I Ricordi del Nonno
Di Enzo Vitale
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I Ricordi del Nonno - Enzo Vitale
NONNO
I Ricordi del Nonno
© 2018 - Enzo Vitale
ISBN | 978-88-31665-33-9
Prima edizione digitale: 2020
© Tutti i diritti riservati all'Autore.
Questa opera è pubblicata direttamente dall'autore tramite la piattaforma di selfpublishing Youcanprint e l'autore detiene ogni diritto della stessa in maniera esclusiva. Nessuna parte di questo libro può essere pertanto riprodotta senza il preventivo assenso dell'autore.
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I RICORDI DEL NONNO
Quando arrivavano in casa di Mario i tre nipotini, nati dai tre suoi figli, volevano sempre conoscere tutta la vita trascorsa del nonno ed erano talmente insistenti che lui non poteva esimersi dal raccontarla, così i fanciulli si sedevano su di un divano chiamando nonna Luisa, anch'ella era curiosa di ascoltare, in silenzio, i suoi racconti e lui, forse per orgoglio o per rimembrare la sua vita travagliata e la sua Africa, così la chiamava, ne era talmente felice perché alcune volte lo si vedeva con gli occhi madidi di lacrime per la gioia di raccontare i ricordi della sua gioventù trascorsa in Africa, principalmente perché amava quei bambini intensamente ed era felice ed orgoglioso di averli vicini e tutti intenti ad ascoltare le sue avventure, infatti questi, quando arrivavano, chiedevano:
< Nonno, ci racconti qualche storia di quando tu eri bambino in Africa e tutta la tua vita trascorsa ? >.
Così nonno Mario, guardando con simpatia i suoi nipotini e comprendendo il loro amore per i nonni, iniziava il racconto mentre i bimbi, dopo avere invitato la nonna a sedersi accanto a loro, rimanevano intenti ad ascoltare.
Così lui iniziava il racconto.
Nato in un paesino dell'Italia meridionale caratteristico, in quanto edificato nel medioevo dove le case sono addossate, le une alle altre, da grosse arcate in pietra ed ognuna di queste abitazioni, ha grandi scalini ricavati dalla roccia che ornano l'ingresso delle abitazioni.
Le case sono costruite in pietra Tufara, tufi in abbondanza per le varie cave esistenti nella zona, le quali sono dislocate in varie corti, tutte edificate al di sotto di un monte su cui si erge un castello, purtroppo diroccato, dovuto all'incuria della popolazione e dal tempo.
Il monte è caratteristico in quanto roccioso e pieno di dirupi, dove moltissimi pini e cipressi creano un circondario sublime.
Sul monte, a dominare il paesaggio, vi sono i ruderi di un castello medievale edificato a dirupo sulle rocce che, vedendoli dalla pianura sottostante, fa immaginare la sua grandezza e maestosità del passato.
In una delle corti sotto il castello, era nato un bimbo biondo, sua madre una casalinga, il padre un contadino il quale lavorava nei campi dei vicini, soltanto nei periodi del bisogno agricolo, d'altronde nel paese tutti erano agricoltori perché in quei tempi non esistevano altre risorse, ma erano amici e pronti a soddisfare le necessità dell’uno o dell’altro.
Purtroppo il poco lavoro e le esigenze familiari, specialmente con la nascita del bambino, erano sempre all’ordine del giorno, così il genitore fece domanda di emigrazione per l’Africa orientale sapendo che al governo necessitavano contadini, muratori, meccanici ed anche di altri mestieri, per creare una colonia efficiente, insegnando agli indigeni come edificare case, strade, insomma il benessere e la civiltà.
Così Carmine, il padre del piccolo, disse un giorno alla moglie Filomena:
< Ho fatto domanda per emigrare in Africa, che l’hanno accolta, mi danno un lavoro sicuro ed anche dei finanziamenti per costruirci una casa, staremo bene ed avremo un avvenire sicuro >.
< Sono contenta... mi dispiace però lasciare parenti ed amici, purtroppo abbiamo bisogno, quindi possiamo affrontare questa avventura, poi tu sai quello che fai. >,
rispose la moglie fiduciosa.
Dopo aver preparati bauli e valige, venne il giorno della partenza.
Salutati parenti ed amici, la famiglia parte finalmente per l’Africa Orientale e precisamente per l'Eritrea.
Un viaggio di sette giorni con la nave Rex sulla quale vi erano molti altri emigranti con i loro congiunti.
Passato il Canale di Suez ed attraversato quasi tutto il Mar Rosso, il primo sbarco di emigranti viene fatto a Massaua e subito dopo la nave salpò le ancore per proseguire la sua rotta per raggiungere la Somalia, così la famiglia, scendendo dalla nave e trovando degli automezzi di fortuna, messi a disposizione per gli emigranti, proseguì con loro il viaggio attraversando la Piana di Sabergumma e finalmente arrivarono alla meta assegnata.
Dopo i relativi controlli delle autorità predisposte, a loro venne assegnato un lembo di terra, pagando una irrisoria cifra, così potevano finalmente erigere una casa di loro proprietà.
La felicità della famiglia era al culmine ed arrivati ad Asmara, controllarono la mappa del terreno avuto, poi si dirigono presso il luogo assegnato.
< Hai visto come ci trattano bene? >,
disse il marito.
< Che Dio ci aiuti >,
rispose la moglie contenta, mentre abbracciava il figlio.
Rimaneva preparare le prime basi per la sopravvivenza e, senza tanti altri pensieri, si misero a sistemare le poche cose portate, costruendo una tenda per trascorrere i primi giorni, almeno al coperto, mentre si era in attesa della costruzione di un’abitazione.
Il clima era mite di giorno, ma la sera era fresco, ciò non preoccupava la famiglia perché aveva avuto finalmente la possibilità di costruire una casa propria ed un lavoro sicuro.
Non era soltanto questa famiglia ad accingersi a preparare la dimora, c’erano molti altri emigranti italiani e tutti avevano avuto lo stesso trattamento, così cominciarono a conoscere i vicini e la collaborazione era immensa fra loro.
Dopo alcuni giorni iniziarono i grandi lavori autorizzati dalle autorità per completare la città, strade, fognature, chiese, ponti insomma quanto necessitava, così nasceva la prima periferia della città.
I giorni trascorrevano veloci, il padre del bambino, un uomo alto, robusto normalmente, capelli neri e pieno di iniziative oltre ad essere un grande lavoratore, cominciò a costruire la prima casa con l’aiuto dei vicini e degli indigeni, questi ultimi venuti da alcuni villaggi poco distanti.
Le loro dimore erano dei Tucul, delle casette costruite con sassi e veniva utilizzato anche lo sterco dei buoi misto a sabbia come malta, il tetto era coperto con foraggio essiccato, nell’interno un giaciglio costruito con lo stesso sistema dei muri ed alto venti centimetri dal terreno sottostante, senza finestre e come ingresso un buco largo, permettendo soltanto il passaggio di una persona, ma era gente sincera e bramosa di apprendere le nozioni impartite dagli italiani, così accettavano di lavorare perché sapevano di avere un futuro migliore, essendo vissuti sempre come dei selvaggi.
Grazie a questi indigeni, insieme con la collaborazione dei vicini, si era potuto costruire la prima casa in legno per la famiglia di Carmine, comprendendo quattro camere, due ripostigli grandi ed una cucina.
La moglie era felicissima ed elogiava il marito per la sua bravura.
Il tempo passava, tutto era conforme alle esigenze familiari e c’era una grande armonia con i vicini, i quali spesso s’alternavano con visite amichevoli ed alleviavano le serate con grigliate e bicchierate, naturalmente quando il tempo lo permetteva.
A quei tempi non esisteva la corrente elettrica, però si accendevano un lume ad olio e candele per illuminare le stanze, ma infinita era la felicità.
Molti dei vicini erano meridionali, tra i quali uno era un paesano ed anche parente della moglie di Carmine, una donna energica, di statura normale, una bella bionda con occhi marroni, naso alla greca, lineamenti fini e molto parsimoniosa per l’igiene, infatti manteneva la casa ed il bimbo, di nome Mario, nel massimo ordine.
Questo parente era un tipo allegro ed aveva una grande esperienza di vita, superava l’età dei settanta anni ed era stato uno dei primi coloni di quella regione, ormai era stanco di rimanere in Africa ed attendeva i permessi per ritornare nel suo bel paesino in Italia.
La sera era solito venire a trovare la famiglia di Carmine, perché voleva un gran bene al piccolo Mario e lo trastullava con racconti di fiabe, portando sempre dei cioccolatini e molte volte, di giorno, lo portava a spasso per l’Asmara per fargli vedere le caratteristiche della città ed insegnando molte delle sue esperienze, ma la madre spesso rimproverava il parente perché gli insegnava molte cose, ma lui rispondeva:
< Da piccolo si impara la vita, così da grande non avrà timore di affrontare le avversità >,
convincendo la donna.
Sicuramente zio Pasquale, così si chiamava questo parente, aveva nostalgia della sua famiglia in Italia e del figlio, nato senza di lui perché era partito per la guerra d’Abissinia ed era rimasto poi a lavorare per alcuni anni, prima di ritornare in patria dai suoi familiari.
La famiglia sopra descritta era molto socievole ed oltre tutto caritatevole.
Era appena arrivata dall’Italia un’altra famiglia, la quale come la loro, si era trovata nella necessità di un’abitazione almeno momentanea, così Carmine
avvicinò a loro e disse, con un sorriso:
< Mentre costruiscono la vostra casa, io posso farvi alloggiare in casa mia, che è grande per noi, così ci farete anche compagnia >,
Loro accettarono l’invito, così la nuova famiglia prese possesso dell’alloggio di fortuna e, per ringraziare la cortesia avuta, regalarono a Filomena un Primus a petrolio, così ebbero una parte della sua casa, un bagno, due camere in modo da farli abitare provvisoriamente, d'altronde anche lui aveva avuto all’inizio lo stesso trattamento da alcuni connazionali.
Spiegarono a Filomena che quel primus era molto utile, perché veniva utilizzato in cucina per cuocere quasi tutte le vivande, aveva un solo elemento, con sottostante un contenitore piccolo dove veniva riempito di benzina o petrolio, aveva nel suo interno una pompa, la si doveva manovrare a mano affinché uscisse dal contenitore parte del liquido sull’elemento superiore, il quale sarebbe poi spinto in un ugello piccolissimo e, uscito subito il combustibile, lo si accendeva con un fiammifero, insomma la sua fiamma era simile a quelle delle cucine a gas attuali, quindi utilissimo per cucinare, naturalmente mettendo una pentola appoggiata sopra a tre ferri saldati al contenitore, così la fiamma poteva cuocere qualsiasi pietanza ed in breve tempo.
Dopo aver appreso il funzionamento del Primus, Filomena rimase talmente felice perché risparmiava legna e tempo così, quest'ultimo, lo poteva dedicare tranquillamente al piccolo ed al marito.
Passarono mesi allegri, purtroppo una mattina successe una disgrazia infatti, oltre a sconvolgere tutte le famiglie dimoranti nella casa di legno, anche quelle del vicinato.
I nipotini, sentendo dal nonno le ultime parole, erano preoccupati della disgrazia, pensando a qualche malattia della nonna, ma Mario li rassicurò, continuando poi il racconto.
Era il mese di luglio ed era il compleanno di Mario, papà Carmine aveva promesso al bambino dei cioccolatini ed una torta, quindi l’intera famiglia si era recata presso una pasticceria del centro della città per fargli scegliere cioccolatini, caramelle, biscotti e quanto altro lui desiderava.
Il ritorno fu amaro perché, in lontananza, si vedevano camion dei pompieri ed auto della polizia con innescate le sirene, il piccolo Mario chiese:
< Papà dove corrono quei camion? >.
< Non so, forse andranno, sicuramente, a spegnere qualche incendio >,
rispose Carmine, non immaginando quanto stava per succedergli.
Quegli automezzi viaggiavano in direzione della frazione presso cui vi era l’abitazione di Carmine, infatti un immenso fumo si diffondeva fra le case, si vedeva gente correre verso il luogo della disgrazia, ma loro non avrebbero mai immaginato che ad aver preso fuoco fosse proprio la loro abitazione, purtroppo era la realtà.
Lembi di fuoco alti più di venti metri avevano quasi distrutta tutta la casa e c’era anche un ferito ed era la signora abitante insieme con la famiglia di Carmine, fortunatamente aveva poche scottature, ma tutti i capelli bruciati, insomma era stata miracolata.
Tutti cercavano di salvare le poche cose rimaste nella casa, ma inutilmente.
La disgrazia era avvenuta perché la signora coinquilina aveva l’abitudine di caricare il suo Primus, non con il petrolio, bensì con la benzina e mentre stesse riempiendo il serbatoio, lo avrebbe fatto senza imbuto e non si accorse che fosse uscito molto liquido e, quella volta ne sarebbe uscito in abbondanza, ma quando fosse andata ad accendere l’elemento superiore con un fiammifero, non si sarebbe accorta della benzina versata e così venne avvolta dalla fiamma e, purtroppo, procurando l’incendio ed il relativo scoppio del contenitore di benzina, impregnando la povera donna e con le conseguenze dette.
Le grida della donna per chiedere aiuto ed i pianti di Filomena, nel vedersi distruggere la casa dall'incendio, fecero accorrere molti altri volontari per cercare di spegnerlo, addirittura tutta la popolazione si era subito mossa per dare gli aiuti possibili, persino gli abissini si erano messi a disposizione di quella famiglia sfortunata, intanto il piccolo Mario piangeva e non c’era modo di consolarlo così una famiglia, nonostante avesse tre bambini, volle far venire il bimbo da loro e per tutto il tempo necessario, così gli avrebbero evitato eventuali traumi e fosse stato in compagnia dei figli, in modo