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Lo sciamano delle Alpi
Lo sciamano delle Alpi
Lo sciamano delle Alpi
E-book208 pagine2 ore

Lo sciamano delle Alpi

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Info su questo ebook

Adrasto è il fratello che nessuno sente più da anni. Ma quando un progetto d'investimento richiederà l'approvazione dell'intera famiglia, gli altri tre fratelli intraprenderanno una rocambolesca ricerca. Un viaggio che li porterà tra le montagne e i boschi della loro infanzia, in luoghi sepolti nei recessi più intimi della memoria. Ora Adrasto vive del formaggio delle sue vacche, ha una moglie giovanissima e dall'aria conturbante, tre figli a cui, come da tradizione di famiglia, ha attribuito nomi omerici, e un tumore. Un cancro che gli devasta la faccia. Il romanzo ci mette di fronte alla complessità delle relazioni familiari, alla nostra infanzia come risorsa per vivere meglio l'età adulta e a un ambiente che da ostile può diventare rifugio quando la vita scorre troppo veloce.
LinguaItaliano
Data di uscita29 gen 2020
ISBN9788899368722
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    Anteprima del libro

    Lo sciamano delle Alpi - Michele Marziani

    veloce.

    L’autore

    Michele Marziani è nato nel 1962 a Rimini. Vive sulle Alpi piemontesi, in alta Valsesia, dove ha preso spunto per la scrittura del fortunato memoir filosofico Il suono della solitudine (Ediciclo). Ha pubblicato diversi romanzi tra cui La trota ai tempi di Zorro (DeriveApprodi), Umberto Dei. Biografia non autorizzata di una bicicletta (Ediciclo), Nel nome di Marco (Ediciclo), La figlia del partigiano O’Connor (Clichy), oltre a numerosi libri di viaggi e antropologia del cibo e del vino tra i quali Il Gambero Nero (DeriveApprodi), Sovversivi del Gusto (Ndapress), A pranzo con Giulia (Guido Tommasi. Premio Selezione Bancarella per la cucina).

    camera con vista – 14

    Bottega Errante Edizioni

    Via Pradamano 4

    33100 Udine

    www.bottegaerranteedizioni.it

    info@bottegaerranteedizioni.it

    Editing: esagramma

    Pubblicato in accordo con Lorem Ipsum Agenzia Editoriale, Milano.

    Copyright © 2020 Bottega Errante

    ISBN 978-88-99368-72-2

    È vietata la riproduzione totale e parziale del testo

    senza l’autorizzazione dell’autore e della casa editrice

    Michele Marziani

    Lo sciamano delle Alpi

    Bottega Errante Edizioni

    A Ilia

    Andiamo verso est per capire la storia e studiare le opere d’arte e la letteratura, ripercorrendo i passi della nostra razza. Ci volgiamo a ovest, inve­ce, come verso il futuro, con spirito d’iniziativa e di avventura.

    Henry David Thoreau

    Avvenimenti, nomi e persone sono frutto della fantasia dell’autore. I riferimenti alle miniere d’oro, a fatti veramente accaduti, a personaggi e a luoghi reali sono puramente strumentali al racconto.

    1

    L’idea di mia sorella di trasformare un sanatorio ottocentesco in una clinica oncologica è semplicemente geniale. Perfettamente in linea con il nostro progetto.

    Mentre sto parlando guardo il pubblico. Poi le montagne, il lago e il giardino fiorito dietro alle ampie vetrate. È un posto da favola. E infatti quella che sto raccontando è un po’ una favola. Neppure io so se sia vera o possa esserlo.

    Sento la mia voce risuonare nel salone, di fronte agli occhi attenti dei colleghi, della stampa, degli investitori: «Come tutti sapete l’idea dell’uso del vischio in campo oncologico non è per nulla nuova. Appartiene alla cosiddetta medicina antroposofica. Al dottor Rudolf Steiner e alla dottoressa Ita Wegman...».

    La sala comincia a rumoreggiare. Ci mancherebbe, io sono il professor Anfio Beltrami, titolare della cattedra di oncologia medica in una delle università più prestigiose della Lombardia.

    So bene che solo sentirmi pronunciare il nome del padre dell’antroposofia non può che creare malumore. E sconcerto. Ma io sono pronto: «Non abbiamo nessun motivo per immaginare il vischio come una cura alternativa a molte tipologie di tumori. Abbiamo però intrapreso una ricerca sulla possibilità di effettuare terapie che affianchino quelle tradizionali utilizzando non solo il vischio, ampiamente e positivamente usato dalla medicina antroposofica, soprattutto in Germania, Austria e Svizzera...». Li guardo tutti negli occhi, uno a uno, so che stanno aspettando: «La nostra ricerca, adeguatamente supportata da un fondo che crede nel progetto Aurus, prevede l’arricchimento del Viscum album con metalli preziosi per potenziarne l’azione: l’argento, il rame e, questa la novità, soprattutto l’oro...».

    Mia sorella ha ragione. L’oro crea deferenza. Tutti rimangono a bocca aperta di fronte alle cose che luccicano. Vedo solo il dottor Landolfi che si sta agitando. Me l’aspettavo. Alza la mano.

    «Prego».

    «Una sola domanda professore: perché l’utilizzo di due sostanze tossiche come il vischio e i metalli, specie se in aggiunta a trattamenti chemioterapici specifici?».

    «Perché la lotta al cancro è estrema, definitiva. Non bisogna avere paura di combattere con tutte le armi che ci offre la natura. E i benefici delle due sostanze sui pazienti e sull’allungamento delle aspettative di vita ci stanno dimostrando che abbiamo ragione...».

    «Ci sono delle statistiche?».

    «Parte dei fondi del progetto Aurus è finalizzata alla ricerca e allo studio degli effetti sui pazienti. Ma io, mi si perdoni questa parentesi personale, con il Viscum album e l’oro sto trattando da tempo mia madre, affetta da un tumore a un rene, non operabile. E mi creda, non fanno statistica, ma i risultati in termini di benessere complessivo, per un figlio, sono di portata inimmaginabile...».

    Sto mentendo, ma ho bisogno di mettere a tacere Landolfi. Se ci riesco avrò tutti dalla mia parte. Sto mentendo perché mamma è morta un’ora fa, poco prima che iniziasse la presentazione, ma per adesso è importante che nessuno lo sappia. Mi sono consultato con Ciccia, mia sorella, che mi ha telefonato per avvisarmi mentre stavo venendo in clinica. Lei mi ha detto di fare come se mamma fosse viva. Che se mamma fosse ancora con noi avrebbe capito.

    Questo poteva evitarlo, ma Ciccia non sa essere cinica fino in fondo. Per lei occorre sempre trovare un lato umano alle cose, anche se è finto.

    Però mia sorella si occupa di alta finanza e io seguo le sue direttive. Per quanto l’idea di unire il vischio all’oro sia stata mia. «La gente crede nell’oro, più che in qualsiasi altra cosa». E ha bisogno di sperare di fronte alle malattie: il vischio probabilmente fa bene davvero e comunque la sua validità è già in qualche modo riconosciuta, l’oro male non fa, non nelle quantità che stiamo usando nel progetto Aurus.

    Quando ne ho parlato la prima volta i colleghi mi hanno guardato strano, ma io ho preso subito la strada giusta: non proponiamo terapie alternative, non andiamo contro gli interventi chirurgici o la chemioterapia, non siamo dei cialtroni. Il nostro è un trattamento aggiuntivo. Un bonus di speranza in più. E di fronte alla morte la speranza non ha prezzo. Per questo la nascita della clinica sperimentale del progetto Aurus ha rastrellato fondi in tutto il mondo, ottenendo subito delle performance da capogiro sui mercati. A poche ore dalla collocazione già le quote che possediamo io, Ciccia e Gildo ci hanno permesso delle plusvalenze inimmaginabili. E poi io manterrò la direzione del progetto che, da sola, mi permette finalmente di guardare al futuro con ampio respiro.

    Peccato averlo capito solo a sessant’anni, seppur portati benissimo. Mentre parlo sbircio la mia immagine riflessa nell’infisso lucente sulla destra. Certo, lucente: qui tutto luccica, stiamo parlando d’oro. Ciccia non ha trascurato nessun particolare. Guardo il mio viso abbronzato, il fisico asciutto, la dentatura perfetta che mi permette un sorriso invidiabile e gli occhi, blu, profondi, magnetici, eredità di mamma. Poi giro lo sguardo in fondo alla sala. Vicino a Ciccia ci sono mio fratello Gildo, l’avvocato di famiglia, e Heidi, mia moglie. Una giovane moglie. Giovane d’età e fresca di matrimonio. Certo, è la vedova di Adrasto, la madre di Telemaco, Paride e Ermione. Ma è una donna bellissima, di poco più di trent’anni. E i tre bambini li abbiamo messi in collegio a Losanna, dove saranno educati nel migliore dei modi.

    Sorride. È splendente. Avvolta in un vestito che la fascia mettendone in risalto la bellezza prorompente. Mi piace che gli altri la guardino. E che lei abbassi gli occhi con pudore. È la più bella in tutta la sala, non c’è che dire. Di nessuna donna sono mai stato così innamorato. E mai in vita mia sono stato tanto felice, appagato, come adesso che un’intera platea di soloni è qui per certificare il progetto Aurus, il futuro della cura contro i tumori. Flora, la caposala, annuisce.

    E pensare che tutto è cominciato per via dell’oro. Cercando Adrasto.

    2

    Mentre si apre il cancello radiocomandato distolgo gli occhi dal lampeggiante giallo e guardo davanti verso il lago. A destra ci sono le ortensie. Già fiorite.

    Sono anni che non torno a casa, qui da mia madre, se non il giorno di Natale.

    Entro piano piano e parcheggio di fianco alla palazzina. Scendo. Sento il profumo dei fiori. Il blu del lago riempie le narici di un’aria frizzante che ormai a Milano non si sente più. Qui c’è la brezza dai monti a rendere più fresca l’estate.

    Guardo le altre macchine parcheggiate. Ci sono già tutti: la Porsche è sicuramente di quel montato di Gildo, l’altra è un’auto a noleggio, certamente quella di Ciccia che dev’essere appena arrivata da Londra. Dietro casa la Panda di mamma. Chissà se guida ancora. Il tempo sta passando anche per lei.

    Se non avessi così da fare dovrei forse occuparmene un po’ di più. Per fortuna la salute di mamma è buona. La segue il Vaccari, che è un medico bravo e scrupoloso.

    Respiro profondamente. Mi aggiusto la giacca, che forse non è troppo estiva ma poco importa. Mi piace.

    Passo una mano nei capelli. Roberta dice che è un vizio che dovrei perdere, che mi fa sembrare... Che mi fa sembrare... Non ricordo più la parola esatta. D’altra parte è lei che ho perso, Roberta, non il gesto di riavviarmi i capelli.

    Slaccio la cravatta prima di fare i pochi gradini che conducono alla casa. Villa Negri, si chiama, ma non è esattamente una villa. È solo una palazzina liberty col giardino affacciato sul lago, comprata dal nonno, se ben ricordo, negli anni Trenta.

    Un regalo per la nonna, con vista sulla penisola di Orta e sull’isola di San Giulio, i posti del cuore.

    Davanti alla porta mi avvolge già l’odore di penombra, d’infanzia. Qui sono stato bambino. Ho vissuto ogni giorno della mia vita fino all’età del collegio. Poi ci sono tornato ogni anno, per le vacanze scolastiche.

    Adesso veniamo solo a Natale, per il pranzo con mamma.

    Mi domando perché Ciccia sia tornata da Londra e ci abbia chiesto un incontro così in fretta. Poi qui, dove è anche scomodo venire. Non sarebbe stato più semplice a Milano? Sarei dovuto andare a Portofino questo fine settimana, ma lei ha insistito. E poi in Liguria senza Roberta che senso avrebbe avuto?

    Spingo la porta che è sempre aperta – mamma, mamma, quando imparerai che il mondo, anche il tuo, è pieno di delinquenti? – e comincio a salire le scale. I primi gradini a due a due, come quando ero ragazzo, poi rallento. Non sono più un giovanotto.

    Mi sono sempre chiesto perché mamma non possa abitare al piano di sotto, dove è rimasto lo studio di papà, identico a quando era ancora vivo. Nessuno ha toccato niente. A mamma lo diciamo ormai ogni Natale: alla tua età faresti bene a evitare le scale, perché non ti trasferisci di sotto?

    Lei risponde sempre un po’ piccata che dovremmo pensare alla nostra di età.

    Non busso, non ho mai bussato. Giro la maniglia e apro la porta.

    «Anfio, che bello vederti!». Mamma mi viene subito incontro e mi abbraccia. In quell’abbraccio mi sento bambino. Poi la scosto, la guardo, con i capelli d’argento, gli occhi blu scuro, gli orecchini di perla. Che vezzo, penso, a ottant’anni passati. L’abbraccio è forte, mamma è proprio in salute.

    «Ciao fratellone...». È Ciccia che mi bacia sulla guancia, mi giro e la vedo. Lei sì che sembra aver fatto un patto col diavolo: capelli biondo cenere, la pelle fresca, le efelidi appena accennate, gli occhi luminosi, chiari, chiarissimi, come quelli di papà.

    Solo Gildo – eccolo qui, un po’ imbolsito, con qualche capello in meno – ha gli occhi castani, tra noi Beltrami. Nessuno ha mai capito perché, visto che mamma li ha blu, proprio come i miei, e papà li aveva azzurri, come quelli di Ciccia.

    No, nessuno ha mai pensato che potesse non essere nostro fratello: è identico alla foto di nonno Achille da giovane. Anche lui occhi castani e una tendenza alla pinguedine. Ogni tanto in famiglia qualcuno viene fuori così.

    «Sempre sull’onda, vedo...» mi dice Gildo.

    «A giudicare dalla tua auto sei tu quello più sull’onda di tutti».

    «Bella, vero?».

    «Sai che non è il mio genere».

    «Però devi ammettere che è un bel giocattolo».

    «Fumi troppo, Gildo...».

    «Cosa c’entra?».

    «Si vede dalle dita. Stai bene? Hai fatto gli esami del sangue?».

    «Calma, calma, pensavo di vedere un fratello, mica di essere andato dal medico...».

    «Basta voi due» interviene mamma. «Avete visto che meraviglia le ortensie quest’anno? Venite venite... Sediamoci in salotto».

    Se d’estate ci si siede in salotto e non in terrazza vuol dire che la situazione è grave, che c’è da discutere di cose importanti, che Ciccia, se ci ha convocati, deve risolvere qualche rogna. Che poca voglia.

    «Non vi siete più sentiti con Roberta, vero?» chiede mamma in un soffio, dopo avermi portato sottobraccio in un angolo.

    «No, mamma, da quando è andata via non l’ho più sentita, non so nemmeno dove sia».

    «Meglio, così non ti chiede neppure gli alimenti». Strizza l’occhio mamma, come faceva quand’ero bambino. È inutile che le risponda che per gli alimenti ci sono gli avvocati e che comunque Roberta, di soldi, ne ha talmente tanti che dei miei non se ne farebbe proprio nulla.

    «Secondo me dovresti chiederle tu gli alimenti». Gildo ci ha sentiti e mi ha letto nel pensiero. Mi giro, lo guardo negli occhi: «Pensavo di parlare con mio fratello, non con un avvocato». Uno pari. Gildo incassa.

    Entriamo in salotto. Tutto è rimasto così antico, così semplice, con la tappezzeria di sempre, il vecchio quadro dell’arrivo di Napoleone in Italia appeso alla parete, le tende leggere alle finestre, appena svolazzanti per la brezza del lago. Siamo tutti seduti. Solo Ciccia è rimasta in piedi. Tira fuori dalla sua borsa dei fogli, ce li mette in mano. Sono grafici, conti, numeri, cose delle quali non ho mai capito niente. Leggo il titolo, lo riguardo bene, infilo gli occhiali, lo metto a fuoco, tolgo gli occhiali, cerco di capire ma non capisco del tutto. Nel senso che non afferro: The Italian Gold Mining Company. Confidential.

    «Qui ci sono veramente un sacco di soldi». Ciccia parla decisa.

    «Un sacco per chi? Per te? Per la compagnia per cui lavori? Ci hai chiamato per dirci che hai fatto carriera?». Gildo non sa mai tenere la bocca chiusa.

    «Lasciala parlare».

    E Ciccia parla e dice e racconta. Parte da lontano, dal suo lavoro a Londra. Alta finanza, investimenti a elevato livello di innovazione. «E di rischio...» puntualizza Gildo con il mezzo sorriso di chi la sa lunga.

    «Infatti il mercato azionario è in picchiata e anche i fondi di investimento sono in difficoltà».

    «Questo è su tutti i giornali».

    «Uffi! Ma mi fai parlare?».

    «Sì, ma sbrigati che stasera devo essere a

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