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Il leader: Pattuglia Operativa: Lega Artica di Recupero, #1
Il leader: Pattuglia Operativa: Lega Artica di Recupero, #1
Il leader: Pattuglia Operativa: Lega Artica di Recupero, #1
E-book136 pagine1 ora

Il leader: Pattuglia Operativa: Lega Artica di Recupero, #1

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Info su questo ebook

L'unità di Serge è a un passo dal baratro: ulteriori passi falsi porterebbero a pessime conseguenze.

Hannah sta facendo un viaggio stile mangia-prega-ama sulla Transiberiana, alla ricerca di un qualcosa di significativo.

Il fuoco tra i due riuscirebbe a sciogliere le calotte polari, ma dare la caccia alla sua compagna potrebbe far finire Serge e i suoi uomini nei guai.

 

La P.O.L.A.R. (Pattuglia Operativa: Lega Artica di Recupero) è una task force specializzata in operazioni di tipo privato: un'unità composta da orsi mutaforma.

Branca di un esercito clandestino mondiale, formata dai migliori esemplari di orsi mutaforma, ha il suo quartier generale in Siberia, finché la squadra commette un errore e viene riassegnata alla Florida, in mezzo a palme, sole e ciabatte infradito.

 

Un racconto sui mutaforma romantico e divertente, in grado strapparvi non solo un sorriso ma una vera e propria risata.

 

Traduzione in italiano di Silvia C. Selleri

LinguaItaliano
Data di uscita13 ago 2022
ISBN9781959233008
Il leader: Pattuglia Operativa: Lega Artica di Recupero, #1

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    Anteprima del libro

    Il leader - Candace Ayers

    1

    SERGE

    «Avete idea di quanti culi ho dovuto baciare per colpa vostra e delle vostre pagliacciate?»

    Io e il resto della mia unità ci mettemmo sull’attenti, lo sguardo incollato alla vena in rilievo che pulsava sulla tempia del Comandante Chernov mentre ci faceva il culo.

    Il suo dito rabbioso indicò Maxim, il nostro esperto di tecnologia.

    «Come quando il database della CIA è stato hackerato e il Governo ci è stato alle calcagna, tenendoci sotto la lente d’ingrandimento per mesi. È stato gradevole quanto un paio di mutande di filo spinato, cazzo!»

    Feci una piccola smorfia e mi trattenni dal puntualizzare che, in tutta onestà, la partecipazione di Maxim non era mai stata dimostrata. In un certo senso, mi aspettavo che il soggetto in questione intervenisse a proprio favore, ma per fortuna rimase in silenzio, senza negare né confermare.

    L’indignazione di Chernov si spostò allora sul nostro killer, Dmitry.

    «Poi è stata la volta dell’obiettivo che per puro caso è stato ridotto talmente male da trovarne i brandelli sparsi ovunque nel raggio di miglia. Quattro incantevoli settimane passate a fare riunioni coi pezzi grossi: alla pecorina a prenderlo nel culo per voi, teste di legno, finché la sede centrale non ha richiamato i mastini.»

    Lo sguardo di Dmitry rimase fisso davanti a sé. Il rimprovero di Chernov non lo aveva minimamente scomposto.

    «Per fortuna, nessuno prova empatia verso un pedofilo seriale.»

    Rosso come un peperone, il Comandante proseguì fino a trovarsi a pochi centimetri dalla faccia di Roman, il capo pilota in grado di portare qualunque velivolo.

    Dagli angoli della bocca di Chernov uscivano schizzi di saliva ad ogni parola. I suoi lineamenti erano contorti dalla rabbia.

    «La tua ultima bravata: l’elicottero antisommergibile preso in prestito senza permesso. Avete una fortuna del cazzo, ragazzi, se in questo momento non ve la state passando male. Se potessero dimostrare quel che avete fatto, sareste nei guai. Sì, esatto, coglioni! Questa piccola trovata vi ha quasi fatto rischiare dieci anni in un gulag al nord. Farvi un giretto su un Helix da venticinque milioni di dollari? A che cazzo stavi pensando, idiota?! Alexei, togliti quel maledetto ghigno dalla faccia prima che il mio stivale si infili talmente a fondo dentro al tuo culo, che ti servirà una pala meccanica per tirarlo fuori.»

    La lavata di capo proseguì e per un attimo pensai di ricordare al nostro Comandante, che per quanto i metodi della mia squadra fossero talvolta poco ortodossi e i ragazzi avessero occasionalmente la tendenza a uscire dal seminato, non avevamo ancora mai fallito una sola missione. Quando il mio sguardo mise a fuoco la goccia di saliva ancora appiccicata al suo labbro inferiore, decisi di lasciar perdere.

    «Il problema è che nessuno di voi coglioni china la testa a sufficienza da seguire un ordine diretto. Credete tutti di essere dei dominatori.»

    Chernov tornò ad agitare il dito, questa volta andando avanti e indietro davanti a noi, l’espressione paonazza per il rimprovero.

    «Adesso basta però. Siete al secondo strike ed è la fine del nono inning, perciò, banda di segaioli, sarà meglio che mi ascoltiate. Un solo altro errore, un ultimo strike e non solo uscirete dal campo. Sarete…»

    Mi schiarii la gola. Non mi piaceva interromperlo, ma sapevo per esperienza che era meglio impedire alla rabbia di Chernov di oltrepassare quella soglia color porpora.

    «Le posso assicurare, Signore, che non ci saranno altre infrazioni al protocollo, né, ehm… cazzate. Le garantisco personalmente che il prossimo compito sarà completato in modo veloce, efficiente e rigoroso.»

    Chernov mi diede una lunga occhiata severa prima di passare al vaglio allo stesso modo ciascun elemento dei miei. Era una buona scenata e sospettavo che nel complesso avrebbe spaventato la maggior parte degli agenti. Ma non i miei. Difficilmente si lasciavano intimidire e quello era parte del problema.

    Il Comandante aveva ragione, però. Ciascuno di loro – di noi – era fondamentalmente un attaccabrighe dominatore. Nessuno reagiva bene agli ordini, il che talvolta, in quanto leader mi rendeva difficile mantenere il controllo, ma non avrei mai fatto a cambio con nessun altro. Le nostre erano missioni pericolose, altamente classificate e spesso rischiavamo la vita per portarle a termine. Non avrei mai desiderato a fianco nessun altro mentre mi trovavo in una situazione di vita o morte. Avrei dato me stesso per i miei ragazzi e loro l’avrebbero fatto per me, ne ero del tutto sicuro.

    Solo quando Chernov smise finalmente di camminare espirai silenziosamente, rilasciando il fiato che avevo trattenuto. Ero grato che nessuno avesse fatto battute o anche solo parlato, Alexei compreso.

    «Se non foste i migliori agenti che ho, vi avrei cacciato dal primo all’ultimo.»

    Il Comandante prese un fascicolo dalla scrivania e me lo porse con riluttanza. Era chiaramente il prossimo obiettivo. Lo presi, ma lui continuò a trattenerlo finché non lo guardai negli occhi.

    «Immacolato e come da protocollo. E non scherzo.»

    Quando annuii, lasciò la presa e ci congedò. «Andate.»

    Sfilammo tutti e sei fuori dal suo ufficio senza fiatare, percorremmo il corridoio e uscimmo nell’aria fredda e pungente di un inverno siberiano in anticipo. Una volta fuori, i ragazzi si lasciarono andare.

    «Almeno non ha citato quella volta in cui Maxim è stato beccato nel magazzino con le gemelle dell’Ammiraglio. Tutte e due.» Alexei si diede una manata sulle ginocchia e Maxim sogghignò.

    «Non credo che lo sappia», commentò.

    Mentre gli altri ridevano a facevano battute sull’ultimo di una lunga fila di rimproveri, io aprii il fascicolo e scorsi i dettagli stampati.

    «È uno scherzo, cazzo», imprecai allungando i fogli a Roman.

    «Quindi adesso siamo autisti Uber troppo qualificati?»

    Roman lo passò a Dmitry, che dopo un’occhiata fece un’espressione disgustata e lo allungò a Maxim.

    Konstantin lo lesse da sopra la spalla di quest’ultimo. «Direi più dei sopravvalutati baby-sitter.»

    Alexei alzò gli occhi al cielo. «È una punizione, vero? Perché per me ne ha tutta l’aria.»

    I ragazzi erano talmente presi a lagnarsi come mammolette, che non si accorsero dell’arrivo da dietro di Chernov, fino a che non ne sentirono la risata acuta.

    «Ragazzo, tu non hai idea di cosa significhi il termine ‘punizione’. Se trovi brutta questa missione, mandala a puttane. Coraggio, fa’ ciò che fai di solito, architetta una delle tue bravate, così avrai un assaggio di cosa vuole davvero dire essere punito.»

    Un ghigno sinistro gli si dipinse in volto, come se all’improvviso ci stesse immaginando tutti quanti legati a qualche strano strumento di tortura medievale.

    Feci scricchiolare il collo e digrignai i denti. Che si divertisse quanto voleva al pensiero di torturarci, non sarebbe successo. Non questa volta. Non ci sarebbero state deviazioni dal percorso né concessioni al protocollo.

    I ragazzi potevano anche seguire le regole a modo loro, ma io prendevo molto seriamente il mio lavoro e non apprezzavo la posizione in cui eravamo attualmente, né il fatto che le nostre carriere fossero a rischio. A discapito di quanto puerile e sciocco forse il compito appena assegnatoci, lo avremmo svolto con successo, ma cosa più importante, lo avremmo fatto con tutti i crismi. Me ne sarei assicurato di persona.

    2

    HANNAH

    Il panorama dal finestrino del treno si era trasformato ore fa in una morbida coperta di neve scintillante. I cristalli di ghiaccio decoravano il vetro con motivi geometrici, rinfrescandomi la fronte ogni qualvolta mi appoggiavo alla superficie. Era un freddo che apprezzavo, perché faceva da contrasto al calore dello scompartimento di terza classe pieno come un uovo, permeato da un intenso odore di ascelle sudate, vecchi calzini sporchi e vapori di cavolfiore.

    La stanchezza mi abbassò le palpebre. Considerai per un momento di accoccolarmi in una delle cuccette dall’altro lato del corridoio, ma lo sguardo sui piedi nudi di un tipo in carne, che nel letto inferiore segava dei ciocchi di legna, mi fece cambiare idea. Almeno si spiegava la puzza di calzini usati.

    Il sonno poteva aspettare fino a che il treno non fosse arrivato alla prossima destinazione, che se ricordavo bene, era un resort per sciatori. Gemetti fra me e me. Io non sciavo, ma almeno c’era la cioccolata. Il resort affermava di produrre la cioccolata più gustosa di tutta la regione, e se c’era una cosa a cui non riuscivo a resistere era proprio quella.

    Ero incuneata su un piccolo sedile, separata dalla mia compagna di viaggio, Hyacinth, da un

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