Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

La Venuta del Dio Ignoto: Epifáneia
La Venuta del Dio Ignoto: Epifáneia
La Venuta del Dio Ignoto: Epifáneia
E-book140 pagine1 ora

La Venuta del Dio Ignoto: Epifáneia

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Perché mai il protagonista ha ricevuto in eredità da un collega, morto di una malattia sconosciuta, uno specchio antico, sul quale sono incisi alcuni caratteri della lingua dei Micenei? È stato solo il gesto di una mente ottenebrata?

A Creta egli è ben presto coinvolto dal primo di una serie di avvenimenti enigmatici: il giovane che lo soccorre in un uliveto e subito si allontana è reale o un’allucinazione?

Che significano in seguito le fitte impronte e le sconcertanti offerte, appese ai rami degli alberi sulla sommità di un monte, di numerose presenze femminili?

Questi avvenimenti culminano in un selvaggio rito orgiastico, durante il quale il protagonista è salvato dall’ambigua epifania di un’arcana presenza femminile. Sconvolto da tale apparizione, potrà egli condividere ancora la miseria della condizione umana?


(Valutazione epistolare di Giorgio Bárberi Squarotti, Maestro accademico e critico letterario)
«L’autore sa armonizzare mito e ironia, storia e attualità, filologia ed evocazione dionisiaca con straordinaria sapienza di parola e con efficace animazione di personaggi, fino alla visionarietà più intensa… Al romanzo vero e proprio ha aggiunto note e commenti e citazioni argute e dottissime al tempo stesso: che gioia, allora, ritrovare così viva e sapiente la tradizione e i miti greci per opera sua, della sua scrittura!»


*** RECENSIONI

«Un paesaggio… sotto le luci più abbacinanti della solarità mediterranea diventa teatro per presagi ed epifanie. Il romanzo ha un tempo unitario che lo rende tanto più avvincente: la scrittura è compatta e gli eventi si snodano legati strettamente da una sorta di tensione. Il tema è classico per eccellenza: amore e morte, eros e thanatos, motivo dominante che si ritrova poi declinato come comune denominatore a connotare le opposte tensioni dell’animo dei vari personaggi… È proprio una classicità rivista come in una prospettiva di “realismo magico”, colta nella sua indecifrabile fisicità, a creare il fascino più vivo.»
Alessandra Galetto, giornalista letteraria del quotidiano “L’Arena”
LinguaItaliano
Data di uscita25 apr 2020
ISBN9788835815402
La Venuta del Dio Ignoto: Epifáneia

Correlato a La Venuta del Dio Ignoto

Ebook correlati

Narrativa generale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su La Venuta del Dio Ignoto

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    La Venuta del Dio Ignoto - Antonio Benedetti

    Squarotti

    NOMINA SOLVO

    Ringrazio il regista Daniele Salvo, che mi ha cortesemente concesso di utilizzare per la copertina del libro una foto di scena del suo spettacolo teatrale Dyonisus.

    Ringrazio della consulenza l’amica prof.ssa Maria Laura Rosi, la cui competenza di ellenista è pari soltanto alla sua minimizzante cortesia.

    Ringrazio il docente accademico Andrea Vianello di avermi molto gentilmente inviato il font della lineare B e procurato altre utili indicazioni.

    Ringrazio infine Michael Ventris, che se dal paradiso dei glottologi, dove conversa con gli spiriti magni, vorrà abbassare lo sguardo sul nostro pianeta, forse non disdegnerà questo mio romanzo, che intende essere anche un atto di gratitudine nei suoi confronti.

    IL ROMANZO

    I

    Il rettore si sforzava di mantenere il tono fermo di un docente con un allievo indisciplinato. Ti sei esposto troppo, Angelópoulos. I tuoi articoli e le tue frequentazioni non so per quanto tempo potranno garantirti l’immunità. Non viviamo più in una democrazia; purtroppo adesso comandano i militari. Nell’Athína classica il regime dei Trenta Tiranni non durò a lungo; speriamo che questo duri ancora poco. Tu adesso devi prenderti una vacanza. Quando si è in ferie, si vedono le cose lucidamente, con più distacco, con più chiarezza. Vedere bene è indispensabile per agire bene. Oltre tutto, devi ricordarti che hai anche una famiglia. Non sarebbero contenti di scoprire che tu sei scomparso all’improvviso senza sapere quando mai potranno rivederti. Prenditi una vacanza con loro; farà bene a tutti, in attesa che le acque si siano calmate.

    Ti preoccupi per me o per te? disse Angelópoulos, alzandosi e piantandogli gli occhi in faccia. Il rettore ansava leggermente, come se avesse parlato a lungo. Angelópoulos osservò quel viso sciupato, quegli occhi acquosi nei fondi di bottiglia delle lenti, e si sorprese di provare qualcosa di simile alla compassione. In silenzio uscì dallo studio, mentre l’altro non faceva né un gesto né una parola per trattenerlo.

    Forse dal suo punto di vista il rettore aveva ragione, forse lui doveva veramente prendersi una vacanza. Dal loro punto di vista tutti avevano ragione; in quei tempi calamitosi il difficile era capire chi aveva più ragione degli altri…

    Qualcuno lo salutò in corridoio, forse un suo collega, ma Angelópoulos ruvidamente non rispose. Sostò davanti a una finestra spalancata e volse lo sguardo intorno alla città, lasciandosi accarezzare dal sole. Il frastuono del traffico giungeva ovattato, mormorio confuso, solletico lieve. Una bella giornata di primavera, quando il tepore diveniva più intenso, e uomini, animali, piante, anche le cose si sentivano più felici. Ma ora quel ritorno non lo rallegrava, e la vista della città operosa gli infondeva un malumore simile al primo ribollio dell’acqua in una pentola. Avrebbe voluto che gli uomini si fermassero, che gli animali e le piante si fermassero, che il tempo arrestasse il suo corso di tirannosauro. Sì, era il tempo il più colpevole, il solo che avrebbe potuto testimoniare nel modo più clamoroso, arrestandosi per… anche un breve minuto: un silenzio sgomento si sarebbe teso su tutta l’Hellás, infine uomini e animali, piante e oggetti, non potendo più fingere d’ignorare, avrebbero squarciato il proprio silenzio con un urlo immane, che avrebbe scosso gli dei nel cielo, nel mare e nell’Hádes…

    II

    Quando si recò a visitare Palóclitos, come ogni venerdì – era metodico anche nelle visite agli ammalati –, Angelópoulos si accorse che l’odore dell’ospedale ormai non lo disgustava più. Non era certo gradevole quel misto di disinfettanti, di chiuso e di morte incombente, ma era un odore che col tempo – erano alcuni mesi che faceva visita al suo amico e collega – aveva evaporato quasi tutta la sua acredine. A un altro invece non si era potuto assuefare, un odore nuovo, che lui solo sembrava avvertire: strisciava in ogni dove, venefico e ineluttabile come un contagio, persino sulla scrivania del suo studio e gli scaffali della sua biblioteca, insozzando i libri che gli erano più cari…

    La cameretta che ospitava Palóclitos era confortevole; alla sua destra un anziano commerciante, ricoverato per una cirrosi epatica, quasi del tutto sordo, salutava regolarmente Angelópoulos alzando dal guanciale un capo rispettoso, i lunghi capelli più bianchi sull’ittero del volto.

    Non fu facile per Angelópoulos dissimulare la pena con cui constatò quanto in quei pochi giorni le condizioni di Palóclitos si fossero aggravate. Il suo amico giaceva accartocciato sotto le coperte e non era più in grado di accompagnare i suoi monologhi nemmeno con cenni del capo o raschi della gola.

    Avevi ragione tu, Níkos. Alla fine i barbari sono arrivati, anche il nostro tempio è stato violato. Il rettore mi ha sollecitato a prendermi un’aspettativa; io mi chiedo perché dovrei restare all’università, a questo punto. Purtroppo non so proprio che altro mestiere potrei fare. Non sono mai stato il tipo che riesce a sopravvivere riciclandosi. Invidio quei pescatori che passano tutta la vita nella loro isola, ogni giorno a contatto col sole e col mare, indifferenti a tutti i cambiamenti della storia. Credo che in qualche isola potrei raggiungere una certa tranquillità, ma dubito che un pescatore mi accetterebbe come collega.

    La presenza muta del suo amico gli era di conforto come l’urna affettuosa di un famigliare; anche se lui non poteva ascoltarlo, Angelópoulos assaporava nel suono stesso delle sue parole una dolcezza quasi catartica.

    Il mio problema adesso è Irína. Non so come fare a dirle che all’università la mia presenza non è più gradita. È sempre stata sensibile al prestigio, che lei sopravvaluta, della nostra professione, e sarebbe preoccupata per nostro figlio, che sta prestando il servizio militare, e anche per la sua professione…

    D’un tratto egli si avvide che Palóclitos non aveva più quello sguardo smarrito che inseguiva le sue fosche ossessioni. Il suo capo gli accennava di avvicinarsi, le sue labbra tentavano alcune parole ostinate. Accostatosi premurosamente, Angelópoulos percepì quella voce, che da parecchio tempo non articolava più alcuna parola, alitare al suo orecchio: Continua tu il mio lavoro… Níkos… disse Angelópoulos qualche istante dopo, dubitando di aver traudito, io non sono un archeologo. Come potrei continuare proprio io il tuo lavoro? Ma Níkos russava quieto come l’espressione del suo viso.

    All’uscita Angelópoulos incrociò il giovane medico che aveva in cura il suo amico. Purtroppo il professor Palóclitos si è aggravato. L’altra notte ha dato in smanie, mentre prima si era sempre mantenuto in un tranquillo stato soporoso. É riuscito a comunicarci, se abbiamo interpretato bene i suoi gesti, che voleva assolutamente parlare con lei, perché doveva consegnarle qualcosa di molto importante. Lo abbiamo sedato, e il giorno dopo pareva che si fosse dimenticato tutto. Stanotte invece ha ancora chiesto di lei, ma una volta sola, e poi è rimasto tranquillo. Quanto gli restava ancora da vivere? Il medico allargò le braccia: tutti i momenti erano buoni, o per meglio dire cattivi; il paziente aveva resistito oltre le loro previsioni…

    III

    Da quando, due anni prima, era avvenuto quel misterioso episodio, Palóclitos non era più stato lo stesso uomo. L’archeologo era stato soccorso a Kríti una sera d’inverno, sul confine di un bosco di ulivi, con i vestiti a brandelli, mentre borbottava parole sconnesse. Stringeva con entrambe le mani un oggetto dal quale riuscirono a separarlo solo dopo averlo sedato: un piccolo specchio sudicio di metallo, al quale nessuno attribuì alcun valore. Quando, una settimana più tardi, si risvegliò in una stanza d’ospedale, Palóclitos non ricordava nulla di ciò che gli era successo. Chiese solo di quello specchio, e non volle più separarsene; anche di notte lo stringeva in una mano, sotto le coperte, come sospettoso che qualcuno volesse rubarglielo. Angelópoulos, quando andò a visitarlo, lo trovò irriconoscibile: quell’uomo estroverso e vitale, che aveva condotto appassionate campagne di scavi in località impervie, sembrava non avere più alcun interesse, né per se stesso, né per la sua famiglia, né per il suo lavoro. Rispondeva quasi solo a monosillabi, con un tremolio sfocato dello sguardo.

    Palóclitos fu sottoposto a una visita psichiatrica, e l’équipe medica diagnosticò unanime un trauma da spavento; le facoltà mentali del professore erano rimaste intatte, e dopo un periodo di riposo egli sarebbe tornato l’uomo di sempre. Il suo caso aveva acceso una viva curiosità non solo nel mondo accademico, perché ne avevano riferito alla televisione, accreditando l’ipotesi che il professore fosse rimasto vittima di una rapina; ma quando, qualche tempo dopo, egli veniva dimesso dall’ospedale, il suo nome già rientrava nell’ombra.

    Un mattino, Angelópoulos se lo ritrovò davanti nel suo studio mentre stava leggendo la relazione di una studentessa: un lèmure dagli occhi sabbiosi e una ruggine di barba attendeva muto che egli si accorgesse della sua presenza. All’università Palóclitos si era chiuso in un isolamento pressoché totale: disertava le lezioni facendosi sostituire da un ricercatore e rifiutava ogni rapporto con colleghi e studenti, arroccato nel suo studio. Angelópoulos lo invitò a sedere con un’affettuosa cordialità, porgendogli una mano che l’altro gli strinse legnoso dopo un attimo di esitazione. Seguì forse un minuto di silenzio imbarazzato. Palóclitos aveva una chiara riluttanza a manifestare il motivo della sua visita all’amico, che soffriva la curiosità, ma anche la consapevolezza di una domanda importuna. Infine Angelópoulos infranse il silenzio parlando di un libro che aveva in corso di pubblicazione un loro collega.

    "È un lavoro interessante. Si basa sull’idea di ricercare le possibili relazioni tra l’evoluzione del dialetto attico e le evoluzioni, o le involuzioni, dei regimi politici di Athína. Nel caso del regime

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1