Le mille facce della stessa moneta
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Anteprima del libro
Le mille facce della stessa moneta - Francesco Nucera
Chaplin)
Scienza, religione e vecchi rimedi
Hai ventotto anni e non tolleri la divisa che indossi. Le strisce verticali bianche e nere ti fanno sentire un arbitro o, peggio, un gobbo
di merda. Vorresti strapparla e lanciarla addosso a quel coglione che continua a gridarti ordini attraverso l’auricolare che ti obbliga a portare.
Da circa venti minuti stai sistemando la stessa fila di magliette e per fortuna nessuno ti ha disturbato, ma la tregua sta per finire. Un tipo, alto al massimo un metro e sessanta, entra in negozio e si guarda in giro. Porta scarpe rosa senza lacci e un paio di pantaloncini da basket che gli arrivano alla tibia. Vorresti dirgli che sono troppo lunghi per lui e che nel reparto bambino troverebbe quelli della taglia giusta, ma i muscoli gonfi lasciati liberi dalla canottiera bianca, le fiamme tatuate sul collo e il tribale che gli circonda l’occhio ti fanno capire che l’ironia non dev’essere il suo forte.
Ti guardi in giro alla ricerca di Marta, ma la tua collega è impegnata con una vecchia che non sa nemmeno perché cazzo sia entrata in negozio. Sorridi perché lo sai: tu porterai a casa un insulto, mentre lei venderà alla vecchia tre paia di scarpe, una dozzina di calzini e dei lacci fluo
che nemmeno un dodicenne a un rave metterebbe. Perché Marta sa il fatto suo, invece tu hai una cazzo di voglia di mandare tutti a ’fanculo.
Carlo, il cliente è interessato alle scarpe. Vai e ricordati di fare almeno una doppietta scarpa/calza o scarpa/laccio. Sono due mesi che non ne fai una. Forza!
Ti avvicini a lui e monti il sorriso 2.0. Ti fa schifo tutto. Ti fa schifo lui, che sembra uscito dal ghetto americano mentre al massimo arriverà da Cesano Boscone. Ti fa schifo il negozio in cui lavori. Ti fa schifo il tuo capo, che urla nella tua testa. Ti fa schifo la vita di merda che ti ha costretto a fare il commesso mentre metti via i soldi per raggiungere Edo in Germania per fare il ricercatore. Ti fa schifo tua madre, che non fa che rompere i coglioni. E ultimamente ti fanno schifo anche i tuoi amici, con cui non esci da più di una settimana.
«Ciao, sono Carlo. Posso aiutarti?» chiedi.
«Sto guardando» risponde lui, dedicandoti la stessa occhiata con cui deve aver schifato la zingara che chiede l’elemosina in strada.
Sorridi e stai per andartene, ma la voce nell’auricolare ti sprona a non mollare.
Ricordati che sei un leone, sei tu a decidere cosa gli piace! Tira fuori gli occhi della tigre!, ti ordina la voce nella tua testa mentre fa partire Eye of the Tiger dei Survivor.
La musica ti rintrona e tu rispondi: «Come preferisci ma, se posso darti un consiglio, queste ti starebbero benissimo» afferri un modello grigio con una zeppa di dieci centimetri piena di brillantini dorati.
Lui guarda le scarpe che hai in mano, poi te, poi ancora le scarpe e solleva il sopracciglio.
«Mi stai prendendo per il culo?».
La sua domanda è lecita e tu avresti anche la risposta che lo farebbe infuriare, ma la voce sovrasta i tuoi pensieri: Ma che cazzo fai, non vedi che quello è un modello da donna? Digli che pensavi dovesse fare un regalo alla ragazza.
«Pensavo dovessi fare un regalo a tua madre e queste la notte possono fare da catarifrangente!» ti esce di getto e ti senti figo. È come se stessi buttando fuori la bile che hai sempre ingoiato. ’Fanculo quel lavoro di merda!
Una vena, sulla fronte del cliente, si gonfia e inizia a pulsare pericolosamente.
«Cerchi rogne?» ti chiede lui, afferrandoti per il colletto.
Ti fissa da venti centimetri più in basso, ma sai che se volesse potrebbe farti molto male. Tu non sei mai stato un tipo cattivo, l’ultima volta che hai fatto a botte andavi alle elementari ed Elena te le aveva date di santa ragione.
Cristo, che cazzo stai facendo? Tiragli un pugno!
Obbedisci, non sai se essere più stupito per l’ordine ricevuto o per il sangue che sporca la canottiera bianca del ragazzo. Gli hai rotto il naso; lui è piegato sulle ginocchia e, ai suoi piedi, si sta formando una pozza porpora che poi non sta nemmeno male con le piastrelle nere e le scarpe rosa.
Tiragli una ginocchiata. Finiscilo. L’ha mandato tua madre.
La tua rotula si infrange contro la sua fronte. Hai l’impressione che il tuo ginocchio si apra in due, ma è lui ad avere la peggio. Barcolla all’indietro e stramazza contro la scarpiera mandando a puttane il lavoro che avevi fatto questa mattina.
«Carlo, che cazzo fai?».
Ti volti e ti ritrovi davanti Stefano, il tuo capo. È sulla porta con in mano un cono gelato e ti guarda con gli occhi fuori dalle orbite.
«Quello che mi hai chiesto» rispondi placido.
Lui ti urta col gelato e si china sul cliente.
Infastidito, ti ritrai e guardi la macchia azzurra sulla tua maglietta. Pensi che non sopporti proprio il gusto Puffo e tra tutti quelli che ci sono lui doveva sporcarti proprio con quello.
Ti volti e guardi Marta con aria rassegnata, lei sembra sconvolta. Lo è talmente tanto che la vecchia con cui stava parlando approfitta della sua titubanza, molla le scatole che aveva in mano, e sgattaiola fuori dal negozio.
«Marta, chiama il 112. Carlo, dammi una mano!».
Le urla del tuo capo ti infastidiscono almeno quanto le macchie del gelato al Puffo.
Tira un pugno anche a lui!
Questa sì che è bella. Lui è davanti a te e agita le braccia sbraitando frasi a caso, ma nello stesso momento è nelle tue orecchie e ti supplica di pestarlo. Sorridi, appallottoli la maglietta a strisce bianche e nere e gliela lanci in faccia.
«Tieniti ’sta maglietta di merda, io me ne vado!» gridi, mentre con il piede gli fratturi uno zigomo. «A proposito: ’fanculo te e la Juve. Forza Lazio!» sputi ed esci dal negozio ancora a petto nudo.
Arrivi sotto casa e ti accendi una sigaretta. Inspiri a pieni polmoni e blocchi il colpo di tosse che ne scaturisce. Osservi la nuvola di fumo che si disperde nell’aria e pensi che vorresti fare come lei: far perdere ogni tua traccia. Ma sai che tua madre ne soffrirebbe troppo, lei non capisce il tuo bisogno di fuggire. In quel posto ti manca l’aria, non ti piace più. Osservi i palazzoni che ti circondano, molte finestre sono aperte, sui balconi ci sono altre persone che fumano, i cani abbaiano e i coglioni urlano. È tutto normale come lo è da quando sei nato; tutto merdosamente normale.
«Allora che aspetti, vieni con me!» la voce torna a farsi sentire. Sfili l’auricolare e ti guardi attorno. Sei troppo lontano perché possa funzionare eppure l’hai sentita. Provi a far finta di nulla, magari passa, è solo stress.
Che fai, mi assilli su Facebook e poi non mi caghi?
«Edo?» domandi sotto voce.
No, sono Papa Francesco!
«Perché non ti vedo?».
Ti guardi in giro, ma c’è solo un gatto che si ferma, annusa l’aria e poi si infila in un cespuglio.
Quindi, mi raggiungi in Germania?
«Non lo so, mia madre…».
Non dire cazzate, non è per lei. Tu hai paura di lasciare la tua sicurezza.
«Quale sicurezza? E poi lo sai che ’sto posto mi fa cagare».
Raccontalo a te stesso. Hai paura di cambiare e di accorgerti che sei tu quello inadeguato. Se resti qui non puoi fallire, la colpa sarà sempre degli altri.
«Certo che sei un rompipalle. Ti dico che ci verrei anche a piedi, ma non voglio lasciare mia madre da sola».
Portala con te!
«Certo, porto mia madre a Monaco? Ma smettila!».
Smettila tu! Non puoi rompermi i coglioni e poi tirarti indietro. Il posto qui c’è, ma non lo daranno a uno che si caga addosso. Finiscila di cercare alibi, prendi lo zaino, mettici dentro due cazzate e corri alla stazione.
«Lo capisci o no che non posso lasciare mia madre! Tu la fai facile, i tuoi sono morti!».
Sei un bastardo! Va bene, resta qui con quella che ti fa spiare.
Senti il sangue che ti si gela nelle vene e i tuoi timori prendono vita.
«Quindi è vero, mi stanno seguendo?» chiedi a un amico invisibile.
Hai ancora dei dubbi? Guarda la volante che sta arrivando; chi pensi che l’abbia mandata?
Alzi lo sguardo e vedi una pattuglia che si avvicina. Serri la mascella, inspiri per l’ultima volta e getti il mozzicone a terra. Ti alzi e, indifferente, cammini verso il portone.
«Scusami?!» chiama una voce alle tue spalle.
Ti volti e incroci lo sguardo del carabiniere, che si è sporto dal finestrino.
«Mi dica» abbozzi un sorriso.
«Sai se Carlo Trace abita qui?».
Potresti dirgli che non sei di zona, tirare dritto e camminare fino al capolinea del tram, ma poi?
«Sono io» rispondi d’acchito.
Il carabiniere strabuzza gli occhi, porta la mano alla pistola e farfuglia qualcosa. La macchina su cui è si ferma di colpo. Scende un altro gendarme.
«Dovresti seguirci in caserma» dice.
Con il maresciallo non è andata benissimo. Il sangue che avevi sulle nocche non deponeva a tuo favore e non l’hanno fatto nemmeno i due stronzi che sono arrivati dopo essersi fatti medicare in ospedale. Ma la cosa peggiore l’hai fatta riprendendo a parlare con Edo.
All’inizio pensavano fingessi, poi hai visto arrivare l’ambulanza e