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E-book434 pagine7 ore

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Info su questo ebook

Ava Thompson si è finalmente arresa al suo vero amore, Jasper White, e questa volta non si torna indietro.
Sono entrambi determinati a dimenticare il loro passato burrascoso e a concentrarsi sulla reciproca promessa di stare insieme per sempre. Tuttavia, con Ava che vive a New York e Jasper a Los Angeles, il loro futuro è in bilico, incerto su quale delle due città chiamare casa.
Quale sarà il giusto compromesso?
Ava non vuole lasciare New York e Jasper non vuole restare. La loro relazione è a un’impasse, e Ava presto si renderà conto che, per stare insieme, uno di loro dovrà rinunciare ai propri sogni, per sempre.
Ma chi dei due è pronto a farlo? E soprattutto, cosa succederà quando uno di loro compirà il sacrificio per l’altro?
Qualsiasi decisione prenderanno, Ava sa che perderanno entrambi.
A gettare benzina sul fuoco, arrivano anche due nuovi personaggi che, determinati a dividerli per sempre, causeranno ulteriore angoscia ai loro cuori già tormentati.
In un finale inatteso e struggente, che vi terrà col fiato e il cuore sospeso, riusciranno Ava e Jasper ad avere la forza di superare la loro ultima prova d’amore?
LinguaItaliano
Data di uscita29 gen 2020
ISBN9788855311175
White
Autore

Monica James

Monica James spent her youth devouring the works of Anne Rice, William Shakespeare, and Emily Dickinson.When she is not writing, Monica is busy running her own business, but she always finds a balance between the two. She enjoys writing honest, heartfelt, and turbulent stories, hoping to leave an imprint on her readers. She draws her inspiration from life.She is a bestselling author in the U.S.A., Australia, Canada, France, Germany, Israel, and the U.K.Monica James resides in Melbourne, Australia, with her wonderful family, and menagerie of animals. She is slightly obsessed with cats, chucks, and lip gloss, and secretly wishes she was a ninja on the weekends.

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    Anteprima del libro

    White - Monica James

    Conquista

    «Questa è la tua sveglia che parla... ti ordino di aprire gli occhi e sorridere al mattino.»

    «No, non voglio» brontolo con gli occhi serrati. «Non sono neanche sveglia. Guarda.» Con un gesto blando mi passo la mano sul corpo. «Vedi? Questa è solo un’illusione. In realtà sono ancora profondamente addormentata.» E affondo la testa sul cuscino, fingendo di dormire.

    Purtroppo, il mio finto russare non convince affatto il mio fidanzato, Jasper White, che si sta sbellicando dalle risate. «Sei l’attrice peggiore al mondo, piccola. Ti prego di non mollare il tuo lavoro da chef per una carriera folgorante nel mondo dello spettacolo.»

    La sua risposta, sincera ma al tempo stesso insolente, mi fa spalancare gli occhi con finto orrore. «Be’, a dire il vero è il tuo lavoro su di me il motivo per cui sono così stanca.» Mi lamento gettandomi un braccio sul viso, perché il sole del mattino mi brucia gli occhi.

    Da circa un mese mi sono arresa, e che mese è stato! La notte che io e Jasper abbiamo finalmente sistemato le cose è stata la più bella della mia vita, e la ricordo come fosse ieri. Lui in ginocchio di fronte a me, bagnato fradicio, che mi dichiara il suo amore eterno.

    La nostra storia è una di quelle che si leggono nei libri, e il nostro viaggio è stato alquanto accidentato, per usare un eufemismo.

    Ma posso dire con orgoglio che io e Jasper abbiamo superato spazio, tempo, incomprensioni di vario genere, groupie assatanate, due ex psicopatici, una (ex)madre squilibrata, insicurezze varie, i miei infiniti piagnistei, e chi più ne ha più ne metta. Ma soprattutto ci siamo raggiunti a vicenda e questa, fino ad ora, è stata la più grande delle conquiste.

    Ci siamo ripromessi di pensare al nostro futuro insieme e dimenticare il passato, perché tutto ciò che conta è la vita che ci aspetta. Quindi adesso voglio crogiolarmi nella nostra luna di miele e godermi l’avvenuta riappacificazione e il nostro essere di nuovo insieme. E per insieme intendo sia a livello emozionale che fisico.

    Jasper mi ha rassicurata e tranquillizzata che non ha avuto storie, neanche di sesso, con nessuna mentre siamo stati separati, e io lo stesso. Abbiamo così tanto di cui discutere e parlare ma, per adesso, questo immobilismo va più che bene perché tutto ciò che conta, e che mi rende felice, è che il nostro amore è ancora forte come un tempo.

    Io vivo ancora a New York e Jasper a Los Angeles, ma dal momento che non riusciamo a stare lontani, lui è più qui che lì.

    Quest’anno separati ci ha fatto bene. Siamo entrambi cresciuti e abbiamo scoperto chi siamo e cosa vogliamo davvero. Credo non occorra specificare che quello che vogliamo è stare insieme, ma questa volta non ci saranno rotture o ripensamenti. Lo splendido diamante che indosso al dito della mano sinistra ne è la prova.

    Adoro il mio anello di fidanzamento, e questo pensiero mi porta ad allungare la mano di fronte a me e ammirare questa meraviglia per la prima volta, oggi. Jasper osserva il mio gesto e ride.

    «Comincio a pensare che ami più lui di me» dice mettendo un finto broncio, e il suo labbro morbido e arrendevole è ancora più delizioso, per via di quel gesto studiato.

    Sorrido per quanto è adorabile e muovo le dita così che il solitario, perfettamente tagliato, catturi tutta la luce del mattino. «Oh, non essere sciocco» gli rispondo rimirando la sua dichiarazione d’amore.

    Lui sospira sollevato, e mi affretto ad aggiungere: «Vi amo allo stesso modo.»

    Scoppia a ridere, e quella voce profonda e cavernosa fa cose indicibili al mio corpo più che sveglio, ma guardando l’orologio mi rendo conto che se non muovo le chiappe farò tardi al lavoro. Questo non sarebbe un problema, visto che sono il capo, ma oggi non posso assolutamente tardare perché dovrò fare colloqui tutto il giorno.

    Il motivo per cui sto cercando altro staff è che io e Jasper siamo stati invitati da Jeremy a Chicago per il suo cinquantesimo compleanno. I festeggiamenti dureranno un intero weekend, e non me lo perderei per nulla al mondo. Il problema, però, è che due dei miei senior chef se ne vanno, e la mia vice, Faith, è in ospedale con tre costole fratturate, due gambe rotte e la milza lacerata, grazie a un tassista che ha guardato a sinistra invece che a destra.

    Considerato che sono a corto di personale, è chiaro che non è un buon momento per andarmene, perciò non ho altra scelta che trovare un altro vice cuoco, perché non so per quanto tempo Faith sarà fuori dei giochi.

    Non vedo l’ora di conoscere il clan dei Blackwood al compleanno di Jeremy, che sarà fra un paio di settimane. Dico clan perché è davvero una famiglia numerosa, e Jasper è passato da non avere parenti ad avere una sfilza di zii, zie, cugini di primo e secondo grado, nonni, nonne, animali domestici e, soprattutto, un fratellastro di cui non era a conoscenza.

    Jasper ha Stephen, ma non prevedo un felice riavvicinamento tra i due, almeno non a breve. Lui spera che un giorno suo fratello si faccia vivo, ma credo che sapere che tua madre è l’anticristo in persona ti autorizzi a prenderti un po’ di tempo per digerire tutta l’assurda situazione. Ad ogni modo, come ho appena detto, Jasper ora è parte di un intero clan, che si è trasformato in una famiglia nel giro di una notte, grazie al suo vero e strepitoso padre.

    A parte Jeremy, devo ancora conoscere tutti gli altri, ed è davvero arrivato il momento di farlo. Non vedo l’ora, perché chiunque renda felice il mio ragazzo, pardon fidanzato, sarà il mio migliore amico. Mi correggo, il secondo migliore amico, perché la mia prima migliore amica farebbe secco chiunque provasse a toglierle il titolo.

    Veronica manca da morire, e per quanto adori New York e il mio ristorante, che è il sogno di una vita da quando avevo cinque anni, anche Los Angeles mi manca tanto. Una volta qualcuno mi ha detto si va a Hollywood a fare film e a New York a far soldi. Non ho mai capito bene cosa volesse dire, finché non ho vissuto in entrambe le città e fatto esperienza del fermento e delle emozioni che le caratterizzano.

    Adoro il trambusto di New York, ma il mio cuore sarà sempre della Città degli Angeli. Come potrebbe essere altrimenti? Mi ha portato il mio angelo personale, perciò Los Angeles è il mio paradiso.

    Purtroppo sono la manager di un ristorante d’élite, che non si gestisce certo da solo, e sono quindi inchiodata a New York. La reputazione invidiabile del Metropolis è frutto di tutto il cuore e l’anima che ho riversato nel mio lavoro, e ora è uno dei posti più rinomati in cui cenare a New York. Il problema è che adesso che ho cominciato non posso più fermarmi. È passato solo un anno, e so che il meglio deve ancora venire.

    Voglio essere testimone della crescita del Metropolis e, come fanno tutti i palazzi di New York, mi voglio espandere. Il mio sogno è di continuare a perfezionare la consolidata cucina raffinata e aggiungere una zona lounge al piano di sopra, con piano bar a disposizione dei clienti che vogliono proseguire la serata.

    Questo sogno mi è stato ispirato dalla mia musa personale, Jasper White.

    Dopo averlo visto esibirsi al piano quella notte, la visione di noi che realizziamo questo progetto diventa sempre più reale. Voglio che accada e so che possiamo farlo.

    Ho già fatto ricerche e mi sono informata al riguardo, ma quando ho accennato la cosa a Jasper lui non ne è rimasto molto entusiasta. Ho deciso di non fare pressioni, perché non voglio rovinare la nostra riappacificazione.

    So che non ostacolerà mai i miei sogni e mi supporterà sempre, ma so anche che il suo cuore rimarrà sempre a Los Angeles. L’adora ed è qui solo per me, e nel profondo sento che spera che trovi presto qualcuno che mi possa sostituire, perché quella persona mi rispedirà dritta a casa.

    Perciò, questo è il mio piano: trovare un assistente fidato e poi lasciare la mia creatura nelle sue mani, che dovranno essere più che capaci. Ma solo il pensiero di non essere qui ad assistere al miracolo del Metropolis lascia un vuoto tremendo dentro di me. Ma casa è dove risiede il cuore e il mio cuore è con Jasper. Non ci sono sogni che valgano una vita senza di lui, e non voglio perderlo... mai più.

    Quindi andrò a fare questi benedetti colloqui con la mente aperta, e non scarterò i candidati per il loro gusto nel vestire, o per il colore della penna che usano per compilare il modulo, o perché il cognome inizia con una lettera dalla A alla Z. Devo accettare il fatto che non posso avere l’uovo a New York e la gallina a Los Angeles.

    Jasper è già un sogno che si avvera e, senza di lui, la mia vita non sarà mai completa.

    Andare da Jeremy sarà la prova del nove, interessante per vedere come, e se, sopravvivrò lontano dalla mia creatura, ma soprattutto se sarò in grado di lasciare davvero un lavoro che amo così tanto. Tutto ciò ha senso, lo so, e so anche che tornerò a Los Angeles prima o poi, perché la famiglia, gli amici e il mio gatto sono tutti lì. Vorrei solo poter impacchettare il Metropolis e portarlo con me, tutto qui.

    «... Poi le ho detto ma io sono fidanzato e lei non mi interessa, voglio solo toccarlo...»

    «Toccare cosa?» abbaio, voltandomi di scatto verso Jasper e incontrando i suoi occhi cerulei divertiti.

    «Ah be’, quindi mi ascolti» ribatte scherzoso.

    «Solo perché non ti guardo non significa che non ti stia ascoltando» rispondo con un sorrisetto.

    «Wow, ma sei multitasking!» mi prende in giro appoggiandosi su un gomito.

    «Già! Sono la regina del fare due cose alla volta.» Mi pento nel momento stesso in cui le parole mi escono di bocca, mentre la sua si incurva in un sorriso a fossette spiegate.

    «Ah, davvero? Che ne dici di testare la validità di questa teoria?»

    «Dipende» dico col cuore che inizia ad accelerare.

    «Da cosa?»

    «Da quello che proponi come oggetto del test» replico con voce profonda, eccitata dalle insinuazioni maliziose di Jasper.

    Lo guardo intensamente in attesa della sua prossima mossa, perché ho la sensazione che mi piacerà molto.

    Infatti, il secondo prima sono stesa su un fianco e quello dopo sono di schiena con il corpo di Jasper sospeso sopra il mio, sorretto dalle sue braccia forti e toniche. «Ho in mente un paio di cosette» dice con voce roca facendo cadere lo sguardo sui miei seni mezzi scoperti.

    «Ah sì? E dimmi un po’, intendi condividere i tuoi pensieri?»

    «A dire il vero preferirei mostrarteli.» Gli sorrido, lo preferisco anch’io.

    Per un istante osservo l’uomo di fronte a me... l’uomo che ho amato sin dal primo momento in cui l’ho visto.

    Passo le dita tra gli ormai noti capelli arruffati da sesso, che sono il suo marchio di fabbrica, per poi tracciare la curva perfetta delle sopracciglia sopra quegli occhi cerulei, che hanno visto il bello di me anche quando io non ci riuscivo. Disegnando una linea immaginaria sul suo naso, mi fermo sulla bocca e accarezzo la cicatrice, quella che grida al mondo che guerriero sia Jasper. La sua barba incolta mi pizzica il dito, perciò delineo il perimetro della sua bocca e lo infilo tra quelle deliziose labbra dischiuse. Il mio corpo si accende nell’istante in cui la sua lingua gli si avviluppa intorno.

    I suoi occhi non si staccano dai miei mentre mi lecca appena la punta del dito, ma è già abbastanza da lasciarmi senza fiato, col cuore che parte come un cavallo impazzito. Se non lo tolgo subito dalla sua bocca, so dove andremo a finire... ma mi sto godendo l’esplorazione di Jasper, e ancora non sono nemmeno a metà.

    Con estremo sforzo, rimuovo il dito e faccio scivolare il pollice sulla sua mascella cesellata, per scendere lungo il collo. Jasper piega la testa all’indietro, dandomi pieno accesso al suo corpo.

    Mentre ammiro la meravigliosa visione di fronte a me, decido di soffermarmi sul pomo d’Adamo. Sfioro piano la catena al collo, da cui pende l’anello che gli ho regalato per il compleanno. La frase incisa, l’Arresa, mi fa l’occhiolino, e non posso fare a meno di sorridere, perché quella parolina è piena di verità.

    Quando lo sguardo cade sulla mia parte preferita di Jasper White, un brivido mi percorre la schiena e mi mordo il labbro per non gemere. Proprio quando credevo che il mio dio del rock non potesse essere più sexy, ha deciso di aggiungere un tocco di inchiostro al suo corpo già arrapante.

    Il mio nome mi fissa dalla parte interna del suo braccio sinistro, e il corsivo lo rende elegante e classico. Jasper mi guarda mentre tocco le lettere, e sorride.

    «Credo che dovresti aggiungerci qualcosa» butto lì, così, e lui solleva un sopracciglio. «Proprio appena sopra il mio nome... niente di vistoso, per carità» mi interrompo e lui ridacchia.

    «Sentiamo un po’.»

    «Be’, per esempio, che ne dici di Proprietà di... Ava?» suggerisco scherzando, ma non del tutto.

    Jasper scuote la testa e ride.

    «Perché, scusa, non è carino?»

    «Carino? No, mi sentirei come un oggetto smarrito» risponde facendomi il solletico.

    Sghignazzando cerco di divincolarmi dalla sua presa, e per fortuna la smette. «Era solo un’idea per tenere lontane tutte quelle groupie troie che ti girano intorno.» Jasper si stacca da me con un’espressione scioccata.

    «Ma, ma... Ava Thompson, presto in White, ma con quella bocca ti permetti di baciare tua madre?»

    «Se è per questo bacio anche te, con questa bocca. E poi... White? Chi ha detto che ti sposerò e cambierò nome?» rispondo ironica. Se ci sposassimo oggi, domani o mai, non farebbe alcuna differenza, perché ormai niente e nessuno potrà mettersi tra di noi.

    «Ma dai, si vede benissimo che fremi per diventare la signora White. Insomma, chi non lo vorrebbe?» Gli do uno schiaffo sulla spalla per gioco.

    Jasper si fa serio. «Comunque, davvero, non occorre scrivere che sono di tua proprietà...»

    Proprio mentre sto per dargli un’altra pacca, aggiunge: «Questo,» mi prende la mano indicando l’anello «questo è abbastanza per mostrare al mondo intero che io appartengo a te e tu a me.»

    Per quanto la sua confessione mi tocchi nel profondo, non riesco a fare a meno di rispondere: «Ah sì, sì! Peccato che quando sarai in tour con Delilah Rose non potrai portare la mia mano con te e usarla per riempirla di botte.» Mi viene d’istinto imbronciarmi quando pronuncio il suo nome.

    «Piccola» dice Jasper con le labbra serrate in una linea. «Ne abbiamo già discusso.»

    «Lo so, lo so. È solo che la odio, e odio quel suo muso perfetto» dico in un sussurro.

    «Puoi sempre venire in tour con me...»

    Mi sta tormentando con questa storia di andare in tour con lui per un mese e mezzo, in Europa. Io ci andrei, ma la partenza sarebbe tra poche settimane, e la vedo dura!

    I Passengers of Ego stanno dominando le classifiche, e la casa discografica ha organizzato il loro primo tour internazionale, che ovviamente è una cosa strepitosa. L’unica nota negativa però è che saranno insieme ai Roses. Delilah Rose è la cantante di questa band punk, ma si da il caso che sia anche una ex di Jasper. So che è storia passata, e che non è una minaccia, ma la odio ugualmente e spero che le venga una laringite acuta e cronica, che la costringa ad abbandonare il tour.

    Mi fido di Jasper, è di lei che non mi fido affatto.

    Ad ogni modo, tornando alla sua domanda di prima. «Vorrei venire, lo sai, ma non posso. Il Metropolis già cadrà a pezzi per tre giorni senza di me, ti immagini cosa potrebbe accadere in sei settimane?»

    «Ecco perché troverai la tua perfetta sostituta, oggi. Così poi...» ma si interrompe senza finire il suo pensiero.

    «Così poi, cosa?» gli domando, anche se so cosa vuole dire.

    «Poi tornerai a casa. Mi manchi, piccola» confessa.

    Anche se sono contenta che mi dica sinceramente come si sente, abbasso gli occhi, perché la verità fa male.

    Jasper legge il mio disagio e sospira. «Ehi, lo so che questo è importante per te, ma voglio solo tornare a Los Angeles e costruire il nostro futuro insieme. Abbiamo perso fin troppo tempo, ed è ora che faccia di te una donna senza peccato!» aggiunge scherzando.

    Sorrido e decido di pensare alle sue parole dopo il caffè. «Non mi dispiace vivere nel peccato, a dire il vero» rispondo tracciando con il dito la linea della sua mascella. «E se poi diventiamo una tipica coppia sposata noiosa, che finisce per vivere di regole e abitudini?» Poi mi assale un pensiero peggiore e sbianco. «E se diventassimo come i miei?»

    La risata di Jasper riecheggia sul suo petto, e mi colpisce in pieno gli ormoni. «Noi non finiremo mai così» afferma lui, col corpo che reagisce al mio risveglio improvviso.

    «E perché mai?» chiedo col fiato corto quando lo vedo passarsi la lingua sulle labbra.

    «Perché io amo troppo trasgredire le regole» mormora malizioso.

    «Davvero?» Fingo un’espressione inorridita.

    «Già, proprio come in questo momento» dice piano, guardandosi intorno furtivo e chiudendo le mani a coppa sulla bocca. «Non indosso nulla sotto. Pensa quanto sono trasgressivo. Io rido in faccia alle regole.»

    Dio, quanto è stupido, dice il mio sorriso.

    «Ma vuoi sapere davvero quanto sono ribelle?» I suoi occhi di colpo diventano scuri.

    Annuisco, e mi manca il fiato quando fa scivolare una mano sulla mia gamba.

    «Jasper» squittisco, mentre la sua mano sale lungo la coscia.

    «Dimmi» risponde in un sussurro insolente, mentre il suo tocco mi fa esplodere di desiderio.

    «Farò... oddio...» gemo quando strofina le dita sulla stoffa dei miei slip «... tardi al lavoro» riesco a malapena a mormorare.

    In tutta risposta, Jasper abbassa la bocca su di me, leccandomi il perimetro delle labbra in modo deliziosamente lento. «Visto? Te l’ho detto che sono un ribelle. Ma vuoi vedere quanto sono ancora più impavido e sprezzante del pericolo?» domanda con le dita che si muovono proprio dove voglio io.

    «Sì» lo imploro, alzando le anche e soccombendo alle sue carezze.

    Jasper sogghigna mentre possiede incondizionatamente il mio corpo con un solo dito. «Aspetta un attimo, però. Quando infrango le regole, io faccio in modo di infrangerle tutte. Sei pronta a farlo con me?»

    Annuisco incapace di intendere e di volere, e nelle due ore successive rompiamo ogni regola possibile e immaginabile... più e più volte.

    Calore in cucina

    Grazie a Jasper, e alla sua splendida idea di infrangere le regole, sono in un ritardo mostruoso. In altre circostanze sarei nel panico, perché voglio sempre arrivare prima e preparami con calma al servizio del pranzo, ma i tre orgasmi fuori di testa che mi ha procurato Jasper mi fanno camminare sulla nuvoletta del settimo cielo. Anche dopo un anno separati, il suo tocco è sempre ruvido e crudo come la prima volta che mi ha sfiorata.

    «Buongiorno, Ava» cinguetta Sara, una delle mie chef, quando entro in cucina.

    «Buongiorno, scusate il ritardo» rispondo cercando il mio grembiule.

    «Nessun problema» dice con un sorrisone. «Sei tu il capo. Puoi essere in ritardo una volta ogni tanto.» Poi si allunga verso di me e mi mormora: «Hai la maglia al contrario, e devo dedurne che il ritardo è dovuto a quel gran pezzo di gnocco del tuo fidanzato.»

    Mi si infiammano le guance, e toccandomi veloce il retro della maglia sento l’etichetta che sbuca. «Mi hai beccata» rispondo con lo stesso tono ironico. «Ma non dirlo a nessuno.»

    «Non proferirò parola» risponde con le guance rosa. «E non immaginerò nemmeno in che modo ti ha fatto fare tardi» aggiunge con una risata quando le do un colpo sul braccio.

    «Oh, sei perfida» le rispondo da dietro le spalle, mentre mi dirigo verso il bagno.

    «Non è colpa mia. Prenditela con lui per essere così sexy!» grida da lontano. «Ed è ancora più sexy perché è una rockstar.»

    Rido e scuoto la testa, perché ha ragione. Jasper è eccezionalmente sexy e non biasimo le ragazze per dimenticarsi di usare filtri in sua presenza o quando parlano di lui. Tuttavia, per me, Jasper è solo Jasper, mentre per loro è un dio del rock. Questa, però, è la cosa bella di New York, sono tutti così presi dalle loro cose che non fanno molto caso se una celebrità cammina di fianco a loro.

    Sara è innocua e mi ricorda molto Vi. Non ho problemi con lei se sbava su Jasper quando viene a trovarmi al ristorante, ma ne ho con le altre, quelle come Delilah. Non c’è nulla di innocente in quelle come lei, e ciò che mi preoccupa è il suo intento di portare zizzania tra me e Jasper.

    Gli invia messaggi di continuo per stupide cose da band o per chiedergli consiglio, visto che lui ha sfondato. Lui mi dice che non ho nulla da temere, ma non mi fido di lei neanche morta. Quelle come lei saccheggiano tutto ciò che non è di loro proprietà. Vogliono quello che non possono avere, e ora che indosso l’anello è ancora di più una sfida.

    Ricacciando indietro questi pensieri, che hanno totalmente compromesso il mio stato di ebbrezza post orgasmico, mi sistemo la divisa e mi rendo presentabile per il primo colloquio. Mentre mi guardo allo specchio, noto che fuori rifletto esattamente il mio stato d’animo, che è poco entusiasta all’idea di trovare qualcuno che mi sostituisca.

    È stata dura sentire Jasper pronunciare le parole che so essere vere. Sì, Los Angeles è casa mia, ma sono pronta a lasciare baracca e burattini e andarmene? Purtroppo, non so rispondere con convinzione a questa domanda.

    «Ava?» mi domanda Sara bussando alla porta del bagno. «Scusa, ma c’è il fornitore del pesce con circa una dozzina di casse di salmone. Ne abbiamo ordinato così tanto?»

    «Quante? Una dozzina?» Ci deve senz’altro essere un errore.

    Invece no.

    «Già! Stiamo annegando nel salmone, in questo momento.»

    Sospiro e, mentre mi allaccio il grembiule, mi guardo un’ultima volta allo specchio, facendomi un discorsino di incoraggiamento prima di far entrare una Sara stupita e agitata.

    Mi passa l’ordine per la settimana e si gratta la testa con la penna. «L’ho guardato e riguardato due volte, e non mi sembra che nel menù abbiamo inserito il salmone come piatto forte della settimana da averne bisogno in tali quantità. Mi sbaglio?» domanda mentre io scorro la lista sul foglio.

    Ha ragione. Ci deve essere stato un errore da parte del fornitore, e ora mi tocca il simpatico compito di dirlo al corriere.

    «Perfetto!» rispondo portandomi la cartella al petto e facendo un respiro profondo. «Giovanni si incazzerà di brutto. È la seconda volta questo mese che il suo staff gli fa un casino simile. Per fortuna l’altra volta erano prodotti che potevamo restituire. Ma il salmone fresco...» scuoto la testa. «Non abbiamo posto per tutto quel pesce.»

    «Lo so» dice Sara mordendosi il labbro, pensierosa. «Buona fortuna!» aggiunge alzando il pollice.

    «Grazie, ne ho bisogno.» Mi avvio verso la porta sul retro.

    Quando vedo l’altro chef, Paulo, litigare con il corriere paonazzo, che sta scaricando furioso le casse, so che sarà una lunghissima giornata.

    Giovanni Bruno, il più grande e rinomato fornitore di pesce di New York, non smetteva di scusarsi, prima, al telefono. Mi ha detto che una delle sue impiegate ha letto male l’ordine e ha proceduto senza controllare. Non abbiamo potuto restituire la merce, perché quello stronzo del corriere è schizzato via il secondo dopo che l’ultima cassa ha toccato il suolo, e Giovanni non riesce a organizzare il recupero prima delle sedici. Quindi adesso mi ritrovo con dodici casse di salmone fresco da smaltire. Il lato positivo è che l’ho avuto a un costo irrisorio, perciò ho deciso di promuovere un menù di salmone per il pranzo, in offerta a metà prezzo.

    Il Metropolis è un caos, e c’è la fila fino dietro l’angolo. Sono al settimo cielo, ma al tempo stesso sono stanca morta perché sono a corto di staff. Di norma non sarebbe un problema, ma la mia idea geniale di avvisare tutti gli uffici nel raggio di cinquanta chilometri dell’offerta del pranzo mi si sta ritorcendo contro, e ora sono sommersa di clienti affamati.

    «Dove sono gli spicchi di limone che vanno sul salmone marinato con lo zucchero di canna per il tavolo nove?» domando a Paulo circondato di comande.

    «Trenta secondi!» mi grida, e io annuisco.

    «Sara, come va Melanie di là? Quanto sono i tempi di attesa?» chiedo agitata, mentre guarnisco il mio piatto.

    «Ha detto più o meno venti minuti» risponde, armeggiando con il suo crumble di mele.

    «Merda!» impreco, pulendo il piatto e appoggiandolo sul vassoio.

    Mentre sbircio fuori, verso il mare di facce affamate, so che ho bisogno di un altro cuoco. Io e Paulo siamo sfiniti e lui, per via del cambio di menù all’ultimo minuto, sta ancora cercando di impratichirsi con la ricetta dell’insalata. Sara è al bancone, che si occupa di tutto ciò che non è pesce, e tutti e tre ci stiamo facendo un gran culo.

    «Ava!» mi chiama Helen, la mia cameriera numero uno, mentre entra in cucina con le mani piene di piatti sporchi.

    «Dimmi» le rispondo mentre mi allungo sulle comande per guardare qual è il prossimo tavolo.

    «C’è un certo Michel che ti vuole vedere.»

    «Chi?» domando mentre cerco di decifrare la calligrafia di Helen sul foglio. «Non ho idea di chi sia» aggiungo quando vedo che non dice nulla.

    «Dice che è qui per il lavoro» spiega, impilando i piatti nel lavandino.

    «Ho cancellato tutti i colloqui, oggi» le rispondo guardando l’orologio. «Paulo, dove sono gli spicchi di limone?»

    «Trenta secondi, chef!» risponde mentre corre tra le postazioni e apre il forno.

    «Me l’hai già detto trenta secondi fa» dico in tono scherzoso.

    Vedo Helen ancora lì, che aspetta una risposta. «Prendi il contatto e lo richiamerò domani» le dico da dietro le spalle, mentre io e Paulo danziamo tra i fornelli.

    «Va bene, boss» cinguetta lei tirando fuori la penna dal grembiule. «A proposito, il tavolo quindici se n’è andato. Hanno detto di aver aspettato quarantacinque minuti.»

    «Cazzo!» sbuffo, ma per fortuna vedo Paulo guarnire gli otto piatti sul vassoio con gli spicchi di limone. «Forza, ragazzi, stiamo perdendo clienti» grido battendo le mani, sperando di incoraggiarli a muovere le chiappe, anche se più di così non credo sia umanamente possibile.

    «Okay, chef!» dicono Sara e Paulo all’unisono.

    «Va bene, so che state dando il massimo, ragazzi. Se non fossimo a corto di personale non ci sarebbe alcun problema» replico mentre friggo un altro trancio di salmone.

    «Ahia, cacchio!» grida Sara mentre un piatto cade sfracellandosi non appena tocca il pavimento.

    Mi giro di scatto e vedo che si tiene la mano ferita e sanguinante al petto, mentre il salmone è accartocciato tra i resti di porcellana rotta.

    «Tutto okay?» le domando mentre corro verso di lei, schivando il piatto rovinato a terra.

    «Sì. Da idiota mi sono tagliata mentre pelavo le mele. Mi dispiace, Ava» mi dice mentre prendo uno strofinaccio.

    «Non ti preoccupare, fammi vedere» indico col mento la sua mano rannicchiata.

    Quando apre le dita, vedo uno squarcio lungo il palmo. «Non sembra profondo, ma non correre il rischio. Lavati e porta le chiappe al pronto soccorso.»

    «No, non posso lasciarti, così» ribatte.

    «Non puoi nemmeno stare qui a sanguinare sul cibo» le dico aprendo il rubinetto e mettendole la mano sotto l’acqua.

    La porta della cucina si spalanca, ed entra Kia con una pila di piatti sporchi. «Boss, di là la situazione sta diventando turbolenta.» Dopo aver posato i piatti nel lavandino afferra subito una scopa per pulire il macello a terra.

    «Ava, ho cinque piatti pronti per uscire» grida Paulo correndo verso il fornello per evitare che il mio salmone bruci.

    Helen guarnisce subito e pulisce i suoi piatti e io faccio lo stesso coi miei. «Ce la fai a tenere duro finché porto fuori questi?» chiedo a Paulo.

    «Si, Chef!»

    «Piantala, sapientino» rispondo con un ghigno, mentre raccolgo i piatti e apro la porta con una spallata.

    Non guardo dove metto i piedi e vado a sbattere dritta contro un muro di carne umana. «Merda! Mi spiace» mi scuso in fretta, tenendo saldo il vassoio per evitare che si frantumi al suolo.

    Alzo gli occhi e vedo lo sguardo divertito di questo tizio di bell’aspetto di fronte a me.

    «Nessun problema» ridacchia, mentre mi afferra il braccio per cercare di rimettermi dritta.

    «Hai bisogno di una mano?» domanda guardando il vassoio pieno.

    «No no, non occorre» rispondo con un sorriso. «Non posso farmi aiutare dai clienti, anche se sembro disperata.» Rabbrividisco per ciò che ho appena detto, e il mio avvenente straniero fa un sorrisetto.

    «Non mi sembri affatto disperata» risponde con un leggero accento francese e gli occhi verdi che mi scrutano.

    «Be’, ehm... grazie.» Non so davvero cosa rispondere a quest’uomo che sta palesemente flirtando con me. «Meglio che vada, ho delle bocche da sfamare» gli spiego, mentre abbasso gli occhi sulla sua mano che ancora mi stringe il braccio.

    «Ah, certo, scusa.» Molla la presa, un po’ imbarazzato.

    Mentre lo supero per proseguire in sala, rimango di sasso quando dice: «Hai usato feta persiano?»

    «Come fai a saperlo?» gli domando voltandomi con un sopracciglio alzato.

    «Sono Michel. Ho visto l’annuncio online. Lo so che non ci si presenta così, senza appuntamento, ma lo voglio davvero, quel posto. Perciò ho pensato di venire io direttamente invece di aspettare che mi chiamassi tu» aggiunge con un accento francese più marcato, e un sorriso con fossette compare sul suo volto.

    «Sono colpita dalla tua determinazione, ma questo non è affatto un buon momento. Potresti tornare domani, quando ci sarà meno...» mi guardo intorno «... casino?»

    Michel ride. «Di’ al tuo chef di lasciare che la quinoa riposi venti minuti dopo che ha cotto. Gli darà tempo di assorbire il liquido rimanente e permetterà agli amidi di rassodarsi, così non risulterà troppo collosa» mi dice piano all’orecchio, guardando il piatto che ho in mano.

    «E come fai

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