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Gente (non) comune
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E-book112 pagine1 ora

Gente (non) comune

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Si tratta di nove interessanti interviste a donne, ognuna protagonista di una storia di vita. In questa raccolta, vi sono anche poesie molto belle dedicate dall’autrice alle donne intervistate. Le donne, dunque, narrano gli eventi più importanti della loro vita, come, ad esempio, Fatima Abbadi, una donna di origini italo-arabe che viaggiando per molti paesi acquista un bagaglio culturale che le permette di intravvedere più aspetti e caratteri femminili. Anche Cristina Bullita, scrivendo “Il sapore della prugna selvatica” percorre la linea temporale della sua vita a ritroso. Ma, tra tutte le donne intervistate, spicca Wanda Montanelli che, per favorire l’accesso al parlamento delle donne, inizia uno sciopero della fame lungo ventisette giorni. Purtroppo, nel mondo d’oggi la donna è ancora dominata dall’uomo, anche se i passi compiuti in questi ultimi anni sono notevoli. Invito tutti a leggere questo libro perché fa riflettere molto su problemi che esistono ancora oggi.

Bruno Itasani, studente dell’ Istituto Tecnico Industriale Statale "G. Ferraris" Savona
LinguaItaliano
Data di uscita4 mag 2018
ISBN9788827826096
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    Gente (non) comune - Fausta Genziana Le Piane

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    PREMESSA

    Si trat­ta di no­ve in­te­res­san­ti in­ter­vi­ste a don­ne, ognu­na pro­ta­go­ni­sta di una sto­ria di vi­ta. In que­sta rac­col­ta, vi so­no an­che poe­sie mol­to bel­le de­di­ca­te dall’au­tri­ce al­le don­ne in­ter­vi­sta­te. Le don­ne, dun­que, nar­ra­no gli even­ti più im­por­tan­ti del­la lo­ro vi­ta, co­me, ad esem­pio, Fa­ti­ma Ab­ba­di, una don­na di ori­gi­ni ita­lo-ara­be che viag­gian­do per mol­ti pae­si ac­qui­sta un ba­ga­glio cul­tu­ra­le che le per­met­te di in­trav­ve­de­re più aspet­ti e ca­rat­te­ri fem­mi­ni­li. An­che Cri­sti­na Bul­li­ta, scri­ven­do Il sa­po­re del­la pru­gna sel­va­ti­ca per­cor­re la li­nea tem­po­ra­le del­la sua vi­ta a ri­tro­so. Ma, tra tut­te le don­ne in­ter­vi­sta­te, spic­ca Wan­da Mon­ta­nel­li che, per fa­vo­ri­re l’ac­ces­so al par­la­men­to del­le don­ne, ini­zia uno scio­pe­ro del­la fa­me lun­go ven­ti­set­te gior­ni. Pur­trop­po, nel mon­do d’og­gi la don­na è an­co­ra do­mi­na­ta dall’uo­mo, an­che se i pas­si com­piu­ti in que­sti ul­ti­mi an­ni so­no no­te­vo­li. In­vi­to tut­ti a leg­ge­re que­sto li­bro per­ché fa ri­flet­te­re mol­to su pro­ble­mi che esi­sto­no an­co­ra og­gi.

    Bru­no Ita­sa­ni

    stu­den­te dell’ Isti­tu­to Tec­ni­co In­du­stria­le Sta­ta­le

    G. Fer­ra­ris Sa­vo­na

    SO­GNO

    Ho so­gna­to tan­to

    che il mio so­gno ora ri­tro­vo a sten­to.

    Ho cer­ca­to tan­to, tan­to di te ho ama­to

    che non pen­sa­vo mai

    fos­se in te il mio so­gno.

    Que­sto vol­to che ora ho co­no­sciu­to;

    que­sti oc­chi che san­no la ru­gia­da

    e il te­pi­do so­le dell’apri­le;

    che han­no nel pro­fon­do az­zur­ro

    un ver­so

    di in­fi­ni­ta dol­cez­za

    io li ho cer­ca­ti.

    Chi me l’avreb­be det­to mai

    che tu cre­sce­vi all’om­bra del mio so­gno

    in at­te­sa

    che il de­sti­no c’in­con­tras­se!

    Gior­gio Le Pia­ne

    Ni­ca­stro, 25 feb­bra­io 1946

    Viag­gia­re non è un’oc­ca­sio­ne di spas­so, ma di ap­pren­di­men­to

    Fatima Abbadi: sognare di donne

    Fa­ti­ma è pro­prio co­me ap­pa­re nel­la fo­to qui sot­to e nel­le fo­to che scat­ta: aper­ta, di­spo­ni­bi­le e cu­rio­sa. Sen­za co­no­scer­mi ha ac­cet­ta­to la mia ami­ci­zia e la pro­po­sta di es­se­re pre­sen­te in que­sto li­bro. So­lo at­tra­ver­so uno scam­bio di e-mail. Na­tu­ral­men­te il re­sto l’ha fat­to la sua fo­to­gra­fia.

    So­no na­ta in una ter­ra stra­nie­ra, ne­gli Emi­ra­ti Ara­bi Uni­ti, da pa­dre ara­bo (Gior­da­no) e ma­dre Ita­lia­na, do­ve ho tra­scor­so qua­si tut­ta la mia in­fan­zia, fre­quen­tan­do una scuo­la in­dia­na. A quin­di­ci an­ni mi so­no tra­sfe­ri­ta in Gior­da­nia do­ve ho ter­mi­na­to gli stu­di se­con­da­ri in una scuo­la ara­ba/ame­ri­ca­na. In que­ste ter­re stra­nie­re mul­ti-cul­tu­ra­li ho im­pa­ra­to il va­lo­re e l’im­por­tan­za che la co­no­scen­za di di­ver­se cul­tu­re può ave­re nel­la cre­sci­ta e nell’edu­ca­zio­ne dell’in­di­vi­duo, crean­do in me un ba­ga­glio cul­tu­ra­le di ine­sti­ma­bi­le va­lo­re.

    Una vol­ta ar­ri­va­ta in Ita­lia per gli stu­di uni­ver­si­ta­ri, è ini­zia­ta una ri­cer­ca cul­tu­ra­le per ca­pi­re al me­glio le mie ra­di­ci ara­be ed eu­ro­pee, per sco­pri­re il nes­so tra oc­ci­den­te e me­dio orien­te. Ho scel­to la fo­to­gra­fia co­me lin­guag­gio di espres­sio­ne e l’es­se­re fem­mi­ni­le co­me stru­men­to di ap­proc­cio per co­mu­ni­ca­re con gli al­tri. Non giu­di­co la mia fo­to­gra­fia: la­scio che ognu­no sia in gra­do di co­glie­re da es­sa il mio mes­sag­gio. Ho sem­pre cer­ca­to di evi­den­zia­re la bel­lez­za dell’es­se­re uma­no, la sua es­sen­za, la pa­ce, l’amo­re, la tri­stez­za, il do­lo­re, la na­sci­ta e la gio­ia. Da 5 an­ni que­sta ri­cer­ca è di­ven­ta­ta pro­get­to, che mi ha por­ta­to a viag­gia­re in mol­ti Pae­si. La pri­ma par­te di que­sto pro­get­to di ri­cer­ca uma­na/fi­lo­so­fi­ca si è con­clu­sa pro­prio all’ini­zio di que­st’an­no, con una pri­ma rac­col­ta di ope­re de­no­mi­na­ta Wo­men Th­rou­gh my Lens, che è sta­ta pre­sen­ta­ta ed espo­sta ad Am­man (Gior­da­nia), cit­tà na­ta­le di mio pa­dre.

    -Don­na è pa­ce?

    Se­con­do me la don­na può es­se­re am­ba­scia­tri­ce o stru­men­to di pa­ce, da­ta la sua mag­gio­re sen­si­bi­li­tà, per­ché è in gra­do di com­pren­de­re ed è un suo one­re quo­ti­dia­no quel­lo di tra­smet­te­re il si­gni­fi­ca­to di pa­ce: ver­so i fi­gli, nel­la fa­mi­glia, nel­la so­cie­tà. Una mam­ma non man­de­reb­be mai un fi­glio al­la guer­ra. Già que­sto è se­gna­le di pa­ce.

    Se si la­scias­se la ge­stio­ne del­le isti­tu­zio­ni e de­gli scam­bi in­ter­na­zio­na­li in ma­no al­le don­ne e non ad una eli­ta­ria con­du­zio­ne me­ra­men­te ma­schi­li­sta, for­se non ci sa­reb­be­ro co­sì tan­te guer­re in que­sto mon­do.

    -Af­fer­mi che le don­ne so­no am­ba­scia­tri­ci di cul­tu­ra ed edu­ca­zio­ne?

    Cer­ta­men­te. Il ruo­lo pri­ma­rio di es­se­re ma­dre è la pu­ra es­sen­za dell'am­ba­scia­tri­ce di cul­tu­ra ed edu­ca­zio­ne.

    La mam­ma è co­lei che tra­smet­te fin dal­la na­sci­ta, an­co­ra quan­do il fi­glio è in grem­bo, nu­tren­do di sen­sa­zio­ni e in­fon­den­do un im­prin­ting che por­ta il fi­glio, du­ran­te le pri­me fa­si di cre­sci­ta, ad es­se­re più o me­no pro­pen­so all'ap­pren­di­men­to del­la pro­pria cul­tu­ra.

    -Cos'è l'in­fi­ni­to per te?

    E’ es­se­re in pa­ce e in ar­mo­nia con se stes­si.

    Una vol­ta rag­giun­ti que­sti due ele­men­ti sei av­vol­to da una sen­sa­zio­ne che ti fa com­pren­de­re che hai rag­giun­to il mas­si­mo nel­la tua vi­ta, e che quin­di sei pro­iet­ta­ta all'in­fi­ni­to.

    -Che co­sa ve­de l'oc­chio di una don­na di un'al­tra don­na che un fo­to­gra­fo uo­mo non per­ce­pi­sce?

    Tra due don­ne c'è più com­pli­ci­tà, e l'oc­chio di una don­na che os­ser­va un'al­tra don­na, rie­sce ad ab­bat­te­re quei mu­ri che au­to­ma­ti­ca­men­te ven­go­no eret­ti quan­do un uo­mo cer­ca di en­tra­re nel­la no­stre in­ti­mi­tà. Gli sguar­di tra due don­ne nor­mal­men­te so­no tra­spa­ren­ti e più sin­ce­ri; una don­na può cap­ta­re i sen­ti­men­ti di una al­tra don­na tra­mi­te uno sguar­do.

    -Il fo­to­gra­fo Herb Ritts af­fer­ma­va con or­go­glio di non aver stu­dia­to fo­to­gra­fia, d’es­se­re au­to­di­dat­ta, co­me Hel­mut New­ton e Bru­ce We­ber. Per lui, la co­sa più im­por­tan­te era im­pa­ra­re ad aguz­za­re

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