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Stop ai bulli
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E-book190 pagine2 ore

Stop ai bulli

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Info su questo ebook

Un’opera di straordinaria attualità, che indaga su una delle problematiche più complesse e controverse del nostro tempo.
Un libro che affronta con coraggio e senza ipocrisie il tema della sopraffazione e della violenza giovanile, cercando di individuare le cause che generano il bullismo, un male tanto radicato quanto difficile da estirpare.

Don Antonio Mazzi è sacerdote, impegnato in attività per il recupero dei tossicodipendenti, e scrittore. Collabora con diverse testate giornalistiche e televisive. Fondatore della comunità di recupero Exodus, operativa nel Parco Lambro, a Milano. Nel decennio 1994-2004 ha ricevuto tre lauree ad honorem in Pedagogia, rilasciate rispettivamente dalle Università di Palermo, Lecce e Macerata.
LinguaItaliano
Data di uscita9 dic 2017
ISBN9788893844390
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    Anteprima del libro

    Stop ai bulli - Antonio Mazzi

    Tzu

    Prefazione

    Non meravigliatevi se, ancora prima di riscrivere di bullismo, volessi che insieme facessimo per dieci minuti lo sforzo di cancellare l’etichetta di bullo e ci accontentassimo di ricordare solo il nome di nostro figlio. Il ritornello E noi che bulli siamo, filmiamo, filmiamo…, me lo vedo scarabocchiato sui volti dei vostri figli e su tanti, troppi, volti dei nostri adolescenti, normali e meno normali.

    Giorni fa ho avuto l’occasione di imbattermi in uno dei personaggi decorato dalla medaglia di bullo (ripeto decorato, perché questa è la mentalità): anni quattordici, fisico atletico, volto cinicamente impostato, sguardo belluino, perché a quattordici anni, se li hai frequentati questi ragazzi, non riescono, nonostante le smorfie, le compagnie e le baruffe numerose, non ce la fanno a sembrare cattivi nemmeno di facciata.

    In tasca dei pantalonacci indefinibili e accuratamente tempestati di borchie, chiodi e catene, uno smartphone e nel tascone di destra qualcosa che poteva assomigliare ad un serramanico. Scarpe che dovrebbe avere scovato in qualche mercatino specializzato in robba interessante. Sentendo lui, aveva distrutto almeno tre ragazzine… una era arrivata addirittura sul terrazzo del settimo piano… Raccontava, lì davanti al mio tavolo, con l’aria di chi ti spiattella una fiaba con il bollino rosso. Ci guardiamo. Uso questo verbo non trovando nel mio vocabolario qualcosa di più aderente alla scena. Io certamente lo guardavo con l’intenzione di bruciarlo già con gli occhi. Fatica vana, e presuntuosa. L’avevano trascinato da me i suoi genitori, assieme al titolare del giornale, che inneggiò con un titolone a caratteri cubitali le prodezze del ragazzotto.

    Non credevo che tu fossi così vecchio!.

    Inizia il quattordicenne stravaccato sul divanetto (aveva nel frattempo fatto un passaggio di qualità dalla sedia al divano). Io, invece, dopo aver sorriso e dopo aver risposto che di solito sono gli juventini portatori di intuizioni così filosofiche e simpatiche, ho chiesto il colore del terrazzo, sito al settimo piano. Di solito i terrazzi non hanno colori, solo scrostature, buche e mattonelle rotte. Si fa meno fatica a suicidarsi tra le porcherie. Il suicidio esige anche ambienti senza stile, anonimi, oppure, per motivazioni di altro genere, ambienti troppo carichi di contraddizioni, di vasi e di cianfrusaglie regalate e poco gradite.

    Io continuo:

    "Tu c’eri? L’hai vista? Hai fatto qualcosa? O mi stai raccontando una delle tue smargiassate più o meno inventate? Chi l’ha fermata?

    Un amico?

    Ma gli amici nella tua banda esistono?".

    Anzi! Sono solo lì i veri amici. Perché quelli che voi preti chiamate amici, sono mezze femmine, mal truccate e finte.

    E tu hai amici?.

    "Non mi interessano. Basto da solo. Ci tengo a dirtelo perché voi mi avete stufato con le vostre menate. Leader, bande, branchi, bulli, cyber, boss, tutor, 50 ore, suicidi. Avete un linguaggio che fa ridere. Vi siete fermati al catechismo della prima comunione. Per voi siamo tutti delinquenti. Se vogliamo vi mandiamo fuori di testa tutti con questo (lo smartphone). Cosa c’entra il bullismo? Siamo normali, ci vogliamo divertire. Qualche volta esageriamo. Tu esageri mai? Io, a casa, mi metto lì, smanetto, e mi diverto. Se quell’altro dopo un po’ di volte sballa e si butta giù, chi se ne frega. Se vuole crepare, è colpa mia? Hai letto di quella ragazza.

    Voglio giocare anch’io; perché io comunque mi voglio uccidere, con o senza balena blu. Sono tutti mezzeseghe, finocchietti da strapazzo, cagasotto… Noi siamo normali. Sono loro, poveretti, che non hanno i cosiddetti".

    Non la finiva più. E ancora:

    Voi dite cento avemaria come mia nonna e non combinate niente… Noi con un paio di cazzatine otteniamo tutto, il bello, il brutto. A sentire voi il cosiddetto cyber bullismo pare faccia miracoli(?!).

    Era partito come un razzo grattandosi dappertutto e sgangherando il già mezzo sgangherato divanetto, vittima di decine di storie simili. Non è ancora finita…

    E adesso scrivi, prete del c… ma scrivi le cose vere, quelle che dico io, non le menate che leggo in bagno sulla rivista di mia nonna (trattasi di Famiglia Cristiana). Finitela di parlare di bulli. Parlate invece di gente con i coglioni, che hanno carattere, che non trasformano il gioco in tragedia… E di’ a mio padre, che ha la sua donna lì fuori, che faccia meno lo schifoso….

    Faccio una fatica bestiale a tacere e ad ascoltare. Certe volte il silenzio è un martirio. Tutto d’un tratto si ferma, gli occhi gli diventano quasi da umano, e da uno che tenta un ragionamento, mi domanda:

    Ma capisci qualcosa, o parlo ad un idiota? Perché taci? Perché non mi mandi a quel paese? Ma che uomo sei?.

    È lì finalmente si ferma. Si rimette quasi seduto bene… Rispondo: "Certo che parli ad un idiota… ma anch’io mi domando perché sei stato così idiota da venire fino qua per dirmi delle cose che ho già sentito, da quel divanetto lì, centinaia di volte. Cosa credi di aver inventato di nuovo? E anche il teatrino che mi hai fatto lo so a memoria. Perché non solo dite tutti le stesse castronerie, ma le dite tutti nello stesso modo e quasi quasi tutti con la stessa divisa. Peggio dei pompieri. Chi è più idiota di noi due?".

    Vi domanderete perché inizio così male il libro? Ve lo dico subito. Perché dobbiamo partire da qui per smetterla di riempire il mondo dei bulli e di bullismo. Questo quattordicenne è un teatrante, che sa a memoria la sua parte, che non ha nessuno che lo prende educatamente per gli stracci e, con un po’ di furbizia amabile, parte dal gioco suo per arrivare al gioco nostro. Questo non è il bullo di cui parlano tutti. Fa il bullo come ieri e i suoi coetanei facevano i fracassoni, i manifestanti delle case occupate, i ladri di fili di rame. E questo quattordicenne pompato dall’informazione sbagliata è vittima delle mode e degli stili che regolarmente la società di noi vecchi babbioni inventa per vendere di più o per manifestare in modo originale come la politica di ieri era così tanto ignorante rispetto alla loro molto più liberatoria e decisiva. Perché la butto in politica? Perché queste cose fanno gioco soprattutto ai cervelli di destra, di sinistra, di centro, rossi, verdi, bianchi, gialli e neri.

    Andare tra i ragazzi, stare con loro, vederli autentici, genuini, senza interpretazioni dei giornali, degli insegnanti, dei genitori e degli arruffapopoli, di cui sono pieni i quartieri e gli studi di ricerca, capisci subito che hai da fare con dei ragazzi. E i ragazzi sono ragazzi, fatte salve alcune categorie che sono nate e vissute in contesti ben noti a tutti e ben definiti. E questo quattordicenne era solo un quattordicenne che ha detto cose imparate per strade, in parte fatte sue, in parte riportate dal gruppo che lui dice di non frequentare perché lui sarebbe il nuovo Ulisse di via 48 ottobre (battuta). Torniamo ai ragazzi, soprattutto tra quelli delle periferie e dei quartieri, perché sono i più molesti, i più maleducati, i più finti manipolatori del proibito, ma i più soli e i più fragili. Perché costruiamo teatrini, che poi loro riempiono cominciando dalle farse e finendoli in tragedie? Tanto è vero che il famoso quattordicenne, di cui sopra, mi ha anche dato alcune dritte, si è quasi scusato e con lui è partita una relazione che lo ha portato a darmi una mano. Mi ha proibito di chiamarlo volontario. Le sue dritte vanno tradotte e le spiego in tre paragrafi.

    Primo paragrafo: il vocabolario. Ogni adolescente appena capisce che la voce diventa cavernosa e gli spuntano quattro peli sotto il naso, per entrare subito nella parte, tira giù quattro parolacce e dice alcuni no, nel modo più sgradito.

    Secondo paragrafo: l’abbigliamento. Una volta i collegiali, cioè quelli che frequentavano i collegi, avevano la loro divisa. In fila, tutti vestiti uguali, con davanti o dietro l’assistente, attraversavano militarmente la città per andare dove il direttore aveva deciso. Io ho sempre odiato le divise, perfino quelle da prete. Il proverbio che dice l’abito fa il monaco è molto più vero, più intelligente e più indovinato di quanto pensiamo. Infatti, ogni istituzione che conta ha le sue divise: dai militari, ai preti, ai vigili, agli scout, alle suore. La divisa in parte dichiara i ruoli, in parte obbliga ad atteggiamenti e permette a colui che l’indossa di usarla per trasformarsi nel personaggio preordinato.

    Terzo paragrafo: i gesti. Si passa dall’agnello al lupo, dal collegiale che chiede le cose con grazia, al balordo che ti strappa dalle mani il telefonino o la birra, o gli occhiali da sole. Il gesto deve essere deciso, non da chierichetto. E noi subito, appena due ragazzi danno uno spintone e strappano un orologio, li abbiamo già immortalati sul giornale con il titolo di bulli.

    Se vogliamo rinnegare i tre paragrafi e dare qualche sfumatura in più, i nostri adolescenti sono violenti, sono strafottenti, e fanno del terrorismo. Adesso poi con la balena blu, sono tutti o tutor o in presuicidio. È molto meno vero.

    Riporto un altro esempio, molto diverso dal primo perché racconta l’altra parte del fenomeno. E lo racconta, mi ripeto all’infinito, con una schiettezza e una essenzialità a noi adulti sconosciuta. È vero che succedono cose brutte, violente, che ci spaventano. Ma sono sempre minoranza e, talvolta, proprio dallo sbagliato ci arrivano lezioni di vita incantevoli e cariche contemporaneamente di paura e di speranza. Dobbiamo essere capaci di interpretare la vita, sia quando le ombre la nascondono, sia quando le aurore la riscoprono.

    Una mattina sul treno, apro La Repubblica e, a pagina otto, un titolo mi blocca: Sono diverso, non sbagliato. È il tema di un dodicenne che parla della sofferenza nel sentirsi deriso a scuola. Ad un certo punto del tema, Ivan parla di due episodi reali, separati e ben lontani dall’ambiente scolastico: uno accaduto in un parco e un altro al mare. Nel primo episodio lo difende una ragazza, nel secondo, mentre viene spintonato e affrontato pesantemente, ancora una volta viene difeso da due ragazze. Dentro la testa di Ivan corre l’idea del suicidio. E, verso la fine del tema, sbatte davanti a chi lo legge, con la serietà e la maturità di chi ha sofferto da sei anni, alternati tra gioie, disagi, delusioni e violenza, una frase terribilmente vera quanto terribilmente inascoltata: Voglio aiutare chi ha passato momenti brutti come me. Noi siamo diversi ma non sbagliati. Qui dentro c’è l’intero mondo degli adolescenti e non solo. Ed è per questo che non voglio partire solo dal troppo citato cyberbullismo con le relative conseguenze. In poche righe, come sempre, un adolescente (questa volta il diverso) ci spiega e si spiega. E tre ragazze, adolescenti, anche qui facciamoci un pensierino, lo aiutano o lo salvano.

    Solo adesso tento una breve premessa al libro. È tornato di gran moda il tema del bullismo. Dico di moda, perché noi non siamo mai capaci di star dentro le righe. Stampa, televisione, radio, psicologi, scuole, comuni, forze dell’ordine e l’Italia intera stanno interpretando una specie di tragedia, con la pedante e noiosa conclusione del minimo dei rimedi e il massimo della confusione.

    Stop ai bulli, cioè questo libretto, la prima volta l’ho pubblicato dieci anni fa (2008). Lo ripubblico e vi consiglio di leggerlo con calma. Ve lo ripropongo non per aumentare in voi la confusione e lo spavento, ma solo per aiutare me e voi ad accettare il periodo più delicato e strategico dei nostri ragazzi, e di vivere questo periodo con loro, e non per spaventarli, ma per farli crescere serenamente nonostante ciò che vedono e sentono.

    Amando i cavalli, voglio, sorridendo, ricordarvi quella volta che, da furbo, sono saltato sulla schiena di un puledro. Un’ora dopo ero all’ospedale con una spalla fuori posto. Il primario, solo con lo sguardo, alle mie prime spiegazioni, mi ha fatto capire che avevo fatto un’enorme stupidata. Il secondo sguardo me l’ha rivolto da primario. Mettiti dritto. Non agitarti. Stringi i denti per trenta secondi. Botta con fuochi d’artificio. Spalla a posto. Ciao, saluti, stammi bene e non dire a nessuno che i puledri sono meno pirla di te….

    Gli adolescenti sono puledri e noi adulti siamo dei pirla perché ignoranti li teniamo per ore seduti sui banchi, ad ascoltare, a scrivere, a sopportare insegnanti che sanno tutto; la geografia, la matematica, la storia, la grammatica, ma non conoscono i puledri imprigionati nei banchi.

    Degli adolescenti non capiamo niente e continuiamo, più o meno tranquillamente, ad affidarli alle madri, a punirli per le parolacce, per le compagnie, per le notti sabbatiche, per le ore che passano chiusi in camera in compagnia dell’iPad. Dimenticati dai padri o mal sopportati perché, ogni santa sera, c’è una cena con litigata, seguita dalla classica litania, poco liturgica, ma molto laica: Basta! Ho detto basta. Mi avete rotto le palle, te, tua madre, la scuola… Fate il c…. che vi pare. Io vado a farmi una partita di tennis, perché dopo una giornata di lavoro, ne ho tutti i diritti. I padri di oggi sono fatti così. Durante l’adolescenza è il padre il vero perdente. La sua assenza e la sua fragile personalità disorientano il puledro che la mattina resta chiuso nel recinto per ore, e la sera non trova l’allenatore che lo faccia sgranchire, fremere e liberarsi con una longhina su misura. L’energia, la voglia di vivere e di capire cosa gli bolle dentro, la ribellione ad ogni regola, l’iconoclastia, la reazione alle normative, alle punizioni, l’antipatia viscerale per tutti i docenti, il bisogno enorme di comprensione, regolarmente negato in nome dei programmi, della disciplina, degli orari, fanno esplodere la classe e la famiglia. Il verbo esplodere è esagerato, ma il clima che viviamo, leggiamo e vediamo rispecchia questa esagerazione. Nel libro tutte queste cose le ritengo normali e guai se non accadessero. Le loro follie, le aggressività, raramente violente, spesso, invece, quasi comiche, un po’ isteriche, molto

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