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I Ricordi del Nonno
I Ricordi del Nonno
I Ricordi del Nonno
E-book185 pagine2 ore

I Ricordi del Nonno

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Info su questo ebook

E' la storia della vita di un giovane che racconta la sua vita, trascorsa in Africa. Asia, Europa ed Italia, con infinite avventure, amori contrastati, con infiniti colpi di scene, durante la sua infanzia in Africa e gioventù in Italia, insomma tutto della sua vita, moglie, figli ,nipoti, amici, oltre a viaggi caratteristici fino alla sua vecchiaia, essendo un avventuriero onesto , ma che ha sempre amato tutti e la Natura.
LinguaItaliano
Data di uscita6 mag 2020
ISBN9788831665339
I Ricordi del Nonno

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    I Ricordi del Nonno - Enzo Vitale

    NON­NO

    I Ri­cor­di del Non­no

    © 2018 - En­zo Vi­ta­le

    ISBN | 978-88-31665-33-9

    Pri­ma edi­zio­ne di­gi­ta­le: 2020

    © Tut­ti i di­rit­ti ri­ser­va­ti all'Au­to­re.

    Que­sta ope­ra è pub­bli­ca­ta di­ret­ta­men­te dall'au­to­re tra­mi­te la piat­ta­for­ma di sel­fpu­bli­shing You­can­print e l'au­to­re de­tie­ne ogni di­rit­to del­la stes­sa in ma­nie­ra esclu­si­va. Nes­su­na par­te di que­sto li­bro può es­se­re per­tan­to ri­pro­dot­ta sen­za il pre­ven­ti­vo as­sen­so dell'au­to­re.

    You­can­print Self-Pu­bli­shing

    Via Mar­co Bia­gi 6, 73100 Lec­ce

    www.you­can­print.it

    in­fo@you­can­print.it

    Qual­sia­si di­stri­bu­zio­ne o frui­zio­ne non au­to­riz­za­ta co­sti­tui­sce vio­la­zio­ne dei di­rit­ti dell’au­to­re e sa­rà san­zio­na­ta ci­vil­men­te e pe­nal­men­te se­con­do quan­to pre­vi­sto dal­la leg­ge 633/1941.

      I RICORDI DEL NONNO 

    Quan­do ar­ri­va­va­no in ca­sa di Ma­rio i tre ni­po­ti­ni, na­ti dai tre suoi fi­gli, vo­le­va­no sem­pre co­no­sce­re tut­ta la vi­ta tra­scor­sa del non­no ed era­no tal­men­te in­si­sten­ti che lui non po­te­va esi­mer­si dal rac­con­tar­la, co­sì i fan­ciul­li si se­de­va­no su di un di­va­no chia­man­do non­na Lui­sa, an­ch'el­la era cu­rio­sa di ascol­ta­re, in si­len­zio, i suoi rac­con­ti e lui, for­se per or­go­glio o per ri­mem­bra­re la sua vi­ta tra­va­glia­ta e la sua Afri­ca, co­sì la chia­ma­va, ne era tal­men­te fe­li­ce per­ché al­cu­ne vol­te lo si ve­de­va con gli oc­chi ma­di­di di la­cri­me per la gio­ia di rac­con­ta­re i ri­cor­di del­la sua gio­ven­tù tra­scor­sa in Afri­ca, prin­ci­pal­men­te per­ché ama­va quei bam­bi­ni in­ten­sa­men­te ed era fe­li­ce ed or­go­glio­so di aver­li vi­ci­ni e tut­ti in­ten­ti ad ascol­ta­re le sue av­ven­tu­re, in­fat­ti que­sti, quan­do ar­ri­va­va­no, chie­de­va­no:

    < Non­no, ci rac­con­ti qual­che sto­ria di quan­do tu eri bam­bi­no in Afri­ca e tut­ta la tua vi­ta tra­scor­sa ? >.

    Co­sì non­no Ma­rio, guar­dan­do con sim­pa­tia i suoi ni­po­ti­ni e com­pren­den­do il lo­ro amo­re per i non­ni, ini­zia­va il rac­con­to men­tre i bim­bi, do­po ave­re in­vi­ta­to la non­na a se­der­si ac­can­to a lo­ro, ri­ma­ne­va­no in­ten­ti ad ascol­ta­re.

    Co­sì lui ini­zia­va il rac­con­to.

    Na­to in un pae­si­no dell'Ita­lia me­ri­dio­na­le ca­rat­te­ri­sti­co, in quan­to edi­fi­ca­to nel me­dioe­vo do­ve le ca­se so­no ad­dos­sa­te, le une al­le al­tre, da gros­se ar­ca­te in pie­tra ed ognu­na di que­ste abi­ta­zio­ni, ha gran­di sca­li­ni ri­ca­va­ti dal­la roc­cia che or­na­no l'in­gres­so del­le abi­ta­zio­ni.

    Le ca­se so­no co­strui­te in pie­tra Tu­fa­ra, tu­fi in ab­bon­dan­za per le va­rie ca­ve esi­sten­ti nel­la zo­na, le qua­li so­no di­slo­ca­te in va­rie cor­ti, tut­te edi­fi­ca­te al di sot­to di un mon­te su cui si er­ge un ca­stel­lo, pur­trop­po di­roc­ca­to, do­vu­to all'in­cu­ria del­la po­po­la­zio­ne e dal tem­po.

    Il mon­te è ca­rat­te­ri­sti­co in quan­to roc­cio­so e pie­no di di­ru­pi, do­ve mol­tis­si­mi pi­ni e ci­pres­si crea­no un cir­con­da­rio su­bli­me.                     

    Sul mon­te, a do­mi­na­re il pae­sag­gio, vi so­no i ru­de­ri di un ca­stel­lo me­die­va­le edi­fi­ca­to a di­ru­po sul­le roc­ce che, ve­den­do­li dal­la pia­nu­ra sot­to­stan­te, fa im­ma­gi­na­re la sua gran­dez­za e mae­sto­si­tà del pas­sa­to.

    In una del­le cor­ti sot­to il ca­stel­lo, era na­to un bim­bo bion­do, sua ma­dre una ca­sa­lin­ga, il pa­dre un con­ta­di­no il qua­le la­vo­ra­va nei cam­pi dei vi­ci­ni, sol­tan­to nei pe­rio­di del bi­so­gno agri­co­lo, d'al­tron­de nel pae­se tut­ti era­no agri­col­to­ri per­ché in quei tem­pi non esi­ste­va­no al­tre ri­sor­se, ma era­no ami­ci e pron­ti a sod­di­sfa­re le ne­ces­si­tà dell’uno o dell’al­tro.

    Pur­trop­po il po­co la­vo­ro e le esi­gen­ze fa­mi­lia­ri, spe­cial­men­te con la na­sci­ta del bam­bi­no, era­no sem­pre all’or­di­ne del gior­no, co­sì il ge­ni­to­re fe­ce do­man­da di emi­gra­zio­ne per l’Afri­ca orien­ta­le sa­pen­do che al go­ver­no ne­ces­si­ta­va­no con­ta­di­ni, mu­ra­to­ri, mec­ca­ni­ci ed an­che di al­tri me­stie­ri, per crea­re una co­lo­nia ef­fi­cien­te, in­se­gnan­do agli in­di­ge­ni co­me edi­fi­ca­re ca­se, stra­de, in­som­ma il be­nes­se­re e la ci­vil­tà.

    Co­sì Car­mi­ne, il pa­dre del pic­co­lo, dis­se un gior­no al­la mo­glie Fi­lo­me­na:

    < Ho fat­to do­man­da per emi­gra­re in Afri­ca, che l’han­no ac­col­ta, mi dan­no un la­vo­ro si­cu­ro ed an­che dei fi­nan­zia­men­ti per co­struir­ci una ca­sa, sta­re­mo be­ne ed avre­mo un av­ve­ni­re si­cu­ro >.

    < So­no con­ten­ta... mi di­spia­ce pe­rò la­scia­re pa­ren­ti ed ami­ci, pur­trop­po ab­bia­mo bi­so­gno, quin­di pos­sia­mo af­fron­ta­re que­sta av­ven­tu­ra, poi tu sai quel­lo che fai. >,

    ri­spo­se la mo­glie fi­du­cio­sa.

    Do­po aver pre­pa­ra­ti bau­li e va­li­ge, ven­ne il gior­no del­la par­ten­za.

    Sa­lu­ta­ti pa­ren­ti ed ami­ci, la fa­mi­glia par­te fi­nal­men­te per l’Afri­ca Orien­ta­le e pre­ci­sa­men­te per l'Eri­trea.

    Un viag­gio di set­te gior­ni con la na­ve Rex sul­la qua­le vi era­no mol­ti al­tri emi­gran­ti con i lo­ro con­giun­ti.

    Pas­sa­to il Ca­na­le di Suez ed at­tra­ver­sa­to qua­si tut­to il Mar Ros­so, il pri­mo sbar­co di emi­gran­ti vie­ne fat­to a Mas­saua e su­bi­to do­po la na­ve sal­pò le an­co­re per pro­se­gui­re la sua rot­ta per rag­giun­ge­re la So­ma­lia, co­sì la fa­mi­glia, scen­den­do dal­la na­ve e tro­van­do de­gli au­to­mez­zi di for­tu­na, mes­si a di­spo­si­zio­ne per gli emi­gran­ti, pro­se­guì con lo­ro il viag­gio at­tra­ver­san­do la Pia­na di Sa­ber­gum­ma e fi­nal­men­te ar­ri­va­ro­no al­la me­ta as­se­gna­ta.

    Do­po i re­la­ti­vi con­trol­li del­le au­to­ri­tà pre­di­spo­ste, a lo­ro ven­ne as­se­gna­to un lem­bo di ter­ra, pa­gan­do una ir­ri­so­ria ci­fra, co­sì po­te­va­no fi­nal­men­te eri­ge­re una ca­sa di lo­ro pro­prie­tà.

    La fe­li­ci­tà del­la fa­mi­glia era al cul­mi­ne ed ar­ri­va­ti ad Asma­ra, con­trol­la­ro­no la map­pa del ter­re­no avu­to, poi si di­ri­go­no pres­so il luo­go as­se­gna­to.

    < Hai vi­sto co­me ci trat­ta­no be­ne? >,

    dis­se il ma­ri­to.

    < Che Dio ci aiu­ti >,

    ri­spo­se la mo­glie con­ten­ta, men­tre ab­brac­cia­va il fi­glio.

    Ri­ma­ne­va pre­pa­ra­re le pri­me ba­si per la so­prav­vi­ven­za e, sen­za tan­ti al­tri pen­sie­ri, si mi­se­ro a si­ste­ma­re le po­che co­se por­ta­te, co­struen­do una ten­da per tra­scor­re­re i pri­mi gior­ni, al­me­no al co­per­to, men­tre si era in at­te­sa del­la co­stru­zio­ne di un’abi­ta­zio­ne.

    Il cli­ma era mi­te di gior­no, ma la se­ra era fre­sco, ciò non pre­oc­cu­pa­va la fa­mi­glia per­ché ave­va avu­to fi­nal­men­te la pos­si­bi­li­tà di co­strui­re una ca­sa pro­pria ed un la­vo­ro si­cu­ro.

    Non era sol­tan­to que­sta fa­mi­glia ad ac­cin­ger­si a pre­pa­ra­re la di­mo­ra, c’era­no mol­ti al­tri emi­gran­ti ita­lia­ni e tut­ti ave­va­no avu­to lo stes­so trat­ta­men­to, co­sì co­min­cia­ro­no a co­no­sce­re i vi­ci­ni e la col­la­bo­ra­zio­ne era im­men­sa fra lo­ro.

    Do­po al­cu­ni gior­ni ini­zia­ro­no i gran­di la­vo­ri au­to­riz­za­ti dal­le au­to­ri­tà per com­ple­ta­re la cit­tà, stra­de, fo­gna­tu­re, chie­se, pon­ti in­som­ma quan­to ne­ces­si­ta­va, co­sì na­sce­va la pri­ma pe­ri­fe­ria del­la cit­tà.   

    I gior­ni tra­scor­re­va­no ve­lo­ci, il pa­dre del bam­bi­no, un uo­mo al­to, ro­bu­sto nor­mal­men­te, ca­pel­li ne­ri e pie­no di ini­zia­ti­ve ol­tre ad es­se­re un gran­de la­vo­ra­to­re, co­min­ciò a co­strui­re la pri­ma ca­sa con l’aiu­to dei vi­ci­ni e de­gli in­di­ge­ni, que­sti ul­ti­mi ve­nu­ti da al­cu­ni vil­lag­gi po­co di­stan­ti.

    Le lo­ro di­mo­re era­no dei Tu­cul, del­le ca­set­te co­strui­te con sas­si e ve­ni­va uti­liz­za­to an­che lo ster­co dei buoi mi­sto a sab­bia co­me mal­ta, il tet­to era co­per­to con fo­rag­gio es­sic­ca­to, nell’in­ter­no un gia­ci­glio co­strui­to con lo stes­so si­ste­ma dei mu­ri ed al­to ven­ti cen­ti­me­tri dal ter­re­no sot­to­stan­te, sen­za fi­ne­stre e co­me in­gres­so un bu­co lar­go, per­met­ten­do sol­tan­to il pas­sag­gio di una per­so­na, ma era gen­te sin­ce­ra e bra­mo­sa di ap­pren­de­re le no­zio­ni im­par­ti­te da­gli ita­lia­ni, co­sì ac­cet­ta­va­no di la­vo­ra­re per­ché sa­pe­va­no di ave­re un fu­tu­ro mi­glio­re, es­sen­do vis­su­ti sem­pre co­me dei sel­vag­gi.

    Gra­zie a que­sti in­di­ge­ni, in­sie­me con la col­la­bo­ra­zio­ne dei vi­ci­ni, si era po­tu­to co­strui­re la pri­ma ca­sa in le­gno per la fa­mi­glia di Car­mi­ne, com­pren­den­do quat­tro ca­me­re, due ri­po­sti­gli gran­di ed una cu­ci­na.

    La mo­glie era fe­li­cis­si­ma ed elo­gia­va il ma­ri­to per la sua bra­vu­ra.

    Il tem­po pas­sa­va, tut­to era con­for­me al­le esi­gen­ze fa­mi­lia­ri e c’era una gran­de ar­mo­nia con i vi­ci­ni, i qua­li spes­so s’al­ter­na­va­no con vi­si­te ami­che­vo­li ed al­le­via­va­no le se­ra­te con gri­glia­te e bic­chie­ra­te, na­tu­ral­men­te quan­do il tem­po lo per­met­te­va.

    A quei tem­pi non esi­ste­va la cor­ren­te elet­tri­ca, pe­rò si ac­cen­de­va­no un lu­me ad olio e can­de­le per il­lu­mi­na­re le stan­ze, ma in­fi­ni­ta era la fe­li­ci­tà.

    Mol­ti dei vi­ci­ni era­no me­ri­dio­na­li, tra i qua­li uno era un pae­sa­no ed an­che pa­ren­te del­la mo­glie di Car­mi­ne, una don­na ener­gi­ca, di sta­tu­ra nor­ma­le, una bel­la bion­da con oc­chi mar­ro­ni, na­so al­la gre­ca, li­nea­men­ti fi­ni e mol­to par­si­mo­nio­sa per l’igie­ne, in­fat­ti man­te­ne­va la ca­sa ed il bim­bo, di no­me Ma­rio, nel mas­si­mo or­di­ne.

    Que­sto pa­ren­te era un ti­po al­le­gro ed ave­va una gran­de espe­rien­za di vi­ta, su­pe­ra­va l’età dei set­tan­ta an­ni ed era sta­to uno dei pri­mi co­lo­ni di quel­la re­gio­ne, or­mai era stan­co di ri­ma­ne­re in Afri­ca ed at­ten­de­va i per­mes­si per ri­tor­na­re nel suo bel pae­si­no in Ita­lia.

    La se­ra era so­li­to ve­ni­re a tro­va­re la fa­mi­glia di Car­mi­ne, per­ché vo­le­va un gran be­ne al pic­co­lo Ma­rio e lo tra­stul­la­va con rac­con­ti di fia­be, por­tan­do sem­pre dei cioc­co­la­ti­ni e mol­te vol­te, di gior­no, lo por­ta­va a spas­so per l’Asma­ra per far­gli ve­de­re le ca­rat­te­ri­sti­che del­la cit­tà ed in­se­gnan­do mol­te del­le sue espe­rien­ze, ma la ma­dre spes­so rim­pro­ve­ra­va il pa­ren­te per­ché gli in­se­gna­va mol­te co­se, ma lui ri­spon­de­va:

    < Da pic­co­lo si im­pa­ra la vi­ta, co­sì da gran­de non avrà ti­mo­re di af­fron­ta­re le av­ver­si­tà >,

    con­vin­cen­do la don­na.

    Si­cu­ra­men­te zio Pa­squa­le, co­sì si chia­ma­va que­sto pa­ren­te, ave­va no­stal­gia del­la sua fa­mi­glia in Ita­lia e del fi­glio, na­to sen­za di lui per­ché era par­ti­to per la guer­ra d’Abis­si­nia ed era ri­ma­sto poi a la­vo­ra­re per al­cu­ni an­ni, pri­ma di ri­tor­na­re in pa­tria dai suoi fa­mi­lia­ri.

    La fa­mi­glia so­pra de­scrit­ta era mol­to so­cie­vo­le ed ol­tre tut­to ca­ri­ta­te­vo­le.

    Era ap­pe­na ar­ri­va­ta dall’Ita­lia un’al­tra fa­mi­glia, la qua­le co­me la lo­ro, si era tro­va­ta nel­la ne­ces­si­tà di un’abi­ta­zio­ne al­me­no mo­men­ta­nea, co­sì Car­mi­ne

    av­vi­ci­nò a lo­ro e dis­se, con un sor­ri­so:

    < Men­tre co­strui­sco­no la vo­stra ca­sa, io pos­so far­vi al­log­gia­re in ca­sa mia, che è gran­de per noi, co­sì ci fa­re­te an­che com­pa­gnia >,

    Lo­ro ac­cet­ta­ro­no l’in­vi­to, co­sì la nuo­va fa­mi­glia pre­se pos­ses­so dell’al­log­gio di for­tu­na e, per rin­gra­zia­re la cor­te­sia avu­ta, re­ga­la­ro­no a Fi­lo­me­na un Pri­mus a pe­tro­lio, co­sì eb­be­ro una par­te del­la sua ca­sa, un ba­gno, due ca­me­re in mo­do da far­li abi­ta­re prov­vi­so­ria­men­te, d'al­tron­de an­che lui ave­va avu­to all’ini­zio lo stes­so trat­ta­men­to da al­cu­ni con­na­zio­na­li.

    Spie­ga­ro­no a Fi­lo­me­na che quel pri­mus era mol­to uti­le, per­ché ve­ni­va uti­liz­za­to in cu­ci­na per cuo­ce­re qua­si tut­te le vi­van­de, ave­va un so­lo ele­men­to, con sot­to­stan­te un con­te­ni­to­re pic­co­lo do­ve ve­ni­va riem­pi­to di ben­zi­na o pe­tro­lio, ave­va nel suo in­ter­no una pom­pa, la si do­ve­va ma­no­vra­re a ma­no af­fin­ché uscis­se dal con­te­ni­to­re par­te del li­qui­do sull’ele­men­to su­pe­rio­re, il qua­le sa­reb­be poi spin­to in un ugel­lo pic­co­lis­si­mo e, usci­to su­bi­to il com­bu­sti­bi­le, lo si ac­cen­de­va con un fiam­mi­fe­ro, in­som­ma la sua fiam­ma era si­mi­le a quel­le del­le cu­ci­ne a gas at­tua­li, quin­di uti­lis­si­mo per cu­ci­na­re, na­tu­ral­men­te met­ten­do una pen­to­la ap­pog­gia­ta so­pra a tre fer­ri sal­da­ti al con­te­ni­to­re, co­sì la fiam­ma po­te­va cuo­ce­re qual­sia­si pie­tan­za ed in bre­ve tem­po.

    Do­po aver ap­pre­so il fun­zio­na­men­to del Pri­mus, Fi­lo­me­na ri­ma­se tal­men­te fe­li­ce per­ché ri­spar­mia­va le­gna e tem­po co­sì, que­st'ul­ti­mo, lo po­te­va de­di­ca­re tran­quil­la­men­te al pic­co­lo ed al ma­ri­to.

    Pas­sa­ro­no me­si al­le­gri, pur­trop­po una mat­ti­na suc­ces­se una di­sgra­zia in­fat­ti, ol­tre a scon­vol­ge­re tut­te le fa­mi­glie di­mo­ran­ti nel­la ca­sa di le­gno, an­che quel­le del vi­ci­na­to.

    I ni­po­ti­ni, sen­ten­do dal non­no le ul­ti­me pa­ro­le, era­no pre­oc­cu­pa­ti del­la di­sgra­zia, pen­san­do a qual­che ma­lat­tia del­la non­na, ma Ma­rio li ras­si­cu­rò, con­ti­nuan­do poi il rac­con­to.

    Era il me­se di lu­glio ed era il com­plean­no di Ma­rio, pa­pà Car­mi­ne ave­va pro­mes­so al bam­bi­no dei cioc­co­la­ti­ni ed una tor­ta, quin­di l’in­te­ra fa­mi­glia si era re­ca­ta pres­so una pa­stic­ce­ria del cen­tro del­la cit­tà per far­gli sce­glie­re cioc­co­la­ti­ni, ca­ra­mel­le, bi­scot­ti e quan­to al­tro lui de­si­de­ra­va. 

    Il ri­tor­no fu ama­ro per­ché, in lon­ta­nan­za, si ve­de­va­no ca­mion dei pom­pie­ri ed au­to del­la po­li­zia con in­ne­sca­te le si­re­ne, il pic­co­lo Ma­rio chie­se:

    < Pa­pà do­ve cor­ro­no quei ca­mion? >.

    < Non so, for­se an­dran­no, si­cu­ra­men­te, a spe­gne­re qual­che in­cen­dio >,

    ri­spo­se Car­mi­ne, non im­ma­gi­nan­do quan­to sta­va per suc­ce­der­gli.

    Que­gli au­to­mez­zi viag­gia­va­no in di­re­zio­ne del­la fra­zio­ne pres­so cui vi era l’abi­ta­zio­ne di Car­mi­ne, in­fat­ti un im­men­so fu­mo si dif­fon­de­va fra le ca­se, si ve­de­va gen­te cor­re­re ver­so il luo­go del­la di­sgra­zia, ma lo­ro non avreb­be­ro mai im­ma­gi­na­to che ad aver pre­so fuo­co fos­se pro­prio la lo­ro abi­ta­zio­ne, pur­trop­po era la real­tà.

    Lem­bi di fuo­co al­ti più di ven­ti me­tri ave­va­no qua­si di­strut­ta tut­ta la ca­sa e c’era an­che un fe­ri­to ed era la si­gno­ra abi­tan­te in­sie­me con la fa­mi­glia di Car­mi­ne, for­tu­na­ta­men­te ave­va po­che scot­ta­tu­re, ma tut­ti i ca­pel­li bru­cia­ti, in­som­ma era sta­ta mi­ra­co­la­ta.

    Tut­ti cer­ca­va­no di sal­va­re le po­che co­se ri­ma­ste nel­la ca­sa, ma inu­til­men­te.

    La di­sgra­zia era av­ve­nu­ta per­ché la si­gno­ra coin­qui­li­na ave­va l’abi­tu­di­ne di ca­ri­ca­re il suo Pri­mus, non con il pe­tro­lio, ben­sì con la ben­zi­na e men­tre stes­se riem­pien­do il ser­ba­to­io, lo avreb­be fat­to sen­za im­bu­to e non si ac­cor­se che fos­se usci­to mol­to li­qui­do e, quel­la vol­ta ne sa­reb­be usci­to in ab­bon­dan­za, ma quan­do fos­se an­da­ta ad ac­cen­de­re l’ele­men­to su­pe­rio­re con un fiam­mi­fe­ro, non si sa­reb­be ac­cor­ta del­la ben­zi­na ver­sa­ta e co­sì ven­ne av­vol­ta dal­la fiam­ma e, pur­trop­po, pro­cu­ran­do l’in­cen­dio ed il re­la­ti­vo scop­pio del con­te­ni­to­re di ben­zi­na, im­pre­gnan­do la po­ve­ra don­na e con le con­se­guen­ze det­te.

    Le gri­da del­la don­na per chie­de­re aiu­to ed i pian­ti di Fi­lo­me­na, nel ve­der­si di­strug­ge­re la ca­sa dall'in­cen­dio, fe­ce­ro ac­cor­re­re mol­ti al­tri vo­lon­ta­ri per cer­ca­re di spe­gner­lo, ad­di­rit­tu­ra tut­ta la po­po­la­zio­ne si era su­bi­to mos­sa per da­re gli aiu­ti pos­si­bi­li, per­si­no gli abis­si­ni si era­no mes­si a di­spo­si­zio­ne di quel­la fa­mi­glia sfor­tu­na­ta, in­tan­to il pic­co­lo Ma­rio pian­ge­va e non c’era mo­do di con­so­lar­lo co­sì una fa­mi­glia, no­no­stan­te aves­se tre bam­bi­ni, vol­le far ve­ni­re il bim­bo da lo­ro e per tut­to il tem­po ne­ces­sa­rio, co­sì gli avreb­be­ro evi­ta­to even­tua­li trau­mi e fos­se sta­to in com­pa­gnia dei fi­gli, in mo­do

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