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Vincent Van Gogh - Il cacciatore di verità
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E-book285 pagine3 ore

Vincent Van Gogh - Il cacciatore di verità

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Info su questo ebook

Rolando Giannetti racconta Vincent Van Gogh, uno degli artisti più straordinari di tutti i tempi, con una scrittura introspettiva, delicata ma intensa, che mira a ripercorrere la vita, le opere e i sentimenti dell’enigmatico e sublime pittore olandese. Sganciato da una società insensibile, segnato fin dalla nascita dal marchio della negazione, dal rifiuto e dall’isolamento, Van Gogh dimostra volontà costruttiva e amore per l’umanità, un’indole che tende alla positività e alla reattività. L’artista ricerca con ostinazione la verità, mettendo in discussione tutto, a cominciare dalla propria esistenza, indagando sulle origini di ogni cosa e sulle relazioni tra le cose. Esprime nelle sue opere una grande forza vitale, una nettezza e una bellezza travolgenti in cui l’anima diventa colore vibrante e materia, come a comunicarci che nell’universo c’è qualcosa di nascosto ma di estremamente perfetto. Van Gogh ha il piglio di un combattente, un simbolo di luce oscurato dalle forti delusioni e dai grandi dolori subiti nell’arco della sua vita. Quello di Rolando Giannetti è un racconto che informa e che appassiona per la sua profondità, la sua levatura emozionale e la sua accurata indagine a tuttotondo.


Rolando Giannetti è nato a Saviano (NA). Ha vissuto per molti anni a Napoli, dove, dal 1997, è stato co-direttore artistico del Mezzo Teatro, conducendo anche la scuola di recitazione. Attualmente vive a San Salvatore Telesino (BN). Ha scritto di narrativa e di teatro, di cinema e di arti figurative. Nel 2001 ha vinto il primo premio Città di Empoli Domenico Rea, con il racconto I bianchi mattini. Nel 2008 ha ricevuto il terzo premio al Concorso Internazionale di Poesia e Narrativa Città di Salò per il libro La drammaturgia dell’inconscio. Nel 2010 il Trofeo Saggistica al Premio Europeo di Arti Letterarie Via Francigena per il libro In cerca di un porto – La canzone d’autore di Francesco Guccini. 
I suoi scritti: (La trilogia in nero) Gli uomini bianchi, Il tempo assoluto, La terra incenerita; Riflessi nel buio; La maledizione d’Almarigi; Alan e Rose; I cicliti; Non è solo il tempo (raccolta di poesie, pubblicata da Libroitaliano nel 1994); Racconti da raccontare (Edizione Danilo 1995); L’interminabile vita insieme a Piera (Ibiskos editrice 2001); Irina Kemp (Ibiskos editrice 2005); La drammaturgia dell’inconscio (Ibiskos editrice 2007); I miei incontri con Dino Buzzati (Ibiskos editrice 2007); In cerca di un porto – La canzone d’autore di Francesco Guccini (Edizioni Guida 2010); Il pensiero onnipotente; Porco Maiale; Mattanza d’Artista (Edizioni Albatros 2022).
Per il teatro: Nadia Kruger (Sipario 1996); Desuete metamorfosi di stato (Sipario 1997); Guasti televisivi; Baby blues; Non sia l’amore; La storia; Le donne e i turbamenti; Le sorelle Willsburg (tutti rappresentati in anteprima al Mezzo Teatro di Napoli, con musiche del maestro Peppe Barone); Darsena tre (musical in atti con musiche del maestro Peppe Barone) 
LinguaItaliano
Data di uscita31 lug 2022
ISBN9788830667686
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    Vincent Van Gogh - Il cacciatore di verità - Rolando Giannetti

    PARTE PRIMA

    Il sovversivo di sempre

    Tutto scorre linearmente, e nel silenzio assoluto anche la più cruda tragedia avviene senza grandi frastuoni. Sembrerebbe un tacito accordo tra le forze dell’universo che si esaltano nelle catastrofi e lasciano al dolore muto un’eco del tutto insignificante. È un debole crepitio l’avvento delle macchine e la guerra diventa uno sparuto baluginio del crepuscolo. Questo per gli dei o per il sommo creatore che non ha occhi per i dolori dell’uomo. Noi che non siamo divinità e procediamo nell’insicurezza più evidente, sentiamo e respiriamo debolmente, ma quando la nostra vita la subiamo oltre un certo limite, ne soffriamo e gridiamo con tutte le forze, pur sapendo che ci attende una fine certa.

    Pare che questo viaggio sia stato organizzato tutto sull’ambiguità; nella grande arena anche la sopraffazione s’è allineata alla menzogna e all’inganno. Una volta avviati per una strada, l’abbiamo identificata come l’unica e la migliore strada. Da una parte c’è il flusso inarrestabile degli eventi e dall’altra gli sparuti tentativi di chi non è convinto e grida di fermarsi. Ma non è possibile, è un’immane opposizione. Eppure i fatti della quotidianità determinano gli eventi nei quali la sconfitta è la certezza ultima e il dolore una costante che ci attanaglia al pari d’un destino ineluttabile. Tuttavia da qualche parte, ogni tanto, prepotentemente o anche flebilmente, si alza una voce che ci avvisa del contrario, che indica un tentativo, o solo un sussulto, per cercare altri termini e posizionare sillogismi in apparenza incongrui. La Storia corre, prorompe, frana, come una valanga, da secoli, sempre nello stesso bacino di sangue. In questo diluvio generazionale che sembra dare unità ai fatti, c’è una vera e propria coniugazione con tutto il creato, con il ciclo delle stagioni, con lo sterminio dell’esistente, con la lotta insensata della specie contro la specie.

    Si possono congetturare varie ipotesi, si può anche imbastire più di una teoria per spiegare questo eclatante delirio di annientamento, ma sembrerebbe che non si possa comunque arrestare la forza irrazionale che distrugge e ci annienta, sia che abbiamo delle ragioni consolidate, sia che tutto venga generato da una coalizione oscura e subdola, ancorché triviale e sanguinaria.

    Per ciò che concerne l’artista, diremo che è un alieno, intruso certamente nella società della decente ignominia. Un’entità particolare, da indagare con gli strumenti della psicopatologia. Per la società di tutti i tempi l’artista ha sempre rappresentato un enigma, nel migliore dei casi un innocuo individuo sganciato dal contesto. A volte s’è intestardito a concretizzare le proprie astrazioni col furioso piglio di chi ha la verità in corpo e ha pagato col proprio annientamento. Se la sua figura diventa un emblema e il suo linguaggio parla a un numero sempre più consistente di individui, allora diventa pericoloso tanto da essere combattuto e, infine, eliminato. L’attualità, che vede le comunicazioni sempre più capillari, è la vera nemica dell’artista. Non si sa chi esso sia, non si riescono a catalogare le sue intenzioni, se in testa abbia un’ideologia sovversiva. Non è importante se lui appartenga alla cultura e nemmeno se la sua opera sia tutta rivolta alla salvaguardia dell’esistente, tantomeno è importante che lui si ponga dalla parte dei deboli, dei senza parola: va cacciato e ridotto al silenzio.

    I casi sono molteplici e tutti dello stesso tenore: la dinamica è folle, come è assurdo tutto ciò che viene distrutto in nome d’un niente, d’un domani nel niente, d’una certezza che sotto gli occhi di tutti si qualifica come radicamento della violenza. Da tali presupposti si capisce il perché oggi, a voler trattare di un artista, non si può prescindere dalla sua biografia, come un doppio binario in cui camminano paralleli la storia del suo ostracismo e la disamina della sua opera. Con questo volendo puntualizzare che il valore estetico non è certamente comparato alla densità drammatica della sua vita, tutt’altro. L’opera è un dato e la vita è un altro, ma tuttavia, quando l’uno interferisce sull’altro, vanno indagati con lo stesso impegno. Naturalmente qui si parla dell’artista, e cioè di un uomo che ha fatto una scelta totale, che mette in discussione tutto, a cominciare dalla propria vita e ne risponde fino all’ultimo istante. Oggi che le democrazie sono più aperte e più discorsive, non si condanna alla ghigliottina l’artista, lo si isola semplicemente dal contesto e dai suoi sodali o ipotetici tali, gli si mette contro un sistema di segni che non gli appartengono, che lo fanno sentire unico e fuori, ma, cosa più importante, gli si blocca la comunicazione. E qui comincia il calvario. Quei pochi che vanno fino in fondo rischiano la pazzia, perché se l’arte è un atto concreto e se questo viene svuotato d’ogni comunicazione, porta con sé nel baratro il fautore di quest’atto inutile.

    C’è la guerra, sempre e comunque, e nella più ampia conflagrazione è di capitale importanza colpire innanzitutto il dissidente, non quello occasionale e di facciata, ma il Cristo di sempre, vuoi che sia un artista o un mistico della non violenza. Sembra proprio che l’istinto distruttivo abbia particolare propensione nel realizzarsi contro questi individui senza potere e con scarso seguito. È un bel busillis o una sconcia anomalia dell’essere. D’altra parte, il perfezionamento e l’equilibrio si realizzano in una lenta evoluzione e non è detto che questi non propendano per la negatività totale.

    Le scelte radicali

    Se non bastasse, c’è il rifiuto dei genitori che nel migliore dei casi accettano i propri figli anche se essi si assuefanno alla routine e alle sconfitte di sempre. Un duplice ostracismo per l’artista: la comunità in generale, la famiglia nella figura dei genitori.

    Non capire e non sforzarsi di tentare, è un rifiuto; non chiedere e non dialogare è una negazione dell’altro; girare le spalle e troncare il rapporto è una vera e propria condanna. E i genitori di Vincent Van Gogh non sono stati diversi da tanti altri; né cattivi, né distratti, né persecutori: sono stati semplicemente dei genitori normali che scelgono di riprodursi per esaudire il loro ossessivo egoismo, nell’ illusione di essere in eterno in questa pesante valle di lacrime. Perché se l’anno prima un figlio della coppia Theodorus Van Gogh, pastore protestante, e Anna Cornelia Carbentus, è morto o è nato morto, si può mettere in cantiere un altro concepimento, subito, e supplire davanti alla faccia del mondo per completare un quadretto familiare decoroso e tranquillo. Vincent (il secondo) nasce nell’anno seguente, lo stesso giorno della morte del fratello e gli viene dato lo stesso nome così che il Nostro non possa dimenticare che lui è un doppione, considerando che i suoi attenti genitori fanno costruire una lapide con inciso il nome del morto, proprio davanti alla chiesa da dove il piccolo Vincent è costretto a passare ogni giorno introiettando due verità fondamentali: la morte certa e la interscambiabilità di ogni essere; insomma il modo migliore per opacizzare la sua identità e, più di ogni altra cosa, la relatività di tutto. Questa la venuta al mondo di Vincent Van Gogh, l’artista che l’umanità ha preso a oltraggiare fin da subito e che ha continuato con uno stillicidio da manuale finché la sua tempra ha ceduto e il cancro è stato estirpato. Ed è indubitabile che un tale inizio è diventato la prima fase della maledizione per l’intera sua vita segnata.

    Eppure c’è qualcosa che non torna, per tutti gli uomini di buon senso, per ogni diligente fautore di banalità e di ignoranza: nonostante questo inizio, nonostante il marchio della negazione, Vincent nella sue opere esprime una grande forza vitale, una nettezza e una bellezza travolgenti, nei quali il colore vibra non tanto per le dissonanze e le complementarietà, quanto per l’anima che diventa colore e materia, come se volesse dirci che nell’universo c’è qualcosa che ci sfugge, qualcosa di estremamente perfetto. È un caso unico nella storia dell’arte, che ci fa riflettere, noi che siamo avvezzi a spiegare un male derivante da un altro male e il tutto giustificato da forze negative e perciò inarrivabili. Ecco perché, volendo parlare di Vincent Van Gogh, va spostata l’analisi principalmente sulle sue opere, sulla sua volontà costruttiva, infine sul suo amore per l’intera umanità.

    Io non so se ci voglia più coraggio, lucida avvedutezza, o soltanto macroscopica sprovvedutezza, a vivere il niente in un periodo della propria storia, quando non si ha ancora la personalità formata e una salda cultura che ti protegga dall’esterno. Ma io non credo che Vincent abbia agito nell’ignoranza dei suoi primi passi. Ha scelto in piena lucidità, ha sfidato il niente e si è lasciato sprofondare in esso, e tutto questo per esserci, ma principalmente per comunicare. Sarebbe agevole e finanche scontato rinvenire le cause pregresse per arrivare a spiegare questo dato, partendo proprio dalla sua particolare infanzia, ma si resterebbe comunque nel campo delle ipotesi. Il tipo di famiglia (la cappa formale della religione), la lapide del fratello morto nel giorno della sua venuta al mondo, la distanza con i suoi coetanei, la cupezza del luogo intorno alla sua casa; tutte ragioni forti ma ancora insufficienti per focalizzare il suo momento e la sua discesa nel niente. Si ha l’impressione che fin dalla sua prima adolescenza Vincent istintivamente si preparasse alla separatezza col mondo. Via via che cresceva la sua maestria espressiva, gli mancava l’ossigeno, e l’impossibilità di poter partecipare agli altri le proprie opere lo faceva scivolare nella frammentazione del proprio io. Una personalità che va incontro al proprio destino fino in fondo, che avverte, con sempre maggior lucidità, che il prezzo è la propria vita, quella che s’identifica sempre di più con la sua arte vissuta come missione. Vincent è una personalità il cui DNA esprime la radicalità, prima nel rapporto con la religione, poi con la pittura e sempre con l’amore, vuoi con le donne, vuoi con gli amici, vuoi con la natura nel suo complesso. Ed è bene evidenziare questa sua radicalità per meglio capire l’accanimento che lui profonde in ogni cosa. Da non confondere però con l’atto formale. La sua radicalità è di tipo avvolgente e profondo, la sua perseveranza è tutta proiettata nella conoscenza delle origini da cui ogni cosa si dirama e dove si può rinvenire, in parte, una comprensione meno superficiale. Vincent non è ancora preso dalla pittura quando lavora alla Goupil come venditore di quadri, anche se comincia a sentire l’interesse per il disegno e la lettura della realtà attraverso la linea. Siamo nel 1869 e lui ha appena 16 anni, ma già avverte che deve andare dritto al fondo e agganciarsi al magma dell’esistenza. Ecco, quindi, il suo allontanamento dalla Goupil, il suo disarticolarsi completamente per poi sintonizzarsi sul nuovo cammino. Essere uomo significa spogliarsi, essere uomo tra gli altri significa assimilarsi a loro, abbracciare i loro tempi, i loro riti, i dolori e le illusioni, essere senza distanza. Eccolo in Belgio, nella regione del Borinage, dove l’inferno supera ogni immaginazione e dove le maschere stravolte dei minatori sono le prefigurazioni d’un supplizio infinito. Un luogo dove la terra è nera e dove si respira tanta polvere di carbone che le voci stentano a modularsi e le parole diventano sempre più grugniti. Una terra fuori dalla storia, come tutte le terre dove si paga lo strazio in virtù d’un altro meno evidente che è la vita degli uomini bianchi, ma ugualmente feroce perché più subdolo, più inarrivabile.

    Si potrebbe congetturare che Vincent si vada a cercare la propria espiazione perché la sua psiche è già contagiata dal male della pazzia. Ma questa ipotesi è da scartare. È come sostenere che ogni volta che un uomo si avvia per un tracciato fuori dalla norma, è folle, malato, irrimediabilmente perduto. Vincent non è un’anima affamata di sofferenza, al contrario, è convinto che la gioia sia la base di tutto e che il dolore sia una momentanea parentesi della vita. Ecco perché si lascia affondare; si lancia nel marasma del dolore senza alcun timore e senza alcuna patologia da dipendenza. La sua indole è di tipo positivo e reattivo e la sua radicalità è l’espressione d’un combattente che crede nelle cose e nelle loro relazioni. Ed è un segno di luce tutto questo, anche se poi, come vedremo in seguito, sarà proprio questo segno a dargli grandi delusioni e grandi dolori.

    Che la vita sia costellata di continue scelte è indubitabile, scelte che impegnano la nostra mente e il nostro cuore. Come è evidente che le decisioni importanti, che noi chiameremo assolute, appartengono a pochi, se non a pochissimi individui. E qui occorrerebbe fare una digressione sui caratteri e i temperamenti, sui perché la maggior parte degli individui si lascia navigare e va inesorabilmente alla deriva. Si potrebbe rispondere che, in fin dei conti, scelte o non scelte, relative, superficiali, inutili, assolute, impegnative, la deriva è per tutti. Indiscutibilmente vero, ma tra le une e le altre c’è la sfida, che sicuramente dà colore alla vita e una possibilità in più di venirne a capo. Figuriamoci poi se in questo marasma c’è un uomo come Vincent che ha scelto più di una volta e in modo assoluto. Temperamento, incoscienza, volontà di crocifissione? Chi può dirlo; quelle volte che ha scelto lo ha fatto in modo definitivo. Qui si parla della sua prima decisione e cioè diventare predicatore tra i minatori del Borinage.

    I documenti che abbiamo su questo periodo del 1878 sono tutti orientati nel considerare il suo modo di essere, come di chi si converte a una causa senza il minimo dubbio, il che vuol dire tagliandosi tutti i ponti alle spalle. A questo punto va risposto a una domanda: perché parlare di tale periodo se ha poco attinenza con la sua opera di artista? È pur vero che non c’è ancora l’arte nella sua esistenza, ma è proprio in questo tempo che si va formando il suo nucleo profondo da cui attingerà in seguito per ricercare e realizzare i suoi primi disegni. Né si vuol dire che senza l’esperienza del Borinage Vincent non si sarebbe espresso in quel modo, ma si vuole puntualizzare che il Borinage è stato l’impatto con la vita, quel tipo di vita, e che costituisce certamente il suo punto di partenza per un tessuto narrativo del tutto speciale. Proprio così, narrativo, perché se una traccia importante conduce al solco significativo, essa, nell’insieme, diventa un tracciato importante che prende impulso da un unico nucleo. E l’esperienza dei minatori è per lui la scoperta di una umanità unica, sommersa e inesistente per i più, che pur vive e si dibatte, che si avvolge su se stessa, per non soccombere e forse per sperare. Senza questa esperienza vissuta in modo particolare non avremmo sicuramente il Vincent che scava e interroga, che, dapprima con la partecipazione attiva, poi con la sua matita e i suoi pennelli, ci avvisa della pandemia che affligge l’umanità intera, la sua corsa verso la pazzia e la disintegrazione. Con la sua predicazione tra i minatori, Vincent, che nasce da una famiglia piccolo borghese d’un remoto villaggio dell’Olanda, diventa uomo tra gli uomini, nella sofferenza e nel delirio, per chiedere al cielo di elargire più giustizia e meno accanimento. Lo chiede al cielo, a Dio, alle forze d’una natura troppo enigmatica e distante, poi lo chiederà agli uomini attraverso la sua arte. Al pari d’un moderno Cristo, rinnegando ogni appartenenza e ogni fuga, in ricognizione di verità vere e di drammaticità complesse. Al di là di ogni altro valore, uno dei punti determinanti del suo operare nel mondo dell’arte è quello di esprimersi partendo da questa particolare realtà; la sua pittura è la carne e il sangue dell’umanità sofferente, il colore e l’incidenza delle pennellate sono la testimonianza viva della violenza universale. Ora e solo ora Vincent nasce realmente e con lui una visione del mondo senza alcun equivoco. Inconsciamente ha cancellato la sua identità di sostituto, così facendo ha impedito ai propri genitori di spossessarlo ancora e per sempre, ha scelto la sua nascita al forsennato prezzo del delirio e della negazione di sé.

    Le cronache del tempo ci dicono che, pur avendo la possibilità di vivere in una casa decente, a Wesmes, dove con 50 franchi mensili avrebbe potuto ottemperare decentemente alla sua missione di predicatore laico, si spoglia di tutto e si dà ai poveri, lui stesso povero, a piedi nudi, che si infligge penitenze corporee e cura i malati, anche quelli più gravi e infetti. E sebbene venga destituito del suo incarico per troppo zelo, il che significa non rispettare le forme e le regole, Vincent si accanisce ancora di più trasferendosi a Cuesmes nel Borinage. Qui tocca il suo fondo d’indigenza e di isolamento, affonda nell’estraneità più dolorosa, quella stessa che lo porterà negli anni alla rottura del proprio equilibrio psichico. È questo anche il periodo della momentanea sospensione epistolare con il fratello Theo con il quale ha già iniziato una corrispondenza che durerà per tutta la sua breve vita. Rottura con tutto e con tutti!

    Ma cerchiamo di capire l’impatto di tutto questo sul suo inconscio, cerchiamo di leggere se in lui la visione delle cose è mutata e se tutto diventa più ostile e incomprensibile.

    Intanto l’ostinazione: invece di arretrare, Vincent riflette, agisce e va oltre. Vuole vedere cosa c’è nelle viscere di quella terra per avere una conferma oppure per trovare un appiglio che gli possa giustificare in parte l’evidenza. Un altro al suo

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