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La Malinconia dell'emigrante
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La Malinconia dell'emigrante
E-book215 pagine2 ore

La Malinconia dell'emigrante

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Info su questo ebook

Normalmente le storie che si raccontano sono molte volte inventate, invece questa è una di quelle realmente vissute ed il narratore ha voluta scrivere la vita del protagonista come è stata a lui raccontata, senza nascondere nulla.

Era ancora piccolo quando nel 1930 i genitori del bimbo Marco, si trasferiscono, sperando nella fortuna, dall’Italia in America e precisamente in Argentina perché sembrava essere il paradiso dei tanti emigranti italiani giacché, nella loro terra, non avevano possibilità di lavoro essendo soltanto dei contadini e non proprietari terrieri, quindi dovevano sempre attendere la chiamata di qualcuno per un lavoro nei campi...
LinguaItaliano
Data di uscita6 mag 2020
ISBN9788831665346
La Malinconia dell'emigrante

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    Anteprima del libro

    La Malinconia dell'emigrante - Enzo Vitale

    DELL’EMI­GRAN­TE

    Ti­to­lo | La ma­lin­co­nia dell’emi­gran­te

    Au­to­re | En­zo Vi­ta­le

    ISBN | 978-88-31665-34-6

    Pri­ma edi­zio­ne di­gi­ta­le: 2020

    © Tut­ti i di­rit­ti ri­ser­va­ti all'Au­to­re.

    Que­sta ope­ra è pub­bli­ca­ta di­ret­ta­men­te dall'au­to­re tra­mi­te la piat­ta­for­ma di sel­fpu­bli­shing You­can­print e l'au­to­re de­tie­ne ogni di­rit­to del­la stes­sa in ma­nie­ra esclu­si­va. Nes­su­na par­te di que­sto li­bro può es­se­re per­tan­to ri­pro­dot­ta sen­za il pre­ven­ti­vo as­sen­so dell'au­to­re.

    You­can­print Self-Pu­bli­shing

    Via Mar­co Bia­gi 6, 73100 Lec­ce

    www.you­can­print.it

    in­fo@you­can­print.it

    Qual­sia­si di­stri­bu­zio­ne o frui­zio­ne non au­to­riz­za­ta co­sti­tui­sce vio­la­zio­ne dei di­rit­ti dell’au­to­re e sa­rà san­zio­na­ta ci­vil­men­te e pe­nal­men­te se­con­do quan­to pre­vi­sto dal­la leg­ge 633/1941.

    LA MALINCONIA DELL’EMIGRANTE

    Nor­mal­men­te le sto­rie che si rac­con­ta­no so­no  mol­te vol­te in­ven­ta­te, in­ve­ce que­sta è una di quel­le real­men­te vis­su­te ed il nar­ra­to­re ha vo­lu­ta scri­ve­re la vi­ta del pro­ta­go­ni­sta co­me è sta­ta a lui rac­con­ta­ta, sen­za na­scon­de­re nul­la.

    Era an­co­ra pic­co­lo quan­do nel 1930 i ge­ni­to­ri del bim­bo Mar­co, si tra­sfe­ri­sco­no, spe­ran­do nel­la for­tu­na, dall’Ita­lia in Ame­ri­ca e pre­ci­sa­men­te in Ar­gen­ti­na per­ché sem­bra­va es­se­re il pa­ra­di­so dei tan­ti emi­gran­ti ita­lia­ni giac­ché, nel­la lo­ro ter­ra, non ave­va­no pos­si­bi­li­tà di la­vo­ro es­sen­do sol­tan­to dei con­ta­di­ni e non pro­prie­ta­ri ter­rie­ri, quin­di era­no sem­pre in at­te­sa di at­ten­de­re una chia­ma­ta di qual­cu­no per un la­vo­ro nei cam­pi, pur­trop­po, sal­tua­rio ol­tre ad es­se­re, a quei tem­pi,  pa­ga­to mi­se­ra­men­te.

    Il pa­dre del pic­co­lo si tro­va­va nel­le stes­se con­di­zio­ni pre­ci­ta­te e gli era im­pos­si­bi­le man­te­ne­re la fa­mi­glia di­gni­to­sa­men­te.

    Al­tri la­vo­ri vo­le­va pur far­li, ma es­sen­do po­co istrui­to, ol­tre ad es­se­re na­to da una fa­mi­glia di con­ta­di­ni nu­me­ro­sa, pur­trop­po sa­pe­va sol­tan­to esple­ta­re quel la­vo­ro che, no­no­stan­te quel me­stie­re fos­se no­bi­le, non gli avreb­be da­to una se­re­ni­tà fa­mi­lia­re spe­cial­men­te a lui, per­ché vi­ve­va in un pae­se di mon­ta­gna mol­to lon­ta­no dal­le cit­tà ed in una ca­sa in af­fit­to, per cui col­se l’oc­ca­sio­ne del­la of­fer­ta di un pa­ren­te lon­ta­no, il qua­le vi­ve­va da mol­ti an­ni in Ar­gen­ti­na con la fa­mi­glia, nel­le gran­di di­ste­se pia­neg­gian­ti e step­po­se del­la Pam­pa.

    Sa­pen­do che lo sta­to dell'Ar­gen­ti­na cer­ca­va agri­col­to­ri da col­lo­ca­re nel­le lo­ro va­rie di­ste­se agri­co­le, af­fi­dan­do va­sti ter­re­ni, pe­rò sol­tan­to a con­ta­di­ni com­pe­ten­ti e gra­tui­ta­men­te, quin­di co­no­scen­do il pa­ren­te e sa­pen­do­lo un ot­ti­mo agri­col­to­re, ma sen­za un la­vo­ro, gli scris­se in­vi­tan­do­lo ad ap­pro­fit­ta­re dell'of­fer­ta per crear­si un av­ve­ni­re mi­glio­re.

    Il pa­dre del pic­co­lo era un uo­mo ener­gi­co, con una cor­po­ra­tu­ra ro­bu­sta ed atle­ti­ca, ma ave­va il di­fet­to di me­na­re le ma­ni fa­cil­men­te, quan­do le co­se non an­da­va­no nel ver­so giu­sto e se­con­do le sue di­ret­ti­ve, per­ché di­ven­ta­va sem­pre ner­vo­so e pre­po­ten­te, guai a con­trad­dir­lo.

    Era vis­su­to, fin da gio­va­ne, nei cam­pi agri­co­li e co­stret­to a la­vo­ra­re so­do fi­no a quan­do ave­va con­trat­to ma­tri­mo­nio.

    La mo­glie era una don­na esi­le, mol­to cor­dia­le, ma vi­ve­va pres­so una fa­mi­glia be­ne­stan­te per­ché il pa­dre, con la mor­te del­la ma­dre e do­ven­do­si spo­sa­re, pen­sò be­ne di af­fi­dar­la, da pic­co­la a quel­la fa­mi­glia, per­ché la nuo­va mo­glie non la vo­le­va con lei, quin­di la die­de in ado­zio­ne per ac­con­ten­ta­re la con­sor­te, cre­den­do di far­le ave­re un fu­tu­ro mi­glio­re, pur­trop­po i tre fi­gli ma­schi, di­ve­nu­ti gran­di, non  sol­tan­to si ac­con­ten­ta­va­no di mo­le­star­la sem­pre, ma abu­sa­va­no di lei ri­pe­tu­ta­men­te.

    De­ci­se la gio­va­ne, quan­do il pri­mo uo­mo gli aves­se chie­sto di fi­dan­zar­si, sa­reb­be fug­gi­ta da quel­la ca­sa e fu co­sì che spo­sò Gio­van­ni.

    For­se que­sto ma­tri­mo­nio mo­di­fi­cò il ca­rat­te­re di Gio­van­ni, in­fat­ti cre­de­va di tro­va­re una don­na il­li­ba­ta, ma ri­ma­se de­lu­so, or­mai do­ve­va per for­za vo­ler­le be­ne aven­do­la spo­sa­ta, ma Lu­cia­na era di tutt'al­tro av­vi­so, per­ché si era spo­sa­ta, se­con­do lei, con il pri­mo uo­mo in­ten­zio­na­to a spo­sar­la, pur di li­be­rar­si di quei fra­tel­la­stri im­mon­di, cer­to era ri­co­no­scen­te, ma non pro­va­va nes­sun sen­ti­men­to ver­so il ma­ri­to il qua­le cer­ca­va sem­pre, nel­la sua roz­zez­za, di as­se­con­dar­la in tut­to ben sa­pen­do del­la sua in­dif­fe­ren­za, cre­den­do sem­pre nel­la gra­ti­tu­di­ne del­la don­na e spe­ran­do di ave­re il suo amo­re, spe­cial­men­te con la na­sci­ta del pic­co­lo Mar­co.

    Par­ten­do con la na­ve dal por­to di Na­po­li e con i po­chi ri­spar­mi mes­si da par­te, si rac­co­man­da­va­no di met­te­re tut­to il pas­sa­to nel di­men­ti­ca­to­io, ri­pro­po­nen­do­si di prov­ve­de­re so­la­men­te all’av­ve­ni­re del­la fa­mi­glia ed al lo­ro be­nes­se­re, col­la­bo­ran­do e sen­za pen­sa­re ai sa­cri­fi­ci even­tua­li fu­tu­ri da fa­re.

    Chie­de­va sem­pre Gio­van­ni:

    < Lu­cia­na, mi rac­co­man­do, ora an­dia­mo in un al­tro mon­do, cer­chia­mo di aiu­tar­ci l’uno con l’al­tra e vo­ler­ci be­ne, spe­cial­men­te per il pic­co­lo per­ché de­ve cre­sce­re non con le no­stre sof­fe­ren­ze ed igno­ran­za, ben­sì cer­chia­mo di dar­gli istru­zio­ne e fe­li­ci­tà! >.

    < Si , Gio­van­ni >,

    ri­spon­de­va Lu­cia­na, men­tre la na­ve pro­se­gui­va la sua rot­ta, su­pe­ran­do il ma­re Me­di­ter­ra­neo e lo stret­to di Gi­bil­ter­ra, per poi im­met­ter­si nell’ocea­no Atlan­ti­co.

    Lo­ro il ma­re non lo co­no­sce­va­no ed era la pri­ma espe­rien­za nel­la vi­ta di na­vi­ga­re, per­ché abi­tua­ti sem­pre fra mon­ta­gne e cam­pi e, quan­do la na­ve era immer­sa nel­le tem­pe­ste ocea­ni­che, la mo­glie ve­ni­va sem­pre pre­sa dal pa­ni­co, ave­va una gran­de pau­ra e non era pos­si­bi­le con­te­ner­la dal­le sue cri­si iste­ri­che, spes­so ur­la­va co­me un’in­de­mo­nia­ta ed i pas­seg­ge­ri le sta­va­no qua­si sem­pre vi­ci­ni per cer­ca­re di con­vin­cer­la di non at­tra­ver­sa­re nes­sun pe­ri­co­lo, ad­di­rit­tu­ra do­ve­va in­ter­ve­ni­re per­si­no il co­man­dan­te del­la na­ve ed un me­di­co per tran­quil­liz­zar­la, pur­trop­po il se­con­do era co­stret­to a dar­le dei cal­man­ti, co­sì le avreb­be evi­ta­to al­tre con­vul­sio­ni, pe­rò ob­bli­gan­do­la a ri­ma­ne­re a ri­po­so in ca­bi­na, por­tan­do­le via il pic­co­lo Mar­co, per af­fi­dar­lo al pa­dre af­fin­ché non pian­ges­se.

    L’ocea­no sem­bra­va aver­ce­la con Lu­cia­na per­ché era sem­pre in tem­pe­sta, per­si­no i del­fi­ni, sem­pre a se­gui­to del­la na­ve, se n'era­no an­da­ti via ed an­che tut­te le pas­se­rel­le, i pon­ti­li e le gran­di sa­le era­no de­ser­ti, per­ché i pas­seg­ge­ri sof­fri­va­no il mal di ma­re, sem­bra­va l’ocea­no vo­les­se far di­spet­to a quel­la fa­mi­glia spe­ran­zo­sa di un av­ve­ni­re mi­glio­re.

    Il po­ve­ro Gio­van­ni era di­spe­ra­to ed in cuor suo ma­le­di­ce­va la sua scel­ta d’emi­gra­re in ter­ra lon­ta­na, men­tre te­ne­va il pic­co­lo Mar­co, il qua­le sem­bra­va non ri­sen­ti­re dell’iste­ri­smo del­la ma­dre per­ché ri­de­va e lui lo con­so­la­va, ab­brac­cian­do­lo te­ne­ra­men­te.

    Il me­di­co di bor­do spes­so si re­ca­va nel­la ca­bi­na di Lu­cia­na per la vi­si­ta quo­ti­dia­na, ma la don­na era sem­pre più iste­ri­ca e vo­le­va a tut­ti i co­sti scen­de­re al pri­mo por­to del­la rot­ta del­la na­ve.

    < Si­gno­ra guar­di che il pri­mo por­to sa­rà Bue­nos Ai­res, quin­di de­ve sop­por­ta­re il viag­gio ed il ma­re, de­ve dar­si co­rag­gio e si con­vin­ta per­ché la na­ve ha af­fron­ta­to al­tre tem­pe­ste an­co­ra più for­ti di que­ste sen­za pro­ble­mi, poi ha quel bim­bo bel­lis­si­mo, si­cu­ra­men­te si spa­ven­ta ve­den­do la mam­ma ner­vo­sa, pen­si an­che a suo ma­ri­to >.

    dis­se il me­di­co e lei ri­spon­de­va:

    < Mio ma­ri­to è un ca­fo­ne e pre­po­ten­te, cre­de che io fac­cia la con­ta­di­na, ma se lo può di­men­ti­ca­re, in quan­to so­no vis­su­ta in un am­bien­te si­gno­ri­le, io non in­ten­do sot­to­sta­re al­la sue vo­glie, spe­cial­men­te zap­pa­re la ter­ra >.

    < Per­ché l'ha spo­sa­to sa­pen­do­lo un con­ta­di­no? >,

    chie­se il me­di­co, sen­za aver ri­spo­sta, poi pre­fe­rì non an­dar ol­tre com­pren­den­do lo sta­to del­la don­na, ed an­che per non tur­ba­re l'ar­mo­nia fa­mi­lia­re, an­dò via sen­za pro­fe­ri­re al­tre pa­ro­le.

    Cer­to il dia­lo­go con il me­di­co de­ve aver an­co­ra più scos­so il ca­rat­te­re del­la don­na e, co­me ve­de il ma­ri­to, gli di­ce di es­se­re una be­stia ed un gran­de in­co­scien­te per aver scel­to di la­scia­re l’Ita­lia per non cer­ca­re un la­vo­ro mi­glio­re, per fan­ta­sti­ca­re nell’in­co­gni­ta di un al­tro mon­do e lo dis­se in un mo­do tal­men­te of­fen­si­vo, da fa­re ar­rab­bia­re Gio­van­ni tan­to da non riu­sci­re a te­ne­re la ma­no fer­ma, dan­do­le un so­no­ro cef­fo­ne.

    Sen­ten­do le ur­la e gli schia­maz­zi, ac­cor­se­ro gli al­tri pas­seg­ge­ri con­vin­ti di una tra­ge­dia, for­tu­na­ta­men­te evi­ta­ta per­ché la cop­pia ave­va ca­pi­to di aver esa­ge­ra­to.

    Fu un be­ne quel li­ti­gio, in­fat­ti Lu­cia­na non eb­be più le an­go­sce del viag­gio e se­re­na­men­te af­fron­tò gli al­tri gior­ni di na­vi­ga­zio­ne sen­za iste­ri­smi, co­sì nel­la fa­mi­glia ri­tor­nò la tran­quil­li­tà.

    Cer­to Lu­cia­na era una don­na esi­le, ma ca­pric­cio­sa e ven­di­ca­ti­va, era di pic­co­la sta­tu­ra, un bel vi­so ed un cor­po per­fet­to, li­nea­men­ti fi­ni, con una vo­ce sot­ti­le e de­li­ca­ta, ema­na­va mol­ta sen­sua­li­tà ed ave­va i ca­pel­li ne­ri lun­ghi, in­fat­ti gli ar­ri­va­va­no fi­no sul­le na­ti­che ed era sem­pre co­stret­ta pas­sa­re mol­to tem­po per aver­ne cu­ra, quin­di la ren­de­va­no mol­te vol­te ner­vo­sa, per­ché non an­da­va­no se­con­do i suoi gu­sti.

    Al pic­co­lo Mar­co vo­le­va un gran be­ne, era per lei il ve­ro sen­so del­la vi­ta e quan­do sta­va po­co be­ne, di­ven­ta­va in­trat­ta­bi­le, fa­cen­do sem­pre ri­ca­de­re le col­pe al ma­ri­to, il qua­le nel­la sua roz­zez­za, cer­ca­va sem­pre di al­le­viar­le i suoi dis­sa­po­ri pren­den­do, ogni tan­to, un fio­re dai va­ri vas­soi del ri­sto­ran­te del­la na­ve, per re­ga­lar­lo al­la sua ama­ta, spe­ran­do di ave­re il suo per­do­no, pur­trop­po ve­ni­va im­man­ca­bil­men­te ri­fiu­ta­to con il get­ti­to dell’omag­gio nel ce­sti­no.

    Il ma­ri­to non sa­pe­va più co­me com­por­tar­si con la mo­glie, per­si­no il pic­co­lo Mar­co ri­sen­ti­va del ran­co­re del­la ma­dre ri­ma­nen­do im­bron­cia­to con il pa­dre e que­sti, quan­do vo­le­va gio­ca­re con il bam­bi­no, ri­ce­ve­va sol­tan­to un pian­to di­rot­to, quin­di era co­stret­to al­lon­ta­nar­si per non sen­tir­si le in­giu­rie del­la ma­dre, ma lo con­for­ta­va di­cen­do:

    < Mar­co, al­la mam­ma fa pau­ra il ma­re e sof­fre, per­ciò è ar­rab­bia­ta con me, ma ci vuo­le be­ne a tut­ti e due >.

    Nel­la ca­bi­na ad­di­rit­tu­ra dor­mi­va­no se­pa­ra­ti ed il po­ve­ro uo­mo si chie­de­va il per­ché di tan­to astio, cer­to le ave­va da­to uno schiaf­fo, ma era ne­ces­sa­rio per­ché lo ri­te­ne­va giu­sto e non ve­de­va il tan­to ac­ca­ni­men­to con­tro di lui, quan­do in­sie­me ave­va­no scel­to di cam­bia­re na­zio­ne per di­men­ti­ca­re il tri­ste pas­sa­to del­la don­na su­bi­to in quel­la fa­mi­glia, quan­do era sta­ta por­ta­ta da pic­co­la, ri­ce­ven­do sol­tan­to di­spia­ce­ri e mo­le­stie di ogni ge­ne­re.

    Per­si­no i gab­bia­ni, che di so­li­to se­guo­no le rot­te del­la na­vi, era­no scom­par­si, ri­ma­ne­va­no sol­tan­to le di­ste­se del ma­re spes­so mos­so ed ogni tan­to qual­che ti­mi­do del­fi­no si ve­de­va, sem­bra­va aves­se ca­pi­to il di­spia­ce­re di quell’uo­mo, in­fat­ti s’im­mer­ge­va nei flus­si ma­ri­ni sot­to il pon­ti­le do­ve Gio­van­ni era so­li­to so­sta­re in so­li­tu­di­ne, per ri­fa­re le stes­se ca­prio­le co­me per ral­le­grar­lo e gli avreb­be al­le­via­to co­sì il suo do­lo­re.

    I gior­ni si al­ter­na­va­no al­le not­ti, men­tre la na­ve pro­se­gui­va la sua rot­ta, ri­ma­ne­va sol­tan­to la spe­ran­za di ar­ri­va­re a Bue­nos Ai­res co­sì si­cu­ra­men­te la mo­glie sa­reb­be di­ven­ta­ta più se­re­na e trat­ta­bi­le ed an­che af­fet­tuo­sa, giac­ché ave­va sol­tan­to lui co­me ap­pog­gio e per lo più era il pa­dre del suo pic­co­lo.

    In­tan­to non v’era­no col­lo­qui tra ma­ri­to e mo­glie con ec­ce­zio­ni di chi do­ve­va ac­com­pa­gna­re Mar­co per le sa­le e pas­se­rel­le del­la na­ve, il bam­bi­no do­ve­va aver ca­pi­to la po­ca ar­mo­nia dei ge­ni­to­ri ri­ma­nen­do sem­pre cu­po e chie­de­va quan­do si ar­ri­va­va in Ame­ri­ca per­ché era stan­co di ve­de­re sem­pre il ma­re mos­so e non po­ter gio­ca­re con la ter­ra com’era so­li­to fa­re, al­lo­ra il pa­dre gli dis­se:

    < La pros­si­ma set­ti­ma­na sia­mo in por­to e ve­drai una bel­la cit­tà, lì ti ac­qui­ste­rò un gio­cat­to­lo, un bel ca­mion, co­sì po­trai gio­ca­re e tra­spor­ta­re tut­ta la ter­ra che vuoi, ma ades­so fai il bra­vo >,

    ed al­le­gra­men­te s’in­cam­mi­na­va­no sul­le pas­se­rel­le del­la na­ve per rag­giun­ge­re l’im­men­so sa­lo­ne do­ve ad at­ten­der­li, v’era la ma­dre in com­pa­gnia di un’al­tra don­na la qua­le di­mo­stra­va mol­to in­te­res­se ver­so la lo­ro fa­mi­glia, di­cen­do di re­car­si a La Pam­pa.

    Que­sta fa­mi­glia ave­va, in quel­la re­gio­ne, le lo­ro pro­prie­tà ed era­no sta­ti an­che lo­ro emi­gran­ti ita­lia­ni.

    La don­na, si chia­ma­va Ma­ria, vol­le la­scia­re il suo in­di­riz­zo e met­ter­si a di­spo­si­zio­ne per tut­te le fa­si del­lo sbar­co ed an­che per il viag­gio da in­tra­pren­de­re, per giun­ge­re ai lo­ro si­ti de­fi­ni­ti­vi.

    La lo­ro fat­to­ria era di­stan­te, dal­la ca­sa del pa­ren­te di Gio­van­ni, me­no di cen­to chi­lo­me­tri, ad Elet­tri­ca un pae­si­no tra i con­fi­ni del­la La Pam­pa ed il Rio Ne­gro, do­ve ave­va una gran­de con­ces­sio­ne agri­co­la con  al­le­va­men­ti di bo­vi­ni, sui­ni ed ovi­ni, quin­di da Puel­ches, do­ve la fa­mi­glia di Gio­van­ni an­da­va ad abi­ta­re, po­te­va­no be­nis­si­mo scam­biar­si in fu­tu­ro le vi­si­te e se aves­se­ro tro­va­to del­le dif­fi­col­tà, an­che eco­no­mi­che, sa­reb­be sta­ta pron­ta a da­re lo­ro un aiu­to, per­ché era giu­sto aiu­tar­si fra ita­lia­ni.

    In­som­ma Ma­ria, per Lu­cia­na, sem­bra­va la ve­ra man­na pio­vu­ta dal cie­lo, es­sen­do non abi­tua­ta a viag­gia­re e per lo più ar­ri­va­re in una ter­ra stra­nie­ra sen­za co­no­sce­re nep­pu­re il luo­go do­ve il pa­ren­te abi­ta­va, la ri­sol­le­vò tan­to da di­ven­ta­re più cor­dia­le col ma­ri­to.

    Fi­nal­men­te la na­ve ar­ri­vò nel por­to di Bue­nos Ai­res do­po ven­ti­tre gior­ni di na­vi­ga­zio­ne, era una gior­na­ta splen­di­da che in­vo­glia­va a pas­seg­gia­re sui lun­ghi e gran­di via­li del­la cit­tà.

    Do­po aver esple­ta­to tut­te le for­ma­li­tà do­ga­na­li, con le po­che co­se al se­gui­to, s’in­cam­mi­na­ro­no per quel­le me­ra­vi­glio­se stra­de, Lu­cia­na ri­ma­ne­va sbi­got­ti­ta per­ché non ave­va mai vi­sto tan­ta bel­lez­za e spe­cial­men­te i ne­go­zi ri­col­mi con ogni ben di Dio, spes­so si da­va un piz­zi­co per sen­ti­re se fos­se sve­glia, non avreb­be mai vo­lu­to la­scia­re quel­la cit­tà, pe­rò Ma­ria ed il ma­ri­to l’esor­ta­va­no a rin­sa­vir­si, per­ché  era mol­to lun­go il tra­git­to da fa­re, per rag­giun­ge­re la lo­ro de­fi­ni­ti­va de­sti­na­zio­ne.

    Gio­van­ni si era di­men­ti­ca­to del pa­ren­te, il qua­le ave­va fat­to la sua ri­chie­sta di emi­gra­zio­ne in Ar­gen­ti­na, in­fat­ti lui era ad at­ten­der­lo al por­to, for­se il pa­ren­te stor­di­to dal­le bel­lez­ze dei via­li e ne­go­zi, con quel­le splen­di­de ve­tri­ne, si era di­men­ti­ca­to, ma per for­tu­na il pic­co­lo Mar­co gli e lo ri­cor­dò, quan­do era­no an­da­ti a com­pra­re il ca­mion pro­mes­so in un ne­go­zio di gio­cat­to­li, di­cen­do­gli:

    < Pa­pà non ave­vi det­to che c'era un no­stro ca­ro pa­ren­te ad at­ten­der­ci al por­to? >.

    Cor­se im­me­dia­ta­men­te al por­to spe­ran­do che lo tro­vas­se, al­tri­men­ti per lo­ro sa­reb­be­ro sta­ti guai se­ri, in­fat­ti non sa­pe­va­no do­ve an­da­re e co­sa fa­re, ma il pa­ren­te, seb­be­ne pre­oc­cu­pa­to, era ad at­ten­der­li e li ac­col­se con in­fi­ni­to amo­re, quan­do li vi­de do­po tan­ti an­ni.

    Lui era di­ven­ta­to ve­do­vo e non ave­va fi­gli, quin­di li vo­le­va far vi­ve­re pres­so di lui, per crea­re una ve­ra fa­mi­glia, ac­co­glien­do­li in ca­sa, per­ché si sen­ti­va so­lo.

    Non co­no­sce­va Lu­cia­na ed il suo ca­rat­te­re di don­na su­pe­rio­re e nep­pu­re avreb­be im­ma­gi­na­to il di­sac­cor­do del­la cop­pia, ve­den­do­la co­sì esi­le, era con­vin­to che fos­se una per­so­na di gran­di sen­ti­men­ti, una don­na aman­te del la­vo­ro del ma­ri­to, ma ri­ma­se de­lu­so  quan­do co­mu­ni­cò di vo­ler­li far vi­ve­re in ca­sa sua, ri­ce­ven­do un net­to ri­fiu­to dal­la don­na, per­ché lei non in­ten­de­va fa­re poi la ca­me­rie­ra al pa­ren­te di suo ma­ri­to e tan­to me­no fa­re la con­ta­di­na.

    < Gio­van­ni mi ave­va pro­mes­so di far­mi fa­re qui la si­gno­ra >,

    ave­va com­ple­ta­to Lu­cia­na.

    < Bel­la pro­spet­ti­va, po­ve­ro Gio­van­ni >,

    si di­ce­va in cuor suo Al­fon­so.

    Sor­vo­lò al­la scor­te­sia del­la pa­ren­te e pro­gram­ma­ro­no il viag­gio per l’in­do­ma­ni, an­dan­do tut­ti in­sie­me pres­so un ri­sto­ran­te vi­ci­no, per poi per­not­ta­re in un al­ber­go.

    La se­ra­ta pas­sò fe­li­ce co­mu­ni­can­do a Gio­van­ni che ave­va tro­va­to una pian­ta­gio­ne a La Pam­pa ed era si­cu­ra­men­te di suo gra­di­men­to, do­ve­va ini­zia­re su­bi­to tut­ti i la­vo­ri ne­ces­sa­ri, in quan­to la zo­na era ari­da, ma fer­ti­le e po­te­va an­che co­struir­si una ca­sa an­ti­ci­pan­do­gli i de­na­ri ne­ces­sa­ri, in più c’era­no tut­ti i mac­chi­na­ri uti­li per la­vo­ra­re ed era­no a sua di­spo­si­zio­ne nel­la azien­da di sua pro­prie­tà, si trat­ta­va sol­tan­to di pren­der­li.

    Rin­gra­ziò il pa­ren­te ed il buon Dio, per aver­gli da­to la pos­si­bi­li­tà di da­re al­la sua fa­mi­glia un av­ve­ni­re di­gni­to­so.

    Dor­mì se­re­na­men­te, fan­ta­sti­can­do co­me fa­re i pri­mi la­vo­ri es­sen­zia­li, sen­za di­men­ti­ca­re i se­mi por­ta­ti dal­la sua ter­ra che do­ve­va­no es­se­re per pri­mi se­mi­na­ti ed il rac­col­to do­ve­va dar­lo al pa­ren­te, af­fin­ché non si di­men­ti­cas­se la sua pa­tria, co­sì avreb­be im­ma­gi­na­to di tro­var­si con tut­ti i suoi ami­ci la­scia­ti al pae­se, i qua­li poi l’elo­gia­va­no per il suo co­rag­gio avu­to

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