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Il richiamo della Dea
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Il richiamo della Dea
E-book423 pagine6 ore

Il richiamo della Dea

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Info su questo ebook

In una colonia lontana istituita da un antico popolo i guai sono in agguanto.


La giovane telepata Axandra viene scelta come matriarca e sovrana di Bona Dea, nonché ospite di un’entità misteriosa e potente conosciuta come la Dea. Cercando di proteggere il suo popolo che ama e allo stesso tempo riluttante di ospitare la Dea, Axandra lotterà contro il destino. Capirà presto che è solo una pedina tra due fazioni e inizierà a sospettare una cospirazione più grande di lei.


Ben presto il futuro di tutta la colonia sarà a rischio. Axandra avrà la forza per proteggere il popolo? L’aiuto del suo caro amico Quinn sarà abbastanza forte per salvare la fragile anima di Axandra?

LinguaItaliano
Data di uscita24 ott 2023
ISBN9798890086457
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    Anteprima del libro

    Il richiamo della Dea - Elizabeth N. Love

    1

    Cambiamenti

    Gli ultimi esemplari della razza umana ricrearono la loro nuova casa sul pianeta Bona Dea, il quarto pianeta delle dieci stelle binarie che orbitavano costantemente in un valzer guidato dalla forza di gravità. Tredici navi viaggiarono verso un nuovo mondo per iniziare una vita libera da persecuzioni e povertà. Avevano localizzato un pianeta temperato occupato da molte specie animali, ma privo di alcun tipo di civiltà.

    La nostra storia inizia nel ventunesimo giorno del mese di trimonte, dopo 307 anni dall'atterraggio delle navi generazionali.

    Qualcosa solleticò il cervello di Axandra. Si ricordava la stessa sensazione che aveva provato decenni prima, quando era solo una bambina. Sapeva cosa significava: la Dea stava arrivando. Il frammento l'aveva chiamata, come un radar e lei aveva seguito quel richiamo fino a lei.

    Lasciando il suo cottage dopo aver detto al marito come scusa che usciva per una breve passeggiata, Axandra andò alla spiaggia e aspettò. La sabbia sotto i suoi piedi scalzi irradiava il calore della giornata di sole, anche se era tramontato più di un'ora prima. Nel cielo notturno brillò una luce in lontananza, tra le centinaia di migliaia, ognuna come un piccolo puntino di luce, un'incredibilmente piccola frazione della loro vera dimensione. Anche se in alcune notti ci aveva provato, non avrebbe mai potuto contarle tutte nemmeno in una vita intera.

    Il puntino di luce, appena sopra l'orizzonte ad ovest, sembrava volare appena sopra l'oceano. Più si avvicinava, meno sembrava una stella. Il piccolo puntino si fece più grande, grande quanto una lucciola e poi sempre di più fino a diventare della dimensione di un pugno. Un luccichio si rifletté sull'acqua e poi sulla sabbia.

    Axandra respirò profondamente e affondò i piedi nella spiaggia. Aveva aspettato anni per quel momento, sin da quando da bambina era fuggita dalla protezione dei profeti, quando il suo nome era Ileanne. Tentò di prepararsi per quello che sarebbe successo quando la Dea l’avrebbe finalmente trovata. Il globo di luce si fece abbastanza grande da avvolgerla completamente del suo bagliore, mentre volava sopra la spiaggia bianca. Prima che potesse reagire e farsi scudo era già sopra di lei.

    La sensazione si espanse dentro di lei mille volte più forte del frammento. Crollò a terra. Il suo corpo tremava a contatto con la sabbia ruvida mentre il luccichio la avvolgeva di scintille. Axandra provò a lottare contro la sua presa, ma le aveva immobilizzato gli arti e paralizzata con la forza. Con un bagliore finale accecante la lucentezza entrò nel suo occhio sinistro. Annaspava alla ricerca disperata di aria, mentre un’ondata orgasmica le scorreva nei nervi, mescolando dolore e piacere in euforia. Un ronzio le riempiva le orecchie e generazioni di esperienze e ricordi si riversarono nel suo cervello. Immagini che non aveva mai visto prima le accecavano gli occhi. Ogni sua sensazione era interna eppure così vivida da offuscarle ogni senso. I ricordi dell’infanzia perduta diventarono improvvisamente chiari e vividi. La curiosità la incitò a voler vedere tutto, sempre di più, ma scorrevano troppo velocemente per riuscire a comprenderli. Sentendosi sopraffatta, la sua mente si spense.

    1 UNIMONTE 286

    «Non voglio stare qui!»

    Con le nocche bianche per lo sforzo, Ileanne gridava e si aggrappava alla mano della madre. Una profeta pallida le toccò le spalle come per consolarla, ma non avendone mai visto uno Ileanne balzò indietro dallo spavento. I mistici si segregavano dal resto della popolazione e lei sapeva solo che servivano la protettrice in un modo magico che la spaventava.

    Elora si accovacciò all’altezza della figlia di sei anni. «Devi restare, tesoro mio. I profeti ti insegneranno tutto quello che devi sapere per diventare la protettrice quando sarà il tuo turno. Per favore non piangere,» la pregò la madre, tenendola tra le braccia. «Mi stai spezzando il cuore.»

    Dopo diversi minuti di consolazione, Elora incorniciò il viso di Ileanne e la guardò dritta nei suoi occhi verdi. «Andrà tutto bene.»

    Dietro quella donna così dolce e delicata c’era il padre di Ileanne, un uomo alto e rigido che non proferì parola. Guardava a malapena la figlia con la sua tipica espressione. Se ne stava lì in piedi con le mani unite davanti a lui e si contorceva le dita, aspettando impazientemente che la scena finisse.

    La ragazzina tenne le labbra sigillate, rifiutandosi di salutare, perché non voleva che la lasciassero. Si asciugò le guance con la mano, ma le lacrime calde continuavano a scendere fino alle pieghe delle labbra. Aveva il viso freddo e umido.

    Anche la madre piangeva, ma esortava la sua unica figlia a restare con quegli estranei. Ileanne vide lo sguardo pieno di dolore sul viso della madre, una terribile espressione di tristezza. Per un attimo odiò i suoi genitori per averle girato le spalle ed essersene andati via.

    Sotto la grande tempesta, il vento frustava il terreno, facendo vorticare la sabbia. Mentre il motore dell’auto iniziò a ronzare, lo stesso cancello che si era aperto per permettere l’ingresso della loro macchina nel rifugio riapparve come per magia. L’auto scomparve dentro la tempesta, apparentemente intoccata dalla sabbia. Fulmini scagliavano il cielo, tuoni colpivano il terreno e cose volavano in ogni direzione.

    Eppure, quel vento burrascoso se ne stava alla larga dal rifugio, come se la buona Dea proteggesse con le sue mani la montagna per ripararla dall’aria. I tuoni erano smorzati e i fulmini restavano nel cielo. Un guscio di pace si estendeva nel mezzo della tempesta.

    «Benvenuta, Ileanne. Io sono Jala.» Le disse la profeta, sorridendole gentilmente nella speranza di facilitare la transizione. La profeta aveva i capelli castano chiaro legati in una treccia morbida che le scendeva lungo la nuca. Il colorito del suo viso era quasi bianco, tipico dei profeti la cui pelle non veniva mai toccata dal sole. «Vieni con me. Dobbiamo prepararti per stasera.»

    «Cosa accadrà?» chiese Ileanne, con i piedi riluttanti a muoversi. Jala la prese per il polso e la strattonò fino a farla camminare.

    Stasera sarà molto speciale, pensò Jala. Stasera imparerai quale vero onore rappresenta poter essere la protettrice.

    Protettrice. Quella parola non le diede un senso di realizzazione, come sarebbe dovuto essere, anzi, la fece solo sentire arrabbiata e afflitta. Tutta la sua vita aveva guardato la madre, la protettrice, lavorare ogni ora di ogni giorno, messa a dura prova fino al punto di rottura. Molte notti aveva ascoltato i suoi genitori urlarsi contro amaramente. Alle volte la madre nemmeno c’era, perché stava viaggiando per il paese. Pensando a quelle cose Ileanne si accasciò sullo sgabello dove era stata piazzata e si conficcò le unghie nel palmo della mano. «Oh.»

    Jala continuava a intrecciare i capelli della ragazza e dopo aver finito aiutò Ileanne a cambiarsi i vestiti in una semplice sottoveste grigia con un odore metallico che le pungeva gli occhi.

    Sono così fiera di te, Ileanne. Stai per imbarcarti in un viaggio fantastico che non immagini nemmeno.

    Ileanne aggrottò la fronte mentre Jala la conduceva in una grande sala dove molti dei profeti erano radunati. Il suo piccolo corpo iniziò a tremare nervosamente. Nella stanza gli anziani erano disposti in silenzio davanti a una grande piattaforma in pietra.

    Uno degli anziani la portò sull’altare e Jala la aiutò a sedersi sopra il bordo, presentando poi l’uomo dai capelli grigi come Tyrane, il loro capo.

    Ileanne si guardò attorno verso la grande collezione di occhi concentrati su di lei e non riuscì a trattenersi dal tremare. Tra di loro vide il volto di un uomo familiare. Si ricordava di averlo sognato una volta e nel sogno lui era venuto nella sua stanza e l’aveva baciata gentilmente sulla fronte, il gesto più gentile che qualcuno le avesse mai dimostrato.

    «Rilassati, bambina,» disse un altro anziano, facendola sussultare.

    Tyrane si avvicinò alla piattaforma con passi decisi, un sorriso che gli curvava le labbra di una dolcezza nauseante che fece accelerare il battito cardiaco della bambina. «Ileanne, come tua madre prima di te, e tutte le sue madri prima di lei, ospiterai la Dea. Lei ti guiderò nel tuo percorso e ti aiuterà in tempi difficili.»

    Confusa e terrificata Ileanne aggrottò la fronte. Non voleva niente dentro di sé. «Di cosa state parlando?»

    Qualcuno entrò nella stanza portando con sé una piccola scatolina d’argento. La superficie liscia della scatola luccicava come da un potere all’interno.

    Tyrane offrì la scatola a Ileanne per poi istruirla, «apri il contenitore e apprendi così lo scopo della tua vita. La Dea vive nei suoi prescelti e ora, vivrà anche dentro di te.» Tyrane le scoccò un altro sorriso e i suoi occhi rifletterono la luce del bagliore della pietra.

    Ileanne scosse la testa facendosi piccola piccola. Senza volerlo sentì la sua mano alzarsi dal suo grembo. Non si stava muovendo, eppure poteva vedere le sue dita allungarsi verso quel metallo levigato. Quando gli si avvicinò per toccarlo sentì un formicolio all’altezza della nuca e a mano a mano che diminuiva la distanza cresceva quella sensazione spiacevole, fin tanto da pensare che si sarebbe ammalata. Qualcosa di invisibile le afferrò la mano quando tentò di resistere a quella forza, tenendola ferma finché le sue dita non toccarono la scatola. La superficie era calda al tatto e le bruciò le dita. Il coperchio sembrò come sciogliersi e la scatola rimase aperta tra le sue mani. All’interno c’era un piccolo e luccicante specchio e Ileanne ci vide il suo viso e i suoi occhi verdi.

    Poi qualcosa di incredibile accadde. Mentre si guardava iniziò a brillare di una luce violacea. Una perla luminosa, come una lucciola, si sollevò e si diresse verso i suoi occhi e dopo un bagliore finale scomparì. Nello specchio le sue iridi cambiarono colore, da un verde pallido a un viola come nel cielo sereno.

    Una sensazione come di solletico alla testa. Ridacchiò. Un brivido sulle labbra e prurito al naso.

    Ciao, giovane, disse una voce dentro di lei. Non era quella di uno dei profeti, perché non veniva dall’esterno. Non era sicura di come lo sapesse, ma la voce era solo diversa.

    Ciao, replicò in risposta, la voce interna sembrava leggera e debole. Cosa sei? Dove sei?

    Faccio parte della tua famiglia sin da quando è finito il viaggio. Vengo da molto lontano ma ora vivo con tua madre. Questo è un frammento di me, così che il resto di me possa trovarti quando servirà.

    Le parole e frasi si sovrapponevano l’un l’altra nella sua testa e passarono diversi minuti prima che potesse dare un senso a quello che la cosa cercava di dirle. Il suo cervello si riempì di immagini di oggetti e posti in cui non era mai stata. Volò attraverso lo spazio senza una nave, passando stelle e pianeti. Viveva in un mondo sporco, colorato di una strana polvere arancione e terriccio nero. Viaggiò in una nave da sola di nuovo nello spazio. Ogni vita le era mostrata in una tempesta di piccoli pezzi, tutti stipati nella sua testolina.

    Delle mani la sorressero, impedendole di cadere, così i suoi occhi si concentrarono nuovamente sul viso nello specchio.

    I suoi occhi erano come quelli della madre ora, viola. Smise di sorridere. Non voleva essere come sua madre. E con quel pensiero il petto le si riempì di paura.

    Non voglio essere lei.

    6 UNIMONTE 286

    «Se ne è andata?» urlò Elora con il viso delicato distorto dell’orrore. Gli occhi violetti versarono lacrime sulle guance rosse. «Avete perso la mia unica figlia! Vi ho affidato la sua sicurezza e voi mi avete tradito!»

    «Abbiamo guardato ovunque, vostra altezza,» la informò Tyrane, con gli occhi pieni di scuse giustamente rivolti a terra. «Abbiamo cercato per giorni interi.»

    Elora marciò lungo la stanza con le braccia rigide lungo i fianchi per la rabbia. I suoi respiri gemevano tra i denti. Si fermò e puntò il dito verso il vecchio. «Giorni? Perché non mi avete avvertita che era sparita?»

    «Non volevamo allarmarvi se l’avessimo ritrovata,» si spiegò lui, realizzando immediatamente il suo errore. L’ira della madre gli si scagliò addosso dall’altra parte della stanza, colpendolo come uno schiaffo.

    «Tu…!» urlò Elora, fissandolo incredula. «Tu bugiardo! Non voglio vederti MAI più! Nessuno di voi!»

    Sollevò un libro pesante dal tavolo e glielo scagliò contro. Il libro lo sfiorò sulla destra, atterrando senza fare danni con un rumore sordo sul tappeto. Poi afferrò un vaso che lanciò dritto contro la sua testa. Riuscì a schivare anche questo mentre la porcellana si infrangeva contro la porta con un fracasso assordante.

    «Fuori di qui! Fuori! Non ti avvicinare più a me!»

    «Protettrice, c’è ancora tempo per avere un altro figlio. Patrum può…» iniziò a dire Tyrane, allungando le braccia come scudo contro il successivo oggetto volante, un altro libro. Gli colpì gli avambracci, lasciando un livido sui gomiti. «Ti aiuteremo noi.»

    «Non posso!» urlò Elora piena di rabbia. «Non lascerò che nessuno di voi mi tocchi mai più! Fuori! Guardie! Guardie!»

    La porta sbatacchiò dietro di lui, ma l’aveva chiusa dopo essere entrato. Da un momento all’altro le guardie avrebbero buttato giù la porta per entrare.

    «Protettrice, vi imploro. Lasciate che vi aiutiamo ad avere un altro…»

    «No! Non vi lascerò avvicinare!»

    Dei pezzi di legno gli colpirono la schiena e cadde a terra in un’ammucchiata di corpi. Le guardie gli portarono le braccia dietro la schiena, alzandolo da terra come una bambola.

    «Portatelo fuori di qui!» ordinò Elora indicando con il braccio sinistro la direzione dell’uscita. «E non fatelo mai più entrare.»

    «Sì, signora,» acconsentì una guardia.

    Facendo girare Tyrane le guardie lo guidarono rozzamente giù per le scale, verso il corridoio centrale e poi fuori dalla porta principale dove la sua macchina e il suo accompagnatore aspettavano il suo ritorno. Il giovane uomo corrugò la fronte confuso per il trattamento indegno dell’anziano.

    «Casa,» dichiarò semplicemente Tyrane, dando segno di non voler discutere ulteriormente della cosa. I due profeti uscirono dalla città e rientrarono nella tempesta.

    Non venne più trovata alcuna traccia di Ileanne. I suoi genitori temevano che avesse avuto un incidente dentro la tempesta e che quindi fosse morta, il corpo disintegrato dai colpi della sabbia. Dopo quasi un anno di ricerche dell’intero continente, le persone accettarono che non avrebbero mai saputo cosa le fosse successo.

    21 TRIMONTE 307

    Axandra si svegliò all’alba ancora distesa sulla sabbia con la marea che le bagnava i piedi. Ogni nervo le doleva. Rotolando di lato si coprì la faccia, bloccando i raggi luminosi che si stagliavano nel cielo a est della sua casa. Non era sola perché la Dea riposava nella sua mente, una presenza tranquilla per il momento. La testa le pesava come un macigno sul collo, rimanendo a terra respirò contro la sabbia, che le invase la bocca ricomprendo la lingua. Non riusciva a sopportare il peso del suo corpo sotto la forza di gravità.

    «Axandra?» urlò qualcuno dal cottage.

    Jon doveva aver capito che non era più tornata a letto la sera prima. La chiamò di nuovo, con la voce che svaniva mentre si girava nella direzione opposta. Aprì la bocca per chiamarlo, ma ne uscì fuori solo un gracidio. La bocca e i polmoni erano aridi, ma con un gemito si alzò in ginocchio. Ogni muscolo tremava come gelatina.

    Jon si precipitò verso di lei, urlando il suo nome ripetutamente mentre si avvicinava. Le ginocchia di lui colpirono il terreno accanto a lei, sollevando della sabbia che le colpì la pelle con un dolore pungente.

    «Axandra, va tutto bene? Che è successo? Che ci fai qui fuori?» Le mani di Jon la afferrarono e la aiutarono ad alzare la testa da terra. Un’ondata di oscurità la attraversò sentendo il suo corpo girare e per sorreggersi allungò le mani in avanti sulla sabbia. I capelli scuri le coprirono il viso dalla luce del giorno. Le dita di Jon gentilmente le misero una ciocca di capelli dietro l’orecchio così da poterla vedere. «Sembri malata. Ti hanno punto?»

    Tossendo per la secchezza della gola e la sabbia, Axandra riuscì ad annuire miseramente. Essere punta sembrava una buona spiegazione. Il pulsare del suo corpo le ricordava la puntura di una medusa. Al buio avrebbe potuto pestare una di quelle creature orribili. Le meduse blu rilasciavano una potente dose di tossine che, anche se non era fatale, faceva stare male un uomo della stazza di Jon per giorni. Con i polmoni pesanti provò a calmare la tosse secca inspirando aria fresca.

    Spostando le braccia Jon cullò la sua amata e la sollevò dalla sabbia. «Andiamo dentro. Mi dispiace di non essere stato qui prima, ero andato a letto, non pensavo…»

    Si incolpava per non averla controllata la scorsa notte, facendola restare lì incosciente per ore. Appoggiata a lui, smise di lottare contro il dolore nel suo corpo e cercò di farlo uscire.

    Jon la mise a letto. L’aria sembrava più fresca e odorava di fiori di campo che aveva raccolto il giorno prima. Axandra chiuse gli occhi e rimase immobile, ascoltando il suono dell’acqua, degli uccelli e di Jon che sferragliava in cucina cercando tra le erbe per trovare la migliore per aiutare a contrastare la puntura di medusa. Si chiese se il rimedio l’avrebbe aiutata contro il dolore.

    Standosene a letto con Jon che si prendeva cura di lei, Axandra non aveva idea di quanto tempo fosse passato. Per la maggior parte era ignara di ciò che la circondava. Alternando momenti di veglia a momenti incoscienti si ritrovò in uno strano posto, come in un sogno. In una città di edifici così alti da bloccare il cielo, guardava rettili volanti planare in una giungla, dove gli alberi non esistevano. Il cielo notturno sembrava velato.

    Jon le lavò il viso con un asciugamano umido e le fece gocciolare sulla lingua del tè alle erbe. La miscela era amara e le ricoprì denti e gengive di uno strato oleoso. Verso sera le fitte ai muscoli si calmarono e le articolazioni si rilassarono. La mente annebbiata si schiarì.

    Jon rimase al suo fianco tutto il tempo, seduto sul bordo del materasso mentre la guardava. Aprendo gli occhi Axandra sentì come se si stesse svegliando da uno strano sogno e sentendo Jon sembrava preoccupato, con la faccia barbuta accigliata, si spostò in modo da poterlo vedere bene in viso.

    «Sarei dovuto restare sveglio fino al tuo ritorno,» si rimproverò, scuotendo la testa. «E se qualcosa…»

    «Sto bene,» provò a rassicurarlo, anche se la sua voce debole mancava di convinzione. Passandosi le mani sulla pelle si sentì decisamente sporca e l’idea di un bagno caldo fece capolino tra i suoi pensieri. Poteva già sentire il profumo dei saponi e degli oli e la sensazione delle bolle di sapone che scoppiavano al contatto con la sua pelle. Sbattendo le palpebre si concentrò sul presente.

    «Eri davvero uno spettacolo orribile sulla sabbia. Pensavo stessi morendo,» disse Jon angosciato. «Non volevo lasciarti nemmeno per andare dal guaritore. Non riuscivo a trovare dove ti avevano punto… per metterci le erbe sopra… quindi ho fatto un tè.»

    Con una smorfia amareggiata gli disse, «era disgustoso ma sembra aver funzionato.» Ridacchiò leggermente, divertita dalla sua preoccupazione. Sollevandosi posò le dita sulle sue guance abbronzate, accarezzandogli i baffi e la barba. «Grazie per esserti preso cura di me.»

    Jon si allontanò dal suo tocco, gli occhi improvvisamente spalancati. La sua mano aleggiava nello spazio tra di loro.

    «Cosa c’è?» chiese Axandra, lasciando lì la mano così che lui potesse riappoggiarsi. Ma Jon non si mosse verso di lei quindi lentamente la ritirò.

    «M-mi hai dato la scossa. Forse è la sabbia.» Si sforzò di sorridere, ma la sua labbra tornarono velocemente all’ingiù. Si allungò per prenderle la mano, ma si fermò incerto. «Riempio la vasca. Probabilmente ti sentirai meglio dopo un bagno.»

    Il suo compagno aveva sentito che qualcosa non andava. Mentre lasciava la stanza Axandra alzò la mano davanti a sé, fissando le linee blu lungo il palmo, cercando di individuare qualcosa di estraneo nelle sue vene. Solo sabbia, polvere e quel tè amaro.

    Sentì il rumore dell’acqua riempire la vasca di metallo nella stanza accanto. Non ne avevano una molto grande nel cottage vicino al mare, ma ci entrava piegando le ginocchia, mentre Jon di solito stava in piedi, usando il tubo dell’acqua per sciacquarsi con l’acqua calda. Sembrava impacciato se provava a sedersi.

    Sedendosi a letto ascoltava e aspettava il ritorno di Jon, pensando che l’avrebbe aiutata a levarsi i vestiti e a lavarsi. Di solito gli piaceva farle lo shampoo.

    «La vasca è piena,» disse. Uscì dalla camera e andò verso il salone, senza nemmeno lanciare uno sguardo nella sua direzione.

    La sensazione di affondare le appesantì il petto mentre sospirò. Pregò che il suo nervosismo sarebbe passato presto e che sarebbero tornati alla normalità. Non aveva intenzione di ritornare alla sua vecchia vita. La gente si sarebbe semplicemente dovuta arrangiare senza la protettrice.

    Usando le braccia per alzarsi dal letto, andò a farsi il bagno.

    23 TRIMONTE 307

    La maggior parte dei residenti di Port Gammerton si riunì per ascoltare le notizie ufficiali. Nella sala riunioni nella piazza del villaggio, le persone si sedettero su panchine di legno laccate disposte in file larghe. Le notizie ufficiose sulla morte della protettrice erano già dilagate qua e là tra i cittadini sotto forma di chiacchiere.

    Sentendosi ancora malata del giorno prima, Axandra si appoggiò a Jon, ma avvertì distintamente in lui tensione nel suo abbraccio e un forte desiderio di allontanarsi da lei. Anche se debole e desiderosa della sua consolazione, raddrizzò la spina dorsale e infilò le mani fredde tra le cosce, stando attenta a non toccarlo nuovamente. Sapeva che Elora, la protettrice, se ne era andata. La Dea poteva essere rilasciata solo con la morte dell’ospite. L’arrivo dello spirito le aveva consegnato quelle notizie senza dire una parola.

    Il sindaco del loro villaggio si rivolse al pubblico, agitò il braccio abbronzato dal sole per chiedere un po’ di silenzio. «Gente, ho notizie molto tristi. Molto tristi sì. La protettrice, la nostra stimata matriarca, è passata a miglior vita.» Annunciò la cosa con un tono cupo, gli occhi rivolti a terra. Diventò irrequieto mentre ascoltava i rantoli e gli scoppi di pianto che circondarono la stanza. Altri restarono in silenzio, sconvolti dalla notizia.

    Di nuovo, il sindaco alzò le mani chiedendo silenzio. «Questa è una notizia ufficiale direttamente dal consiglio. Hanno chiesto a tutti di concedere qualche momento per onorare il trapasso.»

    E così tutti si tranquillizzarono per qualche minuto, concedendo i loro pensieri per ringraziare la protettrice per tutte le sue buone azioni. Axandra poteva sentire quei pensieri, rendendo l’aria troppo pesante per poterla respirare.

    Poi le persone iniziarono con le domande. «Quando è successo?» chiese Nellie da un lato lontano nella stanza.

    Axandra si curvò mestamente sulla panchina sentendosi prosciugata. Tutta la mattina aveva lottato con le voci della sua testa e questo l’aveva sfinita. Le voci le parlavano dal nulla e ovunque. Alcune le riconosceva nei suoi vicini. Altre venivano da una distanza sconosciuta. Non stavano davvero parlando con lei, eppure era come se tutto quello che sentiva fosse pensato per lei. Le voci la distrassero ancora.

    Chi ci mostrerà la via ora?... Qualcuno è preoccupato… Cosa ne sarà della nostra pace?... Se solo la figlia fosse ancora viva… Quella povera ragazza.

    Strofinandosi le tempie, Axandra tentò di bloccare le voci. Da quando la Dea era arrivata, si era trovata incapace di anche solo formare una semplice barriera per chiudere la sua mente sensibile agli altri.

    Voleva così tanto appoggiarsi a Jon per ricevere un po’ di supporto, per prendere un po’ di forza dalla sua presenza. Si era allontanato di diversi centimetri da lei da quando si erano seduti. Continuava a ritirarsi, le mani infilate sotto le braccia e gli occhi puntati davanti a sé. Non la guardava nemmeno.

    «Era molto malata,» rispose il sindaco alla seconda domanda che Axandra non aveva sentito. «Il consiglio ci ha informati che stava così da mesi. La sua morte, sfortunatamente, era attesa.»

    «Sanno chi prenderà il suo posto?» chiese Janette, alzando la mano avvizzita dagli anni al di sopra della folla di teste per essere notata.

    Il sindaco scosse la testa di capelli brizzolati. «Non l’hanno detto, signora Nariss. Suggerisco di andare tutti a casa e di prenderci qualche minuto per onorarla. Il consiglio ci farà sapere non appena avranno ulteriori notizie.» Con queste parole, scese dalla piattaforma rialzata e se ne andò, curvandosi intristito mentre usciva dall’edificio.

    La folla si sparpagliò in piccoli gruppi. Alcuni uscirono dalla sala e si diressero a casa, altre invece rimasero, chiacchierando della tragedia. Axandra aspettò di vedere quello che avrebbe fatto Jon, che non si mosse subito.

    Janette, seduta accanto a lei, le toccò una spalla. «Oh, tesoro. Hai un aspetto terribile. La stai prendendo parecchio male.»

    Sembrava davvero così addolorata? Janette le toccò il braccio nudo e la mente della donna le si aprì completamente senza alcuno sforzo. Axandra indietreggiò leggermente.

    «Puntura di medusa,» annunciò Jon in tono deciso. «Sta male da allora.»

    «Ah, è così che si dice oggi,» commentò da lontano Dora, la compagna di una vita di Janette. «Sei stato tu quella medusa signor Jon? Direi che c’è qualcos’altro che causa quei tremori.»

    «Non è così,» Axandra negò con forza l’accusa che potesse essere incinta. Incontrò per un momento gli occhi di Janette. «È solo che non sono stata tanto bene negli ultimi giorni.»

    «Beh, c’è sicuramente qualcosa di diverso in te,» disse Janette. Non avendo dei figli propri spesso si preoccupava per Axandra come una madre apprensiva, senza pensare che la toccava senza pensarci o che sputava fuori commenti non richiesti. «Hai già visto la guaritrice? Forse ti può dare qualcosa.»

    Scuotendo la testa Axandra affermò, «passerà.»

    «Beh, mia cara, spero davvero che tu ti rimetta. Il nostro giardino ha bisogno ancora di cure. Sai,» Janette cambiò rapidamente discorso, «non credo di aver mai notato i tuoi occhi così brillanti prima d’ora. So che hanno sempre avuto quella insolita sfumatura viola, ma oggi sembrano incredibilmente più profondi.»

    Axandra alzò le dita verso la pelle morbida attorno agli occhi, come se potesse toccare il loro colore. «Immagino di doverlo prendere come un complimento.» Lo avrebbero notato anche gli altri?

    Janette ingranò un’altra marcia, rincarando la dose. «Mi dispiace così tanto per la protettrice… l’aver perso la figlia tutti quegli anni fa… quanti saranno, venti?»

    «Ventuno,» affermò Axandra troppo prontamente. Questo scatenò lo sguardo sospettoso di Janette su di lei. «Io, ehm, credo che siano ventuno,» balbettò, fingendo di saperne meno.

    «Ventuno,» echeggiò Janette. Tenne l’indice sul labbro pensante.

    Cadendo nel panico per la paura di aver detto troppo, Axandra tirò Jon per la manica. «Devo andare a casa.»

    «Va bene,» concesse Jon e riluttante aiutò Axandra ad alzarsi. Non appena fu in piedi però, la lasciò e si incamminò verso casa.

    «Quindi, quand’è che vi sposerete voi due?» chiese Dora a voce alta, senza scrupoli di alcun genere. Altre teste si girarono nella loro direzione. «State insieme da così tanto tempo, tanto vale che facciate questo passo.»

    Ignorando la vecchia signora, Axandra seguì Jon tra la folla che era rimasta.

    Nella piazza molti dei paesani si muovevano in modo disordinato, non del tutto sicuri se dovessero tornare al lavoro o andare a casa in lutto. L’unico servizio che veniva fornito al momento erano gli alcolici alla taverna.

    «Vado al pub per sentire cosa dicono i ragazzi,» disse Jon, con gli occhi che vagavano in quella direzione. «Ce la fai ad andare a casa da sola?»

    Axandra non si aspettava di essere abbandonata così velocemente. Aprì la bocca per dire di no, che aveva bisogno di lui. Non capiva perché l’istinto di Jon lo spronasse ad allontanarsi da lei, ma il bisogno di fuggire sovrastava ogni altra emozione. Chiudendoli di nuovo, annuì. «Andrà tutto bene. Ho solo bisogno di riposare.»

    «Grazie,» disse e velocemente la piantò lì. Jon lavorava spesso lì, cucinando e servendo il cibo ai viaggiatori e alla gente del posto.

    «Lascia che ti accompagni a casa,» disse una voce dietro di lei. Riconobbe la flessione di Lilsa. L’amica si fermò accanto a lei, guardando nella direzione di Jon. «Si comporta in maniera molto strana oggi,» osservò Lilsa, offesa per il fatto che nessuno poteva trattare una sua amica in quel modo.

    Axandra guardò il suo viso lentigginoso. «Non serve Lilsa, è troppo lontano per te.»

    «Sciocchezze,» disse liquidando il discorso. «Non mi dispiace. Non parliamo da una settimana visto che ti sei nascosta a casa.»

    «Non stavo molto bene,» offrì Axandra come scusa, poi si accigliò. Dicendo così avrebbe solo alimentato le voci della sua presunta gravidanza, non voleva che tutti pensassero fosse vero. «Perché ero malata.» Iniziò a camminare verso la strada che avrebbe portato al suo cottage, circa un chilometro fuori dal villaggio. Scelse consciamente di non girarsi per guardare Jon. Lilsa tenne il passo accanto a lei.

    «Non dare retta a quelle vecchie megere. Non sei decisamente incinta,» le disse Lilsa con sicurezza. «Sai che ho un certo talento per queste cose.»

    «Perché non sei diventata una guaritrice?» chiese Axandra, sapendo che le era stato chiesto di unirsi a quella professione un paio di anni prima, proprio come a lei, anche se erano entrambe un po’ più vecchie delle tipiche reclute.

    «Perché tu no?» chiese Lilsa contraccambiando, dando segno che avrebbe risposto se lo avesse fatto anche Axandra. Entrambe sapevano che ognuna avrebbe tenuto il segreto.

    «Beh, sono sollevata di sentirlo,» disse Axandra, tornando al discorso sulla diagnosi. «Non sono pronta per avere un bambino.»

    «Non pensavo… però non hai nemmeno l’influenza e ho sentito la tua storia sulla puntura di medusa. Non credo nemmeno a quello,» affermò la sua più cara amica. Lilsa si portò i capelli castani dietro le orecchie, anche se la brezza marina li scompigliò subito. «Jon non ti ascolta. Vuoi raccontarlo a me?»

    Non rispondendo immediatamente, Axandra camminava silenziosamente sulla strada stretta con Lilsa accanto. Lasciando il paese vero e proprio entrarono in un regno di foglie coriacee e alberi di magnolia tripetala. Un grande pappagallo colorato si appollaiò in un albero vicino a loro, guardando le due donne passargli accanto mentre se ne stava aggrappato a un ramo. Il vento forte proveniente dall’oceano faceva sbattere le foglie pesanti. Le onde avevano un suono dolce, attutito dalla vegetazione fitta. Camminavano da sole, perché fortunatamente quella strada era raramente percorsa tranne che dagli abitanti delle casette lungo il percorso.

    «Non so bene cosa dirti,» ammise Axandra, cauta nel non rivelare troppo. Rallentò il passo. Si sentì esausta per i suoi sforzi. Se la sua testa si fosse calmata un po’, forse sarebbe riuscita a dormire. Perfino in quel momento, accenni di voci echeggiavano nella sua testa. «Sono molto stanca. Non mi sento me stessa.»

    «Quando ha iniziato a comportarsi in modo così strano Jon?» chiese incalzante Lilsa. «Di solito ti adula, pronto a rispondere a ogni tuo capriccio. Oggi ti

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