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Non Sono Mica una Giostra!: L’arte di “rimorchiare” in rete e cadere in piedi
Non Sono Mica una Giostra!: L’arte di “rimorchiare” in rete e cadere in piedi
Non Sono Mica una Giostra!: L’arte di “rimorchiare” in rete e cadere in piedi
E-book214 pagine2 ore

Non Sono Mica una Giostra!: L’arte di “rimorchiare” in rete e cadere in piedi

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Info su questo ebook

Lucy, cinquant’anni e ancora alla ricerca del vero amore, si imbatte nel mondo dei social. Inizierà per lei un percorso in cui incontrerà personaggi di ogni tipologia. Coinvolta come solo in un Luna Park si può essere, si scontrerà con un gioco che la metterà a nudo.

Saranno gli altri a giostrarla?
O piuttosto sarà lei il vero giostraio?

Inarrestabile e combattiva, Lucy parteciperà ad ogni gioco, per poi comprendere che ciò che aveva cercato, forse, era sempre stato nel mondo reale!


***OPINIONI DEI LETTORI

“Si viene catturati dalla storia, dallo stile di scrittura e non ci si riesce a staccare sino alla fine. Si sorride, ci si commuove, a tratti ti fa fermare a riflettere come fosse uno specchio, poi termina ma... se ne vorrebbe ancora.”
Luca, imprenditore

Mi sono ritrovata nella protagonista e con lei spesso ho sognato, sperato. Questo libro, ti porta a divertirti e a piangere. Senza accorgertene arrivi alla fine e, sperando che continui, ne vuoi ancora e ancora.”
Maria, impiegata

Ho adorato la protagonista, capace di ammettere le proprie debolezze. Con lei, spesso mi sono ritrovata. Chi di noi non è stata giostrata almeno una volta nella vita?”
Barbara, commessa


***L’AUTRICE

Sandra Borgogni è, fin da bambina, alla ricerca del vero amore.
Amante dei viaggi, non solo fisici, ma anche mentali, si è spesso dovuta accontentare di amori di seconda mano. Ha rischiato di perdere di vista se stessa per assecondare gli altri, finché si è ridestata da quel torpore e ha compreso che se vuoi trovare l’amore vero, prima di ogni cosa, devi amare te stesso. Probabilmente commetterà ancora errori, ma ora ha trovato la sua strada ed è finalmente una persona realizzata e felice!
LinguaItaliano
Data di uscita10 gen 2020
ISBN9788835356585
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    Anteprima del libro

    Non Sono Mica una Giostra! - Sandra Borgogni

    mamma.

    INTRODUZIONE

    VENGHINO SIGNORI VENGHINO

    Gira il mondo gira nello spazio senza fine….

    Siete mai stati al Luna Park o in un Parco Giochi? Luci, suoni, colori, risate, profumi, la testa è leggera e libera dalle preoccupazioni.

    Tutto è festa, tutto è magia, ti lasci trasportare, segui le luci, sali su una giostra, non la scegli con cura: è il primo giro, sia come sia… ne seguiranno altri.

    Il vento ti accarezza i capelli, ti culla, chiudi gli occhi, assapori la brezza, poi scendi, ti guardi in giro, scopri di desiderare il brivido, scegli una giostra che risvegli l’adrenalina.

    È da troppo tempo che desideri provare ancora emozioni, sentire nuovamente le farfalle nello stomaco.

    Ti metti in coda, ti guardi in giro per capire quanti come te cerchino la stessa eccitazione. Ci sono papà che tengono per mano i loro bambini per condividere con loro la stessa trepidazione; mamme che si raccomandano di fare attenzione, di non sporgersi, sempre preoccupate per i loro cuccioli, anche fossero ormai uomini fatti; fidanzati che si abbracciano, lei si stringe a lui in cerca di quel coraggio che le permetta di affrontare la giostra; gruppi di amici che, già in coda, progettano come affrontare l’attrazione, chi siederà avanti, chi urlerà, chi si coprirà gli occhi; il solitario che desidera l’adrenalina, ma gli amici non hanno voluto seguirlo, non importa se lo spingono le persone in coda o se tentano di superarlo, lui salirà su quella attrazione…

    E alla fine tutti seduti e in sicurezza, la giostra parte, sale lentamente per poi precipitare a velocità sostenuta. Le mani di tutti alzate al cielo… adrenalina raggiunta! C’è chi urla, chi ride, chi fischia, tutti, nella breve durata del percorso, non hanno pensieri, solo sorrisi ad illuminare il volto. Scendi dalla giostra trascinata dalla gente, i piedi quasi sospesi in aria, tanto li senti leggeri, asciughi lacrime causate dal vento, ti accorgi di sorridere.

    Scegli un nuovo gioco, un’emozione diversa, spari per vincere qualcosa. Un’ottima terapia per sfogare la tensione. Ti concentri sul bersaglio, di nuovo la mente è vuota, sei felice, in pace con il mondo e con te stessa, vincere o perdere non è importante, è l’impegno che metti nel colpire il bersaglio che ti appaga. Sguardo serio, siete solo tu e l’oggetto da colpire, non senti più i rumori, e spari… vinci un premio non importa se il primo premio o il premio di consolazione, hai il tuo trofeo, e felice riprendi a camminare tra luci e suoni.

    Ti fermi al chiosco dello zucchero filato, lo compri, ti appiccica le mani, la faccia, ma è piacevole. Lo gusti lentamente, poi butti lo stecco e ti lecchi le dita soddisfatta. Passi poi a pulirti la faccia, con le dita ancora umide e appiccicose e torni a leccare le dita. Un sorriso di goduria t’illumina il viso.

    Ecco questo è il Luna Park. Un mondo incantato, luci, suoni, sapori, profumi che ti estraniano dalla routine, ti trasportano in un mondo magico ma poi troppo in fretta ti riportano alla realtà, un po’ come i sogni… un po’ come me.

    Sì avete capito bene. Come me. Così all’età di 50 anni (non dirò 51 fino a dicembre quando li compirò) mi vedo un Luna Park per gli uomini.

    «Forza signore e signori, vi aspettiamo, altro giro altra corsa…un giro in giostra signorina?» mi chiede il proprietario di un gioco.

    «No, no, grazie, sono già io una giostra!» gli sorrido e mi allontano da quel turbinio di luci e suoni.

    INGRESSO!

    CAPITOLO 1

    «E scarichiamo questo gioco, proviamo!».

    Mi sedetti sul divano in una fredda serata di fine inverno e decisi di accettare l’invito al gioco delle mie amiche Ginevra e Viola.

    Loro giocavano da un po’ e mi avevano suggerito il gioco per riempire le serate invernali in cui non uscivamo.

    Mi accomodai, sistemai il plaid fino al collo per non sentire freddo, accesi la tv, scelsi una serie tv registrata e scaricai il gioco.

    Cercai di capire le regole, caricai la foto del profilo, scelsi un nickname e iniziai.

    Il gioco era una sfida tra due avversari, si doveva comporre una parola di sette lettere per ottenere punti utilizzando le lettere scartate dall’avversario per non incorrere in penalità.

    Scrissi la prima parola… 22 punti! Cominciamo bene pensai ironicamente.

    Scoprii subito che l’avversario aveva settantuno ore per comporre la sua parola, altrimenti avrebbe perso per abbandono. Non ci credo! pensai brandendo come una furia il cellulare accanto a me.

    Iniziai una videochiamata di gruppo con Ginevra e Viola.

    «Ehi ragazze, che si dice?» chiese Viola.

    Stava stirando! Del gruppo era la più attiva. La sera, nonostante fosse stanca per un lavoro ormai svilente, per le persone poco competenti che dividevano l’ufficio con lei, si dedicava ai lavori domestici oppure alla musica, si era iscritta ad un corso di pianoforte, oppure dipingeva. Quella sera la trovammo intenta a stirare.

    «Sono furibonda con la mia collega! Non riesce a fare due più due, non ammette errori e tutti i giorni ci ricorda di essere la responsabile dell’ufficio… Imparasse almeno a lavorare! Una passerebbe sopra alla sua superbia!».

    Ginevra ci aggiornò sull’ennesimo errore lavorativo della responsabile del suo ufficio. Ridemmo. Ogni sera i suoi racconti sulla sua capa ci facevano sorridere, tanto erano coloriti. Ginevra era appollaiata sul divano, partecipava alla chiamata e ogni tanto ci raccontava la scena del film che stava guardando.

    «Ho scaricato il gioco.» dichiarai quasi sommessamente.

    Seguirono esclamazioni di approvazione da parte di entrambe, ma le spensi immediatamente.

    «Ma secondo voi… Io devo aspettare 71 ore per giocare una mossa?! E se l’avversario si prende tutto il tempo a disposizione? Io compongo una parola ogni tre giorni? No! No! No, questo gioco non fa per me!».

    Ginevra e Viola risero all’unisono. Poi Ginevra, con la sua calma da monaco tibetano, che utilizzava come metodo scientificamente testato su di me, disse: «Tesoro, cucciola, respira! Puoi invitare altri giocatori per ingannare l’attesa. Non farti prendere subito dalla solita fretta!».

    Solita fretta! La gatta frettolosa fece i gattini ciechi mi ripeteva mio padre da piccola. Non hai aspettato mi disse il primo uomo che abbia amato… Attesa! Che parola da rassegnati! Non era nella mia indole, non faceva parte di me.

    Continuai a parlare ancora un po’ con le amiche, poi augurai loro la buonanotte e mi preparai per andare a letto.

    Quella sera non riuscii a prendere sonno. Mi girai e rigirai sotto le coperte. C’era la solita Presenza con me quella notte. Riconoscevo i segnali dall’insonnia immotivata.

    «Se hai bisogno di me puoi prendere il telefono e chiamarmi!» dissi a voce alta. La Presenza si allontanò ma non riuscii comunque a prendere sonno. Ripensai al mio primo amore, quel Non hai aspettato mi aveva segnato più in profondità di quanto potessi immaginare. A volte, alcune parole, semplicemente restano e non sai perché.

    Conobbi Mario nell’estate dei miei 18 anni, durante un campo scout nazionale. Lui di Pisa io di Genova.

    Per me fu amore a prima vista! Auguro a tutti di provare almeno una volta nella vita quella sensazione di farfalle nello stomaco, brividi lungo la schiena, lacrime agli occhi… scegliete l’immagine che vi aggrada di più e che associate al Paradiso, al sublime, all’immenso… STOP!

    Torniamo all’incontro con Mario.

    Incrociai il suo sguardo il primo giorno di campo. Stavo salendo su un pullman e vidi quegli occhi neri e tristi. Il cuore sussultò talmente che temetti di svenire. Come attratta da una calamita, mi diressi verso quello sguardo. Mi risvegliò bruscamente la schiena dell’amica contro cui sbattei la faccia. Ero talmente presa che non mi accorsi che Laura si era alzata pronta ad ammonirmi, ma vedendomi persa seguì la direzione verso cui ero concentrata.

    «Molto carino! Ottima scelta!» mi sussurrò.

    «Non mi guarderà mai» le risposi convinta.

    Non sono mai stata sicura di me da adolescente. Non credo si possa crescere sicuri se la figura di riferimento femminile, colei che dovrebbe sostenerti sempre, qualunque scelta tu faccia, tua madre, ti ripete come un mantra che non sei abbastanza!

    Non proprio in questi termini, ovviamente, ma con quella sottile ironia nemmeno troppo velata tipica dei toscani. Sì, entrambi i miei genitori sono toscani ma si trasferirono da Arezzo a Genova dopo il matrimonio, per motivi di lavoro.

    Tornando ad Elly, mia madre appunto, ogni volta che si accorgeva che facevo gli occhi dolci a un ragazzino mi rassicurava prontamente che non mi avrebbe mai degnata di uno sguardo. Oppure mi garantiva che sarebbe stato un amore a senso unico e non ricambiato.

    Sovente poi mi ricordava che non ero abbastanza femminile, i miei capelli non erano abbastanza lunghi, preferivo essere una scoutgirl piuttosto che una cubista, la sua immagine di femminilità.

    Come avrei potuto anche solo pensare di piacere a Mario? Per il teorema di Elly, se a me piaceva, ergo lui non mi avrebbe ricambiata!

    Si sbagliava e me ne accorsi proprio quella sera! I capi ci avvisarono che avevamo camminato invano quel giorno e che avremmo attraversato un bosco per recuperare l’errore e raggiungere il luogo di sosta corretto. Percorse poche centinaia di metri, una ragazza di Pisa cadde e si procurò una lieve distorsione. Mi offrii di prenderle lo zaino; la feci riposare e rimanemmo indietro. Il bosco si fece buio, Shiela camminava lentamente ed anch’io non ero da meno con il peso di due zaini. «Sono desolata Lucy» si scusò. «Non temere, preoccupati invece di non caricare troppo il peso sulla caviglia».

    «Inizia a piovere ed è buio, dovremmo accelerare» aggiunse Shiela. «Terremo il nostro passo, la via è segnata, non ci perderemo…Speriamo ci preparino un buon piatto caldo, almeno!» risi cercando di consolarla ma era quasi un riso amaro. La pioggia però aumentò ed il bosco divenne sempre più scuro. Un tuono ci fece sussultare, Shiela mi prese una mano impaurita. Era gelata.

    La guardai sorridendole «Andrà tutto bene» la rassicurai.

    Un lampo illuminò una parte del sentiero e intravvidi un’ombra tra gli alberi. Il mio cuore sussultò, più per aver riconosciuto l’ombra che per la paura del boato che era seguito al lampo. Ero felice. Ci avvicinammo all’ombra che non si mosse. Ci aspettava. Mario, bagnato e infreddolito come noi, aveva scelto di aspettarci e non stare al passo del gruppo. Appena incrociammo gli sguardi, mi sorrise, e calde lacrime rigarono il mio viso lasciando fluire la tensione che fino ad allora avevo represso per sostenere Shiela. Allungò una mano e mi tirò a sé.

    «Ero in pensiero per te» mi sussurrò.

    «Per me? Shiela è dolorante, per lei dovresti essere in pena, o sbaglio?» Dovevo difendermi, quella gentilezza, quelle attenzioni scaldavano il cuore, mi ricordai di non essere abbastanza e ripresi il controllo sulle emozioni. Il mio cuore si placò rassegnato.

    Sorrise e aggiunse «Per te, ribadisco, ero in pensiero. È a te che pensavo scendendo lungo il sentiero. Ma adesso dammi lo zaino di Shiela, lo porterò io. Riprendi un po’ fiato». Appena mi tolse lo zaino persi l’equilibrio, Mario, prontamente mi sostenne. Lo guardai e mi smarrii in quello sguardo. Gli sorrisi. Mi voltai e porsi nuovamente la mano a Shiela per aiutarla.

    «Sareste una splendida coppia» commentò lei sorridendo maliziosa. Anche Shiela dunque aveva percepito la magia!

    «Speriamo che tu abbia ragione» le dissi.

    Raggiungemmo il gruppo. Era tarda sera, gli altri avevano già cenato, ma ci avevano preparato un brodo caldo. Shiela fu medicata e si ritirò nella sua tenda per la notte. Il gruppo era radunato intorno al fuoco, cantavano. Laura e Cristina mi aiutarono a fare una doccia calda e poi si unirono agli altri. Mi cambiai. Uscii dalla tenda. Aveva smesso di piovere e la Luna regnava sovrana in quella notte di agosto, illuminando l’accampamento. Mi stavo beando di quella visione quando qualcuno mi sfiorò una mano. Percepii il tepore di quel tocco sconosciuto, mi voltai e incontrai lo sguardo di Mario. «Facciamo due passi?» mi chiese.

    «Dovremmo raggiungere il gruppo» suggerii cercando di aggrapparmi al senso del dovere per proteggermi dalle sue parole. Temevo che si fosse accorto di piacermi e che mi avrebbe detto che non mi ricambiava.

    «Non si accorgeranno della nostra assenza. Fidati di me. Facciamo due passi, vuoi?» incalzò Mario.

    Mi teneva ancora per mano, percepivo il suo calore, mi scaldava il cuore.

    Ci sedemmo poco più avanti e guardammo la luna specchiarsi sul ruscello, in silenzio. Mi scosse un brivido. Mario si sfilò la felpa e la posò sulle mie spalle. Mi sfiorò, poi da dietro mi abbracciò.

    «Non so se sia giusto, non so dove mi porterà quello che sto per fare….» disse.

    Il mio cuore batteva all’impazzata. Tentai di voltarmi per guardarlo, ma lui mi strinse più forte. Appoggiò la testa sulla mia spalla, percepivo il suo profumo.

    «Stiamo cosi ancora un po’ o non troverò il coraggio di dirti ciò che provo». Prese un respiro profondo e proseguì «Appena ti ho vista salire sul pullman ho sentito il cuore battere all’impazzata. Non avevo mai provato una sensazione così… così… forte. Mi spaventa un po’, non ho mai provato nulla di simile. È come se il mio cuore battesse per la prima volta. Non sono bravo con le parole, Lucy. Ho una madre piuttosto autoritaria e a tratti morbosa nei miei confronti, per questo trovo difficile esprimere ciò che sento. Ma credo di amarti, forse mi sto comportando da folle, ma va bene così perché non lo faccio mai, in questo caso sarà un’eccezione alla regola. Solitamente sono cosi controllato, ma da quando ti ho vista su quel pullman…».

    Si interruppe un istante, ne approfittai per voltarmi verso di lui. La Luna faceva sembrare i suoi capelli d’argento. Il volto era arrossato, forse per la camminata sotto la pioggia o per l’emozione; incontrai i suoi occhi. Erano fissi su di me, quegli occhi neri che riuscivano a leggermi dentro. Posai una mano sul suo petto, sentii il battito del suo cuore accelerato, come un treno in corsa lanciato a tutta velocità.

    Continuando a guardarlo spostai la mano sul suo volto e gli sussurrai: «Saremo folli insieme allora. Perché credo di amarti anche io fin dal primo momento in cui ho incrociato il tuo sguardo». La sua bocca si aprì in un sorriso, mi strinse forte a sé poi mi scostò per guardarmi e mi baciò.

    Come descrivere un’emozione così intensa, se non l’avevo mai provata prima?

    Finalmente, da che ne avessi memoria, mi piaceva qualcuno e questi mi ricambiava. Il teorema di Elly aveva una falla! Ci baciammo, ci abbracciammo, poi ci sedemmo su una

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