Tutto è iniziato la vigilia di San Valentino: L’Amore in Cinque Stagioni 1, #1
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Ci si può innamorare via SMS?
Quando, alla vigilia di San Valentino, Flora riceve da uno sconosciuto una dichiarazione d’amore non destinata a lei, non riesce a ignorare il messaggio.
Commossa dalle parole piene di rimpianto, Flora avverte il suo misterioso autore: qualcuno, da qualche parte, sta aspettando quel messaggio, e non è lei. La storia avrebbe potuto - dovuto - fermarsi lì.
Ma con grande sorpresa di Flora, "C" risponde. Comincia quindi tra la gioviale giovane donna e il suo taciturno corrispondente uno scambio in cui ciascuno dei due si svela a poco a poco. E anche se la sua missione è quella di riunire "C" e la sua ex, Flora scoprirà presto che giocare a Cupido è più complicato di quanto pensasse.
Soprattutto quando si mescolano i propri sentimenti...
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Anteprima del libro
Tutto è iniziato la vigilia di San Valentino - Jo Ann von Haff
Giovedì 13 febbraio
Il cinguettio degli uccellini, unito alle cascate di una fontana, mi risveglia dolcemente. Mi stiro pigramente, scacciando la voglia di avvolgermi ancora nel mio piumone. È così dolce, così soffice, come un abbraccio coccoloso. Inspiro profondamente mentre i rumori diventano più forti e la luce più intensa, poi spingo via la coperta morbida e mi siedo, poggiando i piedi per terra.
«Buongiorno, Universo» prego, tenendo gli occhi chiusi «Grazie per questa nuova giornata che sarà fantastica. Auguro una buona giornata a tutti i miei cari e alle persone che conosco, ma sono troppe e ho degli orari da rispettare. Pronti, via!»
Per finire, batto le mani e balzo in piedi, poi accendo la lampada sul comodino e spengo la sveglia. La fontana e gli uccellini taceranno per le prossime ventiquattro ore. Prendo il cellulare dal primo cassetto del comodino, da una scatoletta destinata a questo scopo in mezzo alla mia biancheria. Ci sono dozzine di messaggi, la maggior parte sono delle mie sorelle. Cancello le notifiche e invio un Ciao, gioie della mia vita! sul gruppo WhatsApp della mia famiglia. Per curiosità, guardo rapidamente gli altri messaggi, scegliendo la biancheria del giorno: giallo canarino. OK, giallo canarino sia.
In questa vigilia di San Valentino, sto pensando a te...
Alzo un sopracciglio, sorpresa. Questo messaggio non è destinato a me. Non ho un partner, neppure in prospettiva al momento, né uomo, né donna, né ectoplasma. Questo numero di telefono non è nemmeno fra i miei contatti... Prima che abbia il tempo di leggere o anche di rispondere per avvisare il mittente del suo errore, il mio telefono emette un nuovo segnale acustico: devo fare la doccia e andare a svegliare Johnny.
Lavata, vestita e pettinata, vado nella stanza accanto e siedo sul bordo del letto del mio piccolo protetto. Faccio scivolare le dita tra i suoi capelli ricci, gli accarezzo la nuca. Il bambino si muove nel sonno e si rannicchia contro la mia gamba. Ha sempre bisogno di un po’ di tempo per svegliarsi ma i nostri rituali ci danno abbastanza margine per non dover correre come dei pazzi ogni mattina. Dopo qualche istante, Johnny scivola tra le mie braccia, caldo di sonno. Lo stringo a me, lo bacio sulla fronte, lasciandomi dondolare, canticchio perché senta le vibrazioni nel mio petto. Quando finalmente apre gli occhi, sempre un po’ assonnato, mi sorride. Mi scosto quel tanto che basta per mostrargli il pollice sussurrando ‘buon’ seguito da ‘giorno’ toccandomi le spalle.
«Buongiorno, tesoro» articolo.
Segna un vago ‘ciao’ e io recupero il suo apparecchio acustico.
«Pronto?» gli chiedo, mentre segno.
Annuisce.
«Allora laviamo i denti e facciamo colazione. Pronti, via!»
***
Ho una certa preferenza per gli spostamenti a piedi o in bicicletta, ma purtroppo la scuola di Johnny si trova a quaranta chilometri da casa e dovremmo svegliarci all’alba per essere lì alle 8:45. Quindi durante la settimana uso l’auto. Per fortuna la mamma mi ha costretta a prendere la patente; e io che pensavo che a Londra sarebbe stato inutile oltre che uno spreco di soldi... Lego Johnny sul sedile posteriore della Ford KA+ prima di sedermi al volante e collegare il mio telefono.
«Andiamo?» chiedo a Johnny, guardandolo dallo specchietto retrovisore.
«Vai!»
Faccio manovra nel cortile prima di immettermi nel viale. Ascoltando le informazioni sul traffico, evito la città per sfuggire agli ingorghi. Ogni minuto, rivolgo un’occhiata allo specchietto retrovisore per osservare Johnny, perso nella contemplazione dei campi che attraversiamo.
Se fossi sua madre, terrei conto dei prossimi dodici anni in questa struttura specializzata e mi trasferirei a Wetherby per evitare quest’ora di tragitto quotidiano. Ma non sono sua madre, e a volte è difficile ricordarmelo. L’altra opzione sarebbe l’internato ma solo a pensarci mi si spezza il cuore. Impossibile immaginare Johnny fra tanti bambini, senza le coccole del risveglio o senza che possa prendersi il suo tempo. E quanto è irritabile quando lo si sveglia bruscamente!
Finalmente entro nel parcheggio della scuola, spengo il motore e scendo dall’auto, salutando alcuni genitori, madri soprattutto, di bambini a mezza-pensione. Libero Johnny dalla cintura, gli sistemo il cappotto, il berretto e la sciarpa, gli rimetto lo zainetto sulle spalle e mi accovaccio davanti a lui.
«Ti auguro una buona giornata, tesoro» gli dico.
Mi avvolge le braccia intorno al collo. Gli accarezzo i capelli un’ultima volta, prima di baciarlo e incoraggiarlo a raggiungere i suoi compagnetti. Prendo la borsa e chiudo l’auto a distanza.
«Ciao, Flora!» mi saluta Emilia, avvicinandosi.
«Ehi! Tutto bene?»
«Non ho mai avuto così tanta voglia di trasferirmi come adesso! Buon Dio, se vivo lontano!»
«Già, facevo anch’io una riflessione simile mentre ero in strada... Johnny ci mette tanto, tanto tempo a svegliarsi, potrebbe dormire di più se fossimo più vicini.»
«Povero tesorino... ne hai parlato con suo padre?» mi chiede la mia amica.
«Non spetta a me fare una proposta del genere» ribatto, aggrottando le sopracciglia.
«Non devi dirgli di traslocare, magari potresti solo accennare nella conversazione, come se niente fosse, che la strada è troppo lunga.»
Arrossisco d’imbarazzo all’idea di sedermi davanti a Cal e di fare come se niente fosse. Non mi ha mai dato molta libertà su questo tipo di argomenti. Mi occupo di Johnny, ma cambiare città, addirittura? Sarebbe una follia.
«Dovrebbe solo accompagnarlo a scuola tutti i giorni, per capire» insiste Emilia.
«È quello che faceva, poi ha assunto me...»
Ci dirigiamo verso il retro dell’edificio dove si tiene il nostro corso di lingua inglese dei segni. Grazie a mia sorella Harlow avevo già delle basi, ma sono ben lontana dall’essere brava. In otto mesi al servizio dei Button, comunque, sono migliorata moltissimo. Non si tratta di un miracolo: non c’è metodo di apprendimento migliore di una full immersion oltre che del divieto di parlare, in classe. Arrivati in aula, la nostra insegnante di livello 3 ci accoglie con un sorriso. Non siamo più di una decina, sistemati su tre tavoli a ferro di cavallo.
La mattinata scorre velocemente tra esercitazioni pratiche e visione di video. Quando uscirò da qui, dopo aver terminato tutti e sei i livelli, sono certa che potrò lanciarmi nel teatro muto. Emilia e io lasciamo le auto nel parcheggio della scuola e camminiamo per una decina di minuti fino alla strada dove si trovano la maggior parte dei ristoranti del quartiere. Ordiniamo hamburger, per me ai ceci, con patatine fritte e bibite, e ci lasciamo andare sulle nostre sedie.
«Aprirò una mia attività» mi annuncia Emilia «così potrò organizzare i miei orari e riservare la mattinata alle lezioni.»
«È un’ottima idea. E potresti lavorare dalla tua macchina! Non ti accorgerai più di passare un’ora al volante.»
«Fino a quando sarò ancora in grado di sentire qualcosa, vero?» si lascia sfuggire una smorfia amara.
«Il tuo udito non se ne andrà da qui al tuo livello 6» la rassicuro «non ti sveglierai domani completamente sorda.»
Scrolla le spalle e porta la mano all’orecchio destro, giocherellando con il suo apparecchio acustico.
«Fino a quando?» si lamenta.
«Fino a quando non arriverà il momento» rispondo con serietà.
Emilia scoppia a ridere.
«Apprezzerei un ritardo!»
Finalmente veniamo servite e iniziamo a mangiare. Emilia mi spiega che è da diversi giorni che sta pensando di aprire un’attività. Dopo la fine del congedo parentale, non ha ancora trovato il lavoro giusto e il suo handicap, anche se ancora leggero, preoccupa i potenziali datori di lavoro. Dal momento che non possono rifiutarsi di offrirle un lavoro, per non essere accusati di discriminazione, preferiscono puntare su qualcuno che ‘non abbia un buco così lungo nel suo curriculum’.
«La mia intelligenza è stata risucchiata da mia figlia mentre la allattavo» borbotta Emilia «e, considerato tutto quello che ha rigurgitato, si può dire che tutta la mia intelligenza sia stata vomitata.»
«Spero che tua figlia ne abbia conservata almeno una parte.»