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Ascendente Carrero: Serie Carrero. Volume 2, #2
Ascendente Carrero: Serie Carrero. Volume 2, #2
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E-book524 pagine8 ore

Ascendente Carrero: Serie Carrero. Volume 2, #2

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Info su questo ebook

SINOSSI 

Il mondo di Emma Anderson è stato messo sottosopra e non in senso positivo.

Jake Carrero, l’unico uomo di cui lei si sia mai fidata in tutta la sua vita, se n’è andato, il suo lavoro perfetto è solo un vago ricordo e il suo futuro è tetro.

Perdere la fredda compostezza esteriore perfezionata nel corso degli anni, l’ha fatta cadere in una depressione desolante, ma sta cercando di recuperare un po’ di normalità.

Ha il cuore spezzato finché Jake non ritorna nella sua vita, e forse stavolta è possibile che ci sia qualcosa di più tra loro. Tuttavia questo presuppone analizzare tutti gli avvenimenti precedenti, così come il peso che lui si porta addosso nella persona di Marissa Hartley.

Personaggi fallibili ma che creano dipendenza ed emozioni che sono un giro sulle montagne russe.

Contiene contenuti e un linguaggio adatti a un pubblico maturo.

LinguaItaliano
Data di uscita5 gen 2023
ISBN9781071537473
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    Anteprima del libro

    Ascendente Carrero - L. T. Marshall

    Jake & Emma

    Ascendente Carrero

    Ridefinizione delle regole

    L.T. Marshall

    Questo libro è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono frutto dell’immaginazione dell’autore o sono usati in modo fittizio. Qualunque somiglianza con fatti, luoghi o persone reali, viventi o defunte, è del tutto casuale.

    Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta in alcuna forma, elettronica o meccanica, incluse fotocopie, registrazioni o qualsiasi sistema di archiviazione o recupero di informazioni o redistribuita senza l’espressa autorizzazione scritta dell’autore.

    La Serie Carrero

    Jake & Emma

    Effetto Carrero ~ La Promozione

    Ascendente Carrero ~ Ridefinizione delle Regole

    The Carrero Solution ~ Starting Over

    Arrick & Sophie

    The Carrero Heart ~ Beginning

    The Carrero Heart ~ The Journey

    The Carrero Heart ~ Happy Ever Afters

    Bonus Books

    Jake’s View

    Arrick’s View

    Altri romanzi di L.T. Marshall

    Just Rose

    Ringraziamenti

    Desidero prendermi un momento per ringraziare tutti coloro che mi hanno aiutato in questo viaggio verso la realizzazione del secondo volume della serie Carrero. Un ringraziamento va a Grace, la mia editor, per essersi messa a correggere scrupolosamente i miei errori e a Emma per aver reso il libro perfetto. Alle mie lettrici che mi hanno spinto ad andare avanti con risate, incoraggiamenti e supportandomi su Facebook mentre lottavo per completare i tre libri.

    Grazie al mio compagno che ha patito a lungo, tollerando la casa in disordine, il cibo precotto e una pila di panni sporchi alta quanto l’Everest mentre ero impegnata a completare il secondo volume. Ai miei ragazzi che si sono così abituati a una madre incollata allo schermo del computer che hanno imparato a farsi i toast da soli.

    Non sono il tipo di persona che si dilunga in ringraziamenti, ma voglio solo che sappiate che so chi siete, ve l’ho già detto molte volte e questo libro è dedicato a voi.

    Grazie! xx

    Per Jackie, Grace e Shirin.

    Mi avete sostenuta quando volevo mollare.

    Capitolo 1

    La metropolitana che prendo per recarmi al lavoro è affollata come al solito, persino a quest'ora. La puzza e il rumore sono insopportabili. Mi sento fragile e un senso di nausea mi attanaglia continuamente in questi giorni. Lo stress dovuto al trasferimento nel nuovo ufficio e l'allontanamento da Jake mi stanno uccidendo. Controllo l'orologio per la cinquantesima volta da stamattina.

    Sono di nuovo in ritardo. Che diavolo c'è di sbagliato in me ultimamente?

    Gemo.

    Non riesco a schiarirmi le idee o a rimettermi in carreggiata. Giovanni Carrero mi ha urlato contro così tante volte nelle ultime tre settimane che vorrei licenziarmi. Mi ha degradato al ruolo di porta caffè per il momento e sto perdendo pian piano tutto ciò che avevo ottenuto. La mia reputazione di assistente efficiente è stata compromessa e ho sentito le voci che circolano sul mio conto in ufficio.

    Jake Carrero mi ha licenziata per la mia incompetenza e mi fatto trasferire nell'edificio di suo padre perché gli faccio pena.

    Le bugie mi turbano, ma le ricaccio nei meandri della mia mente insieme a tutto ciò che riguarda Jake Carrero. È meglio che la gente non sappia la verità, e cioè che la stupida e ingenua assistente si è innamorata del suo capo senza essere corrisposta.

    La verità fa più male dei pettegolezzi e delle bugie.

    Suo padre ha più assistenti di quante ne abbia bisogno, ma a lui piace essere circondato da una manica di servi. Ne ha più di quanti gliene servano, quindi io sono stata relegata al ruolo di receptionist senza una scrivania, compiti o responsabilità effettive. Sono la persona a cui viene chiesto di sbrigare umili faccende come portare documenti all'archivio, andare da Starbucks e servire bevande calde a palloni gonfiati durante una riunione in corso.

    La mia vita è finita.

    Penso spesso di licenziarmi, infatti guardo gli annunci di lavoro sui giornali ogni volta che ne ho la possibilità, ma c’è sempre qualcosa che mi frena.

    O qualcuno!

    In un certo senso, continuare a lavorare per la Carrero Corporation rappresenta un legame con Jake che non sono ancora pronta a lasciar andare e chissà se lo sarò mai. Il dolore è ancora troppo forte nonostante non l’abbia ancora visto né sentito. Questo è il vero senso dell'essere esclusi, anche i pettegoli dell'ufficio non sembrano sapere nulla di ciò che accade nella vita di Jake da quando mi ha licenziato.

    Presumo che questo sia il vero motivo per cui si circonda di poche persone fidate, laddove suo padre è attorniato da un esercito di servi che è a conoscenza di tutti i suoi affari. È poco riservato su molte cose, chiassoso e autoritario, inveisce spesso contro il personale e non si pone alcun problema a viaggiare, trascinando il suo entourage dappertutto. È sempre circondato da uno stuolo di addetti alla sicurezza, assistenti e Dio sa cosa, pronti ad assecondare ogni suo capriccio. Mi manca la personalità semplice e meno tronfia di Jake, e per quanto sia ironico, lui aveva sempre bisogno di me.

    Imbocco l'ultimo isolato che porta al nuovo edificio in cui lavoro: è una costruzione alta e abbagliante, un'altra colonna di vetro appuntita e dai bordi nitidi, uguale alla Executive House, un immobile simile a un coltello affilato in mezzo a quelli di Manhattan e alto quanto la maggior parte di essi. Rabbrividisco. Odio lavorare qui. Odio tutto di questo posto, e a parte Jake, mi manca quello che avevo all'Executive House.

    L'ambiente è sterile e il personale della Carrero Tower ha sempre timore di commettere un passo falso con Carrero Senior. L'aura rilassata della Executive House è completamente assente in questo edificio e non avrei mai pensato che un giorno avrei sentito la mancanza dell'indolenza e del tocco di Jake. L'atmosfera tra i due ambienti è totalmente diversa.

    L'addetta alla reception mi guarda con disappunto quando entro trafelata e scarmigliata. Mi sono svegliata tardi, mi sono alzata e vestita di corsa, precipitandomi fuori di casa. Il mio taglio più corto e ondulato continua a fare la sua magia, ma non bado più al mio aspetto. Sostengo il suo sguardo.

    Sì, sono in ritardo... Ma non me ne frega un cazzo.

    Distoglie lo sguardo. Mi aveva già visto arrabbiata i miei primi tre giorni di lavoro quando, passando, mi aveva versato del caffè sulla gonna color crema, scatenando la giovane Emma in tutta la sua furia. Durante i primi giorni ero stata un incubo, una persona permalosa e aggressiva, tanto che le era bastato dire una parola sbagliata per ricevere una bella sfuriata. La mia faccia si contorce in una smorfia al pensiero della calma e controllata Emma del passato. Dov'è adesso?

    È saltata giù da un dannato ponte! Non sono riuscita a farla riaffiorare di recente. Mi manca. Jake Carrero l'ha uccisa; settimane passate a piangere possono fare questo a una persona.

    Lascio cadere la borsa e appoggio il cellulare su una scrivania tra la marea di cubicoli. Sono tutte libere e ci si può sedere dove si vuole quando si ha bisogno di un posto. Mi mancano il mio ufficio e il mio spazio, ma è come se non li meritassi più. L'attitudine a correre e organizzare la vita del mio nuovo capo mi ha abbandonato. Non mi interessano i suoi impegni o le sue responsabilità. Sono un rottame e probabilmente non riuscirei a organizzare una festa per alcolisti in una fabbrica di birra.

    Il mio cellulare vibra sulla scrivania e l’immagine sorridente di Sarah compare sullo schermo. Non mi chiama mai al lavoro, perciò la preoccupazione mi attanaglia lo stomaco mentre lo prendo.

    È la mia migliore amica e coinquilina, ma sa che non deve disturbarmi quando lavoro.

    «Sarah, che succede?» chiedo apprensiva, una sensazione di paura mi dice che c'è qualcosa che non va.

    Almeno l'ansia non mi ha abbandonato.

    Non è cambiato nulla.

    «Emma, mi dispiace di disturbarti al lavoro... So che non ti piace... Ma tua madre è qui,» risponde imbarazzata prima di zittirsi al mio sbuffo di rabbia.

    «Che ca—?» Mi zittisco, guardandomi in giro per vedere se c'è qualcuno in ascolto. Trovando un paio di assistenti, abbasso la voce e avvicino la bocca al ricevitore per sibilare piano: «Che diavolo ci fa lì?»

    So che non dovrei prendermela con Sarah, dal momento che è solo una portavoce, ma la rabbia mi ribolle da ogni poro alla sola menzione di Jocelyn Anderson, una donna debole e patetica che si è trovata l’ennesimo fidanzato violento contro ogni senso o logica.

    Non ha il diritto di presentarsi così! Non può presentarsi nella mia vita dopo quello che ha fatto.

    «Dice che è venuta a trovarti... per parlare... Cosa devo fare con lei, Ems? Tra poco devo uscire per andare al lavoro, oggi ho il turno di mattina.» Sembra sinceramente arrabbiata per essere bloccata tra l'incudine e il martello. Ma la mia amica saprà da che parte deve schierarsi, se ha un po’ di buonsenso. Provo a respirare e soffoco la rabbia che ho dentro nel tentativo di rimanere calma.

    «Mettila alla porta,» dico senza mezzi termini. «Devo tornare al lavoro, Sarah. Addio.»

    «Emma, ma...»

    Riattacco subito. So che Sarah proverà a parlarmi, ma non posso occuparmene adesso. Non riesco a gestire nulla ultimamente. Nella mia vita incasinata e pietosa ho solo bisogno di fare dieci passi indietro per dare al mio cervello il tempo di smettere di vacillare e riprendere a funzionare. Le ultime settimane sono state un continuo disastro in cui mi sembrava di annegare e di riuscire a malapena a respirare.

    Squilla di nuovo il mio cellulare, ma rifiuto la chiamata. Sarah è diventata ancora più insistente, essendo stata colpita duramente dai miei cambiamenti. Mi soffoca proteggendomi eccessivamente. Non conosce questa versione di me, il confuso coacervo di lacrime e malumore, il comportamento distratto o il caos che sto lasciando sulla mia scia. Penso che anche lei desideri ardentemente che ritorni per un momento la vecchia Emma, e io ci sto davvero provando per il bene di entrambe. L'insicurezza che prova nei confronti della nuova versione di me è ovvia e sconvolgente.

    In qualche modo, però, la menzione di mia madre ha fatto scattare in me un piccolo interruttore che ha lasciato filtrare un velo di insensibilità e far fare capolino alla parte gelida e controllata di Emma l’assistente. Prima o poi mi toccherà affrontare mia madre, ma non adesso, e il fatto che lei pensi di potersi presentare senza preavviso, come se le dovessi il mio tempo, mi fa arrabbiare ancora di più. Alzo il mento con aria di sfida.

    Serviti della rabbia per ritornare, aggrappati a quel briciolo di ribellione per rimettere in sesto la tua dannata vita!

    Sono sollevata dalla debole fiammella che brucia ancora una volta dentro le mie viscere.

    Sei ancora lì, Emma. Puoi farcela.

    Quando entro in sala riunioni, vedo il disordine lasciato dal breakfast meeting a cui ovviamente non ho partecipato. Non che mi importi. Sospiro, visto che toccherà a me sistemare questo disastro, in quanto, nonostante gli addetti alle pulizie vengano pagati per tenere questo posto in ordine, loro di solito si presentano dopo ore. Metto il broncio perché questi compiti monotoni sono diventati i miei. È così deprimente, considerando che giravo il mondo come braccio destro di un CEO affermato.

    Cosa diavolo mi è successo? Il mese scorso ero l'assistente di Jake Carrero! Organizzavo tutta la sua vita, seduta in hotel a cinque stelle mentre discutevo di contratti con lui. Eravamo amici e per tutto il tempo cercavo di ignorare il fatto che fossi innamorata di lui.

    Scuoto la testa per scacciare via i pensieri sgraditi e comincio a raccogliere i documenti e gli opuscoli sparsi sul tavolo e li ripongo sul carrello per archiviarli. Appoggio le tazze e i piatti vuoti sul carrello portavivande accanto alla porta. Spero che pulendo questa stanza, possa distrarmi e calmare la mia testa confusa. Mi metto all'opera concentrandomi nella pulizia e nel cancellare il disordine lasciato dai precedenti occupanti, e mi auguro che questa azione mi liberi la mente, aiutandomi a tornare ad essere me stessa.

    ****

    «Emma? Il signor Carrero vuole vederti.» Una vocina infantile risuona alle mie spalle facendomi cadere lo spolverino. Il cuore mi si ferma all’improvviso e ho i capelli incollati al viso per l’eccessivo entusiasmo che sto mettendo nelle pulizie.

    Chi? Jake?

    Per un attimo mi gira la testa.

    No. Giovanni!

    Mi sento un'idiota. Mi stampo un sorriso tirato sul viso prima di girarmi piano a guardare la ragazza. È una delle receptionist, una ragazza minuta con i capelli biondi e le tette grosse, proprio come la maggior parte dello staff di Carrero Senior. I suoi gusti nella scelta delle sue collaboratrici sono disgustosamente singolari, visto che sceglie donne che non somigliano affatto a quella con cui è sposato, ma tanto alle conigliette di Hugh Hefner.

    «Okay, dov'è?» La mia voce è calma, e nonostante sia irritata, mi sento attraversata da un'inaspettata ondata familiare di controllo.

    «Nel suo ufficio, faresti meglio ad andare subito, è di cattivo umore.» Il suo tono tradisce la sua paura nei confronti di Carrero Senior, ma io faccio finta di niente. Non sono affatto spaventata. Il suo atteggiamento verso i dipendenti mi dà sui nervi la maggior parte delle volte, ma sono abituata a quello sguardo dei Carrero e ai loro modi astuti. Jake lo faceva quando era di malumore, in situazioni impossibili o quando c’erano casini. In un certo senso, il fatto che io sia qui, vuol dire che non mi sento più a disagio intorno a Giovanni Carrero, perché avendo avuto il cuore spezzato da un uomo col suo stesso cognome, mi ha resa immune agli effetti di qualsiasi Carrero.

    Scaccio i ricordi, non posso pensare a lui in questo momento.

    Né mai!

    Se lo facessi, rimuginerei su quanto mi manca e sulla notte in cui abbiamo fatto sesso... ripetutamente. Mi torturerei fino a impazzire e non posso permettermi di farlo. Ho appena iniziato a vedere scorci della vecchia me e non voglio spaventarla o farla scappare.

    Seguo in silenzio la ragazza, attraversando il lungo corridoio che conduce al regno di re Carrero, con il mento in aria e simulando ancora una volta orgoglio e ribellione. Non mi sarei fatta intimidire da quest'uomo, non m’importa che pensi che non sia brava nel mio lavoro.

    Carrero senior è visibilmente irritato quando entro nel suo ufficio. Una volta tanto è solo, seduto sul suo trono di pelle dietro la sua enorme e lucida scrivania di noce. Il sole filtra attraverso la parete di vetro alle sue spalle rivelando il panorama mozzafiato di New York. Sembra un favoloso miliardario, piccolo e abbronzato, con i capelli castano chiaro e i malvagi occhi scuri. Osserva ogni mio movimento mentre mi avvicino alla sua scrivania. So che non mi chiederebbe mai di sedermi, quindi non ci provo nemmeno.

    «Voleva vedermi?» domando inespressiva, il mio corpo si irrigidisce sotto il suo scrutinio. Non c'è amore tra noi, sono solo un'altra fonte di irritazione nella sua vita e un'altra impiegata senza volto.

    «Sì, signorina Anderson. Mio figlio l’ha mandata da me come assistente, ma non ne ho bisogno. Il suo rendimento mi ha lasciato l’amaro in bocca e penso che sia il caso di fare una piccola chiacchierata.» Non ha nemmeno la decenza di guardarmi mentre lo dice, i suoi occhi restano sul suo portatile mentre continua a scrivere.

    Non usa mezzi termini. Lo fisso inespressiva, per niente sorpresa. Aspettavo questo momento da un po’ di tempo ed ero stupita che ci fossero volute tre settimane per avere questa conversazione.

    «Evidentemente mio figlio ha visto qualcosa in lei quindi non la licenzierò. Ha insistito che lei rimanesse in questa compagnia a tempo indeterminato.» La sua confessione inaspettata mi provoca un forte dolore al petto e un'espressione lievemente confusa sul viso. Quando alza gli occhi, mi guarda in modo impassibile, indecifrabile.

    Jake ha chiesto a suo padre di non licenziarmi per nessuna ragione, ma lui vuole mandarmi via? Perché?

    Le emozioni mi serrano la gola ma le ricaccio giù con forza. Non sono ancora pronta ad analizzare né ora né mai le motivazioni di Jake.

    Senior non ci va mai leggero, anzi, va sempre dritto al punto, senza perdersi in chiacchiere. Non edulcora le cose. Se mi ritenesse una perdita per le finanze dell'azienda, un esubero, mi avrebbe già mandata via.

    «Allora, cosa ne sarà di me?» chiedo secca, sentendomi meno fiduciosa rispetto all'inizio di questa conversazione. Metto le mani ai lati dei fianchi, raddrizzo la schiena e cerco di assumere un'aria professionale nonostante il martellamento nel petto.

    In questo momento, non mi importerebbe se mi mandasse a Timbuctù se ciò significasse non essere licenziata.

    «Ritornerà al trentaduesimo piano della Executive House, al settore delle pubbliche relazioni, organizzazione eventi e simili.» Fa un cenno con la mano in segno di disinteresse. «Jacob mi ha detto che lei è eccellente nell’organizzazione e nel sopportare un grande carico di lavoro, quindi spero che me lo dimostri finalmente.» Il suo sguardo duro si posa su di me freddamente per analizzarmi, ma sostengo il suo sguardo.

    Il pensiero di tornare in quell’edificio divampa in me come un fuoco, alimentando le mie paure folli, tuttavia resto impassibile sotto il suo scrutinio.

    «Non so cosa sia successo con mio figlio, Signorina Anderson, ma confido nella sua discrezione circa questo trasferimento. Non ci sono stati dei veri e propri pettegolezzi, ma voglio precisare che lei è ancora un’impiegata perché mio figlio mi ha obbligato. È stato chiaro su questo punto, e come lei saprà, il rapporto con mio figlio è in un certo senso complicato, quindi questo...» dice indicando me e poi se stesso, «è un compromesso che ho accettato per renderlo felice. Se non avessi fatto questa promessa a Jacob, l’avrei licenziata in meno di una settimana. Distoglie lo sguardo da me come a indicare la fine della nostra discussione e ritorna a battere i tasti del suo portatile.

    Abbasso gli occhi e deglutisco. Involontariamente, presumo che dovrei essere grata per questo, nonostante i miei organi interni provino ad afflosciarsi e nascondersi. Ho ancora un lavoro.

    Che diavolo mi è successo?

    Il mio lavoro era il mio universo, l’unica cosa in cui eccellevo e venivo accettata. La mia vita, consumata dal lavoro, mi aveva portata dove ero. Eppure sono qui, salvata dal licenziamento perché Jake si sente abbastanza colpevole da assicurarsi che tenga il lavoro.

    Questo pensiero mi fa riflettere e la rivelazione di Giovanni è sorprendente. Lui e Jake sono sempre così formali, distanti e freddi che mi meraviglio della sua voglia di compiacere il figlio.

    Forse nella loro relazione c'è più di quanto vediamo io e Jake. Forse Senior ama suo figlio più di quanto lo dimostri.

    «Jake non aveva più bisogno di me. Questo è tutto quello che c'è da dire,» sottolineo cortesemente, evitando ancora una volta di guardarlo quando i suoi occhi si posano sul mio viso. In un certo senso, era la verità. Non aveva bisogno di me ... non nel modo in cui io avevo bisogno di lui, quindi non c'era più motivo di continuare a trattenermi.

    «Giusto.» Il suo tono è intriso di sarcasmo. Alzo lo sguardo e per un momento colgo un accenno di sfida nei suoi occhi, forse anche un leggero sorriso tirato sulla sua bocca crudele. È indecifrabile quasi quanto suo figlio. «Prenda i suoi effetti personali e se ne vada stesso oggi. Wilma Munro la sta aspettando.» Riporta l’attenzione sul suo portatile, un chiaro segno che mi sta congedando. Ha detto ciò che doveva e ora vuole che mi tolga dai piedi.

    «Sì, signore.» Faccio un breve cenno di assenso e giro i tacchi senza che mi mostrino la strada.

    Cammino sicura nonostante le mie viscere siano ridotte in poltiglia. Non sono sicura di come mi senta adesso. Come posso sentirmi al riguardo?

    Tornerò! Tornerò nell'edificio di Jake, saremo separati solo da alcuni piani, ma non so come mi sento né cosa pensare.

    Ci potremo vedere, incontrare. Non so se ce la faccio. Non credo che il mio cuore possa gestirlo.

    Una forte nausea mi assale e mi tremano le mani al pensiero di vederlo di nuovo. Ho una paura fottuta che questa sia la peggior decisione della storia dell'umanità.

    Capitolo 2

    Wilma Munro è uno shock per il sistema. È scozzese e ha un accento marcato, anche se non completamente incomprensibile, e le tipiche inflessioni di chi risiede a New York da lungo tempo. La capisco la maggior parte delle volte e rappresenta una risorsa da non sottovalutare.

    Wilma è minuta con capelli ricci ramato scuro ed enormi occhi castani incastonati in un viso a cuore su un corpo alto un metro e mezzo. Mi travolge immediatamente nel suo vortice di energia entusiasta. È chiassosa, ma non in modo negativo, è diretta, ma amichevole e leggermente terrificante. Mi porta nel mio nuovo settore assegnandomi una scrivania vicino al suo ufficio e sottolinea le mie responsabilità come parte del suo team mentre mi spinge contro una scatola di documenti. Lei è convinta che buttare una persona nella gabbia dei leoni, tiri fuori il suo valore.

    «Ho sentito molto parlare di te, signorina Anderson, al punto da sapere che eri sprecata alla Carrero Tower. Sappi che ho grandi aspettative.» Fa un sorriso cordiale, i suoi occhi gentili brillano allegri.

    «Il Sig. Carrero mi ha fatto capire che stava per licenziarmi,» rispondo piccata, pentendomi all'istante di non aver riflettuto prima. Distolgo lo sguardo nervosa, le mie dita sfiorano la giacca per torcerne l'orlo in presa all’ansia.

    Bella mossa! Hai detto al tuo nuovo capo che sei inutile.

    «Sono molto amica di Margo Drake, mia cara. Le ho parlato proprio stamattina, quando mi è stato comunicato che saresti venuta da me. Ha detto solo cose positive sul tuo conto e forse mi ha dato qualche informazione su ciò che è accaduto recentemente.»

    Mi giro di scatto a guardarla con un'espressione scioccata, il sangue è defluito dal mio volto lasciandomi pallida.

    Cos'ha detto Margo a Wilma? Cosa sapeva Margo? Jake le ha detto che è stato a letto con me? Le ha raccontato tutto quello che è successo?

    Mi gira la testa. Ma certo che l'ha fatto. Lui racconta sempre tutto a Margo, il mio vecchio mentore è una seconda madre per lui. Lei lo avrà incalzato per scoprire il vero motivo per cui mi ha lasciata, senza accontentarsi di scuse e bugie. Lui le avrà raccontato sicuramente di quella notte.

    Ma Margo l'avrà detto a questa donna?

    Anche quando stavo con Jake, tenevo aggiornata Margo sulla situazione. Voleva sapere tutto ed è sempre stata discreta, quindi spero che abbia continuato a esserlo. Wilma mi fa l'occhiolino come se fosse a conoscenza di qualcosa ed io sbianco, il mio corpo diventa più freddo mentre il sangue defluisce dalle mie vene.

    Oh mio Dio.

    Sa tutto!

    Mi sento male a causa del tradimento del mio vecchio mentore, il dolore è quasi travolgente. Deglutisco, incapace di pensare a una risposta, ma Wilma non si dilunga. Si allontana con un cenno della mano, lasciandomi in preda al panico e nient'altro da dire in merito.

    «Il calendario è in cima a quella pila di documenti, Emma. Stiamo organizzando una cena e un ballo per l'anniversario dei Carrero. Leggi i documenti, abbiamo comunicati stampa e un elenco di ospiti da contattare, questo sarà il tuo lavoro. Guarda cosa è stato fatto e poi ne discuteremo. C'è anche l'elenco degli invitati suggeriti.»

    La guardo allontanarsi, completamente sopraffatta, la mia mente distratta e frastornata. Mi sento come se mi avesse colpita un tornado, ma faccio finta di nulla.

    Lascia perdere Margo e Jake. Questa è la mia vita adesso e loro non mi devono nulla.

    A Wilma non sembra importare del mio passato, perciò neanche a me dovrebbe.

    Guardo la scatola tra le mie mani tremanti, il programma sembra pieno ed estenuante, ma ci vedo del potenziale. Posso mettermi sotto e riconquistare in parte la mia reputazione. Questo lavoro dovrebbe essere semplice, più semplice che affrontare Carrero Senior e distribuire ogni giorno il caffè come una serva decerebrata. Questo è esattamente ciò di cui ho bisogno, una nuova sfida e una nuova distrazione. È ora di concentrarmi e archiviare tutto nella piccola scatola nera nella mia mente.

    Mi metto all’opera, impegnandomi in compiti di cui sono più che capace. Per la prima volta dopo settimane le ore volano, alzo lo sguardo e vedendo la gente andar via, mi rendo conto che la giornata di lavoro è giunta al termine.

    Questo è esattamente ciò di cui avevo bisogno per dimenticarlo.

    * * *

    L'appartamento sembra silenzioso quando inserisco la chiave nella serratura. Il cuore mi batte forte nel petto mentre mi chiedo se Sarah abbia mandato via mia madre. Ma qualcosa nel profondo mi dice che non l'ha fatto. Apro lentamente la porta e faccio un respiro profondo. Il piccolo corridoio che conduce al salotto, odora di cibo. Sospiro.

    Sarah non tornerà a casa prima dal suo turno di lavoro ed è improbabile che abbia cucinato Marcus, quindi significa che c'è qualcun altro. Mi irrigidisco quando entro e noto mia madre china sul piano cottura con il braccio ancora ingessato. C'è una giovane bruna che aleggia al suo fianco aiutandola con tutto il cibo che sta massacrando.

    Figuriamoci. Le doti culinarie di mia madre consistono nel riscaldare un barattolo di zuppa.

    Mi ci vuole un momento per capire che la ragazza mora è l'infermiera che Jake sta ancora pagando per prendersi cura di lei. Sta onorando la promessa fatta a Sophie, la ragazzina scappata di casa che incontrammo a Chicago a casa di mia madre e che ora è stata adottata da amici della famiglia Carrero. L’infermiera si prenderà cura di lei fino a quando le sue ferite non saranno completamente guarite, invece lui ha tagliato ogni legame con me. Un groppo doloroso mi serra la gola.

    Getto la mia valigetta sul divano vicino e mi irrigidisco in vista di un possibile alterco. Non mi hanno sentito entrare, essendo troppo impegnate in cucina con pentole gorgoglianti e chiacchiere inutili. La mia rabbia vacilla quando la vedo. Devo ancora riprendermi dal fatto che abbia lasciato rientrare Ray Vanquis nella sua vita dopo tutto quello che ha fatto.

    «Mamma,» dico forte e decisa. Si voltano entrambe con un'espressione lievemente sorpresa, subito sostituita da rapidi sorrisi.

    «Emma,» esclama mia madre, uscendo dalla piccola cucina e venendomi incontro, sul viso ha ancora alcuni lividi ingialliti, risultato del pestaggio a opera del cosiddetto uomo della sua vita. Cerca di abbracciarmi, ma si scontra con la mia postura fredda e rigida. Sussulto al suo tocco, perciò si allontana subito in maniera goffa.

    Noto che la sua infermiera è rimasta sullo sfondo, la sua espressione denota confusione e imbarazzo. Almeno ha la decenza di tornare al fornello e continuare a cucinare, comportandosi come se non avesse visto nulla.

    «Sei ancora arrabbiata con me?» Mia madre piagnucola come un bambino, suscitando di nuovo la mia rabbia. La sua espressione infantile e stupita, quella che ho visto un milione di volte sul suo fragile viso innocente, è riservata al pubblico. Mi allontano da lei prima di dire qualcosa di cui possa pentirmi.

    «Vado a cambiarmi,» sbotto e me ne vado, lasciandola in mezzo alla stanza come un cucciolo smarrito. Provo soddisfazione nel vedere il suo sguardo ferito, ma forse è ora che capisca come ci si sente quando qualcuno che è una parte di te ti tratta come se non gliene importasse.

    ****

    Nella mia stanza, mi siedo sul letto e mi prendo un momento per inspirare lentamente, perché nonostante la mia freddezza esteriore, tremo da quando l'ho vista. Lei mi colpisce in modi che non capirò mai, non importa quanto provi a negarlo. Quella donna sa come farmi sentire inutile. Mi toglie sempre la terra da sotto i piedi. È una maledizione? In un certo senso la bambina dentro di me vuole ancora che cancelli il mio dolore, inconsapevole che è lei a causarlo la maggior parte delle volte.

    Il pensiero mi fa star male. I miei occhi vagano sulla porta chiusa.

    Non mi piace chi è. Non la odio, ma non so neanche se la amo né cosa provo per lei.

    Mi alzo e indosso abiti casual, jeans attillati e una maglia larga, contenta di poter fare a meno delle restrizioni di un abito. Mi piaceva vestirmi in quel modo, invece oggi mi sento soffocare e mi viene un attacco di claustrofobia. I miei capelli sciolti sono cresciuti di un centimetro da quando li ho tagliati e mi sfiorano costantemente le spalle in onde selvagge. Guardo allo specchio la mia chioma bionda e mentre la spazzolo all’indietro, noto che ho gli occhi stanchi e un'espressione triste.

    Sono sempre così o questo è l'effetto che Jocelyn Anderson ha avuto su di me solo varcando quella soglia?

    Cancello la mia espressione affranta, sollevo il mento con aria di sfida e mi stampo sul volto l'immagine dell'autoconservazione che ho perfezionato nel corso degli anni.

    Quando torno in salotto, vedo che sta cercando di dare una mano a servire lo stufato di manzo con un sorriso sul viso. Il malumore è sparito, l’ha scacciato via come sempre. Lei è fatta così, finge che non sia successo nulla. Questa è la triste storia della mia vita con lei.

    Mi innervosisco e digrigno i denti. Mi fa sbroccare anche solo guardarla mentre si comporta come se questa fosse la scena più normale del mondo. Lancio un'occhiata alla sua giovane infermiera che sembra capace ed esperta.

    Quanto ne sa di lei? Cosa le ha mostrato Jocelyn Anderson?

    «La cena è pronta,» cinguetta la ragazza, appoggiando i piatti sul tavolino. Osservo mia madre esitante, reticente. Sta aspettando la mia reazione prima di fare una mossa.

    Scivolo su una sedia e mi concentro sul prendere le posate e inizio a mangiare. So di apparire fredda e maleducata, ma in questo momento non mi interessa. L'ultima volta che l'ho vista era in un letto d'ospedale, picchiata e spezzata, e avevo appena saputo che il responsabile era lo stesso uomo che aveva tentato di violentarmi a diciotto anni. Era tornata con lui, si era rimessa con quel coglione violento, senza riflettere sull'effetto che avrebbe avuto su di me o sulla nostra relazione.

    Si siedono entrambe e iniziano a mangiare; il silenzio tra noi è imbarazzante e teso, ma nessuno tenta di intavolare una conversazione. L'infermiera si guarda intorno timidamente prima di abbassare la testa e decidere che fissare il suo piatto sia l'opzione migliore. Alla fine, sentendo la mia irritazione crescere senza controllo, distruggo l'atmosfera gelida con ferocia.

    «Perché sei qui?» sbotto avvelenata.

    «Io... Noi dobbiamo parlare di alcune cose, Emma.» Abbassa lo sguardo, cercando di sembrare timida, forse anche debole, ma mi fa solo arrabbiare.

    Appoggia la forchetta, incrocia le mani sul tavolo e si sporge verso di me.

    «Di cosa esattamente? Del fatto che ti scopi l'uomo che ama picchiarci e che ha tentato di violentare la tua unica figlia?» sputo fuori duramente, godendomi il sussulto scioccato dell'infermiera e il rossore che affiora sulle sue guance.

    Immagino che non lo sapesse dopotutto.

    «Sì, Emma, se n'è andato. So cosa ho fatto, ho capito quello che ho fatto.» Cerca di prendermi la mano, ma la divincolo dalla sua presa.

    Quante volte ho sentito questa stronzata? Quante volte ha allontanato un uomo dopo aver picchiato una di noi solo per vederlo strisciare nel suo letto giorni dopo.

    «Non basta, è troppo tardi, mamma! Pensi di poterti presentare qui e sistemare tutto? Sai anche cosa ha fatto mentre eri sdraiata in un letto d'ospedale?» La mia voce è alta e agitata, ma devo riacquistare un po’ di autocontrollo se dobbiamo affrontare la questione. Odio che riesca sempre a spezzarmi in questo modo.

    «No.» La sua debole vocina tradisce il suo nervosismo, ha paura che le dica che questa volta ci è riuscito. Vedo quel momento di dubbio che mi ricorda lo sguardo che aveva dopo averlo sorpreso mentre cercava di farmi del male. La paura che lui volesse me e non lei. Mi si contorce lo stomaco e la rabbia aumenta.

    «Mi ha aggredito!» ringhio. «È lo stesso uomo malvagio di otto anni fa, non è cambiato!»

    «Cosa?» I suoi occhi si spalancano allarmati. «È vero?» Non riesce a formulare la frase, ma la conosco perfettamente. Lei vuole sapere se lui ha fatto sesso con me. Non le interesso io né se lui mi ha fatto del male, le importa solo del suo ragazzo fedifrago.

    «No. Non l'ha fatto. Voleva solo dimostrare che era più forte di me, voleva spaventarmi e ci è riuscito,» inveisco, sentendo contorcersi le viscere quando la sua espressione conferma i miei pensieri. È sollevata. Il suo ragazzo non l'ha tradita. Lei è felice. Non gliene è mai fregato niente di me, ha sempre pensato a se stessa e ai suoi uomini. Io mi ci ero trovata in mezzo, ero solo un danno collaterale.

    «Jake l'ha picchiato e sono contenta. Vorrei che lo avesse ucciso,» urlo alzandomi in piedi e creando scompiglio sul tavolo, rovesciando piatti e bicchieri e gettando bevande dappertutto. Sbianca per l'improvvisa consapevolezza di come Ray si sia procurato le sue ferite e noto la sua espressione quando il suo cervello realizza ciò che è accaduto. L'infermiera cerca di rimettere a posto i bicchieri, ma non ci riesce. Ha il volto paonazzo.

    Sì, mamma! È stato Jake a farlo. È stato lui a picchiarlo per avermi messo le mani addosso. Una persona che non ha l’obbligo di amarmi o proteggermi. Il mio capo! Non mia madre. Lei non mi avrebbe mai difesa in quel modo, non avrebbe mai scelto me al posto del suo uomo.

    Quel pensiero mi fa venire voglia di scuoterla e schiaffeggiare la sua stupida faccia.

    «Perché non riesci a vedere cosa mi fai?» urlo di nuovo, le lacrime scorrono sul mio viso, le emozioni hanno la meglio su di me.

    «Emma, perché dici che è colpa mia? Jake non aveva il diritto di ferire Ray. È lui la ragione per cui Ray se n'è andato!» accusa mentre le lacrime le scorrono sul viso. Si è alzata sulle punte per portarsi alla mia altezza. L'infermiera è seduta a fissarsi le mani in grembo e ha l’aria di chi vorrebbe trovarsi dappertutto tranne che qui. Provo pietà per lei, non è stata pagata per essere coinvolta nel dramma femminile delle Anderson.

    «Cosa?» Barcollo quando realizzo quello che ha detto. «Che significa che se ne è andato? Hai detto che era sparito facendomi credere che fossi stata tu a cacciarlo.»

    Ero stata così stupida da credere che fosse stata lei a mandarlo via.

    «Se n'è andato. Sembrava che avesse avuto un incidente d'auto, mi ha detto che era finita ed è andato via e da allora non l’ho più rivisto. L'hai cacciato via dalla mia vita... di nuovo. Spero che tu sia felice questa volta, Emma,» mi urla contro in tono accusatorio, inconsapevole di peggiorare la situazione a ogni parola che esce dalla sua dannata bocca.

    È così egocentrica da non sentire ciò che ha appena detto?

    La rabbia sta covando dentro di me, la giovane Emma non è più in grado di trattenersi. Le ultime settimane di agonia senza avere notizie di Jake, mi hanno fatto perdere il mio autocontrollo. Reagisco piena di rabbia, scagliandole addosso il piatto di cibo che va a infrangersi rumorosamente contro il muro alle sue spalle e mancando la sua testa per un pelo. Le due donne urlano e sussultano spaventate quando spingo con forza il tavolo di lato, rovesciandolo sul pavimento e facendo cadere tutto il resto. La rabbia e l'aggressività che ho trattenuto troppo a lungo si propagano in modo incontrollato, sfrenato.

    «Esci dal mio fottuto appartamento,» urlo, prendendo a calci la sedia e tirandomi i capelli per scacciare via la frustrazione. Faccio due passi, provando a mantenere l'ultimo briciolo di controllo che pensavo di avere.

    Non mi sentivo così dalla settimana prima di lasciare Chicago tanti anni prima, quando, dopo aver raggiunto questo stadio di rabbia e pazzia, ero scappata per proteggere me stessa e lei da questa furia che avevo dentro e che voleva ferirla così tanto per vendicarmi delle sue mancanze come madre. Non posso scappare ora, né voglio farlo. Questi sono la mia casa, il mio spazio e la mia vita.

    «Vattene via!» urlo di nuovo, e questa volta l'infermiera raccoglie in fretta i loro bagagli e tira la manica di mia madre nel disperato tentativo di farla muovere.

    «Emma?» Le trema il labbro.

    «No! Ne ho abbastanza! Vattene e basta!» Alzo le mani in aria, agitata e arrabbiata. Deve andarsene prima che la aggredisca. So che ne sarei capace. Ho già aggredito alcuni uomini in passato, ma mai lei. Tuttavia in questo momento vorrei farlo. Lo sento come un bisogno pulsante dentro di me. Sento il bisogno di sbattere la sua stupida testa contro qualcosa di duro per inculcarle un po’ di buonsenso.

    La odio così tanto!

    Entrambe si voltano e si precipitano fuori dalla porta, lasciandomi sconvolta e arrabbiata. Non appena la porta si chiude, mi rannicchio sul pavimento, mi abbandono a un lamento devastante e piango finché il mio corpo non ha più la forza di emettere un suono.

    * * *

    Alla fine mi siedo e mi guardo intorno per assorbire il casino che ho combinato, ma non mi interessa. Guardo il cibo colare come una ferita lungo il muro grigio chiaro. È bello essere seduta qui, circondata da cose rotte e bruttezza, provo un senso di appartenenza. Presto mi alzerò e pulirò tutto, nascondendo le prove del mio crollo. Mi ricomporrò, mi sciacquerò la faccia e mi sistemerò i vestiti e tornerò a essere la Emma posata di questa mattina.

    Questo è quello che faccio sempre, questo è quello che lei mi ha insegnato! Non importa ciò che è accaduto, devo sempre trattenere ciò che c'è di sbagliato in me, nasconderlo, e mostrare al mondo che sono una persona capace e forte.

    Nessuno deve vedere Emma vulnerabile. Nessuno può infliggermi dolore. Domani mattina avrò archiviato tutto ordinatamente nella mia scatola nera e incollandomi un sorriso professionale sul volto, sarò pronta per affrontare un altro giorno.

    Ecco chi è Emma, chi sono io. È una donna dal sorriso falso e il comportamento freddo. È irremovibile e glaciale all’esterno Jake ha visto quella versione e ha creduto davvero che non ci fosse nient’altro Ha scelto di lasciarla andare anziché vedere il caos che ha dentro e come sia andata in pezzi dopo averlo conosciuto.

    Capitolo 3

    Entrando in ascensore, mi liscio la gonna con un sospiro e getto un'occhiata allo specchio stretto accanto alla porta. Ho un bell’aspetto, mi sento meglio e sono più serena. Sono all'Executive House solo da pochi giorni, ma in qualche modo la familiarità di questo edificio e vedere le persone che mi conoscevano come assistente di Jake trattarmi con più rispetto che alla Carrero Tower, mi aiuta a rimettermi in carreggiata.

    Ho dormito a stento negli ultimi giorni. L’incontro con mia madre mi ha lasciato i pensieri in tumulto. Ho ripensato un milione di volte alle sue parole, ma non hanno senso per me, a parte quello ovvio, e non riesco a capacitarmi della sua ammissione.

    Avrei dovuto immaginarlo. Ray non è il tipo di persona che di punto in bianco scappa perché un altro uomo gli ha dato un assaggio della sua stessa medicina. Anni fa se n’era andato perché avevo minacciato di chiamare la polizia. Sono sicura che è successo altro dopo che Jake lo ha lasciato steso a terra. Cosa ha fatto Jake per assicurarsi che Ray se ne andasse per sempre? Dovrei chiederglielo, ma non posso. Vederlo sarebbe un’agonia e non riesco a farlo tramite e-mail. Per quanto muoia dalla voglia di sapere, ho troppa paura di soffrire. Vederlo, parlargli, mi ucciderebbe di nuovo. Devo stargli lontana se voglio dimenticare Jake Carrero.

    Accantonata l'idea di affrontarlo, mi dirigo alla mia scrivania e mi rimetto al lavoro, una cosa su cui sono migliorata negli ultimi tempi. Scorro l'elenco degli ospiti sul mio iPad, notando un’infinità di ospiti influenti: uomini d'affari, piccoli nobili, Vip e una sfilza di diplomatici in visita. La cena dell'anniversario sarà un evento stellato e pieno di lustrini di cui si parlerà in tutta New York e vi parteciperò anch’io. Sospiro piena d’orgoglio, pensando a quanto sarà fantastico.

    L'ascensore suona annunciando l’arrivo al piano, mi sposto verso la porta per uscire, ma mi accorgo che non è il mio piano. Siamo solo al nono, così torno al mio iPad, scorro l'elenco dei nomi e prendo nota di chi devo contattare e quando. Entrano alcuni uomini in giacca e cravatta perciò mi sposto di lato con lo sguardo abbassato. Controllo le credenziali di alcuni suggerimenti di Wilma: un playboy di Hollywood e sua moglie e un uomo d'affari europeo, entrambi papabili per ricevere un invito all'evento.

    La pelle mi formicola inaspettatamente e il mio corpo è invaso da un'ondata di calore, mettendomi in allerta per qualche motivo. Alzo lo sguardo sugli uomini che si sono ammassati e vedo solo il retro dei loro abiti blu e neri. Non c’è niente di strano, nessuno di loro mi guarda. Due uomini si spostano al mio fianco e altre persone si avvicinano, ma divento tesa quando i miei occhi si posano su qualcosa.

    Jake entra per ultimo, i suoi perfetti occhi verdi catturano i miei per un millesimo di secondo, il suo bel viso, la barba alla moda e la sua aria rilassata. Un cipiglio gli attraversa il viso facendogli distogliere rapidamente lo sguardo. L'effetto è travolgente, il mio cuore accelera all’istante iniziando a battermi nel petto come un tamburo di guerra. Mi mordo il labbro nel tentativo di calmarlo.

    Questo è un altro motivo per cui non potrei mai chiedergli di Ray. Il suo sguardo dice tutto: non vuole più avere a che fare con me.

    Indossa

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