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E-book360 pagine5 ore

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Info su questo ebook

Cosa faresti pur di salvare tua figlia?

Dall'autrice del bestseller La sorella segreta

Anna Graves è appena ritornata al lavoro dopo la maternità e sta cercando di riabituarsi ai ritmi della radio, ma soprattutto sta cercando di riprendersi dalla recente separazione da suo marito. Il peggio, però, per lei deve ancora arrivare. Durante una passeggiata sulla spiaggia con la sua bambina, viene aggredita da un ragazzo. Anna è terrorizzata e reagisce istintivamente per proteggere sua figlia. Ma quando lui muore a causa delle ferite riportate, il mondo le crolla addosso. La polizia crede alla sua versione, ma i risultati dell’autopsia rivelano qualcosa di molto sinistro. E i media cominciano a concentrarsi sulla vicenda, facendola precipitare in una spirale di dubbi. Il precario stato mentale di Anna è ulteriormente minacciato quando riceve un messaggio di “Ofelia Killer”, un assassino a cui vengono attribuiti alcuni omicidi risalenti a venti anni prima: la scia di sangue si era interrotta con il suicidio del padre di Anna. La donna è davvero innocente come dice di essere? E un omicidio è meno grave se è commesso per proteggere la propria bambina?

Un evento inaspettato può essere l'inizio di un incubo

Cosa faresti pur di salvare tua figlia?

«Un thriller psicologico che mi ha tenuto incollata alle pagine fino a tarda notte. Se credi di aver capito cosa sta succedendo, dovrai ricrederti. Quella di Tracy Buchanan è una trama abilmente congegnata, che ti sa sorprendere fino al finale, totalmente inaspettato.»
A.J. Banner, autrice di Un vicino di casa quasi perfetto

«Le paure di Anna, la sua stanchezza e la sua devozione di madre sono palpabili. Un successo pieno di suspense.»
Booklist

«Gli eventi si susseguono con un ritmo incessante in questo thriller psicologico perfettamente costruito.»
Foreword Reviews
Tracy Buchanan
È una giornalista che scrive per il web e vive nel Sud-est dell’Inghilterra. Ha esordito nella narrativa con il romanzo The Atlas of Us e raggiunto il successo con La sorella segreta.
LinguaItaliano
Data di uscita30 mag 2018
ISBN9788822722591
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    Anteprima del libro

    Non voltarti indietro mai - Tracy Buchanan

    Capitolo 1

    1 luglio 2015

    Domanda del giorno di Dite la vostra: la guerra contro la droga è fallita?

    Ascoltatore A: «Sì, maledizione! Sono stata rapinata da un tossico la settimana scorsa, il governo è troppo indulgente». (Fiona, 47 anni)

    Ascoltatore B: «No. Sono un ex tossicodipendente e adesso mi occupo di riabilitazione. Ho notato davvero un cambiamento, soprattutto perché adesso la dipendenza dalla droga viene considerata un problema di salute». (Ryan, 27 anni)

    Ascoltatore C: «È completamente fuori controllo, con tutti questi immigrati che stanno invadendo il Paese!». (Dawn, 37 anni)

    Lo schermo si offuscò davanti agli occhi di Anna. Si mise per un attimo le mani sul viso, l’odore di sua figlia ancora sui palmi: il profumo dolce di crema per bambini e quell’indescrivibile aroma di Joni. Questo portò con sé l’immagine del suo sorriso, che sbocciava negli occhi castani prima di diffondersi alle guance da angioletto e alle labbra rosa. Anna desiderò essere con lei con tutta se stessa. Erano passate soltanto due ore dall’inizio del suo primo giorno di lavoro, di ritorno dopo otto mesi di maternità, e già moriva dalla voglia di essere di nuovo con la figlia.

    «Hai qualche idea, Anna?». Alzò gli occhi e vide Heather, la nuova produttrice, che la guardava con espressione severa attraverso il vetro che le separava. Anna bevve velocemente un sorso di caffè, e la caffeina fece la sua magia. Il ricordo del sorriso di Joni svanì, il suo profumo fu sostituito dall’odore aspro dei chicchi di caffè.

    Si sporse in avanti e premette uno dei bottoni sul suo microfono. «Escludiamo l’ascoltatore C», disse.

    Heather la guardò accigliata. «Non sono sicura che sia una scelta intelligente. Nei mesi in cui non ci sei stata abbiamo visto che le telefonate sull’immigrazione sono molto apprezzate dal pubblico, incendiano gli animi».

    «E io, negli ultimi sette anni in cui ho presentato il programma, ho visto che è meglio concentrare l’attenzione sugli argomenti. Questa trasmissione non è sull’immigrazione, ma sul successo o il fallimento della lotta del governo all’abuso di droga».

    «Capisco cosa vuoi dire», disse Heather, mettendosi dietro l’orecchio una ciocca di capelli neri che aveva osato sfuggire dallo chignon stretto, il suo tratto distintivo. «Ma io preferirei mantenerlo. Ho fatto la giornalista di cronaca a Radio 4, ricordi, Anna? Ho anche vinto un premio con un’inchiesta proprio sull’argomento. Ho fiuto per queste cose».

    Anna tenne a bada la propria irritazione. Ogni volta che ne aveva l’occasione, Heather tirava in ballo il suo passato da giornalista investigativa. Le due donne sostennero una lo sguardo dell’altra. Heather era stata nominata nuova produttrice di Anna dopo che la più amata produttrice della stazione era andata in pensione alcuni mesi prima che Anna cominciasse il congedo di maternità. Sin dall’inizio, Heather aveva fatto irritare tutti, contestando ogni cosa che Anna diceva e lasciando chiaramente intendere che non sarebbe stata accondiscendente con i conduttori. Alcune delle ragazze dell’amministrazione avevano detto ad Anna che pensavano che Heather si comportasse così perché credeva che, in quanto donna, non avrebbe mai ottenuto il rispetto che meritava se non avesse tirato fuori il suo lato aggressivo. Anna non ne era così sicura. Secondo lei, Heather era solo una di quelli che sua nonna chiamava vampiri energetici, ovvero coloro che succhiano via la felicità e la luce da tutti quelli che incontrano.

    «Ascolta, Heather», disse Anna, senza riuscire a smettere di sbadigliare. Non si era mai sentita così esausta. Dopo aver dormito bene per diversi giorni di fila, Joni aveva scelto proprio la notte precedente il ritorno al lavoro di Anna per svegliarsi di continuo. Forse era stato per il caldo o forse stava solo attraversando una fase difficile. In ogni caso, il momento non avrebbe potuto essere meno opportuno. «Le cose magari sono andate in un certo modo mentre io ero in maternità. Ma c’è un motivo se gli ascolti di Coast to Coast sono raddoppiati da quando ci sono io». Anna si vergognò per aver fatto un’affermazione così presuntuosa. Ma doveva difendere la propria posizione, far vedere a Heather che anche lei aveva ottenuto degli ottimi risultati. Aveva visto Coast to Coast crescere e smettere di essere una misconosciuta radio regionale che copriva solo una piccola area e trasmetteva da un capannone fatiscente nel quartiere del porto, per diventare una famosa stazione della costa meridionale, che aveva attratto abbastanza ascoltatori e incassi pubblicitari da poter affittare un elegante studio vicino al mare.

    Anna sbirciò fuori dalla grande finestra che si apriva nel corridoio lì fuori. Lo studio si trovava in un punto ambito della cittadina, vicino ai negozi e ai caffè del lungomare; l’edificio tondeggiante con la facciata di vetro rifletteva le onde sulle luminose finestre. Grazie a lei la radio si era assicurata abbastanza denaro per potersi permettere quel posto.

    Guardò Heather negli occhi. «Il fatto è che adesso io sono tornata, quindi facciamo in modo di far risalire gli ascolti».

    Heather si stizzì. «Non direi che sei esattamente tornata, Anna».

    «In che senso, scusa?».

    Gli occhi neri di Heather brillarono di disprezzo. «Sai bene cosa voglio dire, è evidente che non ci sei oggi. Avere figli ha un prezzo».

    Anna la guardò sconcertata. «Cosa c’entrano i figli con tutto questo?»

    «Quello che sto cercando di dire è che… be’, guardati», disse Heather, agitando una mano verso Anna. «Sei esausta».

    «Siamo tutti esausti, Heather! Dobbiamo essere qui alle cinque del mattino, per l’amor del cielo!».

    Anna cercò di fare in modo che non le tremasse la voce. Non voleva dare a Heather la soddisfazione di vedere che l’aveva colpita. Ma, a essere sincera, lei era davvero esausta, e preoccupata che il suo rendimento ne avrebbe risentito. Destreggiarsi tra il lavoro e Joni, più tutto quello che era successo nelle ultime settimane, era stato difficile.

    Il suo cellulare vibrò. Colse l’opportunità per distogliere lo sguardo da Heather e guardò il telefono. Era stato così fin da quando era arrivata, quella mattina: a ogni minima notifica si chiedeva se la stessero chiamando dall’asilo. Nemmeno il fatto che l’asilo fosse di sua suocera la aiutava a non preoccuparsi. A peggiorare le cose, avrebbe dovuto spegnere il telefono quando il programma fosse andato in onda. E se ci fosse stata un’emergenza? Certo, l’asilo aveva il numero del centralino, ma non era la stessa cosa.

    Anna passava una quantità eccessiva di tempo a immaginare eventuali emergenze che potevano riguardare Joni. Cadute, tagli, soffocamento, persino strangolamento accidentale. La sua amica Suzanne la rassicurava, sostenendo che succedeva a tutti. Ma Anna non poteva fare a meno di chiedersi se tutti immaginassero quegli orrori nel dettaglio quanto lei.

    Cliccò velocemente sul telefono e fu sollevata nel constatare che era un messaggio di sua nonna.

    Distruggili, tesoro, ce la puoi fare. E ricorda, bevi un sacco di caffè e ignora la vampira! Baci

    Sorrise tra sé, ricordando la prima volta che le aveva dato un cellulare, cinque natali prima. Lei lo aveva guardato disgustata e aveva detto ad Anna che se avesse avuto bisogno di una persona sarebbe andata a cercarla a casa sua. Ma adesso lo portava sempre con sé e sembrava aver acquisito la prodigiosa capacità di inviare un messaggio ad Anna proprio quando ne aveva più bisogno.

    Le rispose velocemente.

    Già prese due tazze. Ci vediamo dopo. Baci

    Anna guardò di nuovo Heather. «Ho appena avuto una bellissima idea per la prossima puntata del programma di telefonate in diretta».

    Heather si accigliò. «Quale?»

    «Potremmo porre questo quesito: le neomamme vengono discriminate sul lavoro?».

    Heather diventò tutta rossa e l’assistente di produzione alle sue spalle soffocò una risatina.

    «Io eliminerei l’ascoltatore C», disse una voce dalla porta. Anna alzò gli occhi e vide Nathan, il suo co-conduttore. «Abbiamo un sostituto per l’ascoltatore C, vero?», chiese poi a Heather.

    Anna sorrise tra sé notando un fugace lampo di irritazione sul viso di Heather.

    «Non sono sicura che ce ne serva uno, Nathan», disse Heather. «Noi…».

    «Questa puntata è sulle droghe, non sull’immigrazione, ricordi?», disse Nathan. «Concentriamoci sull’argomento».

    Heather sbatté rapidamente le palpebre mentre il sorriso di Anna si allargava. Nathan strizzò velocemente l’occhio alla collega ed entrò.

    «Magari lo possiamo sostituire con questo qui?», disse Anna, digitando sulla tastiera finché non apparve sui loro schermi uno degli ascoltatori rifiutati. «Sanjeet, che parla di come le nuove generazioni buttino giù pasticche neanche fossero caramelle».

    «Perfetto», disse Nathan. I suoi occhi verdi sorridevano mentre si sedeva di fronte a lei. «Maledette neomamme, piene di ottime idee».

    Anna finse di alzare gli occhi al cielo: «Bastardo sessista».

    Heather voltò le spalle a entrambi, incrociando le braccia. Non si mise a discutere con lui. Nessuno discuteva con Nathan Wheeler, il più amato dalle casalinghe. Un tempo aveva lavorato per una grande emittente radio nazionale, ma non ce la faceva più a fare il pendolare. Perciò tre anni prima, quando la popolarità della stazione stava aumentando, era entrato a far parte della squadra di Coast to Coast, e la sua presenza ne aveva consolidato il successo. Anna e Nathan erano i co-conduttori ideali.

    Nathan era vestito in modo casual quel giorno, con una polo bianca e i jeans. I suoi capelli chiari erano schiacciati sulla nuca per il modo in cui incrociava le mani dietro la testa quando era in onda. Gli piaceva appoggiarsi indietro sulla sedia, con le gambe allungate sul tavolo e l’espressione concentrata, mentre ascoltava qualcuno che si lamentava di qualcosa. Era proprio quello il talento di Nathan: lui sapeva ascoltare. Quello e il suo fascino da ragazzino, perfetto per quando il team di pubblicitari lo proponeva come ragazzo immagine della radio.

    Anna, invece, con la voce roca e le risposte argute agli ascoltatori o agli ospiti difficili, a volte fastidiosi, era ruvida quanto lui era liscio. Magari non veniva considerata il volto dell’emittente, come accadeva a Nathan, ma si era fatta la reputazione di rispecchiare perfettamente l’umore del pubblico. Non lo faceva apposta. Aveva solo quello che suo padre chiamava l’istinto della gente: un talento naturale che le permetteva di sapere quale fosse lo spirito del tempo in ogni momento.

    Nathan si sporse verso Anna. «È bello averti di nuovo qui».

    Lei sorrise. «Grazie, Nathan, è bello essere di nuovo qui».

    E in effetti, nonostante le mancasse Joni, fosse esausta e avesse discusso con Heather, era proprio bello essere tornata a fare quello che le riusciva meglio: la radio.

    Nathan spense il microfono, cosicché solo Anna potesse sentirlo. «Quindi hai accettato un’offerta per la casa, alla fine?»

    «Già», disse lei, cercando di nascondere la fitta di dolore che sentiva quando ci pensava. «Dobbiamo andarcene nel giro di un mese».

    «È definitivo? È tutto finito tra te e Guy?».

    Anna bevve un sorso di caffè, stringendo forte il manico della tazza per impedire a Nathan di notare che le tremavano le mani. «Penso che vendere la casa sia abbastanza definitivo, non credi?»

    «Mi dispiace tantissimo, Anna».

    «Va tutto bene», disse lei, scrollando le spalle e cercando di fingere che andasse davvero tutto bene, anche se non era affatto così. «È meglio così. All’inizio non ci credevo, ma adesso me ne sono resa conto».

    «Però fa comunque un male del diavolo, non è vero?».

    Lei sentì il naso che le prudeva, rischiava di mettersi a piangere. Rivide tutto nella sua mente, Guy che premeva dolcemente le labbra sulla testa di Joni tre mesi prima, sussurrandole che si sarebbero rivisti molto presto. Anna lo aveva pregato di restare, ma subito dopo si era sentita stupida, disperata, debole. Odiava sembrare debole. Ma il fatto era che Joni era troppo piccola per capire che suo padre se ne stava andando, aveva solo cinque mesi. E Anna non aveva mai immaginato che sarebbe stata una madre single, una divorziata, semplicemente non era così che aveva previsto sarebbe andata la sua vita. Sì, il loro matrimonio era andato in crisi per un po’. Ma perché lui non combatteva per salvarlo come lei era disposta a fare?

    Le sfuggì un singhiozzo e, sorpresa, si tappò in fretta la bocca con una mano.

    «Vieni qui», le disse Nathan, aprendo le braccia verso di lei. Anna esitò un momento, sbirciando attraverso il vetro divisorio. Ma Heather e l’assistente di produzione davano loro le spalle e stavano guardando lo schermo del computer. Così sprofondò tra le braccia di Nathan, traendo conforto dal familiare profumo muschiato del suo dopobarba. «Piangi quanto vuoi», le disse lui all’orecchio. «Dovrei anche avere un mascara nel cassetto, risale a quel servizio fotografico che ho fatto per il Ridgmont Waters Chronicle un po’ di tempo fa».

    Lei rise contro la polo di lui. «Sono solo stanca, ecco tutto».

    «Sei sicura che ti faccia bene stare qui?», le chiese Nathan, guardandola dall’alto in basso. «Forse sarebbe meglio se te ne andassi, prendessi la tua meravigliosa bambina e passassi una giornata sotto il piumone nella tua nuova casa. Posso condurre il programma da solo».

    Anna si allontanò da lui e scosse la testa, sfiorandosi le braccia con i lunghi capelli castani. «Assolutamente no, sono tornata solo da un paio di ore. Sto bene, davvero. È solo ansia da primo giorno di lavoro, tutto qui».

    Nathan inclinò la testa mentre esaminava il viso di Anna.

    «Che c’è?». Anna aggrottò la fronte, portandosi la mano alla guancia. Aveva ancora sulla faccia le briciole del muffin ai mirtilli stantio che aveva divorato per colazione quella mattina?

    «Sei una roccia, lo sei sempre stata», le disse lui.

    Una roccia.

    Era quello che dicevano tutti quando scoprivano quello che le era successo da bambina. Ti succede tutto quello che era successo a lei, riesci a sopravvivere, e cosa ti resta? Il paragone con una roccia. La verità era che non si sentiva così solida in quel momento. Il che forse voleva dire che sarebbe potuta franare da un momento all’altro?

    «Non sono l’unica madre che lavora al mondo, Nathan».

    «Lo so. Ma con tutto quello che sta succedendo a casa tua…».

    «È difficile», disse Anna con voce ferma. «Ma ce la farò. Finché Joni sta bene. Questa è l’unica cosa importante». Guardò la foto di Joni che aveva con sé. L’aveva scattata durante una delle loro abituali passeggiate pomeridiane lungo la spiaggia. Era seduta sui ciottoli, il vestitino giallo sporco, i capelli neri una massa disordinata attorno alle guance rosse, i brillanti occhi castani.

    Nathan seguì lo sguardo di Anna. «È adorabile».

    Il volto di Anna si addolcì. «È tutto».

    Lui annuì mentre riaccendeva il microfono. «Tienilo sempre bene presente, okay? È l’unica cosa che conta».

    Anna guardò la foto sulla scrivania di Nathan che ritraeva i suoi figli gemelli: uno biondo come Nathan, l’altro scuro come Val, sua moglie.

    «Tra un minuto andiamo in onda», la voce nervosa di Heather risuonò nelle loro orecchie.

    Nathan sorrise. «Ci siamo».

    «Ci siamo». Anna fece un lungo respiro profondo mentre Heather iniziava il conto alla rovescia. «Cinque… quattro… tre…».

    La sigla del programma risuonò nelle orecchie di Anna, dandole coraggio.

    «Due.. uno..».

    Anna aprì gli occhi, un sorriso stampato sul volto. «Buongiorno, buongiorno, buongiorno!», disse. «Sono Anna Graves, benvenuti a Dite la vostra, per la stazione radio più popolare della costa sud, Coast to Coast».

    «E io sono Nathan Wheeler. Sono le sette del mattino e tutto va bene perché questa settimana è tornata la nostra fantastica Anna Graves».

    «Oh, ma che seduttore», disse Anna nel suo microfono, sorridendo a Nathan. «Sì, sono tornata e mi piacerebbe dire che non vedo l’ora di cominciare. Ma tutti voi, genitori esausti in ascolto, sapete che non è una frase adatta a quest’ora del mattino». Lanciò un’occhiataccia a Heather mentre Nathan cercava di nascondere un sorriso.

    «Hai il tuo caffè comunque», disse lui.

    «Sì, tanto caffè», rispose Anna, sollevando la sua tazza verso la webcam nell’angolo. «La mia salvezza».

    «Allora, cosa abbiamo in serbo per i nostri ascoltatori oggi, Anna?»

    «A Dite la vostra stamani vi chiediamo: la lotta alle droghe è fallita? Vi daremo anche dei consigli su come stare freschi in un mese in cui, ci dicono, le temperature potrebbero raggiungere livelli da record». Si sventolò la faccia con una busta mentre sollevava le sopracciglia verso la webcam.

    «E venti anni dopo il ritrovamento dell’ultima vittima di Ofelia Killer», disse Nathan, «abbiamo un servizio speciale in cui ci chiediamo: le famiglie dei sette ragazzini uccisi quell’estate riusciranno mai ad avere giustizia?».

    Anna si irrigidì non appena udì menzionare Ofelia Killer, proprio come le era successo quando li aveva visti sulla scaletta del programma, quella mattina. Ma mentre Nathan snocciolava il resto del sommario, Anna sentì l’ansia dissolversi, sostituita da quella familiare eccitazione che faceva parte del suo lavoro.

    Presto sarebbe stato come se non se ne fosse mai andata.

    Anna spinse il passeggino di Joni lungo il piccolo sentiero che costeggiava la spiaggia di ciottoli, indicandole i gabbiani che infilavano il becco nei resti di un cono gelato. Ridgmont Waters, la cittadina sulla costa in cui era cresciuta, si stendeva dietro di loro, una striscia sottile di casette graziose, negozi e caffè che si affacciavano sul mare. La gente si distendeva sulla spiaggia a prendere il sole, i bambini gridavano di gioia mentre correvano dentro e fuori dalle onde sulla riva. In lontananza, il vecchio faro di proprietà della sua famiglia, dominava il mare, alto e bianco sopra le rocce grigie scoscese.

    Anna strizzò gli occhi per il sole e lasciò andare un sospiro contento. Era bello essere finalmente fuori dallo studio e con sua figlia, il calore più sopportabile del tardo pomeriggio sulla pelle, l’odore di sale e alghe che soffiava via le ragnatele. La piccola casa in cui viveva adesso, nella zona nuova della città, poteva non essere bella e piena di carattere quanto la villetta vittoriana che aveva ristrutturato con Guy, ma era più vicina al mare, solo un paio di minuti a piedi.

    Questo era già qualcosa, no?

    «Ti voglio bene, piccolina», disse Anna, guardando i morbidi capelli castani di Joni.

    Joni alzò lo sguardo verso sua madre e sorrise, facendo gonfiare il cuore di Anna. Assomigliava molto ad Anna, con i suoi occhi castani e il viso ovale.

    «Mamma», borbottò.

    Anna si fermò. «Hai detto mamma?».

    Joni le sorrise dolcemente e Anna si chinò di fronte al passeggino. «Hai detto mamma. Oh, tesoro, hai detto mamma!».

    «Mamma!», disse di nuovo Joni, ridendo di gioia.

    Anna pensò a come avrebbe reagito Guy quando glielo avrebbe detto, più tardi. Poi si ricordò: lui se n’era andato e presto la casa che tanto avevano faticato a ristrutturare sarebbe appartenuta a qualcun altro. Sentì che le lacrime tornavano e premette il viso nel collo paffuto di Joni. Non era così che aveva immaginato sarebbero andate le cose, non si vedeva nei panni di una madre single che viveva in una casa troppo piccola, angariata sul lavoro. Ma se la stava cavando, no? E Joni era felice. Questa era la cosa più importante.

    «Okay, sarà meglio che andiamo a dire buonanotte al nonno prima che tu inizi a pretendere la tua cena».

    Si diresse verso il piccolo angolo di spiaggia che si stendeva all’ombra del faro, lasciandosi alle spalle il cicaleccio della parte più affollata di spiaggia. Lì non c’era nessuno, tranne un gabbiano o due, perché il sole non arrivava. Usò le ruote larghe del passeggino di Joni per superare i ciottoli, prima di fermarsi proprio sulla riva, con le onde morbide che le lambivano, facendo ridere Joni. Anna si sedette su uno dei gradini che portavano alla piattaforma di cemento su cui si ergeva il faro, le rocce ruvide dietro di esso. Poteva annusare l’odore di vernice fresca che proveniva dalla porta d’ingresso, di un lucido rosso. Sua nonna doveva averla fatta ridipingere da qualcuno. Un granchio scappò a nascondersi alla vista di Anna e un gabbiano atterrò su uno dei davanzali del faro, in alto.

    Joni batté le manine mentre guardava su verso l’alto. Anna sorrise e cantò dolcemente la canzoncina che la nonna le aveva detto che suo padre cantava sempre a lei quando la portava lì da bambina:

    Buonanotte mare, buonanotte buonanotte,

    accarezzaci i piedi come fai con le sirene

    Buonanotte mare, buonanotte buonanotte,

    alghe e conchiglie copriteci bene…

    «È andata bene oggi, papà», sussurrò, guardando verso la finestra più alta del faro. «È stato difficile tornare, lasciare sola la tua nipotina. Ma ce l’ho fatta». Fece un respiro profondo, cercando di non fissare le rocce alle spalle dell’edificio. «Buonanotte, papà».

    Faceva questa cosa da quando suo padre era morto, quando lei aveva undici anni: camminava lungo la spiaggia e si stringeva attorno alle spalle la sua vecchia coperta mentre guardava il faro, desiderando ardentemente di poter tornare indietro nel tempo. Sua madre non le chiedeva mai dov’era stata quando tornava silenziosamente a casa dopo il tramonto, lo sguardo sempre fisso nel vuoto, e suo fratello alzava a stento la testa dai compiti.

    Una nuvola scivolò davanti al sole e l’aria diventò subito fredda. Per la prima volta, Anna notò delle nuvole nere che si addensavano sul mare. A quanto pareva stava per arrivare un temporale. Era ora di tornare a casa per una pasta ai frutti di mare prima di immergersi nel rituale della buonanotte di Joni. Era una faticaccia a volte, e lo sarebbe stata specialmente quel giorno, visto che era esausta per via del lavoro e non desiderava altro che stendersi un po’ a riposare invece di farsi inzuppare dalla schiuma del bagnetto e dalle proteste di Joni che non voleva uscire dall’acqua. Ma da quando si era separata da Guy il tempo che passava con Joni era ancora più prezioso. Cercavano di dividersi in modo equo i giorni in cui ognuno teneva la figlia, ma Anna sentiva disperatamente la mancanza della bambina quando non l’aveva con sé. Le piaceva sapere che Joni stava dormendo al piano di sopra quando si faceva notte.

    Quella sera aveva un po’ di lavoro preliminare da fare per la puntata del giorno dopo del suo programma, i piedi raggomitolati sotto di sé sul divano Chesterfield e magari qualche canzone di Joni Mitchell, omonima di sua figlia, in sottofondo, che usciva dal vecchio giradischi che le aveva lasciato il padre. Se avesse avuto tempo, avrebbe potuto preparare la cena per il giorno dopo. Le piaceva cucinare il cibo che aveva raccolto sul lungomare: telline e vongole, e vari tipi di alghe. Avrebbe volentieri compiuto il gesto automatico di ruotare e staccare la carne dalle conchiglie, si sarebbe messa a pulire le alghe e poi avrebbe aggiunto il tutto in pentola, insaporendolo con aromi deliziosi. Era diventata famosa per i suoi piatti a base di quello che raccoglieva e le cene che organizzava con Guy erano un appuntamento fisso per i loro amici.

    E adesso? Avrebbe continuato con quelle cene, tutta da sola?

    «Oh, fatti coraggio, Anna», disse a se stessa.

    Si alzò e iniziò a spingere il passeggino indietro verso il sentiero, ma notò che adesso c’erano tre adolescenti seduti a gambe incrociate pochi metri più avanti, che si stavano passando una sigaretta.

    O forse era uno spinello?

    Anna ripensò alla puntata di quella mattina e in particolare a un ascoltatore che aveva raccontato di come suo figlio, un tempo mite e gentile, si era trasformato in un teppista violento dopo anni di abuso di droghe.

    Si fermò un attimo. Quei ragazzi sembravano trasandati, diversi da quelli che incontrava di solito in giro per la città. Assomigliavano più che altro a quelli che abitavano nella zona degradata del porto di Ridgmont Waters, subito al di là del faro, che i locali chiamavano il Molo. Anna aveva fatto lì un po’ di volontariato insieme a sua nonna. In genere, i ragazzini erano abbastanza tranquilli, con famiglie difficili alle spalle, ma pur sempre bambini. Ultimamente però c’erano stati dei problemi con una particolare banda di adolescenti, soprattutto per furti, e un paio di loro che avevano preso una brutta china. Gli amici di Anna non avevano parlato di altro durante l’ultima rimpatriata, due settimane prima. In genere era facile dimenticarsi del Molo, separato dalla città dal faro e da un’ampia distesa di verde. Ma in realtà era a soli cinque minuti a piedi dal centro, e le recenti rapine lo avevano reso ben chiaro.

    Uno degli adolescenti alzò lo sguardo: era un ragazzo di circa sedici o diciassette anni con i capelli neri lisci e indosso un giubbotto di pelle della misura sbagliata. I suoi occhi si posarono su Joni e Anna avvertì un brivido di paura.

    Prima di avere Joni, avrebbe pensato: Vadano al diavolo, e sarebbe andata avanti. Non adesso, però.

    «Passiamo da un’altra parte», disse Anna, spingendo il passeggino di Joni sui ciottoli in direzione del campo che divideva il centro dal Molo. C’era un sentiero che da lì portava fino al cuore della città e alle sue strade lastricate. Avrebbe potuto attraversarla e poi proseguire verso il suo nuovo quartiere. Ci sarebbero voluti cinque minuti in più, ma non voleva rischiare.

    I ragazzi si alzarono e iniziarono a camminare verso di lei.

    Anna accelerò il passo puntando al campo, con il cuore che le rimbalzava contro il petto. Joni si contorse per uscire dal passeggino, una cosa che aveva iniziato a fare da poco.

    Anna si voltò appena e vide che i ragazzi si stavano avvicinando.

    Tutte le fantasie che si era fatta su Joni e tutti i possibili modi in cui avrebbe potuto farsi del male le si affollarono nella mente. Iniziò a correre, il passeggino sobbalzava sui ciottoli mentre lei si precipitava verso il prato.

    Improvvisamente, nel campo apparve un altro ragazzo. Indossava un’uniforme scolastica.

    Sembrava fuori di sé, con gli occhi sbarrati… e stava correndo verso di lei.

    Anna si fermò e guardò indietro verso gli altri tre. Era in trappola. Si trattava di un agguato per derubarla?

    Cercò nella borsa e strinse le dita attorno all’estremità affilata del suo pettine rosso.

    Lo studente si avvicinò, la faccia pallida e umida di sudore, gli occhi azzurri confusi.

    Rallentò e, guardando Anna, sbatté le palpebre, il corpo che oscillava leggermente mentre scuoteva la testa. Era chiaramente fuori di sé. «Non ti permetterò di farmi del male», le sibilò. Poi iniziò a procedere di nuovo verso di lei.

    Anna indietreggiò confusa. «Io non ti conosco».

    «Ehi, signora!»,

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