Vincere l'odio: Prima e dopo il coronavirus
Di Matteo Ricci
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Dialogo con Lucrezia Ercoli
L’odio attira sempre odio, è la grande lezione di Liliana Segre. Il Covid-19 ha mostrato le nostre fragilità, ma anche il fatto che gli uomini sono tutti uguali di fronte a questa nuova emergenza. Allora, che società avremo dopo il coronavirus? Aumenterà la paura o la voglia di rinascere? L’intolleranza lascerà il posto alla solidarietà?
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Anteprima del libro
Vincere l'odio - Matteo Ricci
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Prefazione
Non è facile riavvolgere il nastro e neppure ignorare il presente con il suo carico di ineluttabilità, il rischio, un po’ cinematografico per chi inciampa in questa tentazione, è quello di riprodurre l’orchestrina in frac che suona a prua mentre la poppa del Titanic è già immersa. In poche settimane è cambiato il mondo e noi ci siamo scoperti straordinariamente vulnerabili.
Del resto le infezioni non minano solo il fisico, attraversano il tessuto molle della società, anche la più democratica, lacerandolo.
I virus oggi sono due, contrapposti. Il primo si chiama odio ed è antico, nella sua forma più moderna ha una caratterizzazione razziale ma non è la sola. È il peggiore dei sentimenti, è un maestro violento, ruba spazi. Bisogna prosciugare i bacini d’odio, ha detto di recente il nostro presidente Sergio Mattarella.
L’altro, il Covid-19, è politicamente neutro, non ha target religiosi, sconfina senza passaporto, ricorda il viaggio delle piante, è apolide, non ha obiettivi, bisogni o desideri, non ha un cervello.
Qualcuno di recente ha detto che sarà dura e sarà triste ma quanto dura e quanto triste dipende da cosa facciamo adesso.
Sembra trascorso un secolo da quel pomeriggio del 10 dicembre 2019: a Milano, la mia città, l’imponente manifestazione dei sindaci italiani contro la pandemia dell’odio ha rappresentato il punto di non ritorno. Giuseppe Sala e Matteo Ricci hanno detto No, e con loro la rappresentanza degli 8.000 Comuni italiani.
Le nostre città italiane sono presidi di libertà e inclusione. Qui non c’è spazio per sentimenti imbarbariti.
Da quella imponente e civilissima risposta è nata l’idea di questo libro. Il sindaco di Pesaro (città dei miei nonni materni e di mio marito, tanto per mappare i sentimenti) mi ha voluto omaggiare con la proposta di una prefazione alla quale non ho voluto sottrarmi: l’odio lo porto sulla pelle. Ho detto più volte, e qui mi ripeto, che chi odia sta dalla parte sbagliata della storia, anche se la storia
oggi ha cambiato le carte in tavola.
Matteo Ricci, pioniere della lotta contro ogni forma di intolleranza, ha il dovere di guardare lontano. La condivisione non è un lusso, l’altruismo è la moneta di scambio, la buona manutenzione della memoria un esercizio che serve a mantenere in salute la democrazia. Questa città, i nostri Comuni, devono irrobustirsi perché sono presidi di cittadinanza.
L’ignoranza in materia di germi
è stata il punto debole strutturale che il nostro continente europeo ha pagato a caro prezzo.
Chi mi conosce sa che ho una particolare predilezione per la Costituzione, la Carta che ci orienta, quella che oltre 70 anni fa ci ha fatto entrare nell’età dei diritti (e dei doveri).
Ce la possiamo fare? Dipende dagli strumenti messi in campo, io suggerirei di ripartire dall’art. 3.
In fondo le pandemie
antiche e moderne sono fatti umani e hanno un inizio e una fine.
Milano 27 aprile 2020
L'odio al tempo del coronavirus
Dialogo con Lucrezia Ercoli
Lucrezia Ercoli
La paura del nemico e l’individuazione di un confine, concetti che fanno parte dell’arcipelago Odio, si sono ridefiniti. Con questa emergenza sanitaria è finito un mondo e se n’è aperto un altro, dove gli stessi termini non scompaiono ma vengono ripensati.
È l’idea stessa del nemico che viene potenziata dal virus. Un nemico che non è più identificabile come prima in modo semplice. Non è individuabile dal colore della pelle, da come è vestito o dalla sua carta d’identità. Il nemico ora è l’Altro in generale, con un sentire che è alimentato dalla paura del contatto.
Nelle pochissime uscite fuori casa che ho fatto in questa quarantena mi sono stupita di questa diffidenza assoluta. Della paura della vicinanza. Questo comportamento avrà nei prossimi mesi conseguenze terribili a livello sociale.
Matteo Ricci
E pensare che lo slogan che gira sui social è #andràtuttobene. Ma prima di tutto c’è da porsi una domanda fondamentale per il dopo emergenza. La società avrà ancora voglia di abbracciarsi e stare insieme in luoghi affollati, sentendosi così unita, oppure questa pandemia cambierà le relazioni umane? È la grande incognita. Non sappiamo se stiamo vivendo una parentesi e tutto tornerà come prima o, quando il virus sarà sconfitto, non supereremo la diffidenza nei confronti dell’altro.
Se prevarrà una società a distanza, le paure che già covavano in noi e i risentimenti saranno enfatizzati da un nemico ancora più invisibile. Già c’era insofferenza per il diverso, ora quel confine che un tempo divideva le nazioni rischia di stringersi a livello regionale o addirittura comunale, fino a essere un confine che separa casa nostra dal resto del mondo. Se non torneremo in poco tempo a respirare una normalità
, le tensioni si deterioreranno.
In mezzo a questo delirio, ognuno è diventato nemico del prossimo suo. Il sindaco di un Comune della mia provincia è arrivato addirittura a fare un’uscita pubblica, lamentandosi del fatto che i suoi cittadini sarebbero stati infettati dai pesaresi. Una frase demenziale, quasi a dire che il nemico è alle porte: può diventare il dirimpettaio che esce troppo spesso dal suo appartamento per portare fuori il cane, il runner o la mamma a spasso con il passeggino. Abbiamo scoperto nuove categorie di persone da odiare.
Lucrezia Ercoli
Questo perché la cosa che più ci terrorizza è l’indeterminatezza della minaccia, che ci lascia senza appigli. Allora, quando il nemico è così impalpabile, cerchiamo di trasformare l’angoscia senza oggetto in paura. E la paura è sempre paura di qualcosa, ha un oggetto determinato e si ha la sensazione che se viene eliminato quel fattore scomparirà il problema.
Abbiamo bisogno di avere un obiettivo, un capro espiatorio che ci salvi dal terrore dell’incerto.
In tanti hanno utilizzato, anche a livello politico, la metafora della guerra e della battaglia per spiegare la lotta al diffondersi del Coronavirus. Ma tale metafora prevede un 25 Aprile
, una Liberazione, un trattato di pace: ci si abbraccia e l’incubo finisce. Non è così.
Il linguaggio della politica deve abituarsi a non usare vecchie categorie, vecchi nemici e vecchie paure. Il mondo di domani non inizia con la firma di un accordo di pace.
Matteo Ricci
La data della fine della guerra potrebbe essere il giorno in cui sarà scoperto il vaccino. È chiaro, però, che questa pandemia ha coinvolto tutto il mondo e ha rafforzato la consapevolezza della fragilità dell’uomo in sé. Lo ha sottolineato lo stesso papa Francesco.
Una nuova consapevolezza che potrebbe innescare un meccanismo di solidarietà globale. È un po’ come nei film di fantascienza, dove ci sono esseri umani che decidono di accantonare divergenze e allearsi per combattere invasori alieni. Nemici comuni. Uno scenario, certo, molto ottimistico, viste le diffidenze vissute nei mesi passati. Non dimentichiamoci che prima di tutto gli untori sono stati ai nostri occhi i cinesi, poi sono arrivati gli italiani. E via dicendo. Magari prima o poi quel meccanismo di solidarietà scatterà, chissà.
C’è anche un altro aspetto su cui focalizzarsi: per sconfiggere il Coronavirus è stata avviata la più grande restrizione delle nostre libertà individuali dal Dopoguerra a oggi. Come cambierà allora il rapporto tra Stato e società?
Se a gennaio avessimo pensato di rinchiudere in casa gli italiani per due mesi ci avrebbero dati per pazzi. Invece in democrazia (non in uno Stato totalitario) abbiamo tutti accettato responsabilmente di rinunciare ad alcuni diritti, compresa un po’ di privacy, per sconfiggere il virus in nome di un bene comune, la salute pubblica. È sorprendente.
Lucrezia Ercoli
Hai appena parlato di fantascienza e dell’immaginazione di un mondo post apocalittico. Soprattutto il Novecento ha visto una proliferazione incredibile di universi distopici e queste narrazioni possono diventare un’arma importante per cogliere scenari che oggi non riusciamo a comprendere. In questo modo sviluppiamo possibili soluzioni e troviamo