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Diario di bordo: Deliri, piaceri e inquietudini fra cielo e onde
Diario di bordo: Deliri, piaceri e inquietudini fra cielo e onde
Diario di bordo: Deliri, piaceri e inquietudini fra cielo e onde
E-book107 pagine1 ora

Diario di bordo: Deliri, piaceri e inquietudini fra cielo e onde

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Info su questo ebook

Vizi e malumori, latitudini e fusi orari, turbolenze e mal di mare; sesso, dolore, karma, passato e futuro: Diario di bordo nasce così. Dalle mani di un esploratore provetto (per diletto e per professione), e si snoda in un arco temporale di otto anni, fra quattro continenti, in cielo, sull’acqua o sulla terra ferma, con un unico filo conduttore: la ricerca. Di cosa? Di un sonno senza mostri, delle passioni più sfrenate o semplicemente di un Io migliore.
La vita di un italiano emigrato a Cuba anni or sono. Un reportage sull’affondamento del Titanic. Il viaggio dei sogni in California e la scoperta di un paese dei Balcani. E poi ancora, l’amore per il surf, la testa persa per un amore impossibile e un tuffo in un remoto domani. Passando per il suicidio di una persona cara, e per una somiglianza davvero difficile da digerire.
Undici episodi di vita. Esaltante, complessa e a tratti contraddittoria. Piena di passi falsi e sorrisi forzati, carica di spietati confronti con la realtà, di mille dubbi, di pacche sulle spalle e di una sottile ironia. Una vita vera. Vissuta con qualche acciacco, ma goduta da cima a fondo.
LinguaItaliano
Data di uscita1 mar 2020
ISBN9788832926378
Diario di bordo: Deliri, piaceri e inquietudini fra cielo e onde

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    Anteprima del libro

    Diario di bordo - Carlo Chiodo

    Marx

    Dal Nuevo Vedado è tutto

    L’Avana, novembre 2011

    Reportage sulla vita di un italiano esule a Cuba dal 1985

    Prima o poi, un pezzo sull’Avana doveva arrivare.

    Una città che ti lascia il segno, per tutta una serie di motivi.

    Soprattutto quando ci torni un paio di volte al mese, e ti rendi conto che ormai la conosci quasi meglio del tuo paese.

    Si va in cerca di reportage, con un’unica condizione. Tutto, ma non cronache dei soliti baristi e ristoratori, o di chi si è trasferito qui inseguendo una donna. Storie scontate, quando si tratta di italiani all’estero.

    Accompagnato da un fratellone brasiliano (Fernando), comincia dunque la caccia, partendo da una taverna a due passi dal porto. Qui rimedio, non senza qualche difficoltà, indizi e indirizzi per cercare il nostro raccontastorie.

    Mister X abita nei pressi di un mercato all’aperto, dove espongono tanta di quella carne da far svenire un vegano, e il sudore dei macellai è più forte di qualsiasi fragranza alimentare che naso umano possa percepire.

    Non lo troviamo, ma grazie al più semplice degli stratagemmi (una manciata di cuc [1] ) riusciamo a rintracciare la sua casa.

    "No est á, risponde la moglie, che ci fa salire in casa. Lo facciamo chiamare e riesco a strappargli un appuntamento per la mattina dopo. Ti dedicherò un’oretta. Porta la fotocamera, puoi farmi tutte le foto e le domande che vuoi."

    Detto. Fatto.

    Prendo una penna, il mio inseparabile moleskine e un moderato grandangolo (ha una bella casa in terrazza) lascio il Melia Habana e raggiungo la sua abitazione.

    Stamani sono solo. L’alba ha appena inondato di luce la Habana Vieja.

    I tassisti fanno la conta di quanto gli ha fruttato la nottata, mentre mesti e sbronzi, turisti d’ogni dove tornano a dormire da una serata di bagordi, con la birra in mano, il capo chino e un livello di serotonina da crisi del ’29.

    Cani randagi scodinzolano pacifici, in mezzo a cumuli di cemento e spolverate d’erba su prati interrotti da mille buche. Non c’è cibo, ma il loro naso è fisso in basso a scovare qualcosa di commestibile.

    Le ragazze che hanno finito di deliziare la clientela sono radunate in gruppo all’angolo delle strade.

    Chiacchierano e ridono, come un gruppo d’amiche d’un paese libero, forti d’un pudore pressoché inesistente e di una coscienza nera, ma solo sulla carta, perché la loro impudicizia è scagionata dalla convinzione che sfamarsi concedendo il proprio corpo è cosa buona e giusta. E che se così non fosse, sarebbero costrette a vivere con l’equivalente di dieci euro al mese.

    "E spérame aquí, " faccio al tassista. Ci metterò al massimo un paio d’ore.

    Mi apre la porta e mi accoglie con sguardo fiero, porgendomi la mano come se mi conoscesse da tempo.

    Capello lungo e unto, sudato e a petto nudo, abbastanza in linea con l’immagine che avevo di lui.

    Ci sediamo in terrazza. L’aria è fresca e pulita, l’umidità del mediodía è ancora nel pieno del dormiveglia.

    Sono di Sanremo, ma vivo qui da vent’anni. Sei un giornalista?

    No. Un fotografo che vola. O uno steward che fotografa, devo ancora capirlo.

    Beh, comunque ho tanto da raccontarti. A cominciare dal quadro di quell’italiano tanto famoso che hai visto sul muro.

    Il nostro amico porta il cognome dell’eroe dei due mondi.

    Se non mi credi ti faccio vedere il passaporto.

    Tranquillo, mi fido. Non sono mica uno sbirro, anche se tutti dicono che ne ho la faccia.

    Ride.

    Ma dimmi una cosa. Sarai mica parente di…?

    Certo che no. All’epoca il nostro era un cognome comune, soprattutto in Liguria, ma non eravamo legati. Il mio bisnonno lo conosceva bene. Era un commerciante che distribuiva frutta e verdure al ristorante di suo papà, a Nizza, a inizio ’800. Si tramandava, nella mia famiglia, che Giuseppe non avesse gran voglia di lavorare, e spesso passava dal padre solo per batter cassa. Che avesse troppi grilli per la testa, e sognava le Americhe...

    E di lui qui a Cuba che dicono?

    Che è stato un vero eroe.

    Parlando di Garibaldi, conserva l’unica traccia di autostima legata alla sua italianità. Per la quale ha solo parole di rifiuto.

    Il suo nome di battesimo, mi chiede di non scriverlo.

    Perché lui non vuole che si parli male dell’Avana, dice.

    Lui (o El Tio) naturalmente è Fidel.

    La politica diviene così il filo conduttore della sua storia. D’altronde sarebbe impossibile scriver di Cuba senza parlar del regime.

    Ha fatto molto meno di quel che si possa pensare, credimi.

    Ah sì? E come mai da cinquant’anni la gente pende dalle sue labbra come fosse un semidio? chiedo, con una certa sfrontatezza.

    "Perché lui ha avuto le palle di piazzare dei bei missili giganti puntati direttamente su Miami. Aiutato da Mosca, certo, ma il culo in ballo era il suo, non quello dei russi. Una mossa coraggiosa, che gli ha conferito il rispetto di tutti i paesi anti-americani del mondo. Per tutto il resto non ha hecho nada. Niente, capisci?"

    Conosco discretamente la storia di quegli anni e la sua affermazione mi lascia un po’ perplesso. Ma chi, meglio di un disperato che vive a Cuba da quasi trent’anni, può sapere da che parte stia la verità? Potrei stentare a credere ai rapporti del bisnonno con Garibaldi, come alle sue versioni del regime. Poi però mi chiedo cos’ha da perdere, perché mai dovrebbe mentire.

    Ma allora per te, per voi cubani, insomma, cos’è il comunismo?

    Un sospiro lungo cinque secondi anticipa le sue parole.

    "Sai... al mondo esiste un oceano di distanza fra la progettazione teorica e la realizzazione pratica di un’idea. In teoria il comunismo è o meglio doveva essere la dottrina più bella mai concepita dall’uomo. Come la città ideale descritta da Platone nella Repubblica. In pratica, affacciati dalla mia terrazza e guardati in giro."

    Con le sue parole ben fisse in testa, penso a ciò che ho visto e continuo a vedere nelle mie soste a Cuba, facendomi un’idea del partito piuttosto tetra.

    Una dittatura che annienta lo spirito, tramortisce le iniziative e declassa gli esseri umani a un branco di soldatini di piombo, in mano a un Grande Fratello dal berretto verde.

    Se ti beccano a parlare male del governo ti fai tre anni al fresco.

    Mi mostra una fotografia.

    Lo vedi questo signore? Lui è stato il vero artefice della rivoluzione. L’unico aereo che è caduto in mare e nessuno ha mai ritrovato! Ride.

    Il signore di cui parla non è il Che, ma Camilo Cienfuegos, il vero alfiere rampante della RevoluciÓn.

    Sparito col suo aereo nel buio dell’Oceano Atlantico.

    Al che una grattatina di palle è d’obbligo, perché circa due ore dopo ho da fare qualcosa d’analogo (con l’equipaggio ci spostiamo a Punta Cana, su un aereo che sarà grande quanto un Ape Car).

    Entriamo nel suo ufficio.

    Possiede una società finanziaria di trasferimento denaro, una sorta di Western Union casareccia. E naturalmente ha anche un piccolo ristorante, che però apre un po’ quando gli pare (quindi la mia condizione iniziale è salva).

    Evito di chiedergli informazioni su come funzioni il suo trasferimento fondi, per non correre il rischio di incappare in uno scivolone (e magari farmi cacciare di casa), limitandomi a garantirmi un tavolo al suo ristorante, per l’equipaggio che verrà in occasione della mia prossima sosta.

    Il tempo di un caffè e il cantastorie riattacca la puntina al giradischi.

    "I giornali italiani non sanno un cazzo. I comunisti del

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