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Il potere del drago
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Il potere del drago
E-book367 pagine8 ore

Il potere del drago

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Info su questo ebook

Dall'autrice del bestseller Che fine ha fatto Mr Y.

Il libro più entusiasmante dai tempi di Harry Potter

Stimolante, coinvolgente, originale ed emozionante!

La nuova saga dell’autrice bestseller Scarlett Thomas

Effie Truelove ha imparato a viaggiare nel mondo magico dell’Altrove, con l’aiuto di preziosi libri incantati. Il suo compagno di classe Maximilian Underwood ha dimostrato, invece, un certo interesse per il Sottomondo, un luogo oscuro e proibito. Quando sia Effie che Maximilian svaniscono improvvisamente, i loro amici Raven, Lexy e Wolf non sanno a chi rivolgersi per chiedere aiuto. Il cavallo di Raven, Echo, le ha rivelato che Effie si trova in grave pericolo e c’è poco tempo per agire. Come se non bastasse, la scrittrice Laurel Wilde, la madre di Raven, riceve una strana richiesta da parte del multimiliardario Albion Freake, che non ha intenzione di fermarsi davanti a nulla. Dove sono finiti Effie e Maximilian? E cosa hanno in comune le loro sparizioni? E, soprattutto, il malefico piano di Albion può essere fermato?

«Un fantasy vivace, geniale, irresistibile.»
Sunday Times

«La creazione di un libro magico è al cuore di questo fantasy che fa riflettere e pensare… Per veri amanti dei libri.»
Financial Times

«Superbo.»
Sunday Telegraph

«Personaggi intriganti, colpi di scena, l’affascinante mondo dei libri e delle biblioteche: sono questi gli elementi che contribuiscono al successo del secondo libro della serie. Un sequel originale, ricco, ingegnoso.» 
Kirkus Reviews

«Ingegnoso e originale.»
Philip Pullman

«Il debutto più eccitante nel mondo della narrativa per ragazzi dai tempi di Harry Potter.»
Joanne Harris

«Intrigante. Una delle firme più originali del fantasy contemporaneo.»
Neil Gaiman, autore di Coraline
Scarlett Thomas
È nata a Londra nel 1972. Insegna scrittura creativa presso la University of Kent. Nel 2001 l’«Independent on Sunday» l’ha segnalata tra i venti migliori giovani scrittori inglesi. È stata candidata al premio Orange e al South African Boeke Prize e i suoi libri sono stati tradotti in più di venti lingue. La Newton Compton ha pubblicato numerosi bestseller, tutti accolti con grande favore dal pubblico e dalla critica. Torna in libreria con Il potere del drago, il secondo capitolo della trilogia per ragazzi iniziata con Il drago verde.
LinguaItaliano
Data di uscita1 ago 2018
ISBN9788822724854
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    Anteprima del libro

    Il potere del drago - Scarlett Thomas

    1

    Orwell Bookend non era un uomo felice. E in quel momento, con un piccolo pipistrello che lo osservava a testa in giù, dubitava di esserlo mai stato. Forse si era sentito felice una volta, tanto tempo prima, quando aveva ancora la prima moglie Aurelia al suo fianco. Prima che sua figlia Effie diventasse così fuori controllo. E certamente prima di salire in quella soffitta polverosa, senza neppure togliersi la giacca.

    Dov’era finita quella maledetta ragazzina? Probabilmente in giro a divertirsi con la magia insieme a quegli altri illusi dei suoi amici – quel ciccione quattrocchi e quell’altra che indossava camicie da notte tutto il tempo. Be’, di sicuro Effie avrebbe passato un bel guaio non appena fosse tornata a casa. Doveva essere sgattaiolata in soffitta, dedusse Orwell, per prendere quel libro. Non riusciva a trovare I Prescelti di Laurel Wilde da nessuna parte. E al momento quella era la prima causa della sua infelicità.

    Come molte infelicità, quella di Orwell Bookend era cominciata quando la prospettiva di una vita felice gli era stata fatta dondolare di fronte agli occhi per poi essere ferocemente spazzata via. E questo era accaduto più o meno quarantacinque minuti prima. Era in macchina e stava tornando dall’università, quando alla radio era stato annunciato un concorso.

    Orwell Bookend adorava i concorsi. Non lo ammetteva facilmente, ma lo rendevano persino felice. Be’, finché non perdeva. Ogni venerdì risolveva l’enigmatico cruciverba a premi del «Gazzettino della Città Vecchia» e lo inviava per posta a un indirizzo ai Confini. Il costo dei francobolli nel corso degli anni aveva di gran lunga superato il valore dell’eventuale vincita, che consisteva in un buono da quindici sterline da spendere in libreria, ma Orwell non aveva intenzione di rinunciare. Avrebbe vinto quel buono, e l’avrebbe incorniciato e appeso nel suo ufficio.

    La seconda cosa che rendeva felice Orwell era fare soldi, attività per cui tuttavia non era particolarmente portato (come dimostrava la questione del buono per la libreria). Se solo fosse riuscito a trovare quel libro – la prima edizione de I Prescelti che Aurelia aveva regalato a Effie tanti anni prima – avrebbe avuto l’occasione di vincere un concorso e fare soldi. O almeno così avevano detto alla radio. Chiunque avesse l’immensa fortuna di possedere una copia originale de I Prescelti doveva portarla al municipio venerdì, dove avrebbe ricevuto un compenso di cinquanta sterline e la possibilità di aggiudicarsi una fornitura elettrica illimitata. L’edizione economica invece la potevi scambiare per dieci sterline.

    Cinquanta sterline erano diventate una bella somma da quando c’era stato il terramoto, cinque anni prima. Da allora l’economia – come tanti altri sistemi complessi – aveva iniziato a zoppicare e fare le bizze. Sembrava proprio che non avesse più alcuna intenzione di seguire un mucchio di stupide regole matematiche. Certo, cinquanta sterline erano una bella cifra oggi, ma domani?

    Una fornitura elettrica a vita, invece! Quello sì che era un premio che valeva la pena vincere. In fondo nessuno, nemmeno i ricconi, aveva accesso illimitato all’elettricità. Quantomeno non dal terramoto. Be’, nessuno a parte Albion Freake, l’unico uomo al mondo a possedere tutta l’elettricità. E adesso per qualche motivo la sua azienda, l’Albion Freake Inc., aveva deciso di mettere in palio un premio di quella portata. Insieme a tutti quei soldi, poi. Orwell Bookend non doveva far altro che trovare quel libro. Certo, non che fosse suo, tecnicamente. Era di Effie. Ma la cosa non lo disturbava affatto.

    fregio.png

    Il dottor Green aveva proprio la testa a forma di patata. E non una bella patata normale, lavata, spellata e pronta per la cottura, ma una vecchia patata rinsecchita e con la buccia rugosa, lasciata maturare in mezzo alla terra per troppo tempo e che anche dopo essere stata bollita aveva ancora dei bizzarri ciuffi sulla punta. Secondo Maximilian Underwood i capelli radi sembravano proprio delle radici temerarie che avevano deciso di sfidare la luce ed erano finite morte stecchite.

    Il dottor Green era nel bel mezzo di una storia educativa – il peggior tipo di storia, secondo il ragazzo: raccontava di una povera bambina a cui una misteriosa befana dalla schiena ricurva aveva regalato al mercato un vecchio paio di scarpe da corsa semidistrutte.

    «La vecchia signora sussurra alla bambina che quelle scarpe sono magiche», diceva il dottor Green con una voce vellutata, umida e oleosa come la margarina. Maximilian sapeva già come sarebbe andata a finire. Chiunque l’avrebbe capito. Il giorno dopo la bambina mette le scarpe e vince una corsa stabilendo un nuovo record di velocità. Poi viene scoperta da un importante allenatore che la supplica di indossare un paio di scarpe migliori. Ma lei ovviamente si rifiuta di mettere ai piedi qualsiasi cosa a parte le sue logore scarpe magiche. Alla fine, però, succede l’inevitabile. Un rivale della ragazza le ruba le scarpe e le nasconde. E lei è costretta a correre con un altro paio normale. E ovviamente vince lo stesso. Morale: non era mai stato merito delle scarpe. Fine.

    «Adesso», disse il dottor Green una volta finita la storia. «Alcuni spunti di riflessione».

    Raggiunse la lavagna a rotelle che durante la settimana viveva chiusa nell’armadio e usciva soltanto il lunedì notte per quelle lezioni di magia di base, riservate ai Neofiti – ovvero gente reduce da una recente epifania, per lo più bambini. Era il primo corso per Maximilian. In cuor suo, aveva sperato di trovare almeno dei calderoni bollenti; con un po’ di fortuna, persino qualche oggetto infuocato che volava qua e là per la stanza. Ma no. Era tutto molto più noioso.

    La lavagna riportava una lista di cose proibite ai Neofiti. Fino a quel momento, i divieti erano stato l’argomento principe di quasi tutte le lezioni.

    1. I NEOFITI NON DEVONO MAI ESERCITARE LA MAGIA SENZA LA SUPERVISIONE DI UN ADEPTO (O LIVELLO SUPERIORE).

    2. AI NEOFITI È PROIBITO POSSEDERE UNA GRAZIA SENZA L’ESPLICITO CONSENSO DELLA GILDA DEGLI ARTIGIANI (CHE PUÒ COMUNQUE ESSERE REVOCATO IN OGNI MOMENTO).

    3. QUALSIASI GRAZIA PORTATA IN CLASSE DA UN NEOFITA VERRÀ CONFISCATA.

    4. AI NEOFITI È PROIBITO DISCUTERE DI MAGIA AL DI FUORI DELLA CLASSE.

    5. I NEOFITI CHE VIAGGERANNO O TENTERANNO DI VIAGGIARE NELL’ALTROVE SARANNO SEVERAMENTE PUNITI.

    6. AI NEOFITI È PROIBITO SCAMBIARE GRAZIE, MAPPE, INCANTESIMI, INFORMAZIONI O CONOSCENZE DI QUALSIASI TIPO LEGATE AL MONDO MAGICO O ALL’ALTROVE.

    7. I NEOFITI NON DEVONO PARLARE DELL’ALTROVE A NESSUNO E IN NESSUN MOMENTO.

    8. I NEOFITI NON DEVONO PARLARE NESSUNA LINGUA DELL’ALTROVE. VIOLARE QUESTA NORMA COMPORTA SEVERE PUNIZIONI.

    Era persino peggio della scuola normale. E faceva pure più freddo. Le lezioni settimanali del dottor Green si tenevano in una polverosissima sala parrocchiale, con i pavimenti di legno e dei giganteschi termosifoni che scricchiolavano e grugnivano di continuo senza mai emettere un soffio di calore. C’era una vecchia luce fluorescente che brillava debolmente nei brevi periodi in cui l’elettricità era disponibile. Ma la stanza era quasi totalmente illuminata dalle lanterne.

    Maximilian esaminò di nuovo la lista. In realtà aveva già fatto gran parte delle cose proibite. E non gliene importava un fico secco.

    La sua amica Effie Truelove in pratica le aveva fatte tutte. Lei era già stata nell’Altrove. Da parte sua Maximilian andava piuttosto fiero di aver fatto un paio di cosette che non erano neppure citate nella lista: per esempio, tentare di viaggiare nel Sottomondo e leggere nella mente.

    Tuttavia, era una fortuna che Lexy Bottle li avesse avvertiti di non portare le loro grazie a lezione. Si diceva che se il dottor Green ti confiscava una grazia potevi anche dirle addio: non c’erano speranze di riaverla. Così Maximilian aveva lasciato le sue – le Lenti della Conoscenza e l’Athamé della Segretezza – al sicuro, ben nascoste sotto il suo letto. Aveva gettato anche un piccolo incantesimo di copertura per nascondere l’athamé da sua madre, nel caso in cui le fosse venuto in mente di riordinargli la stanza di punto in bianco, come capitava spesso. Era a conoscenza della recente epifania di Maximilian e ovviamente sapeva che suo figlio adesso era uno studioso. Ma Maximilian non le aveva ancora detto di essere pure un mago. Non era certo che ne sarebbe stata contenta.

    Fuori dalla loro classe un barbagianni lanciò il suo verso, mentre il ghiaccio cominciava a farsi strada lentamente fra le valli e le alte brughiere. Un meteorite attraversò il cielo scuro, spegnendosi all’istante. Si stava facendo tardi. Le candele nella stanza tremolavano, danzando in perfetta sincronia, quasi come se fossero un’unica fiamma. A quell’ora Maximilian desiderava soltanto il suo classico spuntino serale – tre cioccolatini al caffè e una tazza di latte di capra – e una lunga, piacevole, rilassante…

    Lexy gli diede una gomitata. «Maximilian, svegliati», bisbigliò.

    Dall’altro lato, anche Effie Truelove stava per crollare. Ma che diavolo avevano quei due? Le lezioni erano la cosa più emozionante a cui Lexy Bottle avesse mai preso parte. Avrebbe studiato sodo e sarebbe diventata una grande guaritrice. Avrebbe trovato qualcuno che la prendesse come Apprendista e poi…

    «Per prima cosa», disse il dottor Green, «voglio che riflettiate su come funziona la magia all’interno della storia. Voglio che capiate dove si annida. E se è presente o meno. Poi voglio che stiliate una lista di tutti i casi in cui possa esserci stato uno scambio di valuta M in ogni punto saliente della storia».

    Lexy aveva già voltato la pagina del quaderno nuovo, scrivendo la data e i compiti con la sua nuova penna. Era certa di conoscere già tutte le risposte. Ma non ebbero tempo neppure di cominciare, perché la campana della chiesa suonò le nove, il che significava che era ora di tornare a casa. Così presto! Lexy avrebbe passato volentieri tutta la notte ad assorbire come una spugna la saggezza del dottor Green.

    «Completate il compito a casa», disse l’insegnante. «Lo consegnerete lunedì prossimo all’inizio della lezione, alle sette in punto. Grazie. Non correte verso l’uscita. Oh, Euphemia Truelove? Rimani qualche minuto, per favore».

    2

    Euphemia Sixten Bookend Truelove, conosciuta come Effie, si stava pentendo amaramente di essere andata a lezione. Nessuno la obbligava, dopo tutto. Era un corso facoltativo. Un po’ come andare lo stesso a scuola anche se non era proprio necessario. Solo un idiota farebbe una sciocchezza tanto grande, no? Il suo amico Wolf Reed, con cui aveva giocato a tennis per quasi tutto il pomeriggio, era andato agli allenamenti di rugby, mentre l’altra sua grande amica Raven Wilde era tornata a casa subito dopo scuola per dare da mangiare al cavallo. E allora che ci faceva Effie lì?

    In realtà la spiegazione era semplice. Lexy le aveva detto che quello era l’unico modo per diventare una strega e vivere nell’Altrove per sempre.

    Effie adorava l’Altrove. Se avesse potuto trasferirsi lì per sempre ne sarebbe stata più che felice, ma prima doveva migliorare le sue doti magiche – altra ragione per cui aveva scelto di frequentare le lezioni. Secondo Lexy, il dottor Green era il miglior insegnante di magia di tutta la nazione. Era un genio, anche se a volte poteva rivelarsi un po’ lento e noioso. Lexy sapeva tutte quelle cose su di lui perché il dottor Green usciva con sua zia, Octavia. A quanto pareva erano al terzo appuntamento.

    Il dottor Green dava le spalle a Effie. Stava pulendo la lavagna con piccoli movimenti frenetici. La sua lunga lista di cose proibite si dissolveva in particelle di gesso, cadendo sul pavimento. Effie sospirò. Per quanto tempo sarebbe dovuta restare lì prima di scoprire che cosa aveva combinato? Perché sapeva di aver combinato qualcosa. Il dottor Green aveva una faccia che non lasciava dubbi.

    «Mettilo sul tavolo», le disse alla fine, voltandosi per lanciarle un’occhiataccia.

    «Come?», rispose Effie.

    «Come, signore».

    Effie sospirò di nuovo. «Come, signore?»

    «Metti l’anello sulla scrivania, per favore».

    Oh, no. Effie deglutì senza far rumore.

    «Quale anello, signore?»

    «L’anello che hai nascosto nella fodera della mantella. L’Anello del Vero Eroe, immagino. Una grazia proibita. Mettila sulla scrivania».

    Effie deglutì di nuovo. Come faceva a sapere che l’aveva portato con sé? Lexy le aveva detto di non portare nessuna grazia a lezione – e tantomeno le sue, non registrate e particolarmente pericolose. Così il giorno prima le aveva nascoste tutte in una scatola a casa sua. A parte l’Anello del Vero Eroe, che aveva indossato qualche ora prima per la partita di tennis.

    Non lo metteva mai nei match ufficiali, soltanto durante l’allenamento. La prima volta che l’aveva infilato per poco non c’era rimasta secca. Ma se mangiava e beveva a dovere, per mantenere stabili i livelli di energia, l’anello la rendeva forte e agile e le donava tante altre qualità che non riusciva neppure a spiegare. E poi la faceva sentire più connessa all’Altrove. E…

    «Non ho tutta la notte», disse il dottor Green.

    Indossava un completo marrone piuttosto formale, con delle sfumature verdi e arancioni che adesso erano illuminate dai raggi della luna piena che splendeva fuori dalla finestra. La camicia era di una strana tonalità di giallo. Controllò l’orologio e poi tornò a squadrare Effie con quello sguardo terribile che solo i professori sanno fare prima di cacciarti dalla classe e farti scoppiare a piangere per un crimine che non hai neppure commesso.

    «Per quale motivo vuole il mio anello?», domandò Effie.

    «Puoi ripetere, scusa?»

    «Perché vuole il mio anello?»

    «È una grazia e tu l’hai portata alla mia lezione. Perciò devo confiscarla».

    «Ma…».

    «Non c’è nulla di cui discutere. Fa’ ciò che ti è stato detto».

    «E lei cosa ha intenzione di farci?»

    «Lo darò alla Gilda. Se è registrata, la grazia ti sarà semplicemente restituita lunedì prossimo. Se non è registrata…». Scosse la testa. «Dovrai scrivere alla Gilda e avanzare una richiesta di registrazione; poi, credo, dovrai riempire un altro modulo per averla indietro. E…».

    «No», disse Effie, sorprendendo persino se stessa.

    Gli occhi del dottor Green si ridussero a due fessure. «Come hai detto?»

    «No», ripeté lei. «Non glielo consegnerò. Mi dispiace, ma non posso».

    «Ho diversi modi per costringerti», rispose il dottor Green, facendo un passo verso di lei. «Ma sono sicuro che non ce ne sarà bisogno. Ora dammelo».

    Effie prese l’anello dal suo nascondiglio, la fodera della mantella verde bottiglia della scuola. Era d’argento, con una piccola pietra rossa tenuta ben salda da una serie di minuscoli dragoncini anch’essi d’argento. Gliel’aveva dato il suo caro nonno Griffin, poco prima di morire. Ed Effie non l’avrebbe consegnato a nessuno per nessuna ragione al mondo. Se lo infilò al pollice sinistro, dove le entrava meglio. E fu subito invasa da una forte sensazione di sicurezza e potere.

    «Smettila di farmi perdere tempo e dammelo», disse il dottor Green, avanzando di un altro passo e tendendo la mano. «Ora».

    Fuori dai grandi finestroni della chiesa, un gufo fischiò. L’animale era rimasto a guardare quello che succedeva là dentro e la scena non gli piacque affatto. Il suo grido d’allarme fu raccolto da un dolce coniglietto in un giardino nei dintorni, che passò il messaggio a un ghiro, che a sua volta lo tramise a un pipistrello che avvertì un altro gufo che per combinazione stava sorvolando la brughiera. In poco tempo tutti gli animali della zona seppero che Euphemia Truelove era nei guai. Forse qualcuno avrebbe risposto al grido d’allarme, o forse no. La Rete Cosmica funzionava un po’ a casaccio.

    fregio.png

    Raven e il suo cavallo Echo avanzavano sulla patina di ghiaccio scricchiolante della brughiera. La luna brillava sopra di loro, colorando d’argento i capelli neri e ondulati di Raven. Dato che era una vera e propria strega, sapeva parlare con gli animali. Da quando aveva avuto l’epifania, Raven era stata in grado di sostenere delle lunghe conversazioni con Echo. Prima di allora, avevano comunicato soltanto tramite sensazioni. Echo sapeva e basta quando Raven voleva che andasse al galoppo, e Raven sapeva e basta quando Echo cominciava a stranirsi. Ma ormai la ragazzina parlava un fluente Caballo (antica lingua equina) e tutto fra loro era cambiato.

    Ogni giorno dopo cena Raven ed Echo passeggiavano per la brughiera, anche se ormai il buio scendeva troppo presto. Molto spesso dovevano affidarsi alla visione notturna di Echo per tornare a casa, ma quella sera la luna era calante (cioè aveva superato la fase piena) e Raven ci vedeva perfettamente. Ogni cosa sembrava candida e magica quando veniva inondata dai raggi lunari. E ogni cosa baciata dai raggi lunari sembrava felice e in pace. Tutti sanno che grazie al sole il corpo assorbe la vitamina D. Ma non tutti sanno che c’è un nutriente speciale nella luce lunare che aiuta gli esseri viventi a sviluppare poteri magici e lava via ogni impurità.

    La landa intorno a Raven ed Echo era piuttosto desolata. Niente alberi, niente torrenti; neanche una vecchia recinzione, come quelle che si trovavano in altri punti della brughiera. L’unico elemento moderno nel raggio di chilometri erano delle porte d’acciaio che qualcuno aveva fatto costruire in una montagnola vicino a delle vecchie fattorie.

    Echo attraversava sempre con attenzione le zone più spoglie della brughiera, perché potevano esserci pantani o tane di conigli invisibili al buio. Ogni tanto un piccolo meteorite attraversava il vasto cielo notturno. C’era qualcosa di strano in quei fenomeni, anche se Echo non aveva ben chiaro cosa. E comunque, presto avrebbero raggiunto un vecchio sentiero con tutte le rassicuranti impronte di cavalli passati da tempo con i loro cavalieri.

    Così, dopo aver superato le vecchie fattorie disabitate, Raven sperò di rivedere il mistero luccicante. Da un’ora tentava di spiegare a Echo in Caballo che cos’era, o almeno cosa pensava che fosse. Era un’impresa quasi impossibile dato che non solo era difficile da spiegare di per sé, ma nella lingua degli equini non esistevano parole come luccicante o mistero. La cosa che più gli si avvicinava era pozzanghera nel buio, cioè qualcosa che fosse altrettanto oscuro e misterioso con una punta di imprevedibilità e pericolo. Ma Echo si limitava a sbuffare e a chiederle per quale diavolo di motivo se ne andavano alla ricerca di pozzanghere nel buio. Non gli piacevano affatto le pozzanghere; e infatti cambiava sempre strada se ne vedeva una. Le pozzanghere erano pericolose. Potevi anche finirci dentro e non uscirne mai più.

    «Non è proprio una pozzanghera», disse Raven con il pensiero. Il Caballo era una lingua che non aveva bisogno di parole. «Diciamo una specie di ostacolo molto alto».

    Ma a Echo non piaceva neanche saltare ostacoli troppo alti, e glielo disse chiaro e tondo.

    «Ma non è un vero e proprio salto», provò a spiegare Raven. «È solo una cosa che ti fa sentire come se ti stessi avvicinando a un ostacolo. O forse che fa sentire me come se mi stessi preparando a un salto. Immagino che per te sia un po’ come prima di un vamos».

    Echo non correva quasi mai quando aveva Raven in groppa. Ma certe volte gli capitava di vedere un ampio spazio di terra vuota e bellissima che si apriva di fronte a lui: allora sentiva il desiderio di vamos attraverso. E così partiva, senza pensare a niente, galoppando forte e veloce. Ma il modo in cui Raven si sentiva durante un vamos era più simile a quello che Echo provava al cospetto di ostacoli molto alti. Di tanto in tanto si concedevano un po’ di soddisfazione a vicenda. Lui la faceva saltare e lei gli permetteva un vamos. Echo non la faceva mai cadere. E questa era la cosa più importante. In cambio lei gli preparava delle ottime poltiglie di grano e alfa-alfa alla fine della giornata. Si ricordava persino di comprargli le mentine Polo, la delizia che più preferiva al mondo. Si capivano al volo, loro due.

    Era stato dopo il vamos del sabato precedente che Raven aveva visto per la prima volta il mistero luccicante. Le era parso che la brughiera di fronte a loro fosse… diversa, in un certo senso. Più verde, più selvaggia, più vivida, più magica. E più Raven chiedeva a Echo di avvicinarsi, più la brughiera si allontanava. Quel giorno ci avevano messo quasi quattro ore per tornare al loro assurdo palazzo – una specie di finto castello in cui Raven viveva con la madre.

    Laurel Wilde non si era nemmeno accorta che sua figlia era sparita, ovviamente. Troppo presa dal costoso spumante che stava bevendo e dall’ultimo complicato piano per fare quattrini partorito dalla sua affascinante editrice, Skylurian Midzhar.

    «Il primo libro da un miliardo di sterline del mondo», aveva detto Skylurian a Laurel Wilde quel sabato pomeriggio, di fronte a una tazza di tè. «Te lo immagini?».

    Raven aveva buttato giù i suoi sandwich e la fetta di torta in un sol boccone, per poter uscire subito con Echo, e aveva fatto finta di non sentire. Skylurian e Raven si ignoravano per gran parte del tempo, comunque. Laurel Wilde scriveva di streghe (e stregoni) che frequentavano un’accademia magica, ma non ci credeva veramente. E per metà aveva ragione, perché gli stregoni non esistevano. Ma Laurel Wilde sarebbe rimasta di stucco scoprendo che sia sua figlia che la sua editrice erano due streghe potenti e, cosa più importante, che si erano trovate sui lati opposti della barricata nel corso di una battaglia. Skylurian non aveva mai fatto del male a Raven, in realtà. Anzi, di tanto in tanto cercava ancora di fare amicizia. La cosa era piuttosto inquietante.

    «Pensaci, cara», aveva continuato Skylurian. «E il sette per cento di tutto sarà tuo».

    «Mi pareva che avessimo concordato il sette e mezzo per cento», aveva risposto Laurel Wilde.

    «Sì, sì, certo», aveva tagliato corto Skylurian. «Non fa differenza. Dopotutto, che cos’è lo zero virgola cinque di un miliardo?».

    Erano cinque milioni. Ma nessuno aveva fatto il calcolo.

    «Diventeremo più ricche di quanto abbiamo mai immaginato, cara. E tutto grazie alla tua intelligenza e ai magnifici libri che scrivi».

    Raven non aveva mai capito perché il primo libro di sua madre, I Prescelti, avesse avuto tanto successo. Aveva venduto più di dieci milioni di copie in tutto il mondo, ci avevano fatto un film e persino un gioco da tavolo. Parlava di magia, ovviamente, ma non della vera magia che esercitava lei. Nel mondo normale, quello in cui vivevano loro, chiunque poteva risvegliare i propri poteri magici, se ci provava abbastanza intensamente (o, come era successo a Raven, se qualcuno ti affidava una grazia preziosa dell’Altrove). Ma nei libri di Laurel Wilde, solo un piccolo gruppetto di persone erano davvero magiche.

    I Prescelti, così come venivano chiamati, nascevano con uno strano eritema dietro il ginocchio sinistro. Se eri nato con l’eritema, allora godevi di poteri sovrannaturali quasi illimitati. Altrimenti, be’, peccato per te. Ti toccava far parte della schiera dei Non Prescelti: impopolari, brutti, spesso grassi e condannati a sottostare a vita agli incantesimi lanciati dai Prescelti, che non erano soltanto bellissimi e potenti, ma anche piuttosto sbruffoni.

    Nel mondo reale, il mondo di Raven, il potere magico era limitato. Nei libri di Laurel Wilde, chiunque fosse nato con l’eritema dietro il ginocchio aveva il diritto di fare più o meno quello che voleva, con un semplice cenno del sottile polso bianco (erano tutti bianchi). Nonostante il grande potere che avevano a disposizione, i Prescelti passavano quasi tutto il loro tempo a organizzare festini di mezzanotte e a preoccuparsi dei loro compiti scomparsi. Se un Non Prescelto dava loro fastidio, finiva ben presto trasformato in rana.

    I Prescelti era ambientato in un passato davvero lontano, al tempo in cui la gente se ne andava in giro con dei cappelli ridicoli, prendeva il treno a vapore per andare in collegio e passava le vacanze a farsi rinchiudere a chiave nella stiva di una nave o a farsi rapire dagli zingari. Raven aveva mollato la serie a metà del primo libro, ma molti ragazzi della sua età erano andati avanti fino al sesto e ultimo volume.

    «E sei sicura che Albion Freake lo comprerà?», aveva chiesto Laurel a Skylurian durante il tè di quel sabato pomeriggio.

    «Certo, cara. Mi ha dato la sua parola. Se creiamo un singolo volume in edizione limitata de I Prescelti, rilegato in pelle di vitello e taglio in vero oro, lo comprerà per un miliardo di sterline».

    «Ma ogni altra copia esistente del libro deve essere distrutta per forza?». Sembrava che quel pensiero rattristasse un po’ Laurel Wilde.

    «Come abbiamo già chiarito, è questo che si intende per singolo volume».

    «Ma…».

    «Ormai lo hanno letto tutti, cara. Che senso ha conservare una copia di un libro già letto? E il sette per cento di un miliardo di sterline…».

    «O il sette e mezzo», la corresse Laurel.

    «Con il sette per cento diventerai ricca, mia cara, ed è questo che conta veramente».

    Echo sbuffò. L’aria di metà novembre congelò il suo alito in tanti minuscoli cristalli di ghiaccio. Raven accantonò ogni pensiero sui libri di sua madre. Là fuori nella brughiera si sentiva libera da tutte quelle faccende terrene così poco importanti. Là fuori si sentiva più vicina alla natura. Al suo vero spirito. E a qualcos’altro che ancora non riconosceva né capiva, ma che senz’altro esisteva.

    Echo sbuffò di nuovo. «È questa?», chiese a Raven, inclinando la testa verso sinistra. «La tua pozzanghera al buio?».

    E infatti, più avanti, leggermente sulla sinistra, c’era il mistero luccicante.

    fregio.png

    «Dammi l’anello», ripeté il dottor Green.

    «No», rispose Effie.

    Coraggio, forza e audacia scorrevano impetuosi dentro di lei. Le succedeva sempre quando si infilava l’anello e, qualche volta, pure quando non lo metteva. Sentiva il potere nelle spalle, lungo la schiena, in ogni muscolo delle gambe. Effie aveva soltanto undici anni, ma era sempre pronta a combattere per ciò che riteneva vero e giusto.

    «Te ne pentirai amaramente, giovincella», disse il dottor Green, che cominciava a colorarsi di una strana sfumatura di viola – proprio un pugno in un occhio, con il completo marrone e la camicia gialla.

    Effie fece un passo verso la porta, ma il dottor Green la anticipò, sbarrandole la strada.

    «Non ti azzardare a sfidarmi! Non ho mai…».

    «Per favore, mi lasci passare», disse Effie.

    «Prima dammi l’anello».

    «Pensavo che avesse diversi modi per costringermi a consegnarglielo», rispose Effie. «A quanto pare non è vero. Adesso, per favore, può togliersi di mezzo?»

    «Non ho mai sentito tanta sfrontatezza condita da maleducazione», rispose il dottor Green. «Se non mi dai quell’anello subito, sarai espulsa. Mi hai sentito? Espulsa, sì».

    «E va bene», rispose Effie. «Mi espella pure. Non mi importa. Tanto non credo che lei abbia qualcosa di utile da insegnarmi».

    «Impudente, piccola… Mai, mai, in tanti anni di lezioni che ho tenuto in questa classe – cosa che faccio a titolo gratuito, per pura bontà di cuore – mai ho avuto a che fare con tanta maleducazione da parte di un alunno. Tu, mia cara, avrai presto notizie da

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