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L'oscuro
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E-book368 pagine5 ore

L'oscuro

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Info su questo ebook

È un romanzo di science fiction: la ricercatrice Avril del pianeta  della scienza Moth e l'inquietante Oscuro, dotato di straordinarie 
capacità manipolatorie della mente, nonostante le gravi divergenze  etiche e metodologiche tra loro, sono impegnati a cercare un contatto 
con la misteriosa forza delle Ragnatele, in grado di modificare il  cervello umano.

Milena Nicolini nasce a Modena nel 1948, dove ha insegnato e vive. Laureata in Filosofia con Luciano Anceschi, fa parte del gruppo Donne di Poesia e del circolo letterario Rossopietra di Modena. Si dedica alla presentazione critica di testi letterari. Svolge continuativamente dal 1978 attivita' teatrale ed e' stata presidente dell'Associazione Teatrale non professionista Arcoscenico fino al 2015. Suoi testi, critici e di poesia, sono apparsi su varie riviste e raccolte antologiche. Ha pubblicato:
- per la poesia: "Duale", Edizioni Geiger, Torino 1975; "Lilith o del sogno", Symbola ed., Roma 1984; "Le stagioni del sogno", nel volume a cinque voci "Vi son frecce", Il lavoro editoriale, Ancona 1989; "Villa Edmea", Edizioni Mongolfiera, Bologna 1990; "La vita minima(dedicando", Cultura Duemila, Ragusa 1994; "I tagli e le giunture", Book Editore, Bologna 1999; "Trasloco", Copertine di M.me Webb, 2003: "I miei stanno bene, grazie", Quaderni di Rossopietra, Castelfranco Emilia 2007; "Romance", Ed. ROSSOPIETRA, 2010; "Tre porte ad un padre", Ed. ROSSOPIETRA, 2012; "Uno piu' uno, se facesse duale", Ed. ROSSOPIETRA, 2016.
- per la narrativa: "A chi resta", Tracce, Pescara 1990; il romanzo "L'Oscuro", Ed. ROSSOPIETRA, 2013, suo primo di fantascienza. Come saggistica ha pubblicato "Dell'Amor Cortese", Ed. ROSSOPIETRA, 2016.
LinguaItaliano
Data di uscita3 giu 2020
ISBN9788835840459
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    Anteprima del libro

    L'oscuro - Milena Nicolini

    G.H.

    L'oscuro

    1

    Così, col prossimo traghetto interplanetario, Caliban perderà la sua illustre ospite!

    Algiten la affiancava quietamente in quella passeggiata per la vasta sala giardino, come se tutti i suoi pressanti impegni di Direttore della Colonia non potessero minimamente comprimere il tempo riservato a quel congedo.

    Di un’ospite così assente, non si noterà nemmeno la partenza! rispose Avril, con appena un tocco di ironia, indicando con gli occhi le persone intorno che, se accennavano un saluto discreto al loro Direttore, si fermavano solo un attimo a lei, curiose come a una sconosciuta. Non per questo devi pensare che io non abbia apprezzato l’aiuto della tua colonia al mio lavoro, Algiten.

    Ne sono felice, Avril, e spero che vorrai farlo presente al Consiglio di Moth. La Compagnia desidera mantenere i rapporti più amichevoli col pianeta della scienza, e questa occasione, la tua ricerca sulle lingue delle nostre pianure, ci ha permesso, spero, di dimostrarlo. Una vera fortuna, per noi, che le praterie di Caliban abbiano destato l’interesse di Moth! Spero che i risultati che riporterai diano sviluppi rispondenti alle vostre aspettative. Indugiando intenzionalmente, quasi a formulare una domanda precisa, Algiten ora la guardava attento, i suoi piccoli occhi indagatori pronti a cogliere ogni più piccolo indizio sul viso di Avril. D’altra parte sappiamo la tua straordinaria abilità a... Sembrò fermarsi per cercare il termine più pertinente, ma intanto, con una lieve pressione sul braccio, la sottrasse all’incontro con una coppia che veniva verso di loro.

    Biosintonia, lo chiamiamo biosintonia il contatto con l’ente vegetale o con l’animale oggetto di studio. È solo una tecnica di indagine per rilevare dati diretti, Algiten, che si affina nell’esercizio. Niente di miste-rioso. Avril registrò automaticamente l’ombra di perplessità, sotto l’im-barazzo, che il Direttore non riuscì a mascherare abbastanza in fretta nel sorriso cordiale. Ormai conosceva le reazioni, fuori di Moth, ai loro metodi di ricerca; solo poco prima, uscendo dalla propria stanza, aveva letto sulle labbra di una donna, che sussurrava la risposta alla curiosità del figlio: è una di quelle strane ricercatrici di Moth, una tocca.

    Perdonerai la incompetenza di un uomo abituato a trattare con quelle erbe... le lingue, solo tramite i piani di lavoro delle falciatrici! Ora Algiten lasciava che si disegnassero con chiarezza sul viso le sue intenzioni. Spero che l’attività estrattiva della Compagnia su Caliban...

    Il nostro interesse per le lingue non interferirà col vostro lavoro.

    Bene, è quanto speravo di sentirti dire.

    Restano, si intende, i vincoli di norma.

    Hai potuto accertarti personalmente dei nostri accorgimenti. Gli scavi coinvolgono solo marginalmente le distese delle lingue, ben al di sotto della percentuale di intervento consentita alle falciatrici. Spero, anzi, che la nostra programmazione per il mantenimento dell’ecosistema di Caliban...

    La terza volta, Algiten, che mi rivolgi un invito sottinteso. lo inter-ruppe con un piccolo gesto di fastidio Non limitarti a sperare e dimmi apertamente cosa ti aspetti da me.

    Il Direttore distolse in fretta gli occhi da lei, sembrò guardare intorno per accertarsi che nessuno della zona rilassante fosse troppo vicino. Ma è soprattutto sconcertato di risultarmi così trasparente, registrò Avril. Curioso che anche in quella piccolissima colonia di lavoro, fatta di uomini rudi, abituati a convivere con il pericolo e la fatica, le forme della dissimulazione fossero così consuete. Algiten fece qualche passo verso la delimitazione d’area di una performa, accennandole col capo, come per mostrare ad eventuali occhi indiscreti un loro preciso fuoco di interesse in quella zona. È teso. Sì, vuole qualcosa.

    Sembra che i vostri rilievi sugli asteroidi al largo di Lario II abbiano portato a scoperte estremamente interessanti.

    Fu Avril, ora, a restare sconcertata. Lo abbiamo comunicato alla Di-rezione Esplorativa Centrale: sì, è notizia diffusa per tutti i mondi dell’O.P.U. confermò, prendendo tempo.

    Avevamo chiesto a Moth, la Compagnia intendo, un rapporto, diciamo così, più dettagliato. Non ci è pervenuto.

    Sai che Moth non dà di norma questo genere di informazioni ai gruppi privati.

    Già, di norma. L’irritazione di Algiten era evidente, appena trattenu-ta dalla consapevolezza del suo ruolo. Ma se la Direzione Esplorativa Centrale darà quel rapporto alla Società di Everex, semplicemente esclu-dendoci, mi dici che significato assume, di fatto, l’imparzialità di Moth? Le manovre politiche fuori di Moth rendono oggettivamente faziosi i vostri risultati. La fissava con durezza, ora, ostile.

    Hai informato il Consiglio di Moth di queste manovre? Sapeva che, nella sua posizione, Algiten non si era limitato a sospetti.

    Vorrei lo facessi tu. Ho ragione di non fidarmi dei sistemi di comuni-cazione di Caliban, da quando si è saputo che tu eri qui.

    Porterò il tuo messaggio. Preparalo nei dettagli.

    E posso sperare che tu...

    Lo consegnerò personalmente a Cadis. Non ti prometto altro.

    Cadis! Bene, mi basta.

    Avril non si stupì della soddisfazione di Algiten. Anche se non gliene parlava mai direttamente, sapeva che Cadis non approvava alcune rigidità delle norme di Moth e che agiva a volte, nei suoi rapporti con l’esterno, secondo criteri di apertura che a più di qualcuno del Consiglio sembravano assai discutibili. O lo sembrerebbero, se ne venisse a conoscenza. Non a caso aveva fatto il nome del proprio maestro. Non a caso, pensò anche, forse Cadis ha mandato me per le lingue.

    Il colloquio con Algiten era finito, Avril lo lesse con chiarezza nel rilassamento, impercettibile ad occhi inesperti, dei muscoli a lato della bocca.

    Le nostre cupole non offrono molto per distrarsi, Avril, ma questa zona di rilassamento forse potrà sorprenderti. Ecco una performa interessante, ad esempio. È di Landro, un grande artista di Venere III, avrai sentito parlare di lui. ‘Desiderio di assoluto’, è il titolo.

    Una piccola divertita rivincita. No, non lo aveva mai sentito nominare. E Algiten lo sapeva. Quei quadri tridimensionali di forme, luci, colori mobili, guidati da raffinati sensori a reagire e rimodellarsi sull’impatto percettivo dello spettatore, non rientravano negli interessi di Moth, come tutta l’arte psi. Anzi!

    Spero che vorrai profittare di quel poco che possiamo offrirti, Avril. ancora incalzandola Algiten, divertito al suo silenzio.

    Avril gli sorrise in un congedo definitivo. Profitterò del poco e del molto, Algiten.

    Lo guardò allontanarsi per la vasta sala, stranamente nero, rigido del-la sua uniforme, del suo ruolo, ritagliato come una sagoma estranea nella luce rosata che la cupola a quella fase lasciava filtrare dal cielo di Caliban.

    Avril si volse. Improvvise luci rutilanti l’abbagliarono e l’avvolsero: era entrata senza accorgersene nell’area attiva della performa. E fu il suo volto che subito si plasmò al centro dello spazio percettivo. Non se lo aspettava, e per l’ala azzurra dal suo occhio passò all’immagine un breve fremito che poi si allargò e si sciolse per i toni più chiari della guancia, via via varianti alla luce di taglio. Sorpresa, appena un senso di disagio – lesse automaticamente quei segni la sua mente analitica. Tutto qui, un oloritratto istantaneo con pretese introspettive? Allora, quasi a sfida, decise di fermarsi alla fruizione di quella performa. Sorrise e subito le labbra della oloproiezione si tesero, nella tinta di verde che le arcuava con gentilezza. Stupido, niente più di un gioco stupido di specchi – e fece per staccarsene. Ma il viola sgorgava adesso improvviso da un punto tra i capelli e si allargava a sfiorire il filo del volto; piegavano ombre verdi agli occhi prima, poi all’incarno delle narici e intanto era mosso l’incavo lentamente azzurro del collo in una torsione che la deformava – eppure bellissima, sì, bellissima. Morbidamente spumando per i capelli, la scomponevano i frastagli di luce e diveniva una oscillazione di linee inconcluse, ma poi già che si intrecciavano in lievi spirali, e via via che il movimento accelerava, i colori e le forme ne venivano ingoiati, in vortici appena accennati prima, che poi si allargavano si allargavano fino a sprofondare per abissi di nero. E restava solo il nero. Nero, nero. Già finito? Ancora la figurazione delle domande irrisolte, ancora l’attentato all’oltre che dio punisce, facendosi nulla della figura che si è compiaciuta di somigliargli e di mettersi dentro l’azione della performa? ‘Desiderio di assoluto’, sì, davvero ben congegnato il titolo che – sì, che l’aveva tentata.

    Si tese alle direzioni aperte della sala giardino, allora, come infastidita, come delusa, quasi proterva. Con sufficienza. Ma le tornarono inaspet-tatamente interrotte, sfumate, non riusciva – si accorse – ad avere la piena rispondenza dei sensi, e distanze divertite le modulavano spazi troppo diversi e lontani, soprattutto lontani, solo echi; e questa sensazione sospesa del tempo, come galleggiare, galleggiare… tutto si separa, si scioglie via… come continuare a… morire.

    E di colpo lo sentì: estraneo, fuori. L’adesso irruppe per un profumo violento che – rosso, è rosso. E suonava da una bocca vicina, invadendola.

    Un artista mediocre. Comunque voglia dirigere i sensi, questa performa è prigioniera del suo inizio; qui, che rimane ancorata, qui, a qualcuno che ha scelto di entrare, e che ne potrà uscire, solo che lo voglia. Magari con uno sbadiglio.

    Strappata, colta a sorpresa, il colore della vergogna a fiotti sul viso, che ora la oloproiezione amplificava in esplosioni di rossi cangianti, e il fiato subito più breve, ansioso, Avril cercò di tagliarsi via dalle suggestioni della proiezione, pur senza spostarsi. Perché non ci riusciva, a spostarsi. Bloccata da una inattesa amobilità. Si costrinse, per quanto le era possibile, a ritornare attenta e tesa sulle proprie percezioni. Io. Qui. Io. E irritata.

    Con la fatica di una gravità titanica, volse il viso.

    Lo vide vicino – stupidamente troppo vicino, per non essermene accorta prima – valutò automaticamente, ma i meccanismi dell’analisi erano come inceppati, lenti, fumosi; e quasi solo, dirompente sulle altre emozioni, l’irritazione, ancora puntigliosa a registrarle quella distrazione sen-soriale della performa – come ho potuto lasciarmi prendere?

    E lui sinuoso, a spire strette se lo sentì addosso, come l’avvolgeva di uno sguardo che pure si celava in ombra. E poi ancora più strette, pericolose: adesso, proiettato al centro dello spazio percettivo, lui si confondeva nella scia delle forme che, svanendo dalla sua mente, le ultime tracce dell’illusione, si inabissavano dentro di lei quasi a vertigine. Chi è?, cosa vuole da me?

    Avril riuscì a concentrare tutta la sua attenzione in un unico semplice movimento: si spostò indietro di un passo, fuori dell’area percettiva. Fuori, finalmente. Chiuse gli occhi, per togliersi via completamente da quelle luci ipnotiche.

    Chi guarda è un limite che distruggerebbe comunque ogni possibilità di assoluto. Ma certe opere d’arte, eppure, segnano dentro, per sempre, una breccia che va oltre lo sguardo, e il qui, e l’adesso. Poche. Landro di Venere III si accontenta di indurre un po’ di vertigine.

    La voce!, la voce! – le rombava nella testa come un tamburo. Sollevò le palpebre come da un sonno pesantissimo.

    Sciogliendosi dalle onde degli ultimi colori, lui era lì, vicino. Vicino, mi sfiora quasi. Avril sentì densa la rete, a maglie forti, di quella bocca che adesso emergeva ai suoi occhi, di quel viso che.

    Banale. Eppure astuto, se c’è comunque sempre qualcuno che vuole tentarlo, l’assoluto. Colse l’irrisione Avril e fece per rispondere risen-tita: chi crede di essere questo, questo.

    Ma fu un vuoto, come le mancò d’improvviso l’annebbiamento della proiezione, che avvertì violentemente Avril: un vuoto che dilatava che lacerava. E nel vuoto era l’evidenza fisica della presenza di lui che ri-formava lo spazio, lo accentrava. Si plasmava su di lui, a gorgo, il reale.

    Allora reagì finalmente Avril, rispose, e rispose per chiudere ogni varco.

    Le allucinazioni dell’artista non sempre coincidono con i motivi dell’occhio che le vede. Sperò che non fosse stata avvertita la fatica a plasmare a suono quelle parole. Via, via da qui!

    E mancò con intenzione evidente lo sguardo a lui, oltre l’orlo del suo profilo, cercando qualcuno, della gente più in là, che la distraesse via.

    Nonostante i suoi limiti, non credo che Landro intendesse rivolgersi a questo genere di occhi. Non è luogo per limitati occhi individui, là dove vorrebbe indicare.

    No, non una stupida disquisizione estetica sul messaggio di questa forma d’arte banalmente ipnotica! Decise una risposta secca, definitiva. E allora non dovrebbe nemmeno tentare di coinvolgerli, gli occhi. È un oltre assurdo. Almeno finché si deve esprimere nella materia. E adesso poteva staccarsi da quell’intruso, avrebbe messo nei suoi gesti tutte le sfumature dell’alterigia che chiude senza appello.

    Noi siamo espressi nella materia, eppure questa ansia all’oltre, l’ab-biamo dentro, la conosciamo bene. L’abbiamo creata, forse.

    Una morsa di ghiaccio, si sentì incapace di ogni movimento.

    Turbata, poi spaventata, si accorse che in qualche modo lui la teneva, si accorse di un’attenzione a lui che le impediva di sciogliersene, di afferrarsi a qualsiasi altro appiglio della sala che non fosse lui. Perché quell’attenzione, se di niente stavano parlando, se nessuna domanda la spingeva, nessuna curiosità – se nessun segno di lui mi indica qualcosa di interessante? E di certo. Nessun segno! – si rese conto d’improvviso: come un’ombra, neutro alla sua analisi indagatrice, eppure appena lì di un palmo, concreto.

    E non l’abbiamo ancora esaurita. Perché continuava a rispondergli?

    Finché saremo materia?, credi che l’ostacolo sia la nostra fisicità, Avril?

    Sa chi sono!

    Col nome, le esibiva adesso la sicurezza di una precisa intenzione, sorri-dendo oltre la bocca, arrogante, fino al limite che, se varcato, sarebbe stata l’offesa.

    Mi conosci. Chi sei?

    Capelli nerissimi liberi lungo l’ovale magro, e gli tagliavano per la fronte un’ombra che tratteneva gli occhi. Mi sfugge – anche a guardarlo apertamente, lui le sfuggiva.

    Non metterti in guardia contro di me. Non avrai paura che ti rubi l’anima, se posseggo il tuo nome, vero, Avril?

    Tu non possiedi il mio. D’improvviso le veniva il mare di Moth, stupi-damente – assurdo in questo momento – e il mare insistente, davanti alla Casa il mare, quando era più esile la luce e – a guardarlo dalla terrazza e in questa luce soltanto, il mare verde. E stupidamente farsi prendere così, stupidamente. Un lampo le attraversò la mente: è proprio nel mio nome la suggestione, è nella voce di lui la rete.

    So anche che sei di Moth, e che non riuscirò a trattenerti di più, se non vuoi; ma ti prego, non andare via.

    Gli guardò che si apriva sul petto, nell’ampio scollo della tuta nera, un dorato di sole e ne assorbì forte il profumo di melisco: le uniche distinzioni, e qualsiasi – no, non qualsiasi, si accorse allora, se forse proprio questi segni che mi sono familiari gli hanno permesso di insinuarsi oltre le mie difese.

    Tu invece non hai i segni di nessun luogo. Era una domanda precisa, e così lo accettava, rimaneva: perché non riesco a staccarmene? si chiese ancora perplessa, confusa: ormai era sicura che lui la stava piegando alle proprie intenzioni, con la suggestione sottile dei suoi modi ipnotici.

    Non appartengo a nessun luogo infatti.

    Avril lo percepiva adesso tangibile il cerchio che la catturava a quella voce, a quell’ombra dove lui sfumava oltre il limite, senza accenti, senza gesti, senza tratti da decifrare. E ancora più lontano, diviso, il groviglio degli altri per la sala restava lontano.

    È per come ti ha afferrata la performa, Avril, che ho capito chi sei. Nessuno qui cede ai quadri sensoriali occhi più che distratti: sono un’abitudine, l’inganno consueto per dimenticare le cupole che stri-tolano giù il fiato. Voi di Moth, così sospettosi delle fascinazioni dell’arte percettiva, siete proprio voi i suoi fruitori più indifesi. E poi, per la prima volta lo sguardo diretto a lei i segni del tuo mare agli occhi, Avril. Avril, e cambiò voce, divertito, quasi comico l’unica Avril possibile di Moth, che i notiziari trivi continuano a vantarsi di avere su Caliban; Avril, che è stata tanto tempo isolata nelle praterie, allo studio delle lingue, e che finalmente adesso è rientrata alla Base, per un breve riposo prima di ripartire per Moth.

    Così logico e preciso da poterlo sospettare preordinato. È falso, vuole che lo sappia. Non era la curiosità che lo intratteneva a lei, e non le aveva risposto.

    E lo siamo giustamente sospettosi: sono doppiamente infide queste allucinazioni, se, oltre a distorcere inutilmente la realtà, ne fanno perdere la presa. Ma sapeva, sentiva che non era soltanto per la confusione sensoriale della performa che lui riusciva a tenerla.

    Credi che l’assenza della performa ti avrebbe permesso di guardarti da me?

    Avril sentì nudo il rossore salirle per il corpo, la faccia, e la rabbia di offrirsi così a quello sguardo vicino e – divertito, ti sento esattamente, anche se non riesco ad afferrarti nell’ombra.

    Dall’impudenza delle tue tecniche vocali di condizionamento. Chi sei?

    Non offendertene. Avrei potuto avvicinarti altrimenti?

    Conciliante adesso – vuole qualcosa. La cortesia di Moth è conosciuta ovunque.

    La irritò l’obiezione del sorriso ironico di lui, ma si rivide, quella stessa mattina, negarsi all’intervista che il direttore della trivi di Caliban le aveva chiesto. Gentilmente, molto gentilmente lo aveva chiesto.

    C’è qualcuno a cui Moth fa eccezione, però.

    Mi sta preparando a un’identità che potrei ritenere ostile? Chi è?

    Tesa, avvertì ancora con più fastidio l’orlo vicinissimo di lui, già denso tra loro lo spazio di un possibile gesto, se avesse voluto sfiorala. Un preciso senso di ripugnanza, confuso ancora nell’attrazione, le fece sentire che finalmente le sue difese cominciavano a reagire. Dissimulando lo sforzo in cui si concentrava, si limitò a ribadire quell’ostilità supposta.

    Non senza motivi ragionevoli.

    Decise di mostrare solo per gradi la forza offensiva che si sentiva crescere dentro; atteggiò il viso intanto a un lieve fastidio, come di chi avesse tollerato abbastanza una noiosa invadenza. Poi cercò di afferrarsi allo sguardo di un funzionario della Compagnia che veniva avvicinandosi per la sala, nell’accenno di un gesto, le sembrava, sospeso a lei. Si protese con intenzione, fece per muoversi ad incontrarlo, anche se quello intanto le passava oltre occhi vuoti e si perdeva più in là, a qualcun altro.

    No, Avril.

    Uno strattone e poi come una vertigine le rimbalzò dentro quel tono adesso così diverso, esplicitamente duro, inderogabile. E la mano sul braccio ad attanagliarla, le dita con evidenza violente, affondate nella carne.

    Non permetterti di toccarmi!

    Soffocando l’emergere della paura nei modi dell’irritazione, dello sde-gno, mise nel tono di perentorio comando condizionante le inflessioni del disprezzo, quelle che Cadis, dopo ogni esercitazione: non sentirtene mai potente, perché umilia la dignità di un essere umano e quindi umilia prima di tutto te e i tuoi fini.

    Inutile. rise appena lui, ed eccessivo Voglio solo parlarti e tu mi ascolterai.

    Sbalordita di quella resistenza inattesa, e spaventata, si lasciò andare allora alla reazione fisica istintuale – vuoi la lotta? e l’avrai! Il suo corpo si tese per ogni muscolo, si preparò all’attacco di quella pressione che ora percepiva esattamente: pericolosa, come una corrente di fuoco dalle dita di lui pulsava alla sua pelle, tendeva prepotente ad un valico, tendeva ad un controllo profondo che lei non conosceva.

    Non costringermi a lottare, ti avverto. e fu pronta a colpire.

    No, non lo farai. Perché io sono qui ad offrirti le Ragnatele.

    Le Ragnatele!

    Il movimento di colpo si bloccò per i muscoli, lo slancio già quasi in azione rientrò alle membra: Avril tremò all’onda di dolore che riassorbiva il contraccolpo per tutto il corpo. Ma già si stava buttando a forzare la voce contro la sorpresa che impediva il fiato per la gola.

    Tu, contro l’acqua densa che imbrigliava le domande, le mille di colpo, e tutte insieme tu sai delle Ragnatele?! Come è possibile, se anche a Moth solo Cadis e pochi altri sanno di. Chi sei? Cosa vuol dire che mi offri le Ragnatele?

    Ogni resistenza vinta, e placata, smorzata dentro, la rabbia, la paura, già cedeva al braccio di lui che la sospingeva adesso verso l’uscita della sala. Dove mi, dove?

    Andiamo dove potremo parlare con calma.

    Tu… E sorridendo: si accorse che lui stava sorridendo. Tu chi sei?

    Rho, ma immagino che non ti dica niente il mio nome. divertito, come ad un assurdo Ma dice fin troppo a tanta gente… Oh! E intanto una faccia larga, suadente, dove guizzavano curiosissimi occhi felini, era già tra loro. Le nostre strade tendono decisamente a intersecarsi, Loth!

    Vedo che vi siete incontrati!

    Avril sussultò a quella voce che li fermava, più l’estraneità che l’indiscre-zione a infastidirla. Mi pare, sì, mi pare qualcuno che ho già visto qui – sì, in qualche momento di quei giorni quella faccia emergeva tra le sensazioni indifferenti.

    Una sensibilità emozionale di tutta eccezione ed un’intelligenza ana-litica di prim’ordine: che singolare combinazione per la nostra piccola colonia!

    Solo un incontro casuale, Loth.

    Certo, certo. Non sarà per questo allungando, insinuoso, maligno che hai fatto diffondere la tua indisponibilità ad ogni segno di interesse della nostra gente, pena la cancellazione della tua esibizione su Caliban!?

    Quale esibizione?, si chiese Avril, quale interesse?

    Indisponibilità che tu ritieni di potere violare, è chiaro. Ma non c’era irritazione nelle parole di Rho. Non è nemmeno seccato, sta giocando con la sua preda.

    Se mi dai qualcosa da buttare in pasto alla naturale curiosità dei miei spettatori, sarà ancora meglio garantita la tua indisponibilità. Sotto il sorriso fisso che gli irrigidiva anche le parole, Avril intuì l’intenzione caparbia di Loth – evidentemente lui può permettersi di, non se ne andrà senza avere ottenuto quello che vuole. Ed è evidente che vuoi essere lasciato in pace ai tuoi… la squadrò compiaciuto … impegni. Anche un’aperta insinuazione a noi due!, se non un effettivo sospetto: no, non è solo curiosità – mentre li bloccava a braccia larghe e si infrapponeva tra loro, guardando ora a lui, ora a lei.

    Non credo che... reagì Avril, e stava già modulando la voce a un comando che li liberasse di lui; ma Rho la interruppe.

    Ogni incontro, Loth, è singolare.

    Si stupì di non percepire nessuna intenzione condizionante nel tono di Rho, ma sentì il silenzio dopo, come lui lo lasciò scivolare dall’ultima parola, fisico, quasi una morsa di gelo. Lo separa, lo manda via.

    Sì, sì, è vero. In questo sterminato universo, sì, incontrarsi è comunque un evento eccezionale, certo. Di colpo sconcertato, confuso Loth, quasi volesse raccogliere le idee adesso spettinate, con fatica. Poi un’im-provvisa impennata come avesse ritrovato la pista da fiutare. E quindi più speciale ancora il caso che ha congiunto, si fa per dire, certo, due come voi proprio qui, su Caliban. Voglio dire: lontano dai riflettori dei mondi più in vista…

    Niente storie piccanti per la tua cronaca in trivi, Loth! e abbandonando l’esca senza parere Avril ed io ci stiamo solo scambiando le nostre opinioni sull’arte.

    E intanto, uno due passi a lato – se ne è già sciolto! – e la sottraeva, anche lei, riafferrandola di un lieve tocco alla spalla.

    Non meno interessanti per il mio programma! Loth ancora agguerrito, e provocatorio – è come se avesse già afferrato qualcosa di un segreto gelosa-mente nascosto – ma intanto restava fermo dove Rho l’aveva bloccato. Non giudicarlo così frivolo, Rho, il mio programma: questa gente ha fame di discussioni importanti come di pettegolezzi, deve pur distrar-si dall’immobilità mortale di Caliban! Cosa potrebbe essere così sti-molante come il confronto tra una rappresentante della più rigida critica all’arte psi... Alzava progressivamente la voce, ad ogni passo con cui loro due si allontanavano, ma non accennava a volerli seguire. Per carità, Avril, non intendo esprimere giudizi sulle concezioni estetiche di Moth, ma puoi comprendere il mio interesse a vederti così, come dire, così cordialmente in rapporto con il più grande interprete di finzioni dell’Universo Conosciuto!

    Le finzioni!, allora Rho è un attore! Avril si lasciò quasi sfuggire un’escla-mazione di stupore, mentre si volgeva di scatto indietro a Loth, ma Rho le affondò le dita nel braccio a bloccarla. Intanto, con un ampio sorriso condiscendente agli occhi della piccola folla che Loth aveva attirato su di loro, accennò appena col capo, come in un congedo teatrale.

    Credo di poterti promettere almeno una breve sintesi della nostra discussione per la tua rubrica mondana. Sei d’accordo, Avril?

    Come? quasi atterrita di quell’improvvisa centralità nell’attenzione di tanti Sì, sì, credo di sì.

    Davvero? È meraviglioso, vado subito a preparare l’annuncio... Loth si bloccò ad un cenno imperioso di Rho, mosse perplesso qualche passo verso di loro. Sì, ma…

    Ma ti atterrai con rigore a quanto ti daremo! Confidenzialmente, ma in modo che fosse percepito anche intorno. Nessun montaggio furbesco, nessuna insinuazione! Intesi, Loth?

    Non offendere la mia correttezza professionale, Rho! Lo sdegno di ma-niera non riuscì a nascondere l’imbarazzo di essere così pubblicamente messo alle strette.

    E tu non dimenticare chi sono io, Loth! Appena sibilate tra i denti, e dirette che solo Loth le potesse udire, Avril intuì più che sentire quelle parole e ne percepì la precisa dura minaccia. E ne tremò come fossero per lei.

    Ancora irritato per quell’accenno a ... Avril sentiva tutta l’autenticità della paura di Loth, al di là del condizionamento – la voce gli si è bloccata in gola e le mani convulse, gli occhi quasi sbarrati, si aggroviglia su se stesso, è così allora il potere degli attori di finzioni! Si è raccontato ben altro di te per l’Universo!

    No. Non sono irritato. Solo un avvertimento. Addio, Loth.

    E se ne staccò nettamente, trascinandola via dal groviglio di gesti, gli inevitabili brusii, gli sguardi curiosi e smarriti intorno, verso la porta con ancora la voce di Loth che li inseguiva a tentare di ristabilire una cordialità credibile: Guarda che ci conto, Rho, ci conto davvero.

    E furono fuori dalla sala, dalle luci cangianti, dalla gente.

    Avril si addossò alla parete del corridoio – respira lentamente prima di parlare! Tu sei un attore, dunque!

    Rise lui, secco, breve. Solo tu potevi non conoscermi, Avril.

    L’uso della voce! Che stupida a non capirlo subito!

    No, non potevi certo aspettarti il lusso eccezionale di una finzione sotto queste cupole squallide di Caliban. Inoltre sei stata fuori dalla Base per tutto il tempo del mio soggiorno qui.

    È dolce la sua voce adesso – Avril se ne distolse con fatica. E irritazione, e inquietudine anche. Non... non cercare di.

    Non avere paura di me, Avril.

    Non dire il mio nome! stridente quasi, e si ritrasse più lontano, ma si sentiva immobilizzata nell’indecisione.

    Non potrei più, adesso che stai a guardia contro di me, forzare le tue difese.

    La potenza delle vostre fascinazioni è sottile, subdola, io... io non credo di... io chiamerò Moth, chiederò che venga qualcuno più... con più autorità, sì, qualcuno che...

    Ma è te che voglio, Avril.

    Voglio? Crede di essere dio? Perché?

    Se ti importa la risposta, andiamo via di qui. e prevenne la sua doman-da Andiamo nel tuo alloggio, ti sentirai più sicura lì. Se vorrai, potrai tenerti costantemente presso il segnalatore di allarme, oppure, se non basta, ti darò il mio storditore: mi avrai sotto tiro... con ironia, divertito.

    E Avril improvvisamente si scoprì placata, che scivolava via naturalmente la tensione e tornava invece quel desiderio irrefrenabile di sapere, di buttarsi dentro quella cosa, qualsiasi cosa fosse stata.

    Andiamo.

    Nel corridoio vuoto i passi rimbalzarono nel silenzio; una svolta a destra, un’altra, una a sinistra, diritto, la terza porta, contò Avril. Entrò davanti a lui, trovando nel farlo, per un attimo, una familiarità che l’agganciava a qualcosa di protettivo, forte. Passò con lo sguardo attento sullo spazio disponibile, decise di sedersi con le spalle al muro, in ombra – lo avrò finalmente in luce, e io, invece, nascosta.

    Dove vuoi che mi metta?

    Era appena oltre la soglia, mentre la porta gli scorreva alle spalle.

    Rimani lì.

    Come vuoi.

    E alzò il viso in luce, le si offrì per la prima volta apertamente. Eccoli, infine, gli occhi! – ma se ne ritrasse quasi subito a vertigine, come da un abisso. Occhi di acqua nerissima, occhi di un buio senza attenuazioni, sfumature,

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