Benessere e cura del sé: Analisi di Moonlight nel dialogo fecondo tra Cinema e Discipline Analogiche Benemegliane
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Anteprima del libro
Benessere e cura del sé - Marco Cardinali
stupore…
Presentazione
Le nostre emozioni sono il motore energetico della nostra vita, sorgente di grandi passioni, genialità, creatività ma anche di comportamenti e situazioni non di rado in totale spiacevole contraddizione con ciò che la nostra logica si prefigge.
Il fatto è che queste due istanze presenti in noi, la razionalità – con la quale per cultura ci identifichiamo – e il mondo delle emozioni, entrano in conflitto per obiettivi diversi ed anche per leggi e linguaggi diversi, ed è in questa dimensione che le Discipline Analogiche rendono disponibili straordinarie risorse per ricondurre all’equilibrio emozionale e poter così liberare il grandissimo potenziale insito in ogni individuo. L’originale lettura ed applicazione, che in questo testo ne fa l’autore Marco Cardinali, è chiarificatrice di quanto il sistema Analogico sia insito nell’uomo.
È stato per me, come fondatore di queste Discipline, un piacere leggere con quanto amore ed accuratezza siano state trattate in questo piacevolissimo testo.
Auguro pertanto a tutti buona lettura.
Stefano Benemeglio
Introduzione
Nel 1922 il poeta Thomas Stearns Eliot, pubblicò un poema dal titolo La terra desolata. In quella straordinaria opera, possiamo ritrovare tutte le coordinate del nostro mondo contemporaneo, non tanto o non solo, del nostro presente ‘reale fisico’, ma di quello, altrettanto reale, afferente al presente emozionale. Egli descrive, in modo profetico, le odierne megalopoli, quei mostri di acciaio e cemento, in cui i popoli sono confinati. Popoli, composti da donne, uomini e pochi bambini, sempre più lontani dalla natura e da quello che potremmo chiamare, il lato selvatico o istintivo dell’esistenza, il lato che, cioè, più di ogni altro, ci attiene e appartiene fin dalle origini dell’umanità e ad essa ci lega. Una terra desolata, dunque, che interpretiamo nel nostro caso, sempre più disumana, nel senso di lontana, da ciò che ci identifica come veramente umani.
Pensiamo per un attimo a questa terra desolata, come a noi stessi, in cui i mostri di acciaio e cemento siano la nostra parte logico-razionale, che di per sé non è affatto il male, ma che con le mille sovrastrutture mentali, che vi abbiamo costruito nei secoli, ha preso ormai il sopravvento nell’attuale modus pensandi e nel nostro metodo interpretativo della realtà e lo ha fatto a tal punto che, rischia di renderci sempre più distanti da chi siamo realmente, dal contatto più profondo con noi stessi, con le nostre emozioni, col nostro istinto, con quello che comunemente e in tempi relativamente recenti, abbiamo imparato a chiamare inconscio1, al punto da farci dimenticare di essere, non solo, corpo e anima, ma anche emozioni e spirito.
Il rischio, pertanto, è di rendere la terra del nostro personale emotivo, sempre più arida, fino a diventare incapaci di attingere nel e dal punto più profondo della nostra umanità, che per un cristiano corrisponde al punto prezioso in cui si riflette il volto di Dio, a cui immagine e somiglianza siamo stati creati. Non riusciamo più a riconoscerci per ciò che ci rende unici, perché siamo quelli che definisco dei veri e propri rifugiati della logica2, rifugiati, cioè, nei rigidi sistemi e nelle ferree etichette logiche, culturali, etniche, filosofiche, religiose, che ci rendono apparentemente stabili, difesi, protetti, ma a costo di un grosso prezzo da pagare, poiché contemporaneamente ci fanno sentire stranieri, alieni, lontani da noi stessi e dagli altri.
Tale immagine profetica di Eliot, però, non ha solo un’accezione negativa. Nel poema, infatti, traspare il fatto che La terra desolata, esprima l’idea che qualcosa di grandemente prezioso stia sbocciando, un qualcosa, però, che rischia di andare perduto, se non si riconoscono le vere cause di una tale desolazione emozionale3. Come abbiamo appreso da Stefano Benemeglio4 e le sue Discipline Analogiche, la logica non è da demonizzare, così come l’emozione non è da soffocare, ma solo con un equilibrato rapporto tra le due istanze, l’uomo può veramente sentirsi libero di essere felice. Le Discipline Analogiche si inseriscono in questo prezioso solco, che ci aiuta in maniera efficace e reale, ad entrare in quel magnifico dialogo tra noi e noi stessi; tra noi e gli altri e tra noi e l’Altro, inteso in senso metafisico.
Lo studio di queste discipline è stato per me affascinante e prezioso, iniziato col solo scopo di poter essere sempre più chi sono e a realizzare ciò che solo io sono chiamato a compiere, in una peculiare vocazione, che rende ciascuno di noi unico. Non si tratta, infatti, di essere migliori di altri. Tutti, siamo chiamati a percorrere questo viaggio, essere, cioè, veramente umani, sapendo che siamo più di quanto gli altri possano definirci e, troppo spesso, di quanto noi stessi possiamo farlo.
Questo saggio rappresenta proprio il risultato di tale percorso di studi per diventare Analogista5; tappa personale importante di questo viaggio affascinante e arricchente che è la vita, in cui tutti, nessuno escluso, saremo solo e sempre discepoli.
Per la stesura del testo, sono partito dall’idea di agevolare un proficuo dialogo6, tra le Discipline Analogiche e il cinema, strumento e arte, che fin dagli albori ha saputo entrare analogicamente in dialogo con lo spettatore; in cui un’immagine, come si suol dire, vale più di mille parole. Ogni disciplina, ogni arte, però, ha il suo linguaggio, la sua tecnica. Proprio per questo ho cercato di offrire, lungo il percorso, presupposti metodologici e strumenti lessicali adeguati per entrare in tale dialogo, in maniera realmente efficace, mettendo in campo tutta la ricchezza degli studi delle Discipline Analogiche, in particolare attraverso la lente privilegiata della Filosofia Analogica7.
Nell’analisi del film scelto, userò l’indagine che definisco stratigrafica. Aggiungerò e suggerirò, cioè, elementi importanti nel corso dello svolgimento del nostro saggio, come un archeologo che tenta di riportare alla luce quanto nascosto dai secoli o nel nostro caso, dal velo delle parole, delle immagini, delle metafore, dei simboli, della logica. Tornerò infatti più volte a parlare del film in questione e quindi solo apparentemente dello stesso argomento, col solo scopo di aggiungere elementi diversi o di preparare la strada all’illustrazione di altri, sempre tenendo presente l’intento di fondare un dialogo costruttivo e mutuo tra le Discipline Analogiche e il cinema.
Il volume consta di tre sezioni, idealmente utili a compiere questo percorso di analisi. Nella parte iniziale del lavoro, infatti, ho voluto scrivere una prima sezione (che comprende i capitoli I - II - III), preliminare all’analisi vera e propria del testo filmico, seminando quei presupposti, che formano la base e gli strumenti, dell’indagine che intendiamo operare. Chiaramente non viene detto tutto, né delle Discipline Analogiche, né tanto meno del cinema, ma solo ciò che riteniamo funzionale alla comprensione della nostra interpretazione. In questa sezione introdurrò e spiegherò termini che userò quale riferimento costante in tutto il saggio e che vanno, pertanto, ben spiegati al fine di avere un terreno lessicale e semantico comune, tra chi scrive e chi legge.
Nella successiva sezione del lavoro (con il capitolo IV), mi sono dedicato alla descrizione, di un primo livello narrativo, del film Moonlight, di Barry Jenkins8, che ho scelto per tentare questo dialogo. Nei vari trailers, il film ci viene mostrato come una rappresentazione dei dolori e delle gioie dall’infanzia all’età adulta, di un giovane omosessuale che combatte per vivere in libertà la sua sessualità. Vedremo, però, che il film comunica molto di più di questo. Sembra ovvio dirlo, ma qualsiasi film è fatto per essere visto e scrivere di un film non è mai cosa semplice. Risulta, pertanto, fondamentale accedere a quelle immagini che rendono magico il dialogo tra lo spettatore e la narrazione filmica. La descrizione che facciamo in questa sezione, non è la mera sceneggiatura, che sarebbe risultata sterile alla sola lettura. Partendo dalla descrizione di ciò che vediamo, infatti, inserisco, fin da subito, sottolineature, suggerimenti, interpretazioni, riguardanti sia la tecnica cinematografica, sia le Discipline Analogiche, cercando di costruire un humus fertile, che ci renda possibile il passaggio al livello successivo.
Passaggio, questo, che compio nella terza sezione del saggio (con il capitolo VI, più esteso dei precedenti e le Conclusioni), in cui cerco di entrare nel metalinguaggio filmico e compiere descrizioni semantiche che vadano oltre il semplice racconto filmico. In alcune parti del volume, ho dovuto necessariamente dedicare paragrafi esplicativi delle Discipline Analogiche, per rendere capace il lettore, anche chi non conosce affatto le discipline benemegliane, di intuirne almeno le profondità e di poter maggiormente comprendere il percorso di interpretazione che opero con questo studio.
Il film in questione, Moonlight è una pellicola che è stata tanto acclamata da alcuni, quanto bistrattata da altri. La mia scelta va al di là delle semplici ragioni del piacere o non piacere, anche se devo dire che mi è piaciuto e non poco. L’ho trovato, infatti, capace di offrirmi la possibilità di esprimere interpretazioni di cui un testo aperto
, come un film, dovrebbe poter fare. I grandi autori non spiegano tutto, ma lasciano spazio all’interpretazione dello spettatore. Quello spazio privilegiato, diventa suscettibile di interpretazioni personali variegate, affascinanti, oniriche, come d’altro canto è variegato, affascinante e onirico il mondo del cinema e delle emozioni. Ciò non vuol dire che una interpretazione corrisponda necessariamente alla verità di ciò che il testo filmico vuole dire. Non esiste una verità assoluta in questo ambito, anzi su uno stesso tema o sulla medesima scena potrebbero esistere varie e diverse interpretazioni, quanti sono gli spettatori. La stessa dinamica si crea quando sostiamo davanti ad un’opera d’arte visiva o ascoltiamo un brano musicale o contempliamo lo spettacolo della creazione.
Come avvertenza per il lettore aggiungo che la tematica centrale e più evidente del film, quella dell’omosessualità, non è affatto il tema centrale del presente libro. Lo abbiamo già scritto, a nostro parere il film racconta molto di più. Nel senso che il nostro scopo non era fare un libro sull’omosessualità e una sua disamina dal punto di vista filosofico-analogico, teologico, psicologico, sociologico, cosa che avrebbe aperto ad altro tipo di indagine ed approccio. Il focus del volume è stato quello di entrare, con delicatezza, nel disagio personale, familiare, sociale, di un bambino che diventa uomo e tutto ciò che questo vuol dire per la sua vita emozionale e quotidiana che, come quelle di tutti noi, è alla ricerca della felicità. Senza dubbio e forse anche per questo, il volume può risultare utile a genitori, educatori, analogisti, psicologi, animatori pastorali, catechisti, quale approfondimento personale, per entrare con maggior consapevolezza nelle dinamiche umane che fanno parte, seppur in modi differenti, di ciascun essere umano e alle quali bisogna sempre approcciarsi con grande rispetto e delicatezza.
Un’ultima annotazione riguardo al linguaggio del film. Nelle sezioni in cui si descrive maggiormente il testo filmico e i suoi dialoghi, abbiamo, ovviamente, lasciato il linguaggio, talvolta molto crudo, per come lo ascoltiamo nella narrazione. In un lavoro accademico e di studio come questo, sarebbe stato assurdo e disonesto intellettualmente, oltre che ottuso e pregiudizievolmente scorretto, edulcorare il linguaggio dei personaggi per renderlo più accettabile o inserire il fatidico bip, con omissis che avrebbero reso ridicola ed ipocrita una indagine, che al contrario tenta di non partire da alcun pregiudizio e soprattutto di prendere avvio dalla realtà dei protagonisti e di quanto il regista ci mostra.
Auguro a chiunque leggerà questo libro, di provare la stessa emozione e lo stesso entusiasmo che ho provato io nello scriverlo, perché non c’è nulla di più affascinante e meraviglioso dell’entrare nelle pieghe nascoste delle nostre emozioni, che in maniera del tutto unica ci ricordano chi veramente siamo e riescono a proiettarci al di là di quella maschera9 sterile che ci siamo o ci hanno messa addosso e che indossiamo ogni giorno, al solo scopo di non avere paura!
1 Nelle Discipline Analogiche usiamo tale termine per una sorta di facilità di comprensione, ma possiamo chiamarlo in modi diversi: io bambino, istinto, ombra.
2 Uso il termine, seppur in un campo semantico diverso, nel suo significato più pregnante: persona che ha trovato rifugio in luogo sicuro; individuo che, in seguito alle vicende del proprio paese (che in questa nostra metafora equivale al nostro vissuto), ha ottenuto asilo politico in un paese straniero.
3 Cfr.
C. Risé - F. Borgonovo
, Vita Selvatica. Manuale di sopravvivenza alla modernità, Lindau, Torino 2017, p. 17. Mentre leggevo questo testo mi è nata l’idea della trasposizione del magnifico poema di Eliot, dal mondo materiale (su cui si sofferma l’autore), a quello emotivo.
4 Stefano Benemeglio, padre delle Discipline Analogiche. Psicologo, ipnologo, ricercatore studia il comportamento umano e le emozioni fin dagli anni ’60, dapprima con l’osservazione e le ricerca sui meccanismi dell’ipnosi sotto il profilo del comportamento emotivo e successivamente con la definizione di un modello pragmatico di Ipnosi Dinamica e con la decodifica di un vero e proprio linguaggio di comunicazione profonda con l’istanza emotiva, la Comunicazione Analogica Non Verbale.
5 L’Analogista è un professionista d’aiuto che si avvale di una vasta conoscenza delle Discipline Analogiche, frutto delle scoperte di Stefano Benemeglio, cioè delle leggi e delle regole che governano i linguaggi emotivi e le dinamiche sistemiche dell’uomo. Supporta e facilita, anche per mezzo dell’Ipnosi Analogica Benemegliana il percorso di crescita personale ed evolutiva dell’interlocutore.
6 Il termine è centrale ai fini di tutto il lavoro.
7 Che insieme alla Fisioanalogia, rappresenta quegli studi di eccellenza nel percorso formativo nelle Discipline Analogiche. Cfr.
S. Benemeglio
, C’era una volta l’ipnosi. Storia di una rivoluzione, Om Edizioni, Bologna 2018, pp. 45-96.
8 Moonlight, di Barry Jenkins, basato sull’opera teatrale In Moonlight Black Boys Look Blue, di Tarell Alvin McCraney. Il film ha ottenuto 8 candidature e vinto 3 Premi Oscar, primo film con tale tematica ad ottenere questo riconoscimento, nonché il primo con un cast totalmente composto da afroamericani. Un premio ai Golden Globes, 4 candidature a BAFTA, 5 candidature e vinto un premio ai London Critics. In Italia al Box Office Moonlight ha incassato nelle prime 4 settimane di programmazione 1,3 milioni di euro e 175 mila euro nel primo weekend. È considerato dalla critica cinematografica uno dei film migliori della storia. Si veda a tal proposito l’URL: Movie Releases By Score, su Metacritic, 12 settembre 2017 e Top 100 Movies of All Time, su Rotten Tomatoes, 12 settembre 2017.
9 Torneremo ancora su questo termine, alla fine del nostro percorso.
Sezione Prima
I. Preludio
1. La cifra preziosa delle emozioni nascoste
Mi sono sorpreso infinite volte a guardare le onde del mare. Seduto in solitudine, sulla spiaggia, in quel lasso di tempo che chiamiamo tramonto, in cui magicamente tutto l’orizzonte assume colorazioni via, via, diverse, talora sfumate, altre accese, variopinte, fino ad arrivare a mescolare il cielo del giorno col cielo stesso della notte, che comincia a far posto alle stelle. Rapito dal momento, sono spesso rimasto incantato dalle onde che incessantemente si muovono.
Quante domande nascono: Da dove vengono? Quante storie raccontano? E soprattutto quali storie stanno raccontando a me in quel preciso momento?
Certamente, chi volesse padroneggiare il linguaggio del mare, potrebbe studiare approfonditamente quale tipo di onde siano, quale moto abbiano, il livello delle maree e tutti quei dettagli tecnici e dati scientifici che tramite misurazioni, rendono possibile una certa descrizione delle onde.
2. Stupore
Di fronte ad un tale spettacolo, però, ciò che in quel momento a me interessa non è cercare di dare un nome al tutto o ai suoi vari elementi, ma restare lì, in ascolto dello stupore che nasce davanti al mistero. Non è semplice stupore, ma quello che definisco in un mio saggio sulla teologia e il linguaggio, come stupore radicale
1, capace cioè di suscitare un movimento di commozione fin nella e fin dalla radice più profonda dell’uomo. Questa attitudine trascende, infatti, la conoscenza sensibile, anzi, oserei dire, che la stessa conoscenza è impedita in qualche modo dalla mancanza di stupore:
Il più grande ostacolo sulla via della conoscenza proviene dallo spirito conformistico con cui accettiamo nozioni convenzionali, clichés mentali. Un senso di meraviglia o di profondo stupore, uno stato di disagio verso parole e nozioni, sono pertanto il presupposto per una autentica consapevolezza di ciò che esiste2.
Nel campo delle Discipline Analogiche tale processo appare chiaro, anche