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Una ragione per dirti di no
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Una ragione per dirti di no
E-book164 pagine2 ore

Una ragione per dirti di no

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Info su questo ebook

Un’autrice in cima alle classifiche italiane

Autrice del bestseller Il nostro segreto universo

Cursed Series

Lana Peri ha quindici anni e non ha paura di dire quello che pensa, persino quando, così facendo, rischia di mettersi nei guai (cosa che in effetti succede spesso). La sua incapacità di filtrare i pensieri non le ha fatto guadagnare molte simpatie. Lana ha sempre saputo che la verità sarebbe stata la sua rovina. Ma non aveva idea che sarebbe successo così presto. Accade tutto in una notte, davvero indimenticabile. Ma non nel senso positivo del termine, perché Lana assiste non a uno, ma a ben due crimini violenti commessi dalla stessa persona. E sa perfettamente che se vuole proteggere i suoi amici, non potrà dire una sola parola. Il silenzio, però, fa di lei una complice del colpevole. Non che abbia scelta. Lui è potente. Intoccabile. Ed è amico di Joey Harrison, il ragazzo per cui Lana ha una cotta sin dal momento in cui si sono conosciuti. Il silenzio li proteggerà, ma tutte le bugie per mantenerlo la potrebbero annientare. Ma la verità non avrà pietà per nessuno di loro.

Un’autrice da 100.000 copie

Siamo tutti coinvolti. Tutti.

La verità può annientare

«Da quando ho iniziato a leggere non sono più riuscita a smettere. Un libro assolutamente consigliato!» 

«Rebecca Donovan è una delle mie autrici preferite. Questo libro non ha deluso le aspettative.»

«Una delle storie più coinvolgenti che abbia letto da parecchio tempo.»
Rebecca Donovan
Ha studiato all’Università del Missouri e vive con suo figlio in una cittadina del Massachusetts. La Newton Compton ha già pubblicato l’intera trilogia Il nostro segreto universo, bestseller negli Stati Uniti, poi pubblicata in 11 Paesi, da cui presto saranno tratti tre film, e Mai senza te. Torna a pubblicare in Italia con il primo volume di una nuova serie (Cursed), Una ragione per dirti di no.
LinguaItaliano
Data di uscita21 giu 2018
ISBN9788822723789
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    Anteprima del libro

    Una ragione per dirti di no - Rebecca Donovan

    Capitolo 1

    «Mentono tutti, soprattutto i ragazzi. Devi proteggere questo», la nonna appoggia il dito grinzoso sul mio petto di bambina, picchiettando contro il mio cuore, «come una fortezza. Qualunque cosa lui ti prometta, non farti ingannare da qualche parolina dolce e da un bel sorriso. Se sembra troppo bello per essere vero, è perché lo è».

    «Vi odio. Vi odio con tutta me stessa», dico ai panni sporchi, pigiandoli nella sacca militare.

    Dovevo andare alla lavanderia a gettoni ieri sera, ma dopo il turno al lavoro ero troppo stanca e ho preferito il letto.

    A mezzanotte circa, collassando dal sonno, mi sono convinta che mi sarei alzata presto e ci sarei andata prima della scuola… Cosa stupida, perché io non sono una persona mattiniera.

    Così adesso sono esausta e in più sto da schifo.

    Infilo il borsellino con le monete nella tasca laterale e, prima di chiudere la sacca tirando il cordino, ci metto dentro alcuni libri di testo. Trascinandomi appresso l’enorme cilindro di panni, chiudo la porta della mia camera con il lucchetto, quindi poso la borsa nell’ingresso.

    Su una sedia della cucina c’è un vestito da uomo scuro con un biglietto.

    Lana, potresti portarmi il vestito al lavasecco? Se non ce la fai, non fa niente.

    Nick

    Getto il biglietto sul tavolo e prendo la giacca del completo. Dal peso della stoffa e dalla sensazione del filato di seta sotto le dita, sembra costosa. La sollevo in alto, osservando la fodera di raso. Deve essere fatta su misura. Non riesco neanche a immaginare quanto possa averla pagata.

    «Sei fortunato che mi piaci», dico al vestito, anche se ovviamente sto parlando dell’uomo.

    Nick ha conosciuto mia madre circa un anno fa, quando lei lavorava come segretaria a tempo determinato in uno studio legale di Boston, mentre io l’ho incontrato solo sei mesi dopo. Non è il primo uomo in giacca e cravatta a venire sedotto dalla sua pelle chiara, i lunghi capelli biondi e le curve sode, ma è uno dei pochi degni di lei. Nick viene da New York, ma fa regolarmente la spola tra lì e Boston. E quando è qui preferisce stare da noi, nonostante il tragitto di un’ora e mezza per arrivare al lavoro. Vorrebbe che prendessimo una casa insieme più vicino alla città, e credo che l’unica ragione per cui mia madre non gli ha ancora dato una risposta sia io.

    Ho imparato a non farmi coinvolgere nella vita sociale di mia madre. Non abbiamo esattamente la stessa visione ottimistica dell’amore. Ma è ovvio che Nick è deciso a prendersi cura di lei. E io non voglio intromettermi tra mia madre e la sua felicità. Merita di essere felice. Merita lui.

    Riappoggio la giacca alla sedia. E proprio mentre sto per andare al frigorifero, sulle assi del pavimento risuona un rumore metallico. Mi fermo sui miei passi, voltandomi piano, con lo stomaco che mi si stringe ancora prima di vedere che cosa sia caduto dalla tasca del vestito. Fisso l’oggetto per un istante, pentendomi di non avere odiato anche quell’uomo come tutti gli altri.

    Adesso è così.

    «Che stronzo», dico, chinandomi a raccogliere l’oggetto da terra.

    L’esotico profumo speziato di Nick pervade la stanza. Mi alzo serrando la mascella, senza girarmi.

    «Buongiorno», saluta lui raggiante. «Ti sei svegliata presto».

    Mi volto a guardarlo. Deve avere appena fatto la doccia, perché ha i capelli scuri ancora bagnati, pettinati all’indietro per lasciare libero il viso. Tutto ciò che lo riguarda è costoso: dalla camicia bianca inamidata al sorriso perfetto e affascinante. Nella nostra cucina fatiscente è assolutamente fuori posto. Ha con sé un trolley, che lascia vicino alla porta.

    Non gli rispondo, rimango a fissarlo, domandandomi come ho potuto non accorgermene. Ho un talento per riconoscere chi non è come sembra, per smascherare le bugie. Ma questa non me l’aspettavo. Era così convincente. Gli ho creduto!

    Il tradimento brucia in profondità, o forse si tratta solo del mio orgoglio scottato. Comunque sia, in questo momento vorrei dargli un pugno alla gola.

    «Va tutto bene?», chiede Nick, aggrottando la fronte preoccupato. «Se è per il vestito, posso prenderlo e chiedere di farlo lavare all’albergo. Pensavo solo…».

    «O potresti chiederlo a tua moglie», dico io, interrompendolo. Sollevo il dito medio, mostrandogli la fede in titanio scuro incastonata di diamanti neri. «Non ti sta aspettando a New York?»

    «Che cosa… Lana, io…», balbetta.

    «Lascia stare». Lo zittisco prima che possa mentire ancora. La mia voce trasuda veleno. «Vattene. Non tornare mai più. Se lo farai, ti ucciderò nel sonno. Capito?».

    Rimane impietrito sulla soglia, battendo le palpebre in preda al panico. «Non è…».

    «Pezzo di merda». Nel lasciare la stanza gli sbatto contro, e lui barcolla indietreggiando di un passo.

    Arrivata alla porta d’ingresso, mi carico sulle spalle il borsone militare con un grugnito. Senza voltarmi, lo avverto: «Dille la verità o lo farò io».

    «Lana?». La voce di mia madre mi raggiunge dalla sua camera da letto un attimo prima che sbatta la porta di casa.

    Guardo la fede nuziale al mio dito e la mandibola mi si contrae in un moto di rabbia furiosa. Questo la ucciderà. Sbuffo avvilita e scendo arrancando la rampa di scale, con il borsone militare che mi colpisce le gambe a ogni gradino. È alto praticamente quanto me e faccio una gran fatica per evitare di cadere a faccia in giù.

    Quando esco di casa, la strada è stranamente silenziosa a causa dell’ora folle. I raggi del sole appena sorto fanno capolino tra gli edifici del quartiere. Cammino lungo il marciapiede, con la fresca aria mattutina che dà sollievo alle mie guance accaldate.

    Non viviamo nel migliore dei quartieri, ma non c’è un quartiere davvero buono a Sherling. Almeno non abbiamo le bande che riempiono tutti i muri di graffiti. Quella in cui stiamo è una stradina laterale, costeggiata da circa una dozzina di case con la biancheria stesa sulle ringhiere delle verande. Sui vialetti dissestati sostano auto malconce. La maggior parte del tempo, dalle finestre aperte filtra il chiasso delle liti o dei bambini che piangono, che si diffonde per l’isolato come un rumore bianco. Non lo sento davvero, a meno che non si tratti di una lite particolarmente violenta. Quindi adesso, con la strada senza macchine e tutti ancora addormentati, il silenzio fa sembrare la rabbia che mi urla in testa ancora più assordante.

    Mia madre non appartiene a questo posto più di quanto non vi appartenga Nick. So che ha vissuto qui per la maggior parte della sua vita, ma non si è mai ambientata. Lei è una sognatrice. Un’ottimista. Un fragile fiore in una discarica, che lotta per un po’ di luce. Lui aveva promesso di portarla via da tutto questo. Doveva salvarla da una vita che le drena il colore dal volto, giorno dopo giorno.

    Mia madre vede il buono in ogni persona, a prescindere da chi sia o che cosa abbia fatto nella vita. L’ho sempre considerato un atteggiamento infantile. Ma lei vuole sinceramente credere, ottimisticamente, che ogni persona sia degna. I bugiardi. Gli imbroglioni. I manipolatori. I bastardi che la usano per i propri egoistici bisogni. E non solo gli uomini, ma anche le donne. Quelle che fingono di esserle amiche, fino a che la gelosia non ne svela l’egoismo e l’insicurezza. Sono tutti uguali. Lei però rifiuta di lasciarli andare perché, quando mia madre ama, ama con tutta se stessa. Per questo l’Ottimismo è la sua maledizione. Sarà quell’ottimismo, alla fine, a distruggerla.

    Le dita mi si chiudono a pugno, le unghie corte si conficcano nel palmo. Lo odio! Odio Nick. Tutto ciò che lo riguarda è una menzogna. Vorrei averlo smascherato prima. Ma sembrava così sincero. Magari è la sua maledizione… la Sincerità. E la ragione per cui non ho riconosciuto il suo inganno.

    Se la maledizione di Nick è la Sincerità, allora lui è il peggior tipo di persona, quella che convince gli altri a credergli, a fidarsi, solo per distruggerli quando si lasciano avvicinare.

    La lavanderia a gettoni aperta ventiquattr’ore su ventiquattro in fondo all’isolato è deserta quanto la strada, tranne che per il senzatetto che dorme sotto lo sfiato delle asciugatrici nel vicolo.

    Dopo avere caricato la lavatrice, mi siedo sul bancone laminato scheggiato e apro il libro di scuola della mia migliore amica sulle gambe incrociate, cercando di distrarmi dalla rabbia cocente che continua a ribollirmi dentro.

    Il tintinnio distinto di una bottiglia di vetro che rotola sul pavimento strappa la mia attenzione dal compito di algebra di Tori. Una donna con una gonna leopardata e un bustino nero attraversa barcollante la strada, passandosi una mano tra i capelli scuri arruffati. Ha gli occhi cerchiati di eyeliner colato e sulle labbra sbavature di un rossetto rosso ormai sbiadito. La osservo attraversare a zigzag la strada senza vita. Quando con il tacco a spillo colpisce il cordolo del marciapiede, vacilla. Trasalisco, aspettandomi che cada, ma lei si riprende con qualche passo incerto.

    Cerco di immaginarla all’inizio della serata, sexy e sicura di sé. A un certo punto della notte, però, la sua maledizione deve avere avuto la meglio, e questo fantasma di donna è tutto ciò che ne è rimasto.

    Finisco il mio compito di letteratura nell’istante in cui l’asciugatrice si ferma. Dopo avere rimesso i vestiti piegati nella sacca militare, mi avvio verso casa. Durante l’ora o giù di lì in cui sono stata chiusa nella lavanderia a gettoni, il quartiere ha cominciato pian piano a stiracchiarsi. Le macchine si fermano agli incroci, aspettando al semaforo. Alla pensilina dell’autobus ci sono alcune donne, con in spalla borse capienti, che devono ancora bere il caffè del mattino. Mentre cammino, voci e musica fuoriescono dalle finestre aperte. Il velo di calma e silenzio si è squarciato, permettendo al caos di regnare di nuovo sovrano.

    «Non capisco!». Il suo pianto disperato mi raggiunge prima ancora che riesca a vederla. «Perché non me l’hai detto?».

    Mi fermo davanti a casa dei vicini, da dove vedo mia madre, sconvolta, sul nostro prato e Nick accanto alla macchina con la valigia in mano.

    «Mi dispiace molto, Faye», dice lui, e la sua voce si incrina. «Davvero». Le dà la schiena, gettando la valigia sul sedile del passeggero della scintillante bmw nera.

    Quando sale dalla parte del guidatore senza voltarsi indietro, mi madre cade in ginocchio. Si copre il volto per fermare le lacrime. Anche da dove mi trovo, riesco a sentire il suo cuore che si spezza.

    Nick si precipita fuori dal vialetto, schizzando sassi da sotto le ruote e lasciando una nuvola di polvere sulla sua scia.

    Quando la gomma tocca l’asfalto, lo stridio riecheggia per tutta la strada. Guardo nei suoi occhi verdi, mostrandogli il dito medio ancora impreziosito dalla sua fede nuziale, intendendo con tutto il cuore ciò che il gesto sta a significare.

    Lui trasalisce.

    «Stronzo», mormoro, desiderando di poterlo appendere per le palle.

    Mi giro verso la devastazione che si è lasciato dietro… e non parlo del vialetto.

    Con un profondo sospiro, mi sistemo le cinghie della sacca sulle spalle e mi avvicino alla fragile donna collassata sul prato davanti a casa.

    «Che cosa guardi?», dico brusca alla nostra vicina che, in piedi sulla sua veranda con una tazza di caffè in mano, sta fissando lo spettacolo come se stesse seguendo un reality.

    È avvolta in una vestaglia di spugna strappata, i capelli una massa deforme di ricci, come se fosse appena strisciata fuori dal letto… cosa probabilmente vera. Ma, d’altra parte, so che ha sempre quell’aspetto, a qualsiasi ora della giornata. Non c’è ragione di fare alcuno sforzo, quando per prendere un

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