Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Anime mute
Anime mute
Anime mute
E-book284 pagine3 ore

Anime mute

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

“Anime mute” sono quelle delle giovani vite sradicate dall’innocenza dell’età; quelle dei profughi in fuga dalla guerra e dalla miseria, che l’avidità degli uomini trasforma in un’occasione di guadagno.
E’ sulle storie sventurate di chi ha perso tutto che s’innescano le nuove indagini dell’ispettore Luca Veloso, che addentrandosi negli intrighi e nel malaffare legato al fenomeno dell’immigrazione, porterà alla luce personaggi abietti e senza scrupoli.
Verona, con il suo scenario ricco di storia, arte e architettura, torna a essere protagonista, delineando il perimetro di una vicenda che vedrà impegnate le Forze dell’Ordine nella lotta contro i crimini più cruenti e spregevoli.
Sarà un vecchio nemico quello che l’ispettore troverà sulla sua strada, in un percorso che arriverà a rievocare l’inferno dantesco, all’interno di una ragnatela di cunicoli sotterranei.
Troveranno quelle “Anime mute” qualcuno in grado di ridare loro una voce di speranza?
E Luca scriverà la parola “fine” al duello che lo accompagna da sempre?
LinguaItaliano
Data di uscita17 ott 2017
ISBN9788826096391
Anime mute

Leggi altro di Andrea Gerosa

Correlato a Anime mute

Ebook correlati

Thriller per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Anime mute

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Anime mute - Andrea Gerosa

    Prologo

    Morire qui

    Domenica 5 giugno 2016 ore 12.10

    Decine di mongolfiere si libravano nell'aria, in quella calda domenica d’inizio estate, creando un caleidoscopio di colori per la gioia di quanti erano accorsi sul luogo per l’occasione. Una moltitudine di persone se ne stava lì, con il naso all'insù e il collo piegato, pur di non perdere nemmeno una pennellata di quel dipinto astratto che andava evolvendosi a ogni istante, sulla tavolozza di un cielo limpidissimo.

    Assistevo allo spettacolo con Camilla, Fabrizio e Michele, in piedi accanto a me, tutti visibilmente emozionati per ciò che ci attendeva; l’esibizione delle mongolfiere non era, infatti, l’unico motivo per il quale avevamo raggiunto l’aeroporto di Boscomantico proprio quel giorno.

    Camilla, per il mio cinquantesimo compleanno, mi aveva regalato un lancio in tandem con il paracadute e i miei amici, quando l’avevano saputo, si erano aggregati, mossi dalla curiosità di provare una nuova esperienza. Agganciati a un istruttore, ci saremmo lanciati da un’altezza di 4000 metri e, dopo una caduta libera di un minuto alla velocità di quasi 200 chilometri orari, il paracadute si sarebbe aperto. Per quanto attratti dalla possibilità di ammirare dall’alto lo splendido panorama di Verona e del lago di Garda, l’incognita di un’apertura corretta e la prospettiva di un salto nel vuoto, ci facevano tremare le gambe.

    Durante il corso accelerato un ragazzo dall’accento bresciano, piuttosto alto e con due spalle robuste che ispiravano sicurezza, ci aveva spiegato tutto ciò che era necessario sapere per il nostro lancio. A lui si era affiancato un altro tipo, altrettanto alto e ben piantato, che ci aveva invece fornito alcune informazioni sulla scuola di paracadutismo e sul velivolo che ci avrebbe trasportato.

    Dopo mezz'ora, mentre le mongolfiere stavano atterrando, l’aereo, un moderno turboelica Pilatus Porter, era pronto a partire per il primo volo.

    Con lo sguardo fisso sull’aeroplano alto nel cielo immaginavo gli ultimi preparativi prima del lancio e mi domandavo cosa avrei provato quando finalmente fosse arrivato il mio turno: avrebbe vinto l’adrenalina, che sentivo già pulsare nelle vene, o la paura?

    Eccoli. Si erano lanciati!

    Grazie a un binocolo ad alta precisione, riuscivo a osservare perfettamente la sagoma dei corpi gettatisi nel vuoto, che mi sembravano sfrecciare a una velocità pazzesca attratti irresistibilmente a terra dalla forza di gravità. I miei occhi si erano concentrati sulla corsa verso il basso di una delle coppie con l’intento, per quanto possibile, di esaminarne i gesti nel dettaglio, così da farne tesoro. All’improvviso, inspiegabilmente, persi di vista i due uomini fino a quando non mi accorsi che si erano soltanto spostati un po’ più in alto per effetto della spinta ascendente del paracadute aperto, che li aveva fatti risalire di qualche decina di metri.

    Mentre guardavo quelle figure in movimento, tornavano a galla ricordi lontani: da bambino bastava un aquilone per correre con gli amici nei prati e divertirsi come pazzi inseguendo quel gioco costruito da soli, raccogliendo dei ramoscelli qua e là e facendoci regalare qualche ritaglio di stoffa dalle nostre madri. Altro che televisione, videogiochi e play station, pensavo tra me.

    Nel giro di pochi minuti tutto sarebbe finito, e mi sarei ritrovato io a volteggiare placido nel cielo.

    A un tratto mi sorpresi che un istruttore non stesse eseguendo le stesse manovre dei suoi colleghi. Da lontano dava l’impressione di essere inerte, quasi impassibile, a differenza degli altri palesemente indaffarati nelle operazioni di atterraggio. Tanto più che la passività dell’uomo era assolutamente contrastata da quella del suo passeggero, che al contrario si dimenava disordinatamente.

    Perplesso davanti a quella scena di cui faticavo a comprendere il significato, mi augurai di non ritrovarmi associato a lui, sentendomi poco propenso a sperimentare soluzioni innovative. Sfrecciare a quella velocità mi sembrava una prova più che sufficiente per il mio esordio nel mondo del paracadutismo!

    Quando finalmente si trovarono a qualche decina di metri d’altezza, visibilissimi a occhio nudo, mi accorsi che alcuni dei presenti sollevavano il braccio indicando proprio la coppia che aveva attirato la mia attenzione e, contemporaneamente, iniziavano a correre verso i due uomini ormai vicinissimi al suolo.

    L’arrivo a terra fu tutt’altro che da manuale, completamente diverso da quello che ci era stato spiegato, con i paracadutisti completamente attorcigliati tra le corde e l’imbracatura.

    La prima a giungere sul posto fu una ragazza con appresso un labrador che la seguiva al guinzaglio. Cercò di liberarli dal groviglio e chiamò a gran voce l’aiuto di qualcuno, diffondendo l’allarme tra la folla.

    Corsi con gli altri per raggiungerla e non appena mi trovai sul posto, il suo sguardo atterrito fu più eloquente che qualsiasi parola.

    Distolsi gli occhi da lei e guardai verso i due. Il volto terrorizzato dell’allievo era bianco cadaverico, alla ricerca spasmodica di un po’ d’aria; sul viso del veterano, invece, era già calata la fredda mano della morte.

    Capitolo Uno

    L'incontro

    Lunedì 13 giugno 2016 ore 07.20

    Mi attendeva un lunedì mattina pieno d’incognite. Sotto il getto freddo della doccia, che serviva a darmi una sferzata di energia, pensavo a chi avrei incontrato alle nove nell’ufficio del dottor Freddi.

    Dopo la scomparsa di Valfracca, deceduto ormai da due anni, nel tragico epilogo dell’inchiesta sugli omicidi perpetrati dai malati di Alzheimer, l’incarico di vice questore era stato coperto da un paio di persone, che si erano alternate con sufficiente impegno ma scarsa propensione alla programmazione, consci della precarietà del loro incarico. Ora, finalmente, il Ministero aveva individuato chi avrebbe ricoperto il ruolo in pianta stabile e negli uffici della Questura ci si aspettava un deciso miglioramento.

    Anche l’inchiesta in cui aveva trovato la morte Valfracca mi aveva visto protagonista, così com’era accaduto per le indagini sul Maestro, diventato il mio rivale per eccellenza e con il quale avevo incrociato le armi già due volte. In entrambi i casi, la vita professionale aveva intaccato la sfera affettiva: nel primo avevo perso Sara, il primo amore della mia vita, nel secondo anche Camilla aveva rischiato la morte.

    Il nemico però era ancora in libertà, grazie alla sua astuzia e ai limiti del nostro sistema giudiziario, ma ero sicuro che le nostre strade, prima o poi, si sarebbero nuovamente incrociate.

    Mi ero alzato prima che suonasse la sveglia, seguendo gli imput del mio cervello in allerta che evidentemente mi aveva anticipato, cogliendo l’importanza del momento. Volevo fare una buona impressione e partire con il piede giusto con il nuovo superiore. Il rapporto con Valfracca non era stato per niente idilliaco e nessuno dei due era riuscito a simulare la diffidenza e il disprezzo reciproco. Troppo diversi nel carattere e nell’approccio al mestiere, oltre che nella considerazione del ruolo che eravamo chiamati a ricoprire: io uomo d’azione, abituato ad affrontare le questioni in prima linea e lontano dai sotterfugi di palazzo, lui ometto da scrivania, devoto alle raccomandazioni e incline ad assecondare le richieste delle amicizie altolocate.

    Ammetto che era una considerazione ignobile la mia, eppure la sua morte mi aveva lasciato indifferente, e il pensiero di potermi finalmente rapportare con un nuovo soggetto, sperando si trattasse di qualcuno all’altezza del compito, mi dava nuovo entusiasmo.

    Dopo essermi vestito con il mio miglior completo grigio in lino, accompagnato a una camicia azzurra con cravatta blu, mi concessi qualche minuto per sorseggiare un caffè con calma, ammirando il panorama dalla terrazza. Davanti ai miei occhi spiccava la bella Verona, come l’aveva chiamata Shakespeare, con l’ansa del fiume Adige che raccoglieva il centro storico in un abbraccio. La scelta di quella casa sulle Torricelle, le colline ai margini della città, era stata motivata proprio da quella vista; difficilmente passava giorno senza che io mi rilassassi osservando il cielo che si stagliava sui tetti, e immaginando la vita che si animava tra i vicoli e i palazzi antichi.

    Camilla, tornata a Verona per assistere al mio lancio col paracadute, e che come me era rimasta piuttosto scossa per la scena cui eravamo stati spettatori, era ripartita quello stesso giorno per Roma. L’avevo accompagnata in stazione nel primo pomeriggio, in modo tale che potesse giungere a destinazione verso sera e passare una notte di assoluto riposo prima di riprendere il lavoro.

    Il suo incarico ufficiale era a Venezia, come coordinatore per il nord-est del Nucleo di Tutela del Patrimonio Culturale, le cui competenze si riassumevano nel rintracciare e recuperare le opere d’arte trafugate, consegnando alla Giustizia chi non perdeva occasione per arricchire il patrimonio personale, spogliando musei e pinacoteche di ogni genere di tesoro artistico.

    La sua presenza a Roma, dipendeva da una fitta agenda di appuntamenti istituzionali e non per organizzare la restituzione dei capolavori sottratti dal museo di Castelvecchio e poi ritrovati sull’isola di Turunciuk, sulle sponde del Dnestr, in Ucraina. Un lavoro che non le invidiavo per nulla, intessuto di mediazioni tra le parti e complicato dalla mania di protagonismo dei soliti esponenti politici, che facevano di tutto per rubarsi la scena l’uno con l’altro.

    Quello, però, non era il suo unico impegno nella Capitale; stava seguendo anche un caso che non aveva nulla a che vedere con il suo incarico di routine; qualcosa di cui non mi aveva rivelato i dettagli, ma che la portava sul binario delle più classiche investigazioni poliziesche. L’unica cosa che sapevo era che si trattava di un’indagine condotta dai carabinieri a livello nazionale e la sua partecipazione era stata richiesta espressamente dal Comandante in capo dell’Arma.

    Arrivai in ufficio alle otto in punto per avere il tempo di sistemare un po’ di scartoffie prima dell’appuntamento. Non amavo particolarmente occuparmi degli incartamenti, ma anche quel lavoro andava fatto e non faceva parte della mia indole delegare il tutto ai miei collaboratori. Meglio quindi occuparsene subito, per evitare che le mail di sollecito si espandessero come i fili di una ragnatela nella mia casella di posta elettronica e le pratiche si accumulassero sulla scrivania.

    Alle nove meno cinque, Giovanni si affacciò alla porta.

    E’ ora capo! mi disse mostrandomi un indice che puntava dritto verso i piani alti. Ha chiamato la segretaria del questore, la stanno aspettando.

    M’incamminai con calma; non ero l’ultimo arrivato e per quanto mi sentissi particolarmente coinvolto da quell’incontro che avrebbe potuto condizionare i miei giorni futuri, non mi sembrava il caso di far trasparire alcuno stato d’animo che non fosse quello di una legittima curiosità. D’altronde avrei potuto io stesso ricoprire quell’incarico, considerato che il Ministro dell’Interno in persona me lo aveva proposto dopo aver saputo che quelli dell’Interpol volevano reclutarmi. Avevo declinato entrambe le offerte sapendo che, accettando, avrei finito col rimpiangere il lavoro sul campo e l’operatività specifica del mio profilo. L’unica cosa cui non avevo rinunciato era la gratifica che mi era stata concessa; il mio inquadramento dal punto di vista economico era balzato al livello di un vice questore aggiunto, ma per tutti rimanevo sempre e comunque l’ispettore Veloso.

    Salire le imponenti scale, e percorrere i corridoi del palazzo che ospitava la Questura di Verona, era ogni volta un piacere. Donato al Ministero dopo un importante lavoro di ristrutturazione, racchiudeva tra le sue mura pagine di storia. Affreschi ritornati all’antica bellezza grazie al sapiente intervento di abili restauratori, dipinti, lampadari e tappeti di ottima foggia, rendevano l’edificio più simile a un museo che a un luogo dove quotidianamente si combatteva ogni forma di criminalità. Chiunque lo visitasse ne restava affascinato e i colleghi di altre città non perdevano occasione per dirci quanto ci invidiavano, specie quelli costretti a lavorare in ambienti freddi e impersonali all’interno di qualche vecchia caserma o in strutture moderne del tutto anonime.

    Francesca, la segretaria del questore, non appena mi vide distolse gli occhi dai documenti che aveva davanti, rivolgendomi la sua tipica espressione severa e distaccata, per poi farmi segno di entrare.

    Venga Veloso, la stavamo aspettando mi disse Freddi venendomi incontro con le braccia aperte, com’era solito fare quand’era di buon umore. Con quel viso gradevole e interessante, nonostante i segni del tempo, due splendidi occhi azzurri e una mimica facciale unica, avrebbe potuto benissimo cimentarsi nel cinema o nel teatro, senza sfigurare al confronto con gli attori più belli e famosi.

    Le presento la dottoressa Pisani aggiunse invitandomi a seguirlo verso la sua scrivania. Sarà lei ad assumere in pianta stabile il posto di vice questore. Mi auguro che la vostra collaborazione sia proficua e possa portare ottimi risultati. Voglio subito dirle, prima che lei lo venga a sapere dal solito pettegolo, che Anna è la figlia di un mio carissimo amico; si è la laureata a pieni voti all’Università di Padova e ha trascorso dei periodi a Siena e Alessandria, facendosi un’ottima fama, anche grazie alla sua preparazione in psicologia criminale. Vi lascio soli qualche minuto, io devo allontanarmi per firmare alcuni documenti. Mi raccomando Veloso! A dopo e così dicendo, senza darci modo di aggiungere alcunché, ci volse le spalle e se ne andò, chiudendo la porta.

    La donna che si era alzata per venirmi a stringere la mano era sicuramente il più bel vice questore che io avessi mai visto. Si sfilò di dosso l’impermeabile stretto in vita, e si tolse anche il cappello a falde larghe liberando una cascata di capelli rossi, ricci e lunghi fino alla cintura, che Klimt avrebbe saputo ritrarre in modo sublime in uno dei suoi quadri. Il fisico era magro e slanciato e gli occhi, di un incredibile verde smeraldo, risaltavano come due pietre preziose su un bel viso dalla carnagione color avorio.

    "E’ un piacere conoscerla ispettore. Ho sentito parlare molto di lei, o forse potrei dire di te? Conosco le tue indagini e ho letto con piacere sia Granelli di sabbia sia Oscura memoria. Ti confesso che ho provato un po’ d’invidia: finora nessuno ha scritto un libro sulle mie investigazioni!" mi disse regalandomi un sorriso radioso.

    Per un istante rimasi basito e senza parole; era possibile che stesse già flirtando con me?! Forse ero fuori allenamento considerato che, da quando stavo con Camilla, avevo smesso di vestire i panni del dongiovanni, eppure avrei giurato che il mio istinto in fatto di seduzione non si fosse del tutto arrugginito e che le sue fossero state delle tipiche avances femminili.

    Il piacere è mio e grazie per i complimenti. Per il resto, se non le spiace, manterrei il lei, almeno per il momento; l’ha sentito il questore, potrei rischiare una ramanzina altrimenti.

    Eugenio è un caro amico di famiglia, mi conosce da quando ero in culla, quindi sa bene come mi comporto con i collaboratori, ma se preferisce così, non ho problemi. L’importante è essere in sintonia su altre cose, dico bene? aggiunse senza mettere da parte lo sguardo ammiccante.

    Più che bene! risposi, persuaso a stare un po’ al gioco per vedere come si evolveva la situazione.

    Mi dicono che lei abbia un caratteraccio, soprattutto con i superiori, ma che sia proprio questo suo modo di essere un po’… sopra le righe, se mi passa il termine, a farla apprezzare dagli agenti. Ho saputo che molti si fidano ciecamente delle sue intuizioni. Spero non vorrà maltrattarmi com’è accaduto con il povero dottor Valfracca.

    Non perdiamo tempo a quanto pare, pensai tra me, meravigliandomi di come fosse appena arrivata e già sentisse il bisogno di mettere in chiaro il nostro rapporto. Tuttavia c’era anche la possibilità che il suo fosse soltanto un modo per tastare il terreno e mettermi alla prova.

    Non so che tipo d’informazioni abbia ricevuto sul mio conto le dissi, mentre lei tornava a sedersi accavallando le gambe al punto da lasciarmi intravedere il pizzo delle autoreggenti sotto lo spacco della gonna.

    Posso dirle che ho sempre apprezzato le persone capaci aggiunsi sedendomi sulla poltroncina di fronte alla sua. Mentre al contrario ho scarsa stima di chi assume ruoli di responsabilità senza avere la benché minima preparazione e professionalità; questo vale ovunque, fuori o dentro la Questura.

    Osservando il suo viso pensieroso, ebbi il timore di aver esagerato ma preferivo essere franco fin da subito. Dopotutto, poiché sembrava conoscesse molte cose sul mio conto io, al contrario, non sapevo nulla di lei, quindi meglio farle capire subito che avrebbe avuto la mia fiducia solo se si fosse dimostrata all’altezza del suo compito.

    Le sue parole, ispettore, mi confermano che non mi sono giunte notizie errate, almeno per quanto riguarda la sua schiettezza. Sono certa che lavoreremo bene insieme. Sei d’accordo Luca? Oh scusami, ti ho dato ancora del tu.

    Assunse un’espressione imbarazzata e mi venne spontaneo rassicurarla. Non si preoccupi dottoressa, non è così grave.

    Mentre il suo volto tornava a rasserenarsi, la suoneria del mio cellulare interruppe quello scambio di convenevoli.

    Le chiedo scusa, ma dovrei rispondere, è il dottor De Caroli.

    Si figuri, faccia pure mi disse, allontanandosi di qualche passo in direzione della finestra.

    Ciao Fabrizio, a cosa devo l’onore? Non ho notizie di morti tragiche nelle ultime ore! risposi al dottor De Caroli, il miglior anatomopatologo che conoscessi e mio grande amico.

    Ciao Luca, ti ho chiamato per il paracadutista; hai presente quel poveraccio che si è schiantato a terra?

    Come potrei dimenticarlo! Che brutta fine. Morire in volo per un infarto. Ha dell’incredibile!

    Appunto, così incredibile che facevo fatica a crederlo. Perché non vieni a trovarmi, vorrei parlartene di persona. Ti aspetto.

    Fabrizio interruppe la conversazione senza attendere la mia risposta e lasciandomi con la curiosità; gli avrei dato un pugno nell’occhio per questo. Sapeva quanto mi rendeva nervoso quando si comportava in quel modo, ma lui si divertiva ogni volta a tenermi in sospeso, sapendo che così mi sarei precipitato nel suo ufficio.

    Problemi? mi domandò a quel punto la dottoressa Pisani.

    Non saprei dirle. Pare che debba parlarmi a proposito di un episodio accaduto la scorsa settimana a Boscomantico. Se per lei va bene, vorrei capire di cosa si tratta.

    Vada pure ispettore, non la trattengo. Anzi, mi tenga informata.

    Assentii con un cenno della testa e me ne andai chiedendomi cosa avesse scoperto Fabrizio di tanto sorprendente da farmi correre da lui.

    Capitolo Due

    Una magia

    Lunedì 13 giugno 2016 ore 11.25

    Possibile che ogni volta mi devi tenere sulle spine! Ti diverte molto quest’atteggiamento, vero? sbottai entrando nell’ufficio di Fabrizio. La curiosità per ciò che voleva dirmi aveva di nuovo preso il sopravvento, lasciando dietro di sé gli strascichi del colloquio con il mio nuovo capo.

    Dovevo ammettere che ricevere delle avances da una donna di dieci anni più giovane, specie per me che avevo ormai superato la fatidica soglia dei cinquanta, aveva avuto dei riflessi positivi sul mio ego maschile. Tuttavia, la domanda che mi frullava per la testa era se sarei riuscito a mantenere un atteggiamento diplomatico, in modo da evitare fraintendimenti e conflitti di ogni sorta, sia con lei sia con Camilla.

    In effetti, è divertente tenerti sulle spine Luca; non sai che goduria per me osservare la tua faccia in questo momento! Per non parlare del tuo abbigliamento: che ci fai così agghindato per le feste? mi chiese, dandosi una lisciatina ai baffi carica di soddisfazione. Vi riconoscevo il segno inequivocabile di una scoperta interessante, ma avrei dovuto attenermi alle sue regole. Siediti pure, stai sereno e rilassato che con calma ti racconto tutto. Questo era il significato non verbale sotteso a quel gesto, perciò non mi restava che adeguarmi.

    Il suo ufficio si trovava nei sotterranei del Polo Confortini, ma non aveva nulla a che vedere con l’eleganza e il confort degli ambienti della nuova struttura ospedaliera inaugurata da qualche anno. Se nei reparti per la degenza dei malati e nelle aree riservate agli ambulatori, si aveva l’impressione di trovarsi all’interno di un moderno centro commerciale, dove ci trovavamo, sembrava invece di essere in un seminterrato sovraffollato di tubi, fili e condotti. Se ci si augurava che i piani superiori non fossero solo apprezzati per l’apparenza, ma soprattutto per la sostanza e la qualità delle prestazioni sanitarie, qui di certo l’aspetto esteriore dei locali passava in secondo piano, rispetto all’essenza delle cose.

    Nessuna festa; diciamo che ci tenevo a fare bella figura con il nuovo vice questore.

    "Stento a crederlo! Non ho ricordi di averti visto in giacca e cravatta! Qui gatta ci cova: non sarà per caso una lei il tuo nuovo capo?"

    "In effetti, è una lei. Ti anticipo pure che si tratta di una gran

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1