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Fotografia, immagine e social network al tempo delle nevrosi collettive
Fotografia, immagine e social network al tempo delle nevrosi collettive
Fotografia, immagine e social network al tempo delle nevrosi collettive
E-book261 pagine4 ore

Fotografia, immagine e social network al tempo delle nevrosi collettive

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Info su questo ebook

La fotografia proietta sempre il nostro sistema di preferenze e il nostro stesso apparato psichico. Il libro descrive il ruolo svolto dalla fotografia dal suo esordio nel 1826 e fino ai nostri giorni, alla fotografia digitale e ai social media, anch’essi straordinari contenitori di facce e pulsioni del nostro tempo. Il libro affronta poi il tema della fototerapia, dell’utilizzo delle immagini e del cinema nel contesto di una relazione d’aiuto e le degenerazioni narcisistiche che la società tecnologica alimenta attraverso il ricorso sempre più ossessivo al web. Le pagine di questo libro sono un atto d’amore verso la fotografia umanistica e verso il rappresentato e le sue manifestazioni: il segno, il disegno, la scrittura, l’immagine, il tatuaggio, i social media, fanno parte dei bisogni espressivi del genere umano. Di un dentro che viene portato fuori. Infine l’autore mette in guardia dai pericoli nascosti nella dittatura tecnologica e nel web e richiama la necessità di una nuova etica nella tecnologia anche in riferimento alle minacce sempre più gravi alla nostra privacy. La fotografia è sempre un guardarsi allo specchio; dentro quello specchio l’autore osserva le nevrosi della nostra epoca e la solitudine sociale del nostro tempo.
LinguaItaliano
Data di uscita22 mag 2020
ISBN9788831672610
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    Anteprima del libro

    Fotografia, immagine e social network al tempo delle nevrosi collettive - Enzo Cuccagna

    Camilleri)

    Prefazione

    Lo scopo di questo interessante lavoro è quello di esplorare il compito che può svolgere la fotografia e l’immagine nella maggiore comprensione delle persone e dei loro più o meno accidentati percorsi di vita. Lo studio del rapporto tra fotografia e psicologia dell’individuo è attività di indagine relativamente recente e questo contributo si muove nella direzione di una sua ulteriore definizione. Il libro ripercorre le tappe principali della fotografia, a partire dalla sua invenzione agli inizi dell’Ottocento, fino al suo affermarsi come ottava arte. Definisce il ruolo che ha avuto per l’evoluzione dell’uomo, ponendo in evidenza anche elementi di sociologia e antropologia sociale. Il libro è anche pieno di richiami cinematografici applicati alla fotografia e alla psicologia e anche questo aspetto lo rende originale. Il Novecento è un secolo sezionato attraverso la macchina fotografica. E’ il secolo dell’immagine, è la definizione che l’autore dà del secolo passato. La macchina fotografica come proiezione del suo immaginifico, dei suoi desideri, delle sue speranze, dei suoi drammi e dei suoi momenti di esaltazione. Anche la grandezza del Novecento viene vista attraverso la sequenza fotografica degli avvenimenti e dei volti più importanti che lo hanno caratterizzato. Il grande occhio fotografico è come un’arma che scruta ogni cosa, che mira, la colpisce e la immortala per sempre. Attraverso la macchina fotografica l’essere umano individua un obiettivo, lo desidera, lo inquadra e poi, al momento dello scatto, lo possiede, perché la restituzione fotografica di quella inquadratura ne sancisce per sempre il possesso. Un possesso fittizio ovviamente, ma ugualmente quella volontà di possesso non può essere trascurata nei suoi significati più forti ed anche in quelli reconditi. Il Novecento è anche il secolo della bulimia fotografica; di una enorme sete di conoscenza e di confusione con altre culture che anche attraverso la fotografia viene saziata. Il pittore ha con la realtà una relazione molto spesso astratta; si astrae dalla realtà per raffigurarla come il suo sentire interiore la percepisce e ne può addirittura cambiare a piacimento le sembianze effettive offrendone una versione grottesca o del tutto metafisica. Ogni cosa del sentimento che in quel momento lo attraversa può riflettersi sull’opera che prende forma. Nella fotografia accade il contrario; è la nuda realtà che viene esaltata, la sua versione più veritiera. Nel riflesso della realtà la fotografia proietta non solo ciò che si vede, ma anche ciò che non si vede. Rende possibili molteplici letture di quella immagine, della gente che vi viene compresa, dei loro sentimenti, dei loro rapporti, della gerarchia che tra di essi vige, del contesto che fa da cornice e che può determinarne gli umori. Anche le assenze su una fotografia risaltano e possono essere rilevate come vuoto immaginifico. Le fotografie vengono in genere realizzate per celebrare momenti felici; eppure dentro quel rettangolo di carta lucida possono essere svelati sentimenti molto diversi. Qualcuno degli interpreti raffigurati è felice, altri non lo sono. Qualcuno, che pure dovrebbe essere felice, ha nello sguardo una sfumatura di malinconia, è assorto, volge lo sguardo altrove rispetto all’obiettivo, oppure c’è un’assenza nella foto. Qualcuno che ci doveva essere e invece non c’è. Come mai? La macchina fotografica è un grande occhio che esplora la realtà, la documenta, favorisce la conoscenza, la crescita comune, la condivisione di altri mondi, culture, razze, penetrando fin dentro l’uomo e le sue più forti pulsioni anche drammatiche. La fotografia esprime e restituisce il sistema di preferenze, ma anche ciò che disturba, ciò che non si condivide o che si intende denunciare. La fotografia proietta fuori il nostro mondo interiore e ne consente una lettura. L’autore ricostruisce con passione e profondità il rapporto tra fotografia e psicologia, fotografia come proiezione del sé in relazione alla propria storia, a quella della propria famiglia, del proprio contesto di vita, della struttura di potere che ramifica le relazioni che vengono allacciate [leadership o dipendenza]. Anche della centralità o della marginalità che viviamo nella vita sociale, nei momenti in cui siamo stati fotografati. Infine il libro affronta in modo originale il rapporto tra fotografia, immagine e processi di domesticazione sociale di cui anche il dilagare della pratica del tatuaggio è nuova e interessante espressione e il rapporto delle moderne società con il web e con i social network, che proiettano nell’immagine mediata da una condivisione generalizzata [anonimizzata], il bisogno individualistico e narcisistico dei nostri tempi. Della relazione sempre più ossessiva dell’individuo con il web e con i social network l’autore esamina anche le gravi e pericolose degenerazioni che entrambi stanno producendo sulla salute pubblica individuale e collettiva, in una dimensione in cui le cose accadono mentre l’intera umanità è china con lo sguardo sullo smartphone, connessa ad un tablet o a un personal computer, disattenta al fluire della vita reale intorno. La realtà è spesso quella che appare, ma altrettanto spesso è anche ciò che non appare. Questo libro migliora la strumentazione di chiunque intenda interpretare correttamente la realtà che ha di fronte, anche attraverso la corretta analisi di una fotografia. Le fotografie, le immagini, indicano e sublimano un preciso sistema di preferenze. In quel sistema ci si può immergere per comprendere meglio ciò che è accaduto nella nostra vita, magari di irrisolto.

    1. Quante cose possono svelare le fotografie

    La vecchia fotografia della copertina è stata scelta perché è una fotografia piena di potenti fascinazioni non immediatamente rivelate, mentre ad un primo esame sembrava una immagine normale, un normale e anonimo ritratto di famiglia, inizialmente scelto proprio allo scopo di metterne in evidenza gli aspetti più importanti. La foto in realtà presenta due dimensioni nella stessa immagine e una delle due dimensioni è incentrata su una rivelazione che cambia completamente il senso della fotografia, una volta appurata la sua vera origine. Ho anche avvertito il peso di aver riportato alla luce le persone che vi sono ritratte, probabilmente scomparse da tempo e anche questo fa parte dei potenti agiti della fotografia. Ho incontrato questa foto sul web mentre ero alla ricerca di una vecchia foto di inizi Novecento da usare per la copertina di questo libro, allo scopo di darne una interpretazione didattica, perché in una foto sconosciuta ognuno di noi può proiettare la sua personale e anche immaginifica interpretazione. Di seguito ciò che avevo scritto, quando della foto non sapevo nulla, limitandomi a descrivere in base alla mia personale sensibilità quanto in essa era rappresentato: sono nove le persone ritratte, quattro maschi e cinque femmine, quattro adulti e cinque giovani. La fotografia sembra scattata di giorno a ridosso di un portone. Sullo sfondo e ai lati si intravedono delle piante ornamentali, forse una scala di legno. A terra si nota un tappeto. Ciò vuol dire che potrebbe anche trattarsi di uno spazio interno o di un porticato. Se dovessimo datarla il 1920-1922 potrebbe essere più o meno il tempo in cui è stata scattata. Si nota infatti che le donne più giovani esibiscono la foggia dei capelli alla maschietta che appunto nasceva negli Stati Uniti intorno al 1920 insieme al jazz. Quella ritratta sembra una famiglia benestante. Potremmo essere in Italia, probabilmente in Europa. Tutti sono vestiti con agiato decoro anche se manca un tratto di spavalda ostentazione tranne nel ragazzo in piedi. Emerge, soprattutto nelle persone adulte ritratte, una rigorosa sobrietà che lascerebbe intendere l’appartenenza ad una media borghesia delle professioni o del commercio. Ci sono due figure centrali sedute che sono anche le figure guida del gruppo. La loro posizione focale è chiaramente riconosciuta da tutto il gruppo che funge da corona. La donna è sicuramente la figura centrale per eccellenza, tanto la sua posizione è centralmente definita. Ha occupato la scena e il suo sguardo fermo pervade tutto lo spazio. Intorno a lei è disposto l’intero asse familiare. Alla sua destra c’è la seconda figura guida. Potrebbe essere il marito. E’ però collocato in modo più periferico rispetto ad essa. Anche il suo sguardo è fermo e indulgente. Da buon padre di famiglia. Ai lati delle due figure guida centrali ci sono due ragazzi di circa 15-18 anni. Un maschio e una femmina. La ragazza è vestita con eleganza e sobrietà, palesa una certa plasticità. Quasi isolata rispetto agli altri, da sembrare un quadro di Degas. Ha la gamba destra accavallata sulla sinistra. Le braccia incrociate l’una sull’altra in segno di chiusura. Sembra indossare un bracciale e porta scarpe con i tacchi. Al suo opposto c’è un giovane molto elegante, che esibisce questa eleganza quasi con sfrontatezza e con forza cattura la scena di chi osserva la fotografia. Con un profilo di personalità completamente diverso, intraprende una sorta di tacito duello con la ragazza vestita di bianco seduta al suo opposto. Appoggia il braccio sulla spalla della figura guida maschile che potrebbe essere il nonno, ma anche il padre. Nella familiarità del gesto è come se volesse invadere uno spazio e relativo ruolo di potere nella scala gerarchica familiare o che comunque si candidi a farlo. Rilevo che è anche l’unica figura del gruppo a non essere simmetrica rispetto al punto di scatto della fotografia. Che cosa indica questo particolare? Vi è sicuramente un problema di spazio, ma di sicuro questo giovane riconosce la forza del gruppo familiare e la rispetta, nel senso che una parte del suo corpo pur attento alla fotografia imminente si divide tra fotografo [obiettivo fotografico], e gruppo familiare verso il quale anche è proteso [obiettivo sociale]. Il fatto che si rivolga con il corpo a tutte le persone che vi sono accanto è una evidente forma di attenzione verso il contesto che lo circonda. Al contrario la ragazza seduta al suo opposto ha un portamento quasi distaccato. Lascia molto spazio rispetto alla donna che ha accanto, che ragionevolmente potrebbe essere la nonna o la madre. E’ come se volesse marcare una distanza rispetto al gruppo. Anche il suo candore bianco la caratterizza. La grande grazia la eleva a foto nella foto. Per un attimo isolatela dal contesto, tracciate sulla sua figura una foto immaginaria, un ritratto, e vedrete la potenza che emana. Il suo estraniarsi pesa nella foto quasi quanto il pavoneggiarsi del ragazzo in piedi. Davanti al gruppo ci sono due ragazzi. Uno giovanissimo di poco più di dieci anni e una ragazza di diversi anni più grande. Il ragazzo ha i pantaloni corti e le gambe incrociate, ha uno sguardo pieno di fiducia sul futuro. Lo dimostrano anche le braccia che mantiene aperte e appoggiate alle gambe. La ragazza veste con eleganza ricercata, è seduta in terra con le gambe raccolte da un lato. Anche lei indossa un bracciale. In fondo al gruppo ci sono le tre figure più arretrate della foto; come mai si sono collocate ai margini della scena? Sono un uomo di circa 45 anni e due donne di età diversa. Una di 45 anni circa e l’altra di circa 25 anni. Quali sono i rapporti tra queste nove persone? Quali sono i gradi di parentela? Che professione svolgevano o svolgeranno da adulti? C’è qualcosa di evidente e qualcosa di non detto che si può evincere dalla foto? Chi può averla scattata? In quale occasione? I personaggi che l’hanno animata si sono preparati per scattarla oppure la circostanza si è presentata in modo casuale? E dove si trova il posto in cui è stata scattata? In quale paese? Siamo in Italia o all’estero? Chissà quel giorno cosa era successo accanto a loro e lontano da loro e come le vite di quelle persone fotografate erano state toccate dagli eventi. Chissà se era un giorno speciale. Se la famiglia si era riunita per un’occasione particolare. Probabilmente ci sono due coppie genitoriali. La prima è quella centrale che abbiamo definito di figure guida. Poi le due persone più grandi poste nell’ultima fila. In particolare l’uomo ultimo a destra e la sua corrispettiva ultima a sinistra che potrebbe essere la moglie e contemporaneamente figlia delle due figure guida con le quali si rileva una certa somiglianza. Quella al centro tra loro due potrebbe essere una figlia più grande [apparente età 25 anni], o anche una sorella della donna a fianco. Potrebbe però anche essere una intrusa; una ragazza che si è trovata per caso sulla scena e vi è stata compresa. Ci sono altri intrusi? I quattro ragazzi più giovani molto probabilmente sono fratelli. Tra le nove persone presenti nel ritratto di famiglia l’unico contatto fisico [esigenza di marcare una vicinanza che non è solo fisica, ma anche emozionale], è quello tra il ragazzo in piedi e la figura guida maschile. Tra tutte le altre persone non viene stabilito alcun contatto fisico. Tutte le figure femminili portano gioielli o monili, tranne le due donne più grandi almeno nella parte visibile. Le mani dell’uomo più anziano sono mani curate di chi fa un lavoro di intelletto. Ha le braccia in posizione aperta, tipica di chi possiede forza di carattere e sicurezza di sé. Abbiamo già detto moltissime cose, magari sfuggite a una prima lettura della foto, perché spesso guardiamo una foto senza riflettere su ciò che racconta, guardando solo al suo insieme e non ai mille dettagli significati e significanti che contiene. Inizialmente mi sono chiesto che vita hanno avuto i protagonisti della foto. Se sono stati felici. Se vi è stato qualcuno che doveva essere presente nella fotografia e invece ha preferito non esserci. Mi sono affezionato a questa foto che trovo di fortissimo potere evocativo, per come descrive con magnifica plasticità un momento, collocato dentro un’epoca che poi doveva rivelarsi grandiosa e terribile. Ognuno di loro con la propria umanità, le proprie aspettative, i suoi sogni di essere umano, il suo sistema di relazioni, il contesto geopolitico che fluisce intorno. Le persone più grandi hanno nel volto descritto il disincanto; i più giovani invece hanno nello sguardo l’ardire della sfida che li attende. Chissà che strade percorreranno, cosa diventeranno, quali relazioni saranno capaci di costruire e se incontreranno la felicità e il dolore. Il ragazzo in piedi sarà aiutato dalla sua vanesia spregiudicatezza oppure ne resterà vittima? La fiducia palesata dallo sguardo del ragazzo seduto a terra, sarà contraccambiata? Qualcuno di loro perderà prematuramente la vita durante le guerre che negli anni successivi insanguineranno il mondo? Le ragazze si sposeranno e avranno figli? Per qualcuno di loro si spalancheranno le soglie della notorietà e della fama? Oppure, prefigurando un radicale cambio di scena, potrebbe essere che le due figure guida sono i genitori di tutti gli altri protagonisti della foto, cosa affatto singolare per quel tempo? A nessuna di queste domande possiamo rispondere con ragionevole certezza, ma potremmo provare a immaginare quale può essere stata la realtà e lo scorrere delle loro effettive esistenze, anche rispetto al non detto o al sottaciuto. Quella che precede è la lettura di partenza che avevo effettuato della fotografia di copertina, scritta di getto non appena l’avevo trovata sul web, che pure faceva emergere molte componenti interessanti anche in ordine ad uno dei temi di questo libro che è appunto quello dell’utilizzo delle fotografie nell’ambito di una relazione d’aiuto. Prima di procedere alla stampa del libro ho però cercato di capire meglio quale origine la foto avesse e quale fosse la sua effettiva genesi. Ciò che è emerso la rende ancor di più interessante, proprio ai fini di questo lavoro. Perché questa foto possiede un'altra dimensione [quella autentica], che ne svela il diverso archetipo e contiene un potere evocativo fuori dal comune che la eleva a testimonianza, direi quasi a icona [la sua protagonista è la prima icona pop del Novecento, molto prima di Andy Wharol]. Un suo elemento dominante è infatti altro rispetto a quello che sembra [cosa che accade a larga parte del genere umano]. Il ragazzo in piedi, quello spavaldo, elegante, che emana una spiccata personalità e si candida chiaramente a esercitare una leadership sull’intero nucleo familiare, è Frida Kahlo vestita da uomo e la foto è stata scattata dal padre Guillermo [che sempre per restare al tema centrale di questo lavoro, era un fotografo professionale incaricato dal governo messicano al censimento del patrimonio architettonico nazionale], nel 1926 a Coyoacàn un quartiere di Città del Messico dove la famiglia Kahlo viveva. Chi avrebbe potuto dirlo non conoscendo la verità? Frida Kahlo che da ragazza amava travestirsi da uomo allo scopo di accrescere la sua autostima altrimenti minata dalla grave malattia che l’aveva colpita sin da bambina [era affetta da spina bifida]. Frida Kahlo, proprio la leggendaria icona del femminismo ante litteram, della libertà sessuale [che anche il travestimento svela], dell’anticonformismo eretto a sistema vitale, della lotta politica a favore dei ceti più poveri del Messico dei suoi tempi. Una delle pittrici più importanti del Novecento [un suo quadro è stato venduto alla cifra più alta che un quadro dipinto da una donna abbia mai incassato: ben otto milioni di dollari], la donna anticonformista che sposò due volte Diego Rivera [uno dei principali artisti muralisti del Novecento]. Colei che aveva intessuto relazioni profonde con Lev Trotsky [una delle figure principali della rivoluzione d’ottobre], approdato inutilmente in Messico in fuga dai sicari staliniani, con Andrè Breton, Marcel Duchamp, Julien Levy, Pablo Picasso, Vasilij Kandinskij, Salvator Dalì, Luis Buñuel, con le famose fotografe Tina Modotti, Emmi Lou Packard e con Nickolas Muray. Frida Kahlo y Calderon nasce a Città del Messico nel 1907 da Wilhelm [poi Guillermo], Kahlo Kaufmann e Matilde Calderon Gonzales. Ha tre sorelle probabilmente ritratte nella stessa fotografia. Il padre era un tedesco di origine emigrato in Messico nel 1891 e di professione un riconosciuto fotografo soprattutto di grandi architetture. La madre era messicana e di famiglia benestante [nella foto è la figura guida centrale]. Frida Kahlo ha una vita molto travagliata sin dalla nascita; già afflitta da una grave malattia subisce a 18 anni anche un trauma sconvolgente, sotto il cui peso chiunque si sarebbe arreso: mentre ritorna a casa da scuola il bus sul quale viaggia viene investito da un tram. Lo scontro è violentissimo e Frida resta quasi uccisa riportando fratture multiple alla colonna vertebrale, al bacino e agli arti. A seguito dell’incidente, un corrimano del bus si stacca dal suo alloggiamento e la trafigge da parte a parte nella regione pelvica. L’osso pelvico subisce la frattura in tre punti. Resta tra la vita e la morte per molto tempo e nessuno pensa che possa sopravvivere, ma poi miracolosamente resta in vita pur subendo nel tempo ben 32 operazioni molto dolorose e una grave invalidità permanente. Tutto questo non impedisce a Frida Kahlo di diventare Frida Kahlo, nonostante la difficilissima condizione di partenza. Ecco perché alla fine questa foto è stata utilizzata sulla copertina del libro e ancor di più quando ne ho scoperto l’archetipo. Perché dimostra che nella vita, pur nelle avversità che possono colpirla, si può rinascere sempre dalle nostre stesse ceneri e se anche ciò che di brutto ci accade non dipende da noi [accade raramente, ma a volte purtroppo è così], tutto da noi dipende se non facciamo nulla per uscire da una situazione anche gravemente sfavorevole che ci rende infelici. Frida Kahlo pur nelle enormi difficoltà e sofferenze che la malattia prima e l’incidente dopo le avevano causato, non solo non rinuncia alla sua vita, ma diventa una icona globale del suo tempo ed ancora oggi resiste a qualsiasi moda, rimanendo un grande riferimento culturale. Diventa la rappresentazione riconosciuta del concetto e pratica della resilienza e del coraggio; una donna colpita gravemente dal destino che al destino si oppone con tutte le sue forze riuscendo a ribaltarlo. Che si getta con tutte le sue energie nella vita, che non rinuncia ad amare, ad essere una grande artista, militante politica, scopritrice di generi di avanguardia nell’arte e nella moda, a dipingere il colore irruento pur in presenza di un nero esistenziale che non le dava tregua [rinchiudere la propria sofferenza significa rischiare che ti divori dall’interno, cit. di Frida Kahlo]. E’ una vita gravemente segnata sin dal suo esordio diventa, grazie alla sua ferrea volontà e alle sue tante vitali passioni [compresa la fotografia], un segno che marca con forza la storia culturale e artistica del Novecento. Muore a soli 47 anni e pochi giorni prima di morire completa uno dei suoi quadri più famosi raffigurante le famose angurie rosse. Succulente fette di angurie rosse con su una di esse scritto: VIVA LA VIDA pur essendo, attraverso i suoi quadri, la più grande narratrice del dolore del Novecento. Quale insegnamento possiamo trarre dalla vicenda descritta? Probabilmente che nella vita la giostra almeno una volta si ferma dalle nostre parti e ci invita a salire a bordo. E quella volta di farci trovare pronti a raccogliere l’invito. Coloro che pensano che la giostra per loro non sia mai passata, forse sono stati disattenti, anche perché la giostra può essere nella grandiosa bellezza della vita di ogni giorno. Frida Kahlo giace a letto immobilizzata dopo il gravissimo incidente patito. Non può muoversi; può solo muovere le mani. Avverte fortissimo il bisogno di esprimersi, di dare voce alla sua vocazione creativa. Il padre le costruisce una sorta di impalcatura per dipingere, perché lei si ribella a quella

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