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King Kong
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E-book182 pagine2 ore

King Kong

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King Kong è senza dubbio un classico della letteratura fantastica; la parabola del gigantesco gorilla, dall'intrico della giungla popolata di animali preistorici sull'Isola del Teschio alla cima dell'Empire State Building, ha affascinato milioni di lettori dagli anni Trenta fino ai giorni nostri, e ha ispirato innumerevoli riduzioni cinematografiche. La ragione di tanto successo è nella grande creazione di Wallace: il gigantesco Kong che in fondo suscita anche tenerezza, animato da impulsi primordiali eppure sconvolto da un assurdo "amore" per una donna, inspiegabile passione che lo porterà fatalmente alla morte. Come nel Frankenstein di Mary Shelley, anche qui un essere mostruoso distrugge e soccombe nel tentativo di realizzare i propri desideri, ma se lì vi era una creatura della scienza, qui è protagonista la forza brutale e irrefrenabile della natura e degli istinti.

«Kong!», la folla che guardava dalla cima del muro con le torce accese in mano, scoppiò in un fragoroso grido. «Kong! Kong! Kong!». Ann sollevò le palpebre, come risvegliata dalla sensazione di un ineluttabile fato. Si guardò attorno smarrita, senza capire dove fosse. Vide i polsi e, rendendosi conto solo ora di cosa le facesse male, cercò di tenersi in piedi per allentare la morsa delle corde. Cominciò a prendere coscienza anche di ciò che aveva intorno, e dinanzi a sé vide il muro preso d’assalto dalla tribù. Ma un grido più forte, più profondo, sembrava arrivare da dietro di lei, da un’Ombra. Si girò. Mentre i suoi occhi si spalancavano, l’Ombra emerse finalmente dalle tenebre stagliandosi in tutta la sua solida realtà. Sbattendo le palpebre in direzione del muro affollato di gente, aprì la sua enorme bocca lanciando un potente ruggito di provocazione, mentre con mani nere e pelose si batteva un poderoso petto, ugualmente nero e peloso, in segno di sfida. Esitò un istante, illuminato dalla luce abbagliante delle torce e, come se comprendesse il significato delle mille mani che continuavano a indicare qualcosa, abbassò lo sguardo sull’altare, e su Ann.
Edgar Wallace
nacque nel 1875 a Greenwich (Londra). Cominciò a lavorare giovanissimo; a diciott’anni si arruolò nell’esercito ma nel 1899 riuscì a farsi congedare. Fu corrispondente di guerra per diversi giornali. Ottenne il suo primo successo come scrittore con I quattro giusti, nel 1905. Da allora scrisse, in ventisette anni, circa 150 opere narrative e teatrali di successo, nonché la sceneggiatura del celeberrimo King Kong. Definito “il re del giallo”, è morto nel 1932.
LinguaItaliano
Data di uscita17 mar 2017
ISBN9788822707369
King Kong
Autore

Edgar Wallace

Edgar Wallace (1875-1932) was a London-born writer who rose to prominence during the early twentieth century. With a background in journalism, he excelled at crime fiction with a series of detective thrillers following characters J.G. Reeder and Detective Sgt. (Inspector) Elk. Wallace is known for his extensive literary work, which has been adapted across multiple mediums, including over 160 films. His most notable contribution to cinema was the novelization and early screenplay for 1933’s King Kong.

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    Anteprima del libro

    King Kong - Edgar Wallace

    CAPITOLO UNO

    Persino nella penombra del crepuscolo e dietro il velo un po’ ondeggiante di neve, si capiva che il Vagabondo altro non era che una modestissima vecchia nave da carico. Neppure l’occhio più fantasioso e romantico avrebbe potuto scorgervi quella linea asciutta, quei contorni affilati che si immagina siano indispensabili in un’imbarcazione pronta a salpare per una disperata avventura.

    Per navi come quella, la scalcagnata banchina dell’Hoboken era più che adatta. Lì si mescolava nell’insignificante sfondo di una vecchia e modesta città, camuffandosi in una consona nullità. Lì era al sicuro da ogni imbarazzante confronto con le grandi signore di linea che innalzavano regali e immacolate prue verso le ombre dei grattacieli di Manhattan.

    La ciurma sapeva bene che le palpitavano in corpo motori più che adatti a spingerne dolcemente avanti la vecchia prua ormai stondata, anche a quattordici nodi l’ora, contro i marosi o l’inferno stesso. E sapevano anche che quei motori erano custoditi da uno scafo bello solido e affidabile, così come la scura camera d’acciaio, che tanto li disorientava mettendone più d’uno in soggezione.

    Gli uomini di terra, comunque, attirati sul lungomare da quella nostalgia che sovente anima coloro le cui vite sono limitate a piccole scrivanie e brevi corse in treno come pendolari, esaminavano i suoi fianchi arrugginiti e incrostati e, da profani, borbottavano: «Buon Dio, non chiameranno quella una nave d’altura!».

    Sebbene fosse giunto al molo in taxi, e per una questione in cui la nostalgia non c’entrava affatto, Weston disse esattamente queste parole, e tirò indietro la mano con cui stava istintivamente per pagare la corsa dalla Quarantaquattresima Strada e Broadway. Se il molo non fosse stato quello giusto, infatti, sarebbe stato sciocco lasciare che quel pirata sulle ruote abbassasse la bandierina del tassametro guadagnandosi così il diritto di aggiungere altri quindici cents alla tariffa del ritorno. Scese dal taxi con i soldi stretti in mano, con quel fare lento e pesante, tipico degli uomini come lui, grassi e ultracinquantenni. In quel momento, un vecchio custode si affacciò con la punta del naso freddo e rosso dall’angolo di un magazzino. Weston lo chiamò:

    «Ehi, voi! È quella la nave della casa cinematografica?».

    Il naso rosso annuì muovendosi su e giù, e solo allora Weston pagò la sua corsa, mantenendosi comunque piuttosto diffidente. Soddisfatto solo per metà di non aver sbagliato il luogo dell’appuntamento, si incamminò trascinando i piedi sotto la neve che cadeva leggera, alla volta della passerella del Vagabondo.

    «Siete un altro di quelli che sta per intraprendere questo folle viaggio?», domandò d’un tratto il vecchio custode dall’ombra del suo magazzino.

    «Folle?». Weston si voltò immediatamente, quell’aggettivo confermava in pieno l’idea che già si era fatto da solo. «Perché folle?»

    «Be’, tanto per cominciare, quel tipo che comanda».

    «Denham?»

    «Proprio lui! Uno che se vuole la foto di un leone è capace anche di andare a dirgli di persona come mettersi in posa. Se tutto questo non è folle!».

    Weston sorrise. Non si allontanava poi tanto dalla sua personale valutazione circa quello strano personaggio, il prode regista delle sorti del Vagabondo.

    «Sì, è un tipo in gamba, siamo d’accordo!», convenne. «Ma perché dire che questo viaggio è folle?»

    «Perché lo è, punto e basta».

    Il custode uscì dal suo angoletto caldo e riparato, per continuare meglio la conversazione. «Tutti da queste parti – e lasciate che vi dica che ci sono parecchi uomini intelligenti qui, anche se non fanno lavori così grandi e importanti – tutti da queste parti dicono che è folle. Prendete il carico che Denham ha stivato nella nave! C’è certa roba… che ancora non riesco a crederci, eppure l’ho vista portare a bordo con i miei occhi. E l’equipaggio! È tre volte più numeroso del dovuto per quella nave. Avrà bisogno di un calzascarpe per far entrare tutti».

    Si arrestò un attimo, ma solo per riprendere fiato. Aveva una bella lista di accuse da sciorinare con una certa rabbia contro il Vagabondo, si capiva chiaramente. Tuttavia, prima che potesse tornare a far fuoco, una giovane voce autoritaria, lo mise a tacere una volta per tutte.

    «Ehi! Laggiù! Che andate cercando?».

    Weston guardò in su, verso la balaustra del ponte. La luce di una cabina di poppa un po’ più in alto delineò i contorni di una figura. Weston capì subito, dalla descrizione che gli aveva fornito Denham, che doveva per forza trattarsi del capitano in seconda. Non aveva dubbi, quello era il corpo alto e slanciato del giovane di cui Denham gli aveva parlato così bene, con gli occhi intrepidi e la voce forte. Weston, che aveva imparato per esperienza a stare in guardia contro ogni istintiva buona impressione verso gli sconosciuti, per quanto di gradevole aspetto, questa volta cedette a un’immediata simpatia. Bisognava ammetterlo, era un giovane davvero aitante, di quelli che ogni uomo spererebbe di incontrare… come del resto anche ogni donna, aggiunse dopo una seconda occhiata.

    «Che andate cercando?», la brusca domanda venne ripetuta una seconda volta, dato che Weston era tutto preso da questa prima fase di attenta osservazione.

    «Voglio salire a bordo, Driscoll», rispose Weston. Con animo decisamente più sereno, proprio perché quell’uomo gli piaceva, cominciò a camminare con prudenza sulla passerella bagnata e scivolosa.

    «Ah! Voi dovete essere Weston», disse il capitano in seconda.

    «In persona, direttamente da Broadway. L’unico e inimitabile», ammise. «Weston, l’asso degli agenti teatrali… anche se», aggiunse cominciando a sbuffare un poco per la salita, «il mio fiato non è più quello di una volta».

    «Venite! Presto!», gridò Driscoll. «Denham muore dalla voglia di incontrarvi. Avete trovato la ragazza?».

    Il buonumore di Weston si dileguò nell’oscurità. Fece una smorfia di disappunto senza rispondere nulla, mentre seguiva il passo vivace di Driscoll su per una scala a pioli, fino alla cabina illuminata. Era un piccolo ambiente, pulitissimo, ma ammobiliato con la semplicità spartana tipica degli alloggi in cui non vivono donne. Gli unici ornamenti erano uno specchio su una parete e un portapipe su un’altra, senza contare due soprabiti e i relativi cappelli. Poi c’erano soltanto quattro seggiole e un tavolo corto e largo, ideale per distendervi sopra le mappe da studiare; una cassetta aperta con delle sfere di ferro nere e schiacciate, più grandi di un’arancia ma più piccole di un pompelmo, e una sputacchiera di ottone ai piedi dei due uomini che attendevano nella cabina.

    Il primo era magro e di media statura. Una mascella forte e quadrata masticava lentamente tabacco, dietro un bel paio di baffi. Indossava una canottiera e una camicia a maniche lunghe. Il berretto da capitano gli conferiva senz’altro una posa autorevole, tuttavia non esitò a farsi subito da parte per lasciar posto al suo compagno.

    Il suo compagno, sui trentacinque anni, era elegante e raffinato, il genere di uomo che si potrebbe incontrare al banco di un agente di cambio; sebbene lì difficilmente vi capiterà di trovare un portamento tale, solido, sicuro di sé, una simile aria di indomita volontà. Occhi marroni e vivaci, scintillanti dell’insaziabile brama di avventura, lampeggiarono verso Weston, e una voce impaziente disse senza alcun preliminare:

    «Weston! Stavo proprio per scendere a telefonarvi».

    «Se l’avessi saputo, avrei aspettato», rispose Weston, guardandosi le scarpe bagnate.

    «Lasciate che vi presenti il comandante, il capitano Englehorn», disse Denham.

    L’uomo col berretto da capitano si girò, dopo aver fatto gloriosamente centro nella sputacchiera, porse la sua grossa e ruvida mano con una forte stretta e spostò la cassa delle sfere di ferro per far posto alla sedia di Weston intorno al tavolo.

    «Presumo che voi e Jack vi siate già presentati», aggiunse Denham; e poiché Weston annuì sorridendo verso Driscoll, che a sua volta sorrise, continuò: «Bene! Questa è una coppia di persone che a Broadway di certo non avete mai incontrato, vecchio mio! Mi hanno entrambi accompagnato nel corso dei miei ultimi due viaggi e le dirò che, se non mi avessero seguito anche in questo, ci avrei pensato a lungo prima di partire».

    A questo punto seguì quel silenzio imbarazzato che sempre opprime chi ha ricevuto eccessivi complimenti. Poi Denham si lasciò finalmente cadere sulla sedia e rivolse un’altra occhiata all’agente teatrale.

    «Dov’è la ragazza, Weston?»

    «Non c’è».

    «Che cosa?», Denham colpì il tavolo con un pugno.

    «Statemi bene a sentire, Weston! Il sindacato degli attori ha messo in guardia ogni singola ragazza che io abbia cercato di assumere, e gli agenti – tutti eccetto voi – non ne hanno voluto sapere. Siete l’ultima possibilità che mi resta. Sapete bene che sono una persona leale».

    «Tutti sanno che siete leale», borbottò Weston, respirando rumorosamente. «Ma sanno anche quanto siate impavido. E come se non bastasse, come sperate di ispirare fiducia continuando a essere così misterioso circa questo viaggio?»

    «È vero!», disse con voce strascicata Englehorn, chinandosi verso la sputacchiera.

    «Assolutamente!», fece eco Driscoll, lisciandosi le sue belle guance. «Perché neppure il comandante e il capitano in seconda sanno dove’è diretta questa vecchia nave.?»

    «Appunto!», disse Weston sollevando le mani verso l’alto. «Pensate alla mia reputazione, Denham. Non posso mandare una ragazza giovane e carina, o semplice e modesta che sia, a fare un lavoro del genere senza spiegarle niente».

    «E cosa le si dovrebbe spiegare?», chiese Denham.

    «Partire, andare lontano, raggiungere una destinazione su cui non lasciate trapelare alcun indizio; una donna da sola su una nave in compagnia dei ceffi più spaventosi che io abbia mai visto».

    Gli altri tre ridacchiarono, e l’agente si affrettò ad aggiungere: «Naturalmente mi riferisco alla ciurma».

    «Weston!». Il pugno di Denham colpì violentemente il tavolo una seconda volta. «Sto per realizzare l’impresa più importante della mia vita e devo avere quella ragazza a tutti i costi».

    «Non avete mai scritturato una donna in tutti gli altri film. Perché ne volete una proprio per questo?»

    «Accidenti! Non penserete che sia una scelta dettata dalla mia volontà, spero».

    «E allora perché?»

    «Perché? Il pubblico è il perché. Il mio pubblico sacro deve avere il volto grazioso di una fanciulla. Il romanticismo non è romanticismo, l’avventura diventa monotona… per il mio pubblico… a meno di non ricorrere, ogni tanto, al volto giusto, un volto da capogiro. Pensate un po’! Lavoro come uno schiavo, sudo sangue per fare un bel film, e poi il pubblico dice: Ci sarebbe piaciuto il doppio se ci fosse stata una bella ragazza. E i proprietari dei cinema: Se ci fossero state delle scene d’amore, il film avrebbe incassato due volte tanto».

    «Va bene!». Il pugno di Denham colpì il tavolo un’ultima volta. «Vogliono una ragazza. E io gliela darò».

    Weston ripensò all’oscura affermazione del vecchio custode. Naturalmente, Denham non era folle; ma nessun agente teatrale preoccupato della propria reputazione avrebbe potuto favorire un progetto simile.

    «Mi spiace!», disse prendendo il cappello. «Non credo ci sia nulla che possa fare per voi».

    «Eccome! Potete e dovete fare molto invece», rispose Denham. «E in fretta. Dobbiamo salpare con la marea del mattino. È necessario essere fuori di qui prima dell’alba».

    «Perché?»

    «Suppongo non ci sia nulla di male nel dirvelo, a questo punto. Trasportiamo esplosivi. E la compagnia di assicurazioni l’ha scoperto. Se non ce ne andiamo al più presto ci si metteranno col fiato sul collo; e con una trafila legale del genere resteremmo bloccati per mesi».

    Improvvisamente aveva cambiato umore, si avvicinò alla cassetta che Englehorn poco prima aveva spostato, e raccolse una delle sfere di ferro, guardandola con orgoglio e un certo compiacimento.

    «Lungi da me il dirvi, Weston», proseguì, «che la ragazza che mi procurerete non sia di fatto esposta ad alcun pericolo in questa spedizione. Naturalmente, qualche pericolo di tanto in tanto non mancherà. Magari», ammise con un ampio sorriso, «ce ne saranno anche di più seri. Ma lasciate che vi dica una cosa! Finché abbiamo un paio di queste a portata di mano, non potrà mai accadere nulla di veramente grave».

    «Che roba è?»

    «Gas soporifero, vecchio mio! Una mia invenzione. O forse dovrei dire un mio perfezionamento dei modelli classici. Gas soporifero abbastanza potente da abbattere un branco di elefanti».

    «Che… che cosa?», balbettò Weston. «Denham, più vi sto a sentire, e meno mi piace questa storia. Comincio a essere contento di non aver trovato una ragazza».

    «Non siate ottuso come quelli della compagnia di assicurazioni», disse Denham sprezzante. «Non c’è ragione di darsi tutta questa pena per un po’ di esplosivo. Queste bombe non sono più pericolose di un pacchetto di caramelle, a patto che vengano maneggiate da uomini che se ne intendono… uomini come Jack, lì,

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