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Vita nuova: Amore senza fine
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E-book372 pagine2 ore

Vita nuova: Amore senza fine

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Info su questo ebook

La "Vita nuova" è il diario d'amore di un ragazzo. Non un ragazzo qualunque. Un ragazzo strano, visionario, un Philip K. Dick di sette secoli fa. Destinato a scrivere il più grande poema dell'umanità. Ma ora non lo sa ancora. Ora è innamorato pazzescamente di Beatrice, una ragazza che ha solo intravisto. Trema al suo pensiero. Piange lacrime di tenerezza e di disperazione. Sogna sogni di piacere e di sventura. Scrive versi per capire cosa gli sta succedendo e per calmarsi un po'. Gli amici prima ridono di lui, poi si preoccupano del suo stato che assomiglia alla follia. Follia d'amore risponde Dante. Che vale quest'amore, gli chiedono le amiche di entrambi, se appena la vedi tremi e ti senti male? Io voglio solo una cosa, risponde il giovane poeta: passare il mio tempo a tessere le sue lodi.
LinguaItaliano
Data di uscita2 feb 2020
ISBN9788835366270
Vita nuova: Amore senza fine
Autore

Dante Alighieri

Dante Alighieri (1265-1321) was an Italian poet. Born in Florence, Dante was raised in a family loyal to the Guelphs, a political faction in support of the Pope and embroiled in violent conflict with the opposing Ghibellines, who supported the Holy Roman Emperor. Promised in marriage to Gemma di Manetto Donati at the age of 12, Dante had already fallen in love with Beatrice Portinari, whom he would represent as a divine figure and muse in much of his poetry. After fighting with the Guelph cavalry at the Battle of Campaldino in 1289, Dante returned to Florence to serve as a public figure while raising his four young children. By this time, Dante had met the poets Guido Cavalcanti, Lapo Gianni, Cino da Pistoia, and Brunetto Latini, all of whom contributed to the burgeoning aesthetic movement known as the dolce stil novo, or “sweet new style.” The New Life (1294) is a book composed of prose and verse in which Dante explores the relationship between romantic love and divine love through the lens of his own infatuation with Beatrice. Written in the Tuscan vernacular rather than Latin, The New Life was influential in establishing a standardized Italian language. In 1302, following the violent fragmentation of the Guelph faction into the White and Black Guelphs, Dante was permanently exiled from Florence. Over the next two decades, he composed The Divine Comedy (1320), a lengthy narrative poem that would bring him enduring fame as Italy’s most important literary figure.

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    Anteprima del libro

    Vita nuova - Dante Alighieri

    INTRODUZIONE

    Introduzione-Roma

    Negli anni a cavallo tra la fine del tredicesimo e l’inizio del quattordicesimo secolo, un cristiano di Firenze, poeta e uomo politico, si trova coinvolto in una serie di vicende più grandi di lui, gravide di conseguenze funeste. Si chiama Dante Alighieri, questo cristiano. È un letterato molto noto e un uomo politico di alto livello. Le sue origini sono la piccola nobiltà cittadina. Possiede qualche appezzamento di terreno appena fuori Firenze che, affittato, gli ha permesso di studiare e poi di mantenere la famiglia (ha moglie e figli) senza lavorare. La sua giovinezza è stata brillante, per quanto lo abbiano permesso le sue finanze. Ha stretto amicizia con la gioventù più in vista. Il suo migliore amico è stato Guido, della famiglia dei Cavalcanti, tra le più notevoli della città. Guido Cavalcanti, poeta anche lui, il maggiore poeta italiano prima di Dante, ha ricoperto un ruolo importante nella vicenda umana e artistica del giovane Alighieri. È stato l’amico grande , più vecchio di dieci anni, una maestro di vita. Ma soprattutto un compagno nell’arte. Con lui e con altri giovani poeti, tra cui i cari amici Cino da Pistoia e Lapo Gianni, Dante ha condiviso un’idea nuova di poesia, tutta incentrata sull’amore, di cui è stato iniziatore il bolognese Guido Guinizelli. Una poesia d’amore raffinata, per pochi, quasi una setta segreta di giovani eletti, un’aristocrazia dell’anima. Dante chiamerà la ‘setta’ Fedeli d’Amore e il loro stile poetico Dolce stil novo .

    Ora, siamo nell’autunno 1301, Dante si trova a Roma per una missione diplomatica su incarico del comune di Firenze. Le cose stanno prendendo una bruttissima piega. Il papa Bonifacio VIII, che considera, a ragione, l’Alighieri un nemico, lo trattiene nella capitale, lasciando tornare a Firenze solo gli altri due membri della delegazione.

    Introduzione-Beatrice

    Come capita a tutti i ragazzi, Dante, Guido e compagni, avevano passato molto del loro tempo a parlare di ragazze. Avevano anche fatto un elenco delle sessanta più belle di Firenze. Nell’elenco, variamente classificate, c’erano una Vanna, una Lagia, e un’altra ancora, molto cara al nostro poeta, in trentesima posizione. Tra il 1292 e il 1293-94 (tra i ventisette e i ventinove anni essendo nato nel 1265), Dante aveva poi scritto un libretto pazzescamente visionario, misto di racconto e di poesie, un diario d’amore postumo, intriso di misticismo. Lo aveva chiamato La vita nuova. Nelle prime pagine Dante raccontava ai suoi amici un suo antico sogno: E pensando di lei, mi sopragiunse uno soave sonno, ne lo quale m’apparve una maravigliosa visione: che me parea vedere ne la mia camera una nebula di colore di fuoco, dentro a la quale io discernea una figura d’uno segnore di pauroso aspetto a chi la guardasse; [...] e ne le sue parole dicea molte cose, le quali io non intendea se non poche; tra le quali intendea queste: ‘Ego dominus tuus’. Ne le sue braccia mi parea vedere una persona dormire nuda, salvo che involta mi parea in uno drappo sanguigno leggeramente; la quale io riguardando molto intentivamente [intensamente], conobbi ch’era la donna de la salute [del saluto], la quale m’avea lo giorno dinanzi degnato di salutare. E ne l’una de le mani mi parea che questi [il signore di pauroso aspetto, cioè Amore] tenesse una cosa la quale ardesse tutta, e pareami che mi dicesse queste parole: Vide cor tuum . E quando elli era stato alquanto, pareami che disvegliasse questa che dormia; e [...] che le facea mangiare questa cosa che in mano li ardea, la quale ella mangiava dubitosamente. Appresso ciò poco dimorava che la sua letizia si convertia in amarissimo pianto; e così piangendo, si ricogliea questa donna ne le sue braccia, e con essa mi parea che si ne gisse verso lo cielo; onde io sostenea sì grande angoscia, che lo mio deboletto sonno non poteo sostenere, anzi si ruppe e fui disvegliato . Vita nuova III 3-7

    La ragazza, che nell’elenco di cui si è detto era in nona posizione, era morta nel 1290, giovanissima, ventiquattro anni. Il suo nome era Beatrice Portinari. Dante l’aveva vista per la prima volta, vestita di rosso sanguigno , e se ne era innamorato, quando di anni ne aveva solo nove. Anche lui allora aveva quell’età. Dopo nove anni (diciottenni entrambi quindi), l’aveva incrociata nuovamente, vestita di bianco immacolato, in compagnia di altre. Lei lo aveva guardato volgendo il viso verso di lui in cenno di saluto e gli aveva parlato. Quello sguardo lo aveva folgorato. Quelle parole di saluto lo avevano inebriato. Tornato a casa, si era chiuso nella sua camera e si era addormentato di un sonno leggero. Allora aveva sognato il dio Amore con lei sulle braccia dormiente, nuda. Questo, almeno, è quello che ci racconta Dante. Per nascondere agli amici, preoccupati della sua strana condizione psicologica, la vera identità della giovane, aveva finto di essere innamorato di altre, ragazze dello schermo . Lei gli aveva tolto il saluto ed era andata sposa a un Bardi. Poi era morta senza che lui l’avesse mai rivista. Ora quello sguardo, impresso nella memoria del giovane poeta, si era tramutato in stimma. In solinga parte andai a bagnare la terra d’amarissime lagrime. Dopo qualche anno aveva scritto il suo diario d’amore. Un viaggio a ritroso nella sua vita. Lei, che era venuta da cielo in terra a miracol mostrare , era morta. Il poeta, sconvolto, si era abbandonato alle miserie della vita disordinata, dedita ai vizi, alle baldorie, agli amori fugaci. Amori che lasciavano l’amaro in bocca. Sperimentava il fondo dell’abiezione, il tormento del sesso forsennato, la ricerca di una felicità che sempre gli sfuggiva dopo un attimo e che continuava a cercare, invano, nelle delizie del corpo. Conosceva l’inferno della passione sempre insoddisfatta, l’annegarsi nel piacere che stupefà la coscienza, il piacere mortifero dell’annebbiamento, del sonno della ragione, del peccato. Una donna crudele ora lo tiranneggiava con la sua bellezza, facendogli provare il laccio misterioso che avvinghia amore e morte, come ci dice lui stesso nelle Rime, in vari punti:

    Se la vertù d’Amore a morte move .

    "Lo doloroso amor che mi conduce

    a fin di morte per piacer di quella ".

    "Ahi angosciosa e dispietata lima

    che sordamente la mia vita scemi ".

    Facendogli provare il fuoco rovente della ossessione amorosa, descritta con una potenza e un realismo che vengono dalla Provenza (Arnaut Daniel) e prefigurano la forza espressiva della Commedia:

    Foco mettesti dentro in la mia mente .

    "Ohmè, perché non latra

    per me, com’io per lei, nel caldo borro? ".

    L’amore era stato un burrone , un fosso bollente in cui latrare di desiderio, come un cane.

    Altrove, la voglia sado-masochistica di infliggere dolore a chi lo faceva soffrire:

    "S’io avessi le belle trecce prese,

    che fatte son per me scudiscio e ferza ".

    Toccato il fondo, si era accorto di aver dimenticato la sua Beatrice, la donna del saluto. La memoria di lei, creatura spirituale, era per lui ora un cocente rimprovero. Umile e vergognoso era ritornato al culto dell’unica e, dopo una meravigliosa visione, si era ripromesso di tacere fino al giorno in cui avesse trovato le parole giuste per parlare di lei: Appresso questo sonetto apparve a me una mirabile visione, ne la quale io vidi cose che mi fecero proporre di non dire più di questa benedetta infino a tanto che io potesse più degnamente trattare di lei. E di venire a ciò io studio quanto posso, sì com’ella sae veracemente. Sì che, se piacere sarà di colui a cui tutte le cose vivono, che la mia vita duri per alquanti anni, io spero di dicer di lei quello che mai non fue detto d’alcuna . Vita nuova XLII 1-3

    Introduzione-La vita nuova

    La vita nuova è un libro strano, il resoconto di una serie di visioni, il diario di un’anima facile agli entusiasmi e alle depressioni, attratto violentemente dalla vita dei corpi e, insieme, ansioso di assoluto, alla ricerca spasmodica di rivelazioni, di simboli. Abbiamo l’impressione, leggendola, che in Dante cominci a ribollire una miscela esplosiva, fatta di tutta la spiritualità medievale, pronta a esplodere come una supernova, nel lampo luminoso in cui un’epoca può esprimersi tutta prima di morire. Perché è vero che si possono elencare esempi della letteratura medievale precedente, sacra e profana, ai quali Dante sembra rifarsi, ma è anche vero che qui tutto è diverso, più intenso, più personale, più concreto, più toccante. I fatti narrati si trasformano in emozione tremante, in delirio. Dante si rivela, qui, come un uomo dalla psicologia accesa, un visionario, pronto a vivere fino in fondo la propria vita e insieme a continuamente interpretarla, per cercare disperatamente di capirne il significato. Un libro ombroso, adolescenziale, anche se altamente elaborato dal punto di vista dell’arte letteraria. Un libro squisitamente medievale, appunto, dove la verità esiste solo se è interpretata e trasformata in simbolo. Ciò che non diventa simbolo non è comprensibile, sfugge alla percezione, è irreale. Per comprendere la sua storia d’amore per Beatrice, Dante deve trasformarne gli atti in visioni simboliche. Questo era il suo modo di capire. Questo era il modo di capire della sua epoca. Però la potenza concreta delle immagini e delle emozioni trascendono il simbolismo medievale e sembrano come minarlo dall’interno, per eccesso. Un libro affascinante, anche se appare lontano dalla nostra sensibilità, frutto di un modo di accostare i frammenti della realtà, le percezioni di essa, particolarissimo: sangue e spirito, angeli e sesso, carne che muore e candidi veli. Gli estremi si toccano, si urtano, sembrano inconciliabili. Dante bruciava dal desiderio di trovare il nesso, l’ordine delle cose, il perché di tutto. Nel capitolo XVIII della Vita nuova narra che, in seguito alle pene d’amore per Beatrice, dovute all’impossibilità di sostenere il suo sguardo, alcune donne gli avevano chiesto quale fosse il fine del suo amore, se neanche poteva sostenere la presenza dell’amata. Dante aveva risposto che fine del suo amore era ciò che non poteva venirgli mai meno e cioè la lode di Beatrice , per la quale avrebbe cercato un nuovo stile. Così aveva composto Donne ch’avete intelletto d’amore, completamente preso dall’ispirazione: la mia lingua parlò come per sé stessa mossa . In quella canzone l’amore per Beatrice era diventato gioia di cantare in versi la bellezza universale , contemplata nella bellezza della donna. Il corpo femminile come metafora della perfezione divina. L’attrazione dell’uomo per esso sublimato in desiderio metafisico di conoscenza.

    Quando Dante aveva scritto La vita nuova non era più un ragazzo. La vita nuova chiudeva un periodo della vita di Dante, era la valutazione dell’esperienza di anni trascorsi, formativi e agitati, anni in cui tutto era ricondotto all’inquietudine dell’io. Non un diario scritto giorno per giorno, ma il libro della memoria . Perché, con l’uscita dall’adolescenza, la vera grande passione di Dante era diventata la politica. L’inquietudine amorosa e la passione letteraria, così pervasive in quegli anni appena passati, avevano lasciato il campo alla filosofia prima e alla politica poi.

    Opera, giovanile quindi, non tanto perché scritta da un giovane, ma perché espressione di un’epoca della poesia dantesca destinata a confluire in una epoca di ben più vasti orizzonti. Però già opera di livello assoluto, sufficiente, da sola, a dare un posto importante all’Alighieri nella storia della nostra letteratura.

    Tanto gentile e tanto onesta pare

    la donna mia quand’ella altrui saluta,

    ch’ogne lingua deven tremando muta,

    e li occhi no l’ardiscon di guardare.

    Ella si va, sentendosi laudare,

    benignamente d’umiltà vestuta;

    e par che sia una cosa venuta

    da cielo in terra a miracol mostrare.

    Mostrasi sì piacente a chi la mira,

    che dà per li occhi una dolcezza al core,

    che ‘ntender non la può chi no la prova;

    e par che de la sua labbia si mova

    uno spirito soave pien d’amore,

    che va dicendo a l’anima: Sospira.

    La mia signora [‘donna’ da ‘domina’, ‘padrona’ del mio cuore] appare tanto nobile [‘gentile’] e tanto piena di dignità [‘onesta’ indica la dimensione esteriore della nobiltà interiore, quindi ‘che incute rispetto’] quando saluta qualcuno [‘altrui’] che ogni lingua trema e non riesce più a parlare, e gli occhi non hanno il coraggio di fissarla. Lei, pur sentendosi lodare da ognuno, cammina piena di umiltà e sembra una creatura [‘cosa’] venuta dal Cielo in terra a mostrare, come un miracolo, la bellezza divina. Appare così bella a chi la ammira che, attraverso gli occhi, dà una dolcezza al cuore tale che non si può capire se non la si prova; dal suo viso [‘labbia’] sembra emanare uno spirito soave d’amore che impone all’anima di sospirare.

    Dante introduce così questo sonetto perfetto, la cosa più bella che ha scritto prima della Commedia:

    Questa gentilissima donna, di cui ragionato è ne le precedenti parole, venne in tanta grazia de le genti, che quando passava per via, le persone correano per vedere lei; onde mirabile letizia me ne giungea. E quando ella fosse presso d’alcuno, tanta onestade giungea nel cuore di quello, che non ardia di levare li occhi, né di rispondere a lo suo saluto; e di questo molti, sì come esperti [che hanno avuto esperienza della sua vista], mi potrebbero testimoniare a chi non lo credesse. Ella coronata e vestita d’umilitade s’andava, nulla gloria mostrando di ciò ch’ella vedea e udia [senza darsi arie per le espressioni piene di stupore che vedeva e i commenti ammirati che udiva]. Diceano molti, poi che passata era: «Questa non è femmina, anzi è uno de li bellissimi angeli del cielo». E altri diceano: «Questa è una maraviglia; che benedetto sia lo Segnore, che sì mirabilemente sae adoperare [operare]!». Io dico ch’ella si mostrava sì gentile e sì piena di tutti li piaceri [bellezze], che quelli che la miravano comprendeano in loro [sentivano dentro di sé] una dolcezza onesta e soave, tanto che ridicere non lo sapeano [non riuscivano a esprimere]; né alcuno era lo quale potesse mirare lei, che nel principio [subito] nol convenisse [non dovesse necessariamente] sospirare . Vita nuova XXVI 1-6

    Beatrice è la donna del saluto , e anche la donna della salute nel senso di salvezza.

    Riassumendo, Dante, nella Vita nuova, ci racconta:

    "Quando avevo solo nove anni, vidi una fanciulla, anch’essa di nove anni, vestita di rosso, bellissima, tanto da

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