford Mustang nera dai finestrini oscurati si era appena fermata dall’altra parte della strada, proprio di fronte alla vetrata del ristorante, occupando un parcheggio riservato alla sosta per carico e scarico. L’automobile rimase ferma per un bel pezzo, senza che nessuno uscisse dall’abitacolo. Il motore doveva essere ancora acceso. Forse erano venuti a prendere qualcuno.

    Mi scusi, signore. Vuole mangiare qualcosa?

    Dopo aver preso l’ordine di Carmen, il cameriere si era rivolto a Lock senza nemmeno accennare un sorriso. Ma Lock non aveva una scollatura da fargli vedere, perciò immaginò che fosse tutta colpa sua. Lanciò un’ultima occhiata al menù. Una bistecca, grazie. Cottura al sangue.

    Quanto al sangue? Domandò il cameriere con fare spocchioso, come se Lock avesse ordinato la cosa sbagliata.

    Appena una strusciata sulla griglia e poi me la sbatti sul piatto, disse Lock, cercando di assicurarsi che non ci fosse la minima ambiguità riguardo alla sua bistecca. Odiava la carne troppo cotta.

    Benissimo. La ringrazio.

    Mentre il cameriere raccoglieva i menù, Lock tornò ad osservare la Mustang. Era ancora parcheggiata dall’altra parte della strada. L’aria rarefatta dal calore tremolava intorno al tubo di scappamento.

    Ryan? Disse Carmen, dopo essersi schiarita la gola. Lo stai facendo di nuovo.

    Spingendo la sedia all’indietro, Lock si alzò in piedi. Devo andare in bagno, torno tra un minuto, le disse, dirigendosi a tutta velocità verso il portone d’ingresso del ristorante.

    Carmen si voltò sulla sedia e lo chiamò. Dove stai andando? Il bagno è dall’altra parte.

    Il bar in fondo alla strada ha un gabinetto spettacolare. Il più pulito che io abbia mai visto.

    Capitolo Quattro

    Lock schivò la direttrice di sala, impegnata ad accogliere un gruppo di sei persone, e si fece strada attraverso la porta del ristorante. Appena uscì sul marciapiede, la Mustang sfrecciò via, rischiando una collisione frontale con una Prius bianca che stava avanzando placidamente sul Wilshire Boulevard. La Mustang attraversò l’incrocio con l’Undicesima Strada senza fermarsi al semaforo rosso. Pochi secondi più tardi, era solo un ricordo lontano.

    Lock si guardò intorno, cercando di capire che cosa avesse messo in allarme il conducente della Mustang. Non c’erano volanti della polizia o altri agenti in divisa. Nessuna traccia di un pericolo immediato. Lock ruotò sui tacchi e tornò verso il portone del ristorante. Carmen lo stava aspettando all’ingresso, senza sforzarsi di nascondere la sua frustrazione.

    Che diavolo era? Gli domandò, battendo con impazienza un piede sul pavimento.

    Lock si strinse nelle spalle e fece del suo meglio per apparire innocente. A cosa ti riferisci?

    Lo sai benissimo.

    C’era elettricità nell’aria. Lock si rendeva conto che non avrebbe potuto evitare la discussione. Tanto valeva dirle la verità. C’era un’automobile coi vetri oscurati. Era ferma da un bel pezzo, col motore acceso. Non riuscivo a vedere chi ci fosse all’interno. Così sono uscito per controllare.

    E cosa hai scoperto? Domandò Carmen.

    Niente. Sono partiti a tutta velocità.

    Carmen alzò gli occhi al cielo, ma la sua bocca stava già sorridendo.

    Ti chiedo scusa. Deformazione professionale.

    Carmen lo squadrò dalla testa ai piedi. Devi solo abbassare la guardia e cercare di rilassarti. Esiste un modo per convincerti a farlo?

    Lock sorrise. Ci inventeremo qualcosa.

    Carmen fece scivolare la mano in quella di Lock e lo accompagnò al tavolo. Una volta tanto, non lo turbava il fatto che gli dicessero cosa doveva fare. Era piacevole avere qualcuno a cui affidarsi. Lo spero proprio.

    ***

    Quando il cameriere arrivò con il conto, il cellulare di Carmen le segnalò un messaggio in arrivo. Aveva già appoggiato la sua American Express sul tavolo, pronta a pagare il conto per entrambi.

    Lock spinse la carta verso di lei. Mettila via. Ci penso io.

    L’ultima volta hai pagato tu, protestò Carmen.

    L’ultima volta eravamo da Fatburger, uno dei ristoranti più economici della città. Quella non si può considerare una cena.

    Carmen non disse nulla. Un comportamento piuttosto strano, da parte sua. Di solito non la smetteva di lamentarsi fino a quando non le veniva concesso di pagare almeno metà del conto, anche quando la cena costava tre volte il denaro che riusciva a guadagnare durante una giornata lavorativa nel suo studio. Mentre leggeva il messaggio che aveva appena ricevuto, le sue sopracciglia si aggrottarono leggermente.

    C’è qualche problema?

    L’appello di un mio cliente è stato fissato per domattina. Devo passare in ufficio a prendere dei documenti.

    L’ufficio di Carmen si trovava in centro. A quaranta minuti di macchina dal ristorante, se le strade erano libere.

    Ti accompagno io.

    Ma poi dovrei tornare indietro per recuperare la mia auto. Preferisco andare per conto mio.

    Sei sicura?

    Ryan, ho passato diversi anni in giro per le strade di Los Angeles e non mi sono mai persa. Pensi che abbia bisogno di un accompagnatore?

    Credevo che un po’ di compagnia ti avrebbe fatto piacere.

    Carmen sorrise. Ho un’idea. Prendi le chiavi di casa mia. Apri una bottiglia di vino, accendi qualche candela e aspettami lì. Ti raggiungerò appena possibile.

    Lock esitò per qualche istante. Il suo cervello stava ancora pensando alla Mustang parcheggiata là fuori.

    Se l’idea non ti piace, puoi anche tornartene a casa. Scommetto che il tuo adorato Tyrone sarebbe pronto a farti compagnia, se dovessi sentirti solo.

    Tirare in ballo il suo socio in affari Ty Johnson era stato un colpo basso, ma aveva colpito nel segno. Era servito a richiamare l’attenzione di Lock. Passare la notte con il suo vecchio amico era fuori questione. Qualche volta, per motivi di lavoro, si erano fermati a discutere fino all’alba del giorno successivo. Un’esperienza che Lock non voleva ripetere, a meno che non fosse assolutamente necessario.  Preferisco la prima proposta. La seduta di counseling è finita, dottoressa?

    Ha preso un’ottima decisione, ma non credo che i suoi problemi siano stati risolti definitivamente, disse Carmen. Ci vediamo più tardi.

    ***

    Fuori dal ristorante, il parcheggiatore arrivò con l’automobile di Lock, un’Audi RS7 color grigio perla. Come richiesto dal proprietario, era stata parcheggiata con il muso in avanti, pronta

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