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Dell'amor cortese: Dal XIII al XIV secolo
Dell'amor cortese: Dal XIII al XIV secolo
Dell'amor cortese: Dal XIII al XIV secolo
E-book89 pagine1 ora

Dell'amor cortese: Dal XIII al XIV secolo

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Il filo che ha guidato la ricerca non è quello di un’approfondita disamina dei vari momenti della letteratura cortese dal XII al XIV secolo, di cui si traccia solo un quadro generale, quanto quello di fermarsi a riflettere su questa nuova ed eccezionale forma di interesse per l’amore e la donna nell’Alto Medioevo, quindi sui possibili motivi del suo comparire, nonché, molto più brevemente, sui motivi del suo fermarsi alle soglie del XIV secolo in una codificazione davvero conclusa, pur se capace di grande influenza nella sua forma di idealizzazione e di deologia, e naturalmente passibile di mirabili adattamenti da parte di grandi autori come Boccaccio o Ariosto. Codificazione che, attraversata dai vari interventi storici e culturali, è arrivata fino ai giorni nostri. Giorni di ‘femminicidio’. Di cui qui si accenna solo, porgendo ad altre e ad altri il testimone.

Milena Nicolini nasce a Modena nel 1948, dove ha insegnato e vive. Laureata in Filosofia con Luciano Anceschi, fa parte del gruppo Donne di Poesia e del circolo letterario Rossopietra di Modena. Si dedica alla presentazione critica di testi letterari. Svolge continuativamente dal 1978 attivita' teatrale ed e' stata presidente dell'Associazione Teatrale non professionista Arcoscenico fino al 2015. Suoi testi, critici e di poesia, sono apparsi su varie riviste e raccolte antologiche. Ha pubblicato:
- per la poesia: "Duale", Edizioni Geiger, Torino 1975; "Lilith o del sogno", Symbola ed., Roma 1984; "Le stagioni del sogno", nel volume a cinque voci "Vi son frecce", Il lavoro editoriale, Ancona 1989; "Villa Edmea", Edizioni Mongolfiera, Bologna 1990; "La vita minima(dedicando", Cultura Duemila, Ragusa 1994; "I tagli e le giunture", Book Editore, Bologna 1999; "Trasloco", Copertine di M.me Webb, 2003: "I miei stanno bene, grazie", Quaderni di Rossopietra, Castelfranco Emilia 2007; "Romance", Ed. ROSSOPIETRA, 2010; "Tre porte ad un padre", Ed. ROSSOPIETRA, 2012; "Uno piu' uno, se facesse duale", Ed. ROSSOPIETRA, 2016.
- per la narrativa: "A chi resta", Tracce, Pescara 1990; il romanzo "L'Oscuro", Ed. ROSSOPIETRA, 2013, suo primo di fantascienza. Come saggistica ha pubblicato "Dell'Amor Cortese", Ed. ROSSOPIETRA, 2016.
LinguaItaliano
Data di uscita3 giu 2020
ISBN9788835840527
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    Dell'amor cortese - Milena Nicolini

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    La letteratura cortese

    1-IL CONTESTO STORICO

    Nel lasso di tempo che va dal X al XIV secolo fiorisce, si diffonde, evolve in differenti manifestazioni quella che viene in genere denominata letteratura cortese , di cui Guido Guinizzelli è un importante esponente, essendo il poeta che Dante stesso definisce il maestro [1] che ha dato inizio al dolce stil novo [2]. Se nel periodo resta ancora importante la concezione sacrale del mondo che ha informato tutto l’Alto Medioevo, comunque cominciano a proporsi anche i primi elementi di trasformazione che introducono l’Età Moderna.

    1.1 La concezione sacrale del mondo

    E’ una visione unitaria, enciclopedica, che abbraccia e coinvolge tutte le cose del mondo e dell’oltre-mondo nel grande disegno unitario di Dio. È una concezione gerarchica, in ascendenza piramidale: al gradino superiore c’è Dio, nella Gerusalemme celeste, a cui corrisponde il re/imperatore nella Gerusalemme terrena; ai gradini immediatamente inferiori gli angeli e i vassalli, poi i beati in varie gradualità di godimento di Dio e i nobili in vari gradi di importanza fino ai cavalieri, affiancati dal clero, anch’esso ben organizzato in vari livelli di potere. Sotto tutti, in terra, il popolo. Anch’esso gerarchizzato: quello grasso di grandi mercanti, banchieri, produttori; quello minuto di artigiani, bottegai; poi la plebe dei serventi, degli operai, dei ciompi, in città; e ancora più sotto gli zotici, i villani del contado, i servi della gleba. In mezzo a questo popolo si muovono i giullari, che trasferiscono in basso i canti orecchiati da più elevati cantori di corte, ma anche sbeffeggiano ritualmente gli stupidi per eccellenza, i contadini.

    E’ una visione simbolica: ogni evento, ogni cosa è segno di qualcos’altro che sta sotto o dentro l’oggetto in questione, più o meno celato, misterioso, ma comunque sempre compreso e previsto nel disegno di Dio. Le chiese romaniche e preromaniche ne sono una fisica esemplificazione. Sono buie, con le finestre piccole che magari schermano la luce attraverso spesse lastre di alabastro: Dio è misterioso, mai compiutamente accessibile alla mente umana, che lo conosce per rivelazione e con la necessaria mediazione della Chiesa. I muri e i pilastri e le colonne sono massicci, pesanti: segno di potenza indiscutibile e di protezione certa (di Dio, certo, ma anche della Chiesa, o al Nord, in Normandia ad esempio, del sovrano che le ha fatte erigere). La messa, rito sacro, trascendente, ‘magico’ in un certo senso, troppo straordinario per un contatto diretto con comuni uomini terreni, viene celebrata in un presbiterio riservato al clero, lontano dalla vista delle navate e simbolicamente più in alto, sopra il pontile, a cui portano le scale laterali, magari protetto da tende o da un possente ambone che parla il linguaggio anch’esso simbolico dei bassorilievi. Al livello terreno della navata centrale, sul fondo che precede l’abside, dove non c’è altare, si affaccia, invece, elevandosi dal profondo oscuro in cui si radica – materia e morte -, la cripta, che esibisce la sua parte alta, i capitelli, gli archi, sotto cui stanno le fondamenta sacre della chiesa: le ossa, in genere, di un santo patriarca, o padre-fondatore, o vescovo-patrono. Sono tanto il segno della possibile redenzione umana, quanto il monito di una rivendicazione protetta da Dio, con cui si legittima una qualche affermazione di libertà o autonomia (del monastero o della città-comune da imperatori, feudatari, sovrani, papi). Nei bassorilievi delle facciate, nei tralci abitati degli stipiti e sulle lunette che accompagnano le porte, nei capitelli, nelle metope, nelle mensole delle chiese romaniche non è raffigurata solo la storia sacra, ma, quasi con lo stesso grado d’importanza e certamente con un forte senso di continuità, la vita quotidiana degli uomini che in quella chiesa si riuniscono per pregare e decidere, con i mestieri e le attività dei vari mesi, con le leggende [3], i miti [4], le favole [5], i proverbi, i buonauguri e i malauguri [6].

    Microcosmo e macrocosmo si corrispondono: il loro intreccio a volte è svelato/interpretato da numeri e rapporti tra numeri che hanno significati simbolici ed allegorici [7]. L’ordine di Dio e la sua significazione religiosa ed etica stanno dentro le cose, connaturati ad esse e si colgono per evidenza intuitiva nelle somiglianze, nelle analogie, nelle opposizioni, ma anche in manifestazioni magiche, che ancora non vengono tutte accorpate al demonio. Fondamentali e prevalenti (presentissime nelle metope delle chiese romaniche) sono le opposizioni binarie: Dio/Satana, anima/corpo, uomo/donna, spirito/carne, Paradiso/Inferno, Terra/Cielo, ecc. In questo modo anche gli elementi malefici della realtà sono assorbiti nell’armonia complessiva: nello staccarsi dal male nasce il bene, nel confronto emerge il suo splendore.

    La Natura, lo Spazio, il Tempo, la Storia sono anch’essi concepiti in questa visione simbolica e sacrale. Nell’osservazione della natura non c’è né metodo né tantomeno interesse scientifico moderno; gli stessi Padri della Chiesa, nelle loro opere, dichiarano [8] che "cercano l’orma di Dio nel creato, e sembra loro più ragionevole cercarla in ciò che nel mondo vi è di miracoloso ed insolito, piuttosto che in ciò che appare usuale e chiaro a tutti (…) la natura delle cose diviene lettura simbolica e religiosa dell’universo" [9]. I Bestiari non sono cataloghi di animali osservati in natura per studiarne le caratteristiche fisiche, ma sono elenchi che di preferenza descrivono, anche con figurazioni, animali dell’immaginario favoloso o mitologici o di pura invenzione; quando descrivono animali realmente esistenti l’interesse è volto ad una classificazione simbolica: portatori di bene, di male, pericolosi per l’anima, diabolici, figure di virtù o di peccaminosità, ecc.; ad esempio il caprone e il serpente sono associati al demonio, la colomba alla purezza e allo Spirito Santo. Nei tralci abitati delle porte delle chiese romaniche è ben rappresentata la concezione della natura del tempo. Vi sono le bestie e i mostri dell’iconografia dei Bestiari e dei racconti favolosi ed esotici [10], uomini e diavoli immersi in una natura ordinata a spire di serpente, pericolosa, soffocante. E’ la natura del bosco, della selva oscura, luogo di pericolo e peccato, dove ci si perde fisicamente e moralmente. Ma anche luogo di avventura, di incontri magici, di ricerca, di quella quete che sarà dei cavalieri cortesi. Infatti tra i tralci c’è anche la vite coi suoi grappoli, segno della salvezza portata da Gesù, ma forse anche ripresa,

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