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Roxane
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E-book361 pagine4 ore

Roxane

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Monte S. Angelo. Paese di quasi ventimila anime all'epoca dei fatti narrati, noto per il Santuario di San Michele, meta di pellegrinaggio fin dai tempi antichi. Meno nota, è una tragedia che si consumò verso la fine del XIX secolo, dal 1885 al 1888, e che colpì una delle famiglie più illustri e ricche del territorio.

Raffaele Basso, dopo aver militato nei Cacciatori dell'Ofanto, aveva partecipato alla lotta al brigantaggio. A trenta anni deputato del Regno d'Italia nell'XI legislatura tra le file della sinistra, fu rieletto nella XIII e XIV legislatura.

Roxane de Luca era di nobili origini. Discendeva in linea materna dai Filomarino della Torre e i Filomarino di Cutrofiano. Era stata educata a severi principi religiosi e morali.

Eppure tutto questo non valse a proteggerli dalle trame di sfruttatori che portò alla disgregazione della famiglia. Il romanzo è la ricostruzione della storia, resa possibile grazie all'analisi di documenti conservati negli Archivi di Stato. Ma è anche occasione per una rivisitazione, attraverso gli occhi dei protagonisti, della vita quotidiana dei nobili, dei proprietari e dei contadini nell'Italia Meridionale.
LinguaItaliano
Data di uscita8 apr 2019
ISBN9788831613125
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    Anteprima del libro

    Roxane - Giorgio Guarino

    633/1941.

    Introduzione

    I miei genitori, Pietro, figlio del Marchese Don Giuseppe de Luca e di Donna Rosanna della Posta dei Duchi di Civitella, e Lucia, figlia di Don Antonio Saggese, Marchese di Roseto Valfortore, e di Donna Teresa Filomarino dei Duchi della Torre, si sposarono nella Basilica di Foggia secondo le forme prescritte dal Sacro Concilio di Trento il 24 marzo 1843.

    Dopo meno di un anno, nacqui io, il 26 febbraio 1844.

    Il mio nome completo è Roxana, Maria Teresa, ma mi sono sempre fatta chiamare Roxane.

    Dei miei nonni, ho conosciuto solo la nonna materna, che per molti anni, prima di ritirarsi in Napoli, ha vissuto a Foggia nel palazzo Saggese. Forse per questo ha avuto grande influenza su di me il ramo femminile di mia madre. Infatti, mentre ho poche notizie sulle origini degli altri nonni, ho saputo molto di più sui Filomarino.

    Il retaggio ha le sue radici fin dai primi consoli di Napoli, nel IX secolo, al tempo delle guerre contro i Turchi. Molti ed illustri, per doti di governanti e principi della Chiesa, furono i miei antenati.

    Non sta a me raccontarne. Basti solo sapere quel tanto per far conoscere il perché della religiosità profonda nella nostra famiglia, fin da Marino, Arcivescovo di Capua, per questo detto il Capuano, amico di san Tommaso d’Aquino che lo tenne in grande considerazione, su con il papa Bonifacio IX, fino ad Ascanio Filomarino, cardinale di Napoli.

    Meno note, che io sappia, sono le doti di governo della cosa pubblica, rappresentate da Marco Antonio, governatore della provincia di Otranto, e di abilità guerriere, come Scipione, fratello del cardinale Ascanio, di cui si raccontava l’astuzia con la quale catturò il Gran Galeone del Sultano.

    Marco Antonio era vissuto fra il 1400 e il 1500 e fu il capostipite sia dei Filomarino di Cutrofiano che dei Filomarino della Torre. Si racconta che fece scavare un canale per meglio difendere la città di Taranto dagli attacchi dei Turchi, staccandola dalla terraferma.

    Scipione, suo discendente, circa due secoli dopo, con due vascelli turchi catturati precedentemente, si recò dove sapeva essersi arenato il Gran Galeone del Sultano. Prima, però, aveva innalzato le bandiere della mezzaluna e fatto indossare abiti turchi ai suoi soldati. Così potette avvicinarsi senza destare sospetti e catturare il vascello dopo averlo trainato in mare aperto.

    In tempi più recenti ha prevalso l’influenza delle donne. Per scomparsa prematura dei consorti, da qualche generazione hanno dovuto occuparsi di faccende riservate agli uomini.

    La mia trisavola, Lucrezia Sacrati nobile di Ferrara, rimasta vedova, dovette governare, in attesa che la figlia Marianna raggiungesse la maggiore età, i feudi del marito e Squinzano, pervenuto ai Filomarino di Cutrofiano dal matrimonio del duca Giovanni con la principessa Teresa Enriquez, ultima degli Enriquez di Castiglia. Non fu esentata Marianna, mia bisnonna. Era principessa di Squinzano, duchessa di Cutrofiano, di Campi e di Salice. Aveva sposato il lontano cugino Ascanio, duca della Torre. Avevano avuto otto figli, fra i quali mia nonna Teresa, quando Ascanio fu barbaramente ucciso nel gennaio del 1799.

    I Filomarino fuggirono nelle Puglie, dove nonna Teresa sposò nonno Antonio Saggese. Anche questi morì precocemente, lasciando alla moglie il doversi occupare delle proprietà, oltre che delle liti giudiziarie sorte tra gli ex feudi e gli ex feudatari, quale tutrice di mia madre Lucia, Marianna, Grazia e Pasquale, all’epoca ancora minorenni.

    Non c’è da meravigliarsi, perciò, se mio padre mi raccomandava, nella Lettera che mi donò il giorno del mio matrimonio, non occuparmi delle questioni di pubblico governo. Consigliere del Regno, in casa si può dire che dominavano le donne. Dopo di me, venne il 22 novembre 1845 Emilia; il 13 agosto 1847 Matilde; il 28 gennaio 1850 Cristina; il 5 marzo 1852 Adele.

    Finalmente, il 10 giugno 1854 nacque il maschio primogenito futuro Marchese di Roseto Valfortore, Giuseppe. Infine, il 5 agosto 1857, Antonio. Il 27 aprile 1863, quando ero già sposa, mia madre partorì due gemelle morte infanti.

    Non sarà stato facile, per lui, accettare il carattere volitivo di mia madre, Lucia Saggese. Certo grazie a lei non sono mancati in casa precettori ed insegnanti, in epoca in cui la cultura era privilegio solo dei maschi.

    A noi donne era affidato il compito di sposarci quanto prima, entrare in una famiglia al nostro stesso livello sociale e generare numerosa prole. Infatti fui data in sposa ad un ricco proprietario di Monte Sant’Angelo, Raffaele Basso. Forse era discendente della nobile famiglia Basso, originaria della Liguria. Ma non potrei giurarci. Mi sposai il 27 maggio 1862 con rito cattolico. Avevo diciotto anni.

    Roxane

    Novella sposa, lessi per la seconda volta questi fogli vergati di suo pugno dal mio onorato padre:

    26 maggio 1862

    Il Marchese Pietro de Luca alla Figlia Roxane nel dì delle sue NOZZE

    Carissima Roxane

    È giunto per te quel giorno, nel quale deve compiersi il primo decreto di Dio, per cui l’uomo abbandonerà padre e madre, e si attaccherà al suo consorte. Sì cara figlia, tu in questa sera istessa, ci abbandonerai per essere fra le braccia di un uomo che il tuo cuore desidera, e che la tua mente ti dipinge, come il solo essere capace di valutare le tue virtù, ed offrirti un avvenire di felicità. Segui coraggiosa il destino che Dio ti prepara. Dopo di averti allevata, educata ed equipaggiata a seconda delle mie forze, e coverta della mia paterna benedizione, null’altro mi rimane a fare per te. Mi chiederai forse in compenso dell’amore, che mi portasti, un presente di nozze?

    Ebbene accettilo dal padre tuo. Questi fogli vergati, saranno il mio donativo. Ponili nel tuo cuore, e quando la lontananza o un freddo marmo avrà fatto cancellare dalla tua mente la memoria dei tuoi affettuosi genitori, volgi uno sguardo su questo scritto, ed il tuo pensiero correrà ad essi. Quando le illusorie attrattive della gioventù saranno in te spente; quando i mali della vita verranno ad aggravarsi su te, consulta questo foglio, scritto da un uomo, che studiò la vita, e le sue miserie, ed ebbe un cuore. Ritroverai in esso la calma, ed il sereno dei tuoi giorni, se, venerando la volontà e la memoria dei tuoi genitori, ne seguirai i precetti.

    Rammentati pria di tutto che nascesti Cattolica.

    La religione dei tuoi padri sia indelebilmente stampata nell’animo tuo. Ogni tua azione prenda iniziative da Dio.

    I precetti del Santo Vangelo siano la fiaccola, che nel buio della vita guidi i tuoi passi pel retto sentiero, che ti condurrà alla perfezione. Quando le sventure, lagrimevole retaggio della nostra mortale esistenza, verranno ad intorbidare il sereno dei tuoi giorni, medita su quel libro Eterno. Ivi troverai una fonte inesauribile di pace, che indarno cercheresti nel mondo e nelle bugiarde attrattive.

    Nell’eccesso dei tuoi mali interroga la tua coscienza. Se la troverai pura e intemerata, rivolgi con fiducia il pensiero a Dio, ed un balsamo Divino verrà subito a lenire le piaghe dell’animo; se poi la troverai rea, accetta i mali come un’espiazione dei tuoi falli, umiliati innanzi all’Eterno che, Dio di pace e di misericordia, può solo cangiare in gaudi le lacrime tue.

    Ricordati sempre che traesti la tua origine da una famiglia onorata. Conserva gelosamente quel nome che i tuoi genitori ti trasmettono, e che essi medesimi ereditarono e conservarono a forza di immensi sacrifici.

    Anzicché consumare un atto indegno di questo nome, preferisci la morte. Non v’è sacrificio, o tormento, che possa giustificare la perdita dell’onore. Rifletti che l’uomo non nacque schiavo sulla terra. Le vicende di fortuna condannano molti a vita servile. Nel posto che andrai a occupare nella società, sarai circondata da questi esseri infelici. Sii con essi amena e CARITATEVOLE. Esercita la tua autorità su di essi in modo non far loro avvertire il peso della propria condizione. Fa che ti tributino venerazione per le tue virtù, e spontanea espansione di cuore, non per cortigianesca adulazione, figlia del bisogno e dell’avvilimento.

    Non essere ingiusta, né avara nel premiare i servizi che ti rendono. L’obolo che si toglie al povero, brucia le mani, e non ci frutta che rimorsi. Non giudicare mai del tuo simile, e nel parlarne sii giusta e castigata. Tutti gli uomini sono vittime delle passioni. Se chi imprende a censurare altrui, esaminasse pria se stesso, scorgerebbe forse non trovarsi egli immune dal difetto, che vorrebbe fare in altri rilevare.

    Cerca adunque covrir sempre gli altrui difetti, e scusarli. In tal modo appagherai i sentimenti della tua coscienza, e ti renderai accetta alla società, la quale in tutti i rincontri troverai indulgente verso di te. Il più bel requisito della donna è il cuore. Fatta per amare, e per essere il sollievo dell’uomo, essa rappresenta sulla terra una parete sublime. Non omisi nessuna cura, o cara figlia, per formarti il cuore, sta ora a te di saperlo conservare puro alla sua nobile destinazione.

    Tu vai in questo momento ad essere sposa. Oh! quanti novelli e sacri doveri cominciano per te! Col tuo imeneo vai a formare novella famiglia. Entra sotto il tetto del tuo sposo come l’Angelo della pace. Ama sempre e teneramente colui nelle cui mani vai ad affidare il tuo onore ed il tuo avvenire. Fa però che il tuo amore non si pasca di giovanili illusioni, che si dileguano come nebbia ai raggi del sole, ma venga alimentato da forti sentimenti dell’animo, figli di un affettuoso consorzio e di reciproca stima. Comprendi bene che gli uomini lasciati di buon ora a loro stessi, contraggono delle difettose abitudini. Se alcuna per avventura ne scorgerai nel tuo sposo, non elevarti censore delle sue azioni. Studia invece il suo cuore, circondalo di tue tenerezze, insinuati nell’animo suo, tempra con la mansuetudine i suoi giovanili trasporti, coltiva con le tue virtù i suoi nobili sentimenti, con i tuoi consigli eccita il suo cuore alla pietà. Non v’ha al mondo che il cuore di affettuosa moglie che possa riportar simili trionfi, poiché essa più che altri può conoscere quella corda sensibile, che scuote l’animo, e ne regola le passioni. Tu entri in una famiglia agiata e ciò ti mette nella possibilità, e nel dovere, di renderti giovevole al tuo simile. Comprendi bene che il denaro è fango nelle mani di colui, che non sa farne buon uso. La felicità, perfetta non si raggiunge sulla terra, ma è indubitato che dipende da noi il formarcela, procurando al nostro cuore delle dolci emozioni. Ogni atto di pietà opportunamente esercitato verso il simile, è un mezzo da abbellirci la vita.

    Bambina ancora, la vista di un mendìco ti faceva spavento, ora in questi esseri devi scorgere gli oggetti di tua felicità. Guardali con amore, stendi ad essi soccorritrice la tua mano, e sappi che ogni lagrima che asciugherai sul loro ciglio, cadrà come balsamo nell’anima.

    Non attendere sempre che soccorso ti sia domandato, se non vuoi che le tue elargizioni si limitassero ad incoraggiare i vizi d’innumerevoli accattoni. Vi sono degli esseri infelici cui fa ribrezzo lo stendere la mano, mentre tirano i loro giorni in uno spaventevole squallore.

    Non avere mai a schifo il tuo simile in qualunque stato o condizione si trovi. Di argilla siam tutti; lo stesso artefice ci formò, lo stesso destino ci attende. Non concepir mai odio contro chicchessia. È questa la più detestabile fra le umane passioni, poiché riduce l’uomo al perfetto livello coi brutti. Ama invece tutti come tuoi fratelli.

    Se un’offesa ti si faccia, dimenticala tosto, scusando il tuo offensore se ignorante, e confondendolo col tuo perdono se capace di comprendere tutte le indegnità del suo procedere.

    Non essere mai orgogliosa, né della tua nascita, né delle tue ricchezze. L’orgoglio, cara figlia, è una passione villana, che ci rende goffi, e ci espone al dileggio universale. Il nascere in una culla dorata è un caso, chi si crede superiore ad altri per nascita perde tutto il prestigio della sua nobiltà. Chi poi fonda il suo orgoglio su favori di volubile fortuna, fabbrica sull’arena. Pensa che le vere ricchezze sono le virtù, che allignano nei cuori onesti, e la vera nobiltà consiste nel saperla utilmente esercitare. Non lodarti delle tue fattezze, né fare rilevare giammai le altrui fisiche imperfezioni. Certamente il più bel requisito dell’uomo è la bellezza, ma è nel tempo stesso il più esposto al pericolo di perdersi. L’età, le infermità, e mille accidenti possono far cangiare la scena. In tal caso sarai da tutti compatita, se nell’epoca della tua ricchezza, avrai compatite le altrui imperfezioni, diversamente avrai il cordoglio di vederti derisa.

    Bada a non censurar mai le altrui suppellettili. Noi siamo esuli sulla Terra, ed il nostro retaggio comunemente è la miseria. Se ti trovi nella eccezione, se Iddio ti ha messa in florido stato, guarda con interesse l’altrui bisogno. La censura in tal caso è odiosa, è villana, poiché urta, mortifica nel tempo stesso gli infelici, che cadrebbero sotto la tua critica.

    Gli infelici però hanno a protettore Iddio, e guai a chi li insulta. La miseria è qualche cosa di sublime più che le ricchezze e lo splendore della terra, e chi non sa apprezzarla non può essere gentil uomo né cristiano.

    Non occuparti mai di politica. Gli affari di Stato non entrano nei doveri della donna. Assimilata ad una vite, essa deve spandere i suoi rami ubertosi lungo le pareti della propria abitazione, e non buttar fuori i suoi tralci. Tenera sposa, e madre caritatevole essa deve occuparsi della domestica felicità, e della cura di formare il cuore dei figli, onde la Patria abbia dei cittadini virtuosi, leali.

    Non entrare mai in polemiche col tuo sposo in fatto di pubblici affari e di politiche opinioni. Lascia che egli agisca per proprio convincimento. Limita i tuoi consigli a far sì che i suoi principi, quali si fossero, abbiano sempre a base la Religione, la morale, ed il benessere universale.

    Tu vai a far parte di un’altra famiglia, e da questa sera, prendi altro cognome, ciò ti procurerà novelli amici, novelli congiunti. Ama, e rispetta tutti, come parenti, ed amici dei tuoi genitori. È questa la prima prova di affetto che darai al tuo sposo, ed uno dei più rigidi precetti, cui tu debba obbedire. Non pronunziar mai parola, che potesse minimamente alterar gli animi dei tuoi novelli congiunti, e se la fiaccola della discordia ti abbia preceduta, mettiti angelo di pace in mezzo ai tuoi, e fa che ogni nube minacciosa dissipi al tuo apparire. Adopera le stesse anche per gli estranei, quando vincoli di amicizia, e riguardi personali te ne offrissero la opportunità. L’esercizio di questo dovere mentre arreca la pace sotto l’altrui tetto, contribuisce all’incremento della nostra domestica felicità. Bada a rispettare sempre le canizie. Ovunque si mostri ai tuoi occhi un uomo in bianco crine, circondalo della tua venerazione, tributagli quella tenerezza, e quell’amore che proveresti pei tuoi genitori in simile stato.

    Non desiderare mai maggiori ricchezze, né andare in cerca di onori. Contentati sempre del tuo stato. Se un ambizioso desiderio spingesse i tuoi pensieri fin nei saloni dei potenti, rivolgi subito lo sguardo verso la casa dell’onesto artigiano, ed allo squallido tugurio del povero, ed allora rivelerai subito la ingiustizia, e la poca moderazione dei tuoi desideri. Nei tuoi atti di pietà rifuggi da ogni ostentazione, se non vuoi perdere il merito dei tuoi benefizi. La pietà esercitata da un cuore generoso, si circonda di mistero per non umiliare il simile che si vuol beneficare. Opera in modo però da non far che il mistero vada tanto oltre da mascherare anche i tuoi figli il merito delle tue belle azioni. Nella tenera età si è più inclini ad imitare, che ad apprendere, e le prime impressioni nel cuore giovanile sono così potenti, che tutta la forza del vizio, e della corruzione, non giunge mai a cancellare. Metti quindi ogni studio, onde con l’esempio, e con le massime di sana morale, imprimere nei loro cuori sentimenti nobili e generosi, prima che il soffio pestifero del vizio giunga a deprecare semi di quelle virtù, che Iddio gettò nel cuore umano, e che spetta ai genitori far germogliare e fruttificare. Sii sempre umile. Accogli con grato animo gli altrui consigli, e seguili con confidenza, quando però li trovi consentanei ai moti di tua coscienza. Tutti, cara figlia, ne abbiamo bisogno. Per lunga che sia la vita, indefessi e gravi i nostri studi, vi è sempre molto da apprendere per avvicinarsi alla perfezione. Sii sempre modesta, se vuoi meritarti la stima del tuo sposo, e la simpatia generale. La donna, cara figlia, somiglia ad uno specchio. Tutti vi si mirano con piacere, se la sua luce rimane sempre limpida attraverso gli abiti, che possono appannarla. Non dubitare mai dell’altrui fede, e soprattutto di quella dei tuoi amici. Non è difficile che alcuno possa abusare di questo nome, ma non perciò ti è permesso dubitare di tutti. Chi dubita dell’altrui fede, dà prova di poca nobiltà di animo, e si rende immeritevole di pronunziare il santo nome di amico. Non essere mai indifferente, agli altrui dolori. Il cuore umano è simile ad una sorgente, le di cui acque, allacciate, fruiscono perennemente, lasciate a loro stesse si disperdono. Se non coltiverai, o cara figlia, i sentimenti spontanei di tua pietà, se cercherai attutire i moti dell’anima tua, il tuo cuore diverrà arido, e non più suscettibile di quelle dolci emozioni che ci rendono cara la vita. Affrettati quindi a rivolgere sempre di tuoi passi là dove vi è una lacrima da asciugare, un conforto da porgere. Vivendo in società non ti rendere singolare, rispetta gli usi generali, purché onesti. Sii sempre deferente per le persone che ti precedono in età, in grado, ed il meriti personali, ma non renderti mai schiava di umani riguardi.

    Non cedere mai all’altrui opinione, quando però iscorgerai essere questa contraria a sentimenti di tua coscienza, né autorizzare col silenzio gli altrui errori, quando ti si presentasse l’opportunità di confutarli. Vivendo poi nel privato, metti ogni studio onde la tua abitazione sia un santuario di virtù e di pietà. Non ammettere giammai in essa soggetti sulla morale dei quali non puoi fidare. Quando il cielo ti vorrà madre stilla nel cuore dei tuoi figli questi pochi precetti, che il padre tuo giovane ancora di anni, ma vecchio pur troppo per vita faticosa, ed agitata, ti va in questa sera dettando. Essi ti prepareranno la via a fissare un metodo di educazione, che abbia esclusivamente a base lo spiritualismo. Rifletti, o cara figlia, che, come le onde d’impetuosa corrente si travolgono nel nulla le dinastie, i troni, i regni, e le generazioni tutte sparse nell’universo, e nel dissolvimento generale non resta di immortale che Dio, e la nostra anima, la quale è pure una sua emanazione. Chiusa nelle pareti di nostra carne essa non potrà giammai sollevarsi al di sopra della materia, se mettendo da banda la cultura del nostro spirito ci rendiamo schiavi soltanto dei nostri sensi.

    Cara figlia, su questo altare e dinanzi a questo Dio il tuo sposo giurò di amarti, e proteggerti per tutta la vita. A questa generosa offerta rispondi sempre con riconoscenza.

    Per tutto il corso della tua vita, in ogni momento rammentati questo bel giorno, queste care promesse. Esse ti risveglieranno alla memoria le dolci illusioni di questo istante solenne, e contribuiranno a conservarti il cuore sempre tenero e affettuoso verso il tuo protettore, il quale non potrà dal suo canto non apprezzare il tuo amore e la tua virtù.

    Va, diletta figlia, e sii felice. È questo l’augurio che i tuoi genitori fecero sulla culla, è questo il voto innanzi a Dio in tutti giorni. A noi non resta di te che la rimembranza degli anni di fanciullezza passati in mezzo a noi e le dolcezze per te provate quando ci rendesti genitori. Pria di abbandonare questo tetto, sotto del quale traesti dolci e sereni i giorni di tua innocenza, accetta dai tuoi genitori il bacio dell’amicizia e dell’amore, e la Santa Benedizione, che ti accompagna sempre e dovunque il tuo destino ti chiamerà.

    ***

    La carrozza correva veloce verso il suo destino. La cerimonia era stata fastosa. La cattedrale di Foggia, addobbata lussuosamente, gremita di invitati, parenti e amici; nessuno aveva voluto mancare al lieto evento. Andavo in sposa ad un giovane di ottima famiglia, benvoluto da tutti, a quel che si diceva. Con davanti un avvenire radioso e sicuro nel nuovo Regno d’Italia. Aveva combattuto al fianco di Garibaldi e già questo lo rendeva gradito a mio padre, che era stato Consigliere nel precedente Governo e Governatore pro-tempore della Capitanata.

    La scelta del mio sposo non era dettata da opportunismo. Era nell’educazione ricevuta, trasmessa di generazione in generazione, dover tenere alto il prestigio della casata. E anche io avevo dovuto sacrificare il cuore ai doveri del rango. Solo due anni prima avevo sentito i primi turbamenti d’amore per un giovane, col quale mi accompagnavo qualche volta, quando insieme duettavamo, io al piano lui con il flauto. Ma subito i palpiti d’amore erano stati stroncati sul nascere. Non c’era speranza… lui non era all’altezza. Tra le due famiglie non era troncato ogni rapporto, ma il senso di familiarità aveva lasciato il posto ad una educata cortesia. Ironia della sorte, il cognome del giovane era proprio Cortese.

    Conservavo gelosamente il dono di nozze del padre, la lettera che mi aveva consegnato il giorno prima, un viatico per la nuova vita. L’avrei letta più e più volte, cercando in quelle righe paterne ispirazione e protezione.

    Mentre la mente era pervasa dai tanti pensieri, frastagliati, caotici, senza, come suol dirsi, né capo né coda; mentre quasi mi appisolavo al rollio della carrozza, le narici furono colpite da un profumo intenso acre e dolce nello stesso tempo. Finora aveva prevalso il familiare odore di cuoio dei sedili della carrozza, fino a Manfredonia. Non mi ero resa conto se non quando al bivio per Monte era iniziata la salita che qualcosa era cambiato nell’aria. Aspirai a pieni polmoni, sentendomi subito leggera e rinfrancata.

    Raffaele

    Per la prima volta ci trovavamo soli, nella carrozza chiusa. Non osavo guardarla direttamente. Ero abituato ad affrontare pericoli estremi, agguati e sibilare di pallottole. I cannoni dell’esercito regolare dei borbonici prima, i revolver degli sbandati riuniti in bande di briganti ora non mi spaventavano come questa mia sposa poco più che adolescente. Non è che io fossi di molto più grande, poco più che ventenne, ma ero dovuto crescere in fretta.

    Avevo perso mio padre Nicola, dottore in legge, ferito mortalmente in un agguato politico il cinque giugno del ‘49, quando aveva appena trentadue anni. Spirò nella sua casa nel pomeriggio dello stesso giorno alle ore sedici e cinquanta. Non avevo ancora compiuto i sette anni. Mia madre, Rosa de Felice, si era risposata con un cugino di mio padre, il medico D. Filippo Basso, anche lui fervente patriota e antiborbonico, tanto che aveva conosciuto il carcere. Mio nonno, del quale porto il nome, aveva sposato una figlia del patriota Filippo D’Errico e lui stesso era di idee liberali e anti borboniche. Morì nel 1857. Educato fin da bambino da cotali insegnanti, era stato naturale arruolarmi nell’esercito di Garibaldi.

    Non mi aiutava certo il fatto che avesse solo poco più di un anno meno di me. La sentii sospirare, tanto bastò per rompere quel silenzio imbarazzante. Volgendo lo sguardo verso di lei, sussurrai:

    «Che c’è?»

    «Niente! Questi profumi, quest’aria leggera… così diversa da quella che si respira a Foggia… così… balsamica!»

    «È l’aria che viene dal mare, che si fonde con il timo, il rosmarino. Qui crescono abbondanti e selvaggi. E poi c’è il carrubo, il mandorlo in fiore…».

    Poche parole, poi di nuovo silenzio. Entrambi non potevamo dirci molto propensi al dialogo. Mi avevano riferito che fin da bambina era stata poco incline alla vita sociale, ai divertimenti che la sua condizione le avrebbero permesso. Foggia era diventata in meno di un secolo un centro importante della Capitanata, da quando era diventata sede della Dogana; il Re Ferdinando IV di Napoli l’aveva eletta quasi a seconda capitale del Regno, tanto da voler celebrare lì il matrimonio tra il Principe ereditario Francesco di Borbone e la principessa Clementina d’Austria. Le nozze si svolsero il 28 giugno del 1797.

    ***

    Io avevo imparato in fretta ad affrontare la vita. Il Borbone non regnava più, ma i suoi sostenitori, gli sbandati dell’esercito, avevano formato bande di briganti che infestavano il nostro Gargano. Io e la mia famiglia, mio zio padrigno Filippo Basso, mia madre Rosa de Felice, mia nonna Maria d’Errico, i parenti tutti correvamo pericolo di vita per mano più degli avversari politici che per mano dei briganti. Ma adesso doveva iniziare una nuova

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