Nomen omen
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Anteprima del libro
Nomen omen - Claudia Marras
Claudia Marras
Nomen omen
Edizioni Effetto
www.edizionieffetto.it
Claudia Marras
Nomen omen
©Edizioni Effetto
tutti i diritti riservati
Prima edizione digitale marzo 2020
ISBN 9788835385899
Copertina: progetto grafico di Roberta Sanna, disegno di Miracle Sanna Cotza
Quest'opera è protetta dalla Legge sul diritto di autore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.
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Indice dei contenuti
NOMEN OMEN
PRIMA PARTE
1 Archè: il principio
2 Opposti
3 Conoscersi e riconoscersi
4 Carrela ‘e ‘nanti e Carrela ‘e segus
5 Spuma di mare
6 Rachele
7 Il battente
8 La lettera
9 Messaggi
10 Sentimenti
11 Palindromo
12 Trasformazione
13 Ordine e caos
14 Forze opposte
15 Ciò che è verità l’anima lo sente
16 Odio
17 Controllo
18 Porta d’ingresso
19 Dominio
20 Luce e oscurità
21 Oscurità e luce
SECONDA PARTE
1 Bonorba, 11 novembre 1526
2 Esilio
3 Il castello di Sassari
4 Julia
5 Ada
6 Le segrete
7 Sos verbos
8 Maestrale e scirocco
TERZA PARTE
1 L’unità ripetuta
2 11 novembre 2002
3 Il pranzo
4 Venti
5 Nomen omen
6 Palindromo
Ringraziamenti
NOMEN OMEN
Claudia Marras
Lo scrivere, per poco che valga, mi ha aiutato a passare da un anno all’altro,
perché le ossessioni espresse si attenuano e in parte vengono superate.
Sono certo che se non fossi stato un imbrattacarte mi sarei ucciso da un pezzo.
Scrivere è un enorme sollievo.
Emil Cioran
A Pietro e Giuseppe
PRIMA PARTE
Una notte di un giorno qualsiasi, il vento soffiava talmente forte che mi impediva di dormire, così, non riuscendo a prendere sonno, iniziai ad ascoltarlo. Mi narrò una storia, ma prima di acquietarsi mi disse che non potevo tenerla per me; e poiché da allora sono passati diversi anni, è finalmente giunto il momento di raccontarla.
1 Archè: il principio
Era il giorno di san Martino. Eleonora aveva rotto le acque da undici ore e nel cielo l’aria sembrava impazzita, con un vento freddo che soffiava da nord-ovest e uno caldo da sud-est. Maestrale e Scirocco avevano percorso molti chilometri prima di giungere a destinazione, si contendevano il cielo e la terra ma non per averne l’egemonia, almeno non quel giorno; erano giunti insieme come se si fossero dati appuntamento e insieme agitavano ogni cosa sul loro cammino.
Eleonora, nella sua stanza da letto, camminava in preda alle doglie, sentiva la necessità di muoversi e non riusciva a stare sdraiata. Essendo Rachele, la madre, una brava ostetrica, aveva deciso che avrebbe nuovamente partorito in casa, come per le prime due figlie Chiara e Beatrice. Più si avvicinava il momento del parto, più le sembrava che i venti bussassero alla porta e picchiassero sui vetri per poter entrare; e poi si sentiva esausta, il suo corpo era madido di sudore, perdeva liquidi da ogni poro e i suoi capelli sgocciolavano.
«Non c’è aria, mamma, apri la finestra.»
«Lo farei, ma mi sa che sta arrivando una brutta tromba d’aria.»
Claudio era il più nervoso anche se cercava di calmare le bambine, che impaurite e affascinate dal fischiare forte delle correnti, fuori e dentro casa, ogni tanto si staccavano dal padre e andavano alla finestra del soggiorno a godersi lo spettacolo dei mulinelli di polvere che si alzavano in cielo, formando affascinanti spirali che si disperdevano nell’aria. Le strade erano deserte, tutti erano in chiesa per festeggiare il santo patrono. Costretta dal vento a stare chiusa in casa, Francesca, la sorella di Eleonora, telefonava di continuo per assicurarsi che tutto procedesse bene e Claudio dall’altra parte del filo la rassicurava, con le figlie che lo abbracciavano in cerca di protezione.
«Per ora procede tutto bene, Fra’, ma il vento di oggi è davvero anomalo, è meglio che te ne resti a casa. Come dici? Sì, sì, tranquilla, certo che ti faccio sapere.»
Nel frattempo sua moglie continuava a muoversi per la stanza concentrandosi sul respiro, fermandosi ogni tanto per sorreggere con le mani il peso del suo ventre, con le doglie sempre più ravvicinate e un dolore intenso che non le dava tregua. Il suo unico desiderio era di urlare con tutta l’aria che aveva nei polmoni. Improvvisamente, allo scadere dell’undicesima ora di travaglio, si bloccò al centro della stanza.
«Eccola, ci siamo, vuole uscire.»
Sorretta da Rachele, che l’aiutò a sdraiarsi sul letto, finalmente urlò dando libero sfogo a tutto il fiato di cui era capace.
«Ah! Tirala fuori, mamma! Non ce la faccio più!»
Rachele si accorse che la nascitura era girata e si presentava podalica. Dio mio , pensò, non può essere, non ora . Il suo viso si rabbuiò e iniziò a sudare freddo, poi si guardò attorno cercando qualcosa o qualcuno che potesse aiutarla.
Nello stesso momento, il prete si stava affacciando all’uscio della chiesa con la statua del santo patrono per dare inizio alla processione, ma lì fu costretto a bloccarsi perché quell’apocalisse in scala ridotta impediva a lui e ai fedeli di uscire. Tra i banchi, donne e uomini iniziarono a pregare, con le orecchie tese e i volti sgomenti per ciò che sembrava essere l’inizio di una violenta bufera di vento.
Eleonora sentiva i venti battere ancora più forte alla finestra mentre Rachele cercava di mantenere la calma tentando di fare la manovra per far girare nuovamente la bambina, e tuttavia la prima si rese conto che qualcosa non andava.
«Che cosa succede?»
Un istante dopo si voltarono entrambe verso la finestra, con tutta la casa che vibrava e la sensazione che i vetri non avrebbero retto a lungo. Rachele distolse lo sguardo e continuò la sua manovra finché Eleonora non urlò di nuovo, di paura più che di dolore.
«Qua esplode tutto!»
E l’esplosione in effetti avvenne. Innumerevoli schegge volarono per la stanza e Rachele si buttò sopra Eleonora per proteggerla dalla pioggia dei frammenti, nessuno dei quali, miracolosamente, le colpì. I venti entrarono nella stanza e presero a girare vorticosamente, scaraventando Rachele da una parte e sollevando in aria Eleonora. Claudio, sentendo il frastuono, cercò invano di forzare la porta, ma le poderose correnti la tenevano ben chiusa. Mentre levitava, Eleonora si sentì investita da un’aria calda e fredda insieme; poi la paura e l’ansia attenuarono la morsa e lei finalmente si rilassò senza opporre più resistenza: accolse i venti nella vagina, che entrarono e portarono fuori la neonata, facendo sì che entrambe si trovassero sospese nel vuoto, unite dal cordone ombelicale. Esausta, svenne davanti a Rachele, che in un angolo assisteva impotente alla scena, indecisa se essere affascinata o inorridita alla vista della nipotina che stava nascendo da sola e podalica, come se venire al mondo al contrario fosse nella sua natura. La neonata non emetteva alcun suono e intanto Scirocco e Maestrale volteggiavano, stringendola forte con grandi braccia d’aria. Rachele tese le orecchie in attesa del pianto e finalmente il primo vagito arrivò, con i venti che lo fecero risuonare per il paese annunciando a tutti la nuova nascita.
Il sacerdote, che fino a quel momento non si era fermato un solo minuto nella recita delle preghiere, si zittì e alzò gli occhi al cielo. I fedeli seguirono il suo sguardo e videro il grande mantello della statua di san Martino volteggiare nel soffitto, e intanto una vecchia vestita di nero, che si trovava vicino alla balaustra, aprì una delle porte laterali e uscì: il mantello la seguì sgusciando in un istante fuori dalla chiesa. Parroco e devoti urlarono all’unisono, precipitandosi verso le porte che però i venti chiusero prima che chiunque altro potesse uscire.
«Sacrilegio!» urlò il prete con tutta la sua voce.
Per la prima volta fuori dal ventre materno, la bambina sentì il vento entrare in lei da ogni poro e in quel preciso momento, rapido e irreversibile, ebbe per il vento lo stesso attaccamento del neonato per la madre.
Una volta fuori, il pericolo per la neonata fu scampato; i venti la deposero piano nelle braccia della madre e poi, sempre con molta delicatezza, adagiarono entrambe sul letto. La bambina ebbe un tremito e solo allora i venti lasciarono la stanza. Tornati all’aperto, soffiarono forte spezzando l’aria nei fili elettrici, facendo riecheggiare il loro ululare come una melodia che agli orecchi di tutti giunse chiaramente nella forma di una ninna nanna. Poi ogni cosa si acquietò.
Finalmente Rachele poté alzarsi e si avvicinò a Eleonora, che lentamente aprì gli occhi; madre e figlia si guardarono chiedendosi se tutto ciò fosse accaduto realmente o se fossero state vittime di un’allucinazione comune, ma i vetri rotti e la finestra spalancata che continuava leggermente a sbattere confermarono l’accaduto. Eleonora accarezzò la sua creatura, la guardò a lungo ed ebbe forte l’intima consapevolezza di aver partorito la figlia di un’altra, provando una sensazione molto dolorosa. Rachele abbracciò figlia e nipote.
«Tranquilla, la bambina è qua, sta bene» le disse la madre senza comprendere la vera ragione di quelle lacrime.
In mezzo a questi pensieri, Maestrale e Scirocco si accomiatarono portandosi dietro una storia fatta di sogni e speranze sussurrata in una terra ventosa. Eleonora annusò la figlia.
«Sei graziosa, piccolina. Ti chiamerai Anna e io ti amerò con tutta me stessa.»
La piccola sapeva di fresco e di caldo insieme, aveva la potenza dei venti che ora volavano sul mare blu cobalto, era stata accolta dalla terra per narrare la sua storia e per lei era stato scelto un nome che rafforzava la sua doppia essenza: Anna, che al contrario era ugualmente Anna, come i venti antagonisti, come il maestrale e lo scirocco, come il parto che la diede alla luce. Lei calda e fredda, lei secca e umida, lei e il contrario di lei, nata per percorrere un viaggio verso l’anima. Dopo che Rachele ebbe reciso il cordone ombelicale, fu presentata al padre che la prese tra le braccia per mostrarla a sua volta alle altre due figlie, che mai avrebbero dimenticato il giorno in cui i venti impazzirono nei cieli del paese. Grazie a quella pazzia venne al mondo Anna, che senza esserne consapevole avrebbe spesso chiamato a sé i venti, come una figlia chiama la madre quando sente di avere bisogno di aiuto.
Era l’11 novembre del 1991, finalmente l’estate di san Martino scaldò il paese e i fedeli poterono uscire dalla chiesa. Per la prima volta la processione ebbe luogo con il santo privo del suo mantello rosso porpora, che però quella notte, durante i festeggiamenti, tornò miracolosamente sulle sue spalle. Per i mesi successivi questo fatto, insieme con i venti anomali della giornata, diventò il principale argomento di discussione in tutte le case del paese.
2 Opposti
Quando, l’11 novembre del 1992, Anna compì un anno, un grande temporale squarciò il cielo alle prime luci dell’alba ed Eleonora si svegliò. Al suo fianco, Claudio dormiva ancora. Del marito invidiava il sonno pesante, che lei aveva perso dieci anni prima con la nascita della primogenita. Ascoltò la pioggia battente farsi sempre più lieve, poi, non riuscendo più a prendere sonno, si alzò e controllò che le bambine dormissero tranquille. I suoi pensieri tornarono indietro a un anno prima e un leggero brivido percorse la sua schiena. Dalla nascita di Anna, l’ansia non l’abbandonò un solo secondo: ogni volta che soffiava il vento aveva paura che potesse entrare in casa e portarle via la sua piccola.
Si affacciò alla finestra e le nuvole iniziarono lentamente ad abbandonare il cielo; con l’uscita del sole, un arcobaleno gigante le regalò una visione che le scaldò il cuore. Che gran pittore è il nostro Dio , pensò osservando lo spettacolo dalla finestra della cucina con in mano una tazzina di caffè fumante. Finì di fare colazione e il silenzio della casa le parve un sogno, quel piccolo momento fatto di profumo di caffè, colori del cielo e quiete per le orecchie fu una piccola tregua al suo tormento.
Avrebbe potuto continuare a godersi quella situazione piacevole, ma l’ansia tornò a galla facendola tornare indietro nel tempo, quando la ginecologa decretò la sua infertilità e lei si sentì precipitare nel vuoto. A quel tempo avrebbe tanto voluto essere madre, al punto che vedere altre donne spingere una carrozzina o camminare tenendo la mano dei propri figli le causava un dolore immenso. Se non avesse procreato non avrebbe potuto vivere. E se sua madre aveva aiutato tante donne durante la gravidanza e il parto, a lei invece spettava una vita senza una manina da tenere, con il seno inutile, senza latte, vuoto come quello di una pecora da macello. Così si sentiva e a nulla valsero le parole del marito, della madre, delle amiche. «Questo non può essere l’unico scopo della tua vita, della nostra vita» le aveva detto più volte Claudio. «Puoi sempre percorrere la via dell’adozione» le ripeteva spesso la madre. Però non era ciò che lei voleva e desiderava.
Diventare madre divenne per lei una lotta incessante con i suoi pensieri: «Signora, la sua è un’infertilità idiopatica. Sono passati due anni ma non riesce a rimanere incinta, nonostante non ci sia alcuna causa organica né sua né di suo marito. Noi siamo qua per aiutarla, però a questo punto deve decidere quale strada percorrere.»
Decise di percorrere altre strade. Nel suo peregrinare trovò una casa e una porta, entrò e prese la sua decisione. Ancora però non sapeva che il dolore che si prova per un figlio mai nato è niente in confronto al dolore per un figlio che nasce e che si potrebbe perdere. Ora viveva nell'attesa che qualcosa di funesto accadesse. Si malediceva ogni giorno per essere stata lei stessa l’artefice della storia che, passo dopo passo, si srotolava sotto i suoi piedi.
Nel frattempo l’arcobaleno era sfumato e lei si riprese dai pensieri e finì il caffè. C’era una giornata nuova da vivere, l’aveva programmata a dovere, niente quel giorno doveva andare diversamente da come lo aveva immaginato. Era venerdì, giorno del patrono e festa per tutto il paese.
Per prima cosa avrebbe preparato la torta. Aspetterò che si sveglino tutti e dopo ci metteremo al lavoro , pensò. Dal giorno prima le bambine aspettavano di poter impastare, assaggiare e coprirsi di farina, tra un sorriso e una probabile sgridata. Pensando alla prospettiva di quella giornata si sentì più leggera e, seppur per un attimo, provò felicità, poi si guardò le mani che l’avevano accompagnata per quarant’anni e si strofinò il viso e gli occhi, qualche secondo di buio per tornare alla luce e alla realtà. Tre figlie, un marito premuroso, la casa, il lavoro, tutto avrebbe potuto procedere per il meglio se solo fosse riuscita ad accantonare quei maledetti pensieri. Verso le sei del mattino il cielo si stava di nuovo coprendo e iniziò a piovere nonostante la presenza del sole, quando il pianto di Anna la riportò alla vita presente. Le successive due ore le trascorse con lei.
«Tua nonna Rachele mi raccontava che quando piove con il sole vuol dire che una coppia di volpi si sta sposando. Ho sempre amato questa storia, mi piace pensare che l’amore appartenga a tutti e che ogni essere vivente possa decidere di unirsi per la vita intera. Le storie di tua nonna sono molto belle, avrebbe dovuto scriverle, magari lo farai tu per lei quando sarai più grande. Cosa ne dici? Ti piacerebbe?»
Dal suo seggiolone, la bambina guardava la madre, sbatteva un giocattolo e lo buttava a terra. Ogni giorno alle sei il suo orologio biologico la svegliava e due ore dopo si riaddormentava, e anche quella mattina il copione si ripeté. La sua testolina iniziò a cadere di lato finché la stanchezza la vinse e si riaddormentò. Alle otto si alzò Claudio e, come sempre nei giorni di festa, trovò il suo caffè fumante sul tavolo e la moglie indaffarata a riordinare la cucina.
«Buongiorno, amore. Sei già all’opera?»
«Buongiorno. Se non avvio il lavoro non riuscirò a combinare granché. Ho da preparare la torta e vorrei farlo con le bambine.»
Claudio sorseggiò l’ultimo goccio di caffè, poggiò la tazzina nel lavandino e si avvicinò alla moglie, l’abbracciò alla vita, poggiò la testa nell’incavo del collo e l’annusò a lungo; il profumo che emanava il suo corpo lo faceva andare su di giri e lei lo sapeva bene. Rimasero avvinghiati per qualche minuto, Claudio si staccò a fatica: tre figlie in dieci anni, dieci anni dedicati alla famiglia e poco tempo da dedicarsi, ma per fortuna potevano contare su Rachele e Francesca. Per le bambine la nonna e la zia erano un pozzo d’amore a cui attingere sempre, ogni volta che i genitori non potevano occuparsi di loro; per Anna in particolare, negli anni la nonna sarebbe diventata un’ancora di salvezza, un pilastro, una figura ferma per il suo animo ventoso.
Con la sveglia al resto della famiglia la giornata si riempì di nuovi rumori, risate, bisticci e giochi. Preparare la torta divenne una vera impresa ed Eleonora la monitorava dal vetro del forno sperando che lievitasse a dovere. Dopo un’ora raggiunse la giusta cottura, sembrava bellissima, ma dopo pochi minuti implose e si accasciò su se stessa con grande delusione delle bambine.
«Non abbattiamoci, con la crema pasticcera e il resto della guarnizione la salveremo.»
Eleonora si armò di coraggio e la torta fu salva. Di pomeriggio arrivarono nonna Rachele, zia Francesca e altri amici con cui condividere il primo anno della bambina. Dopo la pioggia della mattina, un vento leggero mandò via le nuvole e la giornata divenne bellissima. L’assenza di vento fece decidere di sistemare il piccolo rinfresco in giardino, con le bambine al settimo cielo perché potevano correre e giocare a nascondino con gli amici. Verso le sei fu l’ora della candelina: Anna era eccitata e continuava a urlare «Io, io!» per paura che qualcun altro potesse spegnerla al suo posto. Gli invitati si disposero in cerchio e, stonando come sempre, cantarono tanti auguri a te, tanti auguri ad Anna, tanti auguri a te.
La candelina fu accesa, ma prima che Anna potesse soffiarci sopra una corrente d’aria la spense. A nulla valsero i vari tentativi di riaccenderla. Ogni volta che la bambina si accingeva a soffiare, correnti d’aria improvvise l’anticipavano. Rachele pensò di tenere d’occhio i bambini supponendo che qualche birichino soffiasse al posto della nipote, ma, se così fosse stato, il suo sguardo indagatore l’avrebbe beccato di sicuro e comunque nessuno cercò di spegnere la fiammella. Claudio riaccese e riaccese la candelina ogni volta, incitando Anna, e in questo modo si andò avanti per dieci tentativi, finché la candelina non divenne un mozzicone deforme e la torta fu imbrattata di cera. La bambina osservò gli invitati e, presa dall’ira, prima che la piccola fiamma venisse di nuovo spenta la colpì con la mano.
«Ventacci monelli!» disse affondando la mano nella crema.
Infilandosi di soppiatto tra gli invitati, i venti volevano giocare con lei e le sussurravano nell’orecchio: «Tanti auguri, piccina,