Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

First. La mia prima volta
First. La mia prima volta
First. La mia prima volta
E-book352 pagine5 ore

First. La mia prima volta

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Bestseller mondiale
Un esordio che ha conquistato migliaia di lettrici

Un incredibile esordio che toglie il respiro fino all’ultima pagina

A diciassette anni, Mercedes Ayres ha le idee ben precise in fatto di sesso: la porta della sua camera da letto è aperta solo per ragazzi alla prima esperienza. Mercedes è pronta a indirizzarli e aiutarli, e in cambio chiede solo che rendano speciale la prima volta delle loro ragazze. Che sia una prima volta perfetta, quella che Mercedes non ha avuto. Fino ad ora mantenere il segreto su ciò che accade nella sua camera da letto è stato facile. La sua impegnatissima madre è sempre fuori durante il giorno e non immagina quali siano le attività extrascolastiche della figlia, e la sua migliore amica super religiosa, Angela, non si azzarda neanche a pronunciare la parola “sesso” prima del matrimonio… Ma ci sono cose che Mercedes non ha messo in conto: non avrebbe mai potuto prevedere, ad esempio, che proprio il fidanzato di Angela venisse da lei e le chiedesse un “trattamento speciale” in cambio del silenzio, o che qualcuno fosse attratto da lei per com’è e non per ciò che sa fare a letto… Quando la sua perfetta organizzazione va in frantumi, Mercedes dovrà darsi da fare per salvare la propria reputazione e anche per capire che posto dare al suo cuore…

Romantico, sexy, irriverente, coraggioso: First è un romanzo speciale come la prima volta

«Un esordio senza paura, intelligente e straziante. First. La mia prima volta rimarrà con voi a lungo dopo l’ultima pagina.»
Amanda

«Un debutto coraggioso. I lettori saranno pazzi di Mercedes, un personaggio originale, magnifico. Un libro da cui è impossibile staccarsi. Umorismo e sentimento ai massimi livelli!»
Lori
Laurie Elizabeth Flynn

Ha frequentato la scuola di giornalismo e in seguito ha lavorato come modella, professione che l’ha portata in giro per il mondo. Vive a London, in Ontario, con il marito e il suo chihuahua. First. La mia prima volta è il suo romanzo d’esordio.
LinguaItaliano
Data di uscita11 lug 2016
ISBN9788854198326
First. La mia prima volta

Correlato a First. La mia prima volta

Titoli di questa serie (100)

Visualizza altri

Ebook correlati

Narrativa romantica Young Adult per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su First. La mia prima volta

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    First. La mia prima volta - Laurie Elizabeth Flynn

    1

    Stasera farò un favore alla ragazza di Evan Brown. Un favore imbarazzante, sudaticcio e brancolante. Melanie, o come si chiama, è in debito con me alla grande.

    Solo che non lo saprà mai.

    «Aspetta lì», dico a Evan, entrando nella mia cabina armadio.

    Mi volto a lanciare un’occhiata furtiva a lui, alla sua posizione accovacciata sul bordo del mio letto, con le spalle smilze curve in avanti e le mani sulle ginocchia. Sembra si stia preparando a giocare a un videogame. Trattengo una risata. Questo è un livello che non supererà al primo tentativo.

    Una volta appartata nella mia cabina armadio, mi infilo una culotte di satin rosa e canotta abbinata. Capisco dalla sua espressione di paura e dall’odore di sudore nervoso che emanano le sue ascelle che Evan non è in grado di reggere il négligé di pizzo nero e specialmente lo slip rosso, quello con la fessura che arriva fino in cima.

    Apro il cassetto con i reggicalze e la collezione di calze a rete e poi lo richiudo. Evan non saprebbe cosa fare con un reggicalze o con delle calze a rete, e non è mia intenzione metterlo in imbarazzo più di quanto già non sia.

    Metto un rossetto rosa e lascio i capelli sciolti attorno alle spalle. Sono ondulati, ancora umidi di doccia. Normalmente li ridurrei alla ragione con la piastra ma stavolta lascerò perdere. Mi sfrego via il rossetto ma il giudizio nei miei occhi resta.

    Evan avrà quello che decisamente non sono: la brava ragazza.

    «Dio, Mercy», dice quando esco. La sua voce si incrina e diventa più rosso dei suoi capelli, cosa che fa spiccare i brufoli che gli costellano le guance. La pubertà non è stata gentile con Evan Brown.

    «Non dirlo», ordino, sistemandomi sul suo grembo. Gli tremano le gambe.

    «Non dire cosa?». Gli trema anche la voce.

    «Mercy. Non è quello il mio nome».

    «Ma è così che ti chiama Angela».

    «Angela è mia amica. Tu no. Tu sei qualcuno a cui sto facendo un favore. Non devi chiamarmi in nessun modo. Ma se vuoi farlo, il mio vero nome andrà bene».

    «Mercedes», dice, squittendo le sillabe in più. «Mia madre ne ha sempre voluta una». Si da una manata sulla fronte. «Merda, non volevo parlare di mia madre. Non sto pensando a lei». Si toglie gli occhiali e si sfrega gli occhi. «È solo che non pensavo che sarei stato così nervoso».

    Un tempo mi piaceva il mio nome. Mercedes. Cioè fino a quando non ho scoperto che ero stata chiamata come un’auto. La lucente auto rossa che mio padre amava più di ogni cosa – quella da cui salutò con la mano mentre andava via. Ricordo che quell’auto piaceva anche a me. Mio padre mi lasciava sedere davanti e fingere di girare il volante. «Avrai il piede pesante», diceva al di sopra del mio infantile brum, brum. «Qualcuno dovrà insegnarti a rallentare». Ma non rimase a lungo nei paraggi per essere lui quel qualcuno.

    Detto da Evan, il mio nome non sembra elegante né veloce. Sembra solo complicato, come se stesse cercando di parlare una lingua straniera. Immagino che per Evan io sia una lingua straniera.

    Sorrido e gli passo le dita tra i capelli. O perlomeno ci provo. Si è messo tanto di quel dannato gel che la mano mi resta impigliata.

    «Non ci pensare», dico, asciugandomi le dita appiccicose dietro la sua maglietta. «Tutti si fanno prendere dal nervosismo». Gli bacio il collo, dove sento il battito sotto la pelle. Gli prendo l’orlo della T-shirt e gliela sfilo dalla testa.

    «Ho portato questi», dice, ficcandosi una mano nella tasca dei jeans e tirandone fuori un rotolo di preservativi. Devono essercene una decina. Tenta un sorriso ma ha più l’aria di una smorfia.

    «È sempre un bene essere preparati», dico. «Ma questi conservali per Melanie. Sono preparata anch’io».

    Mi sporgo per aprire il cassetto del comodino, dove le scatole sono impilate come ordinati soldatini. Ultra Sottili, Per il Suo Piacere, Seconda Pelle, Magnum. Tiro fuori un Ultra Sottile. Malgrado ciò che pensano, molti ragazzi sono Ultra Sottili. Sufficienti per la protezione, senz’altri fronzoli. Questo fatto mi è stato inculcato presto. Mia madre ha iniziato a educarmi alla contraccezione quando le altre mamme erano ancora ferme ai tamponi.

    E poi Evan non sembra un tipo da Magnum.

    «Quanto in là ti sei spinto con Melanie?»

    «Melody», mi corregge. «Si chiama Melody. Non Melanie. Melody, come una canzone». Abbassa lo sguardo sulla mia scollatura, che ha proprio davanti alla faccia. «Mi lascia toccarla. E una volta, quando i suoi erano fuori città, l’abbiamo quasi fatto. Abbiamo fatto altre cose».

    Mi metto le mani sui fianchi. «Devi essere più specifico. Altre cose, del tipo che vi siete visti nudi? Del tipo che le sei venuto addosso?».

    Annuisce e diventa di una tonalità di rosso ancora più scura. «Ma lei non ha voluto andare fino in fondo. Vuole che sia la notte migliore della sua vita. Perciò ho organizzato tutta questa cosa, la cena e il resto».

    «Molto romantico», dico con un gran sorriso. Questo è il motivo per cui voglio farlo. «A quanto pare lei ti piace. E tu piaci a lei».

    Amo quando i ragazzi si prendono il tempo per fare progetti. E anche se Evan ha biascicato la cena e il resto senza stabilire un contatto visivo, so che intende molto di più. Si è preso il tempo per conoscere Melody, cosa le piace e cosa la farà felice.

    «È questo il problema», replica. «Dice di amarmi. Dice che, siccome mi ama, sa che la manderò fuori di testa».

    Annuisco. Capisco questa parte. Melody sembra come tutte le altre ragazze, che si aspettano i fuochi d’artificio la prima volta. Io non sono così ingenua. I fuochi d’artificio non succedono così. Devono essere predisposti con cura e poi accesi lentamente.

    Esattamente quello che farò per Evan.

    «Ma tu non pensi che la manderai fuori di testa», dico adagio. «Ecco perché sei qui».

    «Be’, sì», ammette. «Lei è molto più passionale di me. E il mio amico, Gus, sta ancora con la sua ragazza grazie a te».

    So esattamente di chi sta parlando Evan, solo che mi ricordo di lui più con il suo soprannome, quello che gli ho segretamente dato io. Il Piagnone. Gus era il numero sei, quello che faceva il duro e praticamente ha cercato di darmi istruzioni…fino a che non è crollato a piangere sul mio cuscino dopo.

    Appoggio le mani sulle spalle di Evan. «Be’, voi siete andati molto più in là di altre persone. Vi siete già visti nudi. Vi siete tolti questo pensiero. Per alcuni, quella è la parte più imbarazzante». Mi abbasso le spalline della canotta. «Come adesso. Cosa faresti se io fossi Melody?»

    «Direi che sei bellissima», dice. «Chiederei se posso toccarle».

    «Giusto e sbagliato», ribatto. «Fai sempre bene a dire a una ragazza che è bellissima. Ma non chiedere mai se puoi fare qualcosa. Sii audace, perché la sicurezza è una cosa che puoi assolutamente fingere fino a che non la provi davvero».

    Evan continua a fissarmi il seno. Ha il respiro pesante e sento la sua erezione attraverso i jeans. Forse Evan avrà bisogno di un Magnum, dopo tutto.

    «Allora, va’ avanti», dico. «Questo è il momento di fare errori».

    E li fa. Commette un sacco di errori. Mi palpeggia i seni come se fossero palle da baseball, mi sbava sul collo, mi infila la lingua quasi in gola. Sono errori da novellino, il tipo che la maggior parte delle persone non azzecca mai la prima volta. Ma è per questo che sono qui. Gli dico di chiudere le labbra, di seguire le curve del mio corpo con le mani, usare le dita per tracciare un profilo che seguirà con la lingua. Gli insegno ad aprire l’involucro del preservativo, a tirarne la punta prima di indossarlo per fare uscire fuori tutta l’aria. Abbasso le luci per l’atto finale, aiutandolo a entrare dentro di me, senza rimproverarlo per i primi quindici minuti di brancolamento nel buio ma dandogli atto per la migliorata tecnica negli ultimi quindici.

    Ma quando chiede un bis, scuoto la testa con decisione. Non ho mai concesso un bis. «Risparmialo per Melody», dico.

    Si stiracchia sotto le coperte e gira la testa sul cuscino. Ha ancora il fiato mozzo. «Non dovrei restare a dormire?», dice. «Potremmo rifarlo domani mattina. Scommetto che durerò di più».

    Mi copro il seno con le mani e mi alzo, cercando qualcosa con cui coprirmi meglio. Ma trovo solo una vestaglia trasparente. Maledico la mancanza di veri pigiama. Questa è la parte che non mi piace. Al buio, quando ho io il controllo, anche con tutto quanto in mostra, mi sento meno nuda rispetto a ora. Poi le luci si accendono e loro vogliono parlare. Fare domande. Domande a cui non so rispondere nel mio caso, figuriamoci nel loro.

    «Non resti», dico, allacciandomi la vestaglia attorno alla vita. «Ci arriverai. Alle ragazze importa meno di quanto pensi. Specialmente all’inizio. Potete prepararvi insieme».

    Ghigna. Sembra diverso, più attraente in un certo senso. Alla luce più tenue, i brufoli non sono così evidenti e la mascella sembra più pronunciata. Un giorno, penso, Evan Brown potrebbe perfino diventare un rubacuori.

    Ma quel giorno non è oggi.

    Do un’occhiata all’orologio sul comodino. Le undici di un martedì sera. «Domani c’è scuola, Evan. Devi andare. Tua madre si chiederà dove sei finito». O immagino che lo farebbe. La maggior parte delle madri lo fa. Non la mia, naturalmente.

    Il suo ghigno si trasforma in un’espressione corrucciata. «Ti devo, sai, ti devo qualcosa? Non so come funziona». La sua voce si affievolisce.

    «Non mi devi niente. Solo, fa’ il bravo con lei, d’accordo? Ricorda tutto quello di cui abbiamo parlato».

    So che lo farà. Ha perfino preso appunti. Aprile lo sportello dell’auto. Portale fiori, niente di generico come le rose ma i suoi fiori preferiti. Prenota il tavolo al ristorante in anticipo, non necessariamente un posto elegante ma che sia significativo, del tipo dove vi siete scambiati il primo bacio o dove hai capito di amarla. Baciala, non solo sulle labbra ma in posti inaspettati. Sulla nuca. Sulla fronte. Sul polso. Infilale delicatamente i capelli dietro le orecchie. Fa’ una foto. Lei vorrà ricordare la serata.

    Inghiotto un nodo che mi si è formato in gola all’improvviso. Non è che Evan sia diverso…– è un ragazzo carino, ama la sua ragazza e vuole farla felice. Forse sono io quella diversa. Forse questo discorso comincia a sembrare troppo familiare. Mi ero detta cinque favori per cinque vergini meritevoli. Cinque era la linea che avevo tracciato sulla sabbia e ci sono passata sopra come se neanche ci fosse. Evan è il decimo e dieci è una linea che non posso superare così.

    Ma di sicuro non mi metterò a parlarne con Evan perciò sfoggio un sorriso fasullo. Indico la stanza attorno a me, la chaise longue, la cabina armadio e la scarpiera alta fino al soffitto. «E poi, non mi servono i tuoi soldi. Spendili per Melody».

    Si rimette boxer e pantaloni. I suoi movimenti sono più misurati, non i gesti goffi, terrificati dell’Evan Brown che è entrato in camera mia un’ora fa. Anche la sua voce sembra più profonda, come se fosse venuto qui ragazzo e ne stia uscendo uomo. Immagino che non sia lontano dalla verità. Mi concedo un piccolo sorriso, uno vero stavolta. È facile legittimare quello che faccio. Ciò che è successo a Evan in camera mia lo cambierà, lo renderà un amante più premuroso, perfino un fidanzato migliore. Momenti come questi hanno reso così facile cancellare quella linea sulla sabbia.

    In momenti come questi potrei vedere un undicesimo, anche se mi sono ripromessa che non succederà. Sto cominciando la seconda metà dell’ultimo anno e ho usato già tutto il mio karma positivo.

    «Non so da dove sei arrivata ma mi hai salvato la vita, Mercy. Voglio dire, Mercedes. Non so cosa avrei fatto senza di te».

    «Avresti strappato per errore cinque preservativi e avresti potuto far affogare la tua ragazza nella saliva. Ma adesso, andrai a segno. Letteralmente».

    Si infila la maglietta sulla testa. «Quando Gus mi ha detto come lo avevi aiutato, non ci ho creduto. Ma aveva ragione,…sei un angelo». Fa una pausa. «Ma posso chiederti…».

    Lo interrompo a metà frase. «No, non puoi. Non rovinare tutto».

    «Ma non mi hai neanche lasciato finire», protesta.

    «Oh, ti ho lasciato finire», replico. «L’unica cosa che puoi fare per me è non chiedermi niente».

    Annuisce. «Va bene».

    «Buonanotte, Evan».

    «Buonanotte, Mercy. Uh, Mercedes». Va alla porta della mia camera e si ferma con la mano sulla maniglia.

    «Non sarà imbarazzante a scuola domani, vero?» chiede, girandosi a guardarmi.

    «Certo che no», rispondo, incrociando le braccia sul petto. «Non sarà affatto imbarazzante perché ciò che è accaduto in questa stanza diventa un parto della tua immaginazione nell’istante in cui esci da quella porta».

    Mi rivolge un sorriso tirato e si chiude la porta dietro di sé. Riesco a vedere le sue scarpe sotto, capisco che sta indugiando, chiedendosi se abbia detto troppo o troppo poco, non del tutto convinto che il suo segreto sia al sicuro con me.

    Ma non ha niente da temere. Il suo segreto, come quello dei nove prima di lui, è al sicuro con me. Alla Milton High le mie statistiche le tengo da sola. Le persone non riescono a vedere l’equalizzatore, cosa che gli sfigati della banda, i nerd del teatro, gli atleti superimpegnati e i secchioni hanno in comune.

    Io, Mercedes Ayres.

    La ragazza che si è presa la loro verginità.

    2

    L’auto di mamma è ancora nel vialetto quando il mattino seguente esco di casa. Questo vuol dire che dovrò girarci attorno con la Jeep per evitare di abbattere uno specchietto laterale. Malgrado il tempo che ci vuole, sono sollevata. La Corvette decapottabile, dall’odioso colore giallo, nel vialetto significa che mia madre ha preso una saggia decisione ieri sera e non ha usato l’auto per andare all’happy hour. L’estate scorsa, la guida in stato di ebbrezza è costata a Kim tre mesi di sospensione della patente e le avrebbe comportato due giorni in prigione se non fosse stato per il suo eccellente avvocato. Kim non lo ammetterebbe mai, ma so che è assolutamente fiera dell’accaduto. Adesso condivide un’attività extracurriculare con celebrità di tutto il mondo.

    Inutile dire che Kim va d’accordissimo con le casalinghe di Rancho Palos Verdes, spettegolando senza sosta e spendendo i soldi dell’accordo di divorzio in costoso champagne e nel tipo di chirurgia plastica che tutti fanno ma nessuno ammette. Lei si integra ma io non vedo l’ora di andarmene, e questa mattina in particolare segna l’inizio dei miei ultimi sei mesi qui. So esattamente dove voglio andare e come arrivarci. Massachussetts Institute of Technology. mit. La Mecca, il Sacro Graal dell’ingegneria chimica. Sarà un nuovo inizio, il più lontano possibile dalla California meridionale, in uno stato dove la gente veste di nero invece che pastello e le stagioni cambiano davvero. I miei voti mi garantiranno l’accesso e, una volta lì, lavorerò sodo per restarci. Niente ragazzi. Niente distrazioni. Nessuno lì saprà chi sono o cosa ho fatto né con quante persone sono andata a letto.

    Dopo essere uscita dal vialetto, mi lancio sulla strada suburbana, sperando di guadagnare un po’ di tempo col mio piede pesante. Angela odia quando qualcuno è in ritardo per il gruppo di preghiera e non mi piace fare arrabbiare la mia migliore amica.

    La cosa fantastica di arrivare a scuola così presto è un ottimo posto garantito al parcheggio, nel quale infilo la Jeep. Dopo una corsa a perdifiato nel corridoio, mollo i libri nell’armadietto. È allora che lo vedo nello specchio interno – un piccolo succhiotto alla base della clavicola, senza dubbio opera di Evan, decisamente non intenzionale. Impreco sottovoce e mi fiondo nel bagno per coprirlo con una passata di correttore, sapendo che, malgrado le mie migliori intenzioni, farò tardi comunque. Ma coprire quest’affare vale una strigliata da parte di Angela.

    Mi precipito nella biblioteca proprio mentre Angela sta per cominciare a leggere. Mi sorride al di sopra della sua Bibbia e scuote un po’ la testa, quasi come se si aspettasse il mio ritardo. Prendo posto accanto al ragazzo di Angela, Charlie, l’unica altra persona che frequenta regolarmente il gruppo di preghiera. Gli occhi di Charlie guizzano sulla mia faccia e giuro che vanno a posarsi sul succhiotto, anche se devo essere paranoica.

    Ho conosciuto Angela in prima superiore a un gruppo di preghiera, che avevo iniziato a frequentare perché Kim mi stava spingendo a trovarmi un ragazzo e, naturalmente, le avevo detto che volevo invece entrare in convento. Angela è il motivo per cui ho continuato la farsa. E quest’anno il bonus è stato che si è rivelato un’ottima copertura per il mio piano pagamento anticipato. Anche se girasse qualche voce, chi sospetterebbe della ragazza che è quasi una suora?

    Ma questo non lo direi mai ad Angela. Angela pensa che il sesso sia un dono sacro che concedi solo a tuo marito la notte delle nozze. Sta insieme a Charlie da quasi due anni e il massimo a cui si sono spinti è il petting vestiti, e quello è stato solo la sera in cui lui le ha promesso l’anello.

    Nel gruppo di preghiera di oggi, Angela ha una rivelazione. Nel vero senso della parola. Come nel libro della Rivelazione della Bibbia. «Io sono l’Alfa e l’Omega, disse il Signore Dio. Colui che è, che era e che sarà, l’Onnipotente». Ci chiede cosa significa per noi. Angela è una forza nel rendere il gruppo interattivo.

    Charlie sputa fuori qualcosa riguardo le sofferenze di Cristo, su cui non mi concentro. Colui che è, che era e che sarà. Angela darebbe di matto alla mia risposta, perché per me è una frase tendenziosa. Chi è: oggi è Zach. Chi era: dovrei fare riferimento al diario che tengo nel comodino sotto le scatole di preservativi. Il diario ha una copertina bianco perla, regalo di Angela per il mio ultimo compleanno. Resterebbe inorridita nel sapere che le pagine sono piene di dettagli della mia vita sessuale, anche se non lo considero un registro delle mie conquiste quanto un ricordo delle mie buone azioni.

    Dopo il gruppo di preghiera, Angela e io andiamo insieme nell’aula di chimica. È la prima lezione della giornata e l’unica che apprezzo decisamente.

    «Dovresti farmi da tutor», dice Angela.

    Scuoto la testa risoluta. Succede ogni semestre da due anni a questa parte: Angela mi chiede di essere sua partner di laboratorio e io la respingo.

    «Mi distrarresti. Passeremmo troppo tempo a parlare dei Vangeli di Matteo, Marco, Luca e Giovanni e non abbastanza della composizione dell’acido quadratico».

    Mi fermo in mezzo al corridoio, in preda all’impulso di vomitare. Doveva essere una battuta, ma il terzo nome è come se mi avesse presa a pugni in faccia, come succede sempre quando salta fuori durante il gruppo di preghiera. Luca. Luke.

    «Il cosa?», Angela fa una smorfia e continua a camminare, non accorgendosi del mio momento di panico.

    «Esattamente», dico, sistemandomi i libri sotto il braccio e incollandomi un ampio ghigno sulla faccia.

    Non mi piace mescolare l’amicizia con tutto il resto. Se penso in termini chimici, l’amicizia è una soluzione concentrata, qualcosa che si indebolisce aggiungendovi dell’altro. A differenza di Kim, sono fermamente convinta che i diversi compartimenti della vita dovrebbero essere tenuti separati…– non posso mettermi a cambiare scuola come lei cambia palestra, quando le pugnalate alle spalle si fanno troppo intense da sopportare. Ecco perché, invece che con Angela, mi siedo accanto a Zach Sutton durante l’ora di chimica, e perché, ogni mercoledì a pranzo, Zach e io ce la filiamo in camera mia a mettere in atto quella chimica. E se il sesso con gli altri ragazzi è una scienza che io insegno loro, il sesso con Zach è più simile all’arte.

    Zach non è mio amico né il mio ragazzo, anche se ha chiesto più volte di essere entrambi. Non è che non mi sia trastullata con l’idea di noi come coppia, ma non abbiamo assolutamente alcuna base su cui poter costruire una relazione. Tra di noi c’è stato più sesso che conversazioni. Non conosco il secondo nome di Zach e neanche so dove vive, ma so che porta boxer di strambi cartoni animati e ama quando metto il perizoma.

    «Cosa sono, allora?», chiede sempre.

    «Il mio partner di chimica», rispondo sempre.

    Dopo le lezioni del mattino, Angela e io camminiamo nel corridoio e ci fermiamo davanti al suo armadietto. «Allora pranzi con tua madre oggi?», dice mentre gira la serratura a combinazione e spalanca la porta.

    Annuisco. Da quando Zach e io abbiamo iniziato ad andare a letto insieme, ho lasciato credere a Angela di avere un appuntamento fisso per il pranzo con mia madre il mercoledì. Lei pensa che sia carino. Io penso che sia abbastanza improbabile da poter funzionare.

    «Ci vediamo dopo», dice Angela, prendendo dall’armadietto il sacchetto marrone del suo pranzo. «Ordina qualcosa di elegante che non riuscirei neanche a pronunciare». Sorride. La saluto e mi avvio al parcheggio, cercando di scrollarmi di dosso l’assillante senso di colpa.

    Prima di Zach, e prima dei vergini, Angela e io trascorrevamo più tempo insieme. Serate passate spaparanzate sul suo letto a bere tè e a leggere le riviste di gossip che sua madre adora comprare. Pomeriggi nella mia cucina, cercando di fare i biscotti con le gocce di cioccolato ma finendo per mangiare tutto l’impasto. Pigiama party durante i quali litigavamo su quale film guardare – sempre commedie romantiche per Angela, film d’azione per me – e parlavamo di tutto.

    Quasi tutto.

    Non di recente, però. Adesso posso a malapena aprire la bocca senza che ne esca fuori una nuova bugia. E Angela non dubita mai di me, perché non le ho mai dato motivo di farlo.

    Ma la scusa di Kim è comoda. Mi dà tutto il tempo che voglio per incontrare Zach nel parcheggio, farlo salire di nascosto dietro alla mia Jeep e guidare fino a casa. Dopo la lezione di chimica non ci servono altri preliminari. Zach si considera il maestro delle allusioni sessuali.

    «Stai facendo bagnare tutto il mio becher», è la sua battuta preferita, anche se non ha alcun senso per chi sta attento in classe e sa che il becher è in realtà un recipiente.

    Ma per quanto pessimo il suo senso dell’umorismo, e la soglia di attenzione, Zach sa esattamente dove e come toccarmi senza che debba dirglielo. La sua prima volta non è stata con me. A sentire Zach, ha perso la verginità l’ultimo anno delle medie con la migliore amica di sua sorella. Non ho modo di sapere se questo è vero, ma non faccio domande. Non ne fa neanche lui e questa è una delle sue qualità migliori. Zach sa quando tenere la bocca chiusa. Considerando tutte le istruzioni vocali che do agli altri ragazzi con cui vado a letto, è bello essere del tutto non verbali con Zach.

    «Eri così sexy oggi», dice mentre molla lo zaino davanti alla porta e scalcia via le scarpe. Le scarpe davanti alla porta non sono un problema a casa mia, visto che Kim non torna mai a pranzo. Il pranzo è sempre riservato alla manicure e ai pettegolezzi con le amiche altrettanto divorziate e botulinizzate. E probabilmente anche a farsi l’istruttore di Pilates, anche se non sono una che giudica.

    «Vuoi dire che adesso non lo sono più?», ribatto, gettando il giaccone a terra. «Eri è tempo passato».

    «Il tuo livello di sexy è onnipresente», dice, venendo dietro di me e mordendomi il collo.

    «Vedo che hai imparato una nuova parola». Mi giro e incontro la sua bocca con la mia.

    «Non penso di poter arrivare al piano di sopra», dice mentre mi sfila la maglia e mi sgancia il reggiseno con mano esperta. Le sue dita mi provocano scariche di elettricità nella pelle, le passa lungo la mia schiena, iniziando leggero come una piuma e finendo con prepotenza sul coccige. Afferro la mano di Zach e lo tiro nel corridoio verso la cucina. Dietro di me, lo sento sganciarsi la cintura e abbassarsi la lampo.

    «In cucina?», dice, quando lo schiaccio contro il frigorifero d’acciaio inossidabile. «Non l’ho mai fatto in cucina prima d’ora». Mi afferra per la vita e mi issa sul bancone di granito, dove mi infila le mani sotto la gonna e mi sfila gli slip. Si dà il caso che il bancone sia dell’altezza perfetta per il sesso, cosa che non avevo mai notato fino a ieri mattina, quando mi ci sono appoggiata per mettermi lo smalto e scombinare di proposito il rito di lucidatura del granito di Kim. Mi è rimasto nella mente da allora, tormentandomi durante il gruppo di preghiera e distraendomi per tutta la lezione di chimica. È una circostanza regolare per me, usare Zach per mettere in atto le mie piccole fantasie. Non credo gli dispiaccia farmi da cavia.

    «Queste sono le mie preferite», dice, stringendo nella mano le mutandine di pizzo rosa. Tutti i miei slip sono di pizzo, satin o trasparenti – niente squallide mostruosità bianche o a vita alta. Non voglio neanche sapere cosa farebbero alla mia reputazione. Per fortuna, Kim ha gettato via tutte le mie mutandine a fiori quando andavo alle elementari, il giorno in cui ho avuto il mio primo ciclo e ha deciso che mi serviva qualcosa di adulto.

    Zach fa cadere a terra le sue mutande e chiude bruscamente la distanza tra noi. Si mette proprio in mezzo alle mie gambe, pronto a partire… fino a che non gli mollo un ceffone.

    «Preservativo, Zach», dico, schioccando le dita. «Non volevi farlo di sopra, perciò dovresti essere pronto».

    «Andiamo», dice, protendendosi per mordermi il labbro. «Io sono pulito, tu sei pulita. Ho fatto il test sei mesi fa. E non andiamo a letto con altre persone. Sarebbe così bello senza».

    Allungo la mano come per schiaffeggiarlo di nuovo. «Niente preservativo, niente amore, Zach», insisto. «Queste sono le regole».

    Esagera un’espressione accigliata, ma dietro c’è un sorriso. «Picchiami di nuovo». Alzo gli occhi al cielo. Dimenticavo che a Zach piace quando lo tratto male.

    «Per tua fortuna, vengo preparato». Si china a rovistare nella tasca dei jeans. Quando si rialza, ha in mano un preservativo nell’involucro viola. Lo riconosco, è un Trojan Ecstasy. Ne ho una confezione di sopra, con uno mancante, usato per la deflorazione di Bobby Lewis la settimana scorsa.

    «Sei tu, quello fortunato», dico aprendo l’involucro. «Vieni preparato o non vieni affatto».

    Non perde

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1