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Il lato positivo: Ritrovare la gioia di vivere anche nelle situazioni più difficili. Dire sì alla vita quando il corpo dice no.
Il lato positivo: Ritrovare la gioia di vivere anche nelle situazioni più difficili. Dire sì alla vita quando il corpo dice no.
Il lato positivo: Ritrovare la gioia di vivere anche nelle situazioni più difficili. Dire sì alla vita quando il corpo dice no.
E-book263 pagine3 ore

Il lato positivo: Ritrovare la gioia di vivere anche nelle situazioni più difficili. Dire sì alla vita quando il corpo dice no.

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Info su questo ebook

Quando manca la salute, ci sentiamo improvvisamente scoraggiati, abbattuti, impotenti; se i problemi si protraggono, rischiamo la depressione. Il lato positivo insegna a reinquadrare la propria vita, per superare i limiti fisici imposti dal cattivo stato di salute e riscoprire il gusto di vivere fino in fondo.Dolore cronico, debolezza, perdita dell'udito, disfunzioni sessuali, gravi malattie, sono intoppi che ci lasciano spiazzati e che il più delle volte ci spingono a sviluppare un atteggiamento ostile o passivo nei confronti della vita, fino a farle perdere il suo fascino. Anche nelle situazioni più disperate, Il lato positivo aiuta a superare le frustrazioni dei limiti imposti da problemi di salute, per ritrovare la libertà, la gioia di vivere e la serenità, che sono alla base del vero benessere.Suggerendo piacevoli esercizi di meditazione e visualizzazione, Lee Jampolsky propone quindici principi fondamentali per dire sì alla vita e sette verità per cambiare il modo di pensare.Scoprire il proprio potenziale di autoguarigioneOsservare pensieri ed emozioniLiberarsi dalle paure e dai giudizi negativiAccettare la situazione senza arrendersiTrovare dentro di sé la forza di reagireAbbandonare gli schemi mentali negativiSviluppare credenze positive che rafforzino la salute
LinguaItaliano
Data di uscita19 dic 2013
ISBN9788880939870
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    Anteprima del libro

    Il lato positivo - Lee Jampolsky

    1967.

    prima parte

    LE FONDAMENTA

    Capitolo 1

    IL MIO VIAGGIO

    Non può essere vero. Dev’esserci uno sbaglio.

    La mia mente mulinava, saltando all’impazzata da un pensiero all’altro nel tentativo di dare un senso a quanto stava accadendo.

    Fa’ attenzione, dicevo a me stesso con una certa veemenza. Mi sforzavo di concentrarmi su ciò che il medico diceva, ma il rumore del mio cuore che mi martellava nelle tempie e la morsa allo stomaco stavano avendo la meglio. Non volevo prestare attenzione. Volevo scappar via senza neanche voltarmi indietro.

    Poi, all’improvviso, ho provato il desiderio di vomitare.

    Il medico è uscito per qualche minuto, lasciandomi lì seduto da solo con addosso il camice. Nella clinica universitaria l’ambiente sterile della sala esami impregnava ogni mia cellula, ogni poro. Non sentivo quasi nulla, a parte le mie natiche nude sul freddo acciaio del lettino, e fissavo inebetito il pavimento scrollando la testa. Cazzo, ho detto.

    Dieci minuti dopo, il medico è rientrato nella stanza, guardando la mia cartella come se io non esistessi o se mi trovassi tra le pagine dei suoi appunti.

    Occorreranno altri esami per confermare la diagnosi ed escludere altre cause, ha detto. Le sue parole non tradivano emozioni. Parlava come un meccanico che discutesse la necessità di ruotare uno pneumatico. Tuttavia, l’espressione altre cause mi riecheggiava nella mente dopo avermi assestato un altro pugno allo stomaco. Sono diventato di pietra. Di sicuro davo l’impressione di stare ascoltando, ma non riesco a ricordare nient’altro di quanto il medico ha detto.

    Mi ero recato in ospedale per quello che sembrava un banale problema di salute quotidiano. E adesso ero seduto in bilico sul lettino, in bilico nella vita come la conoscevo io. La mia esistenza avrebbe potuto cambiare per sempre e magari essere un bel po’ più corta di quanto avessi preventivato. Avevo la sensazione che non stesse succedendo e, nello stesso tempo, che tutto sarebbe finito in un battibaleno.

    Ero lì. Stava succedendo. Mi è venuto da pensare che non avrei potuto farci proprio un bel niente.

    Una vita inconsapevole

    Prima della mia visita all’ospedale avevo dedicato un discreto impegno a mettere e mantenere in piedi la mia vita. Ero riuscito in qualche modo a convincermi che stavo vivendo la vita con efficienza e consapevolezza. Vedevo pertanto la mia sfida di salute interrompere in maniera brusca e grave questa mia esistenza consapevole e ben costruita; di certo non portava nulla di buono. Se avessi potuto sbarazzarmi di questo problema in apparenza insormontabile, pensavo, avrei riottenuto la mia vita così come credevo dovesse essere.

    Non volevo ammettere che in realtà non stavo vivendo una vita consapevole. Non avevo capito di essere diventato un po’ come un computer, con i miei programmi già impostati. Fintanto che le cose nella mia esistenza procedevano più o meno lisce, non c’era bisogno di tanta consapevolezza. Ma quando hanno cominciato ad andare male, quando mi sono ammalato, le circostanze mi hanno svegliato. E anche allora ho spento la sveglia per alcune volte, focalizzandomi unicamente a riportare la mia vita alla normalità.

    Il punto è che fino a quando non sono diventato consapevole del modo in cui solitamente vedevo la vita e la salute, in cui rispondevo in maniera automatica a copioni prestabiliti, in cui reagivo inconsciamente e immediatamente a tantissime situazioni non sono stato in grado di compiere nessuna concreta e significativa scelta sulla mia salute. Fintanto che le prendevo in base alla paura, le mie decisioni erano inconsapevoli e di scarso valore.

    È stato soltanto dopo la terza o la quarta sfida di salute che finalmente ho recepito il messaggio. A quel punto ho cominciato davvero a vivere in maniera più conscia, con più consapevolezza della Vita. Mi sono reso conto che potevo aprire gli occhi in maniera permanente, più intenzionale, consapevole e proattiva. Potevo compiere scelte più coscienti e affrontare la mia sfida di salute in modo più efficiente.

    Crescita post-traumatica

    Come psicologo mi sono sempre interessato meno all’aspetto patologico, che esamina principalmente cosa non va, e più a situazioni nelle quali, nonostante le terribili circostanze, la gente riesce a guarire, crescere, imparare, dare e diventare migliore. Per dirla in parole semplici, sono interessato alla domanda: È possibile insegnare alle persone a volgere il negativo in positivo?. Questa domanda è alla base di ciò che ritengo essere un ambito emergente via via più studiato, la crescita post-traumatica.

    Osservando una qualunque grave sfida di salute, possiamo facilmente trovare persone che l’hanno affrontata incontrando nient’altro che ostacoli e sofferenze. Cionondimeno, guardando più attentamente troviamo anche persone che sono uscite dalla stessa sfida di salute (o da una simile) più sagge, più compassionevoli e apprezzando di più la Vita.

    Come possiamo scegliere il tipo di esperienza che vivremo davanti a una sfida di salute? Si tratta di una domanda molto importante, perché la maggior parte di noi in un momento o l’altro della vita si troverà ad affrontarne una.

    Gli psicologi Lawrence G. Calhoun e Richard Tedeschi, dell’Università del North Carolina, descrivono la crescita post-traumatica come un cambiamento positivo che si verifica in conseguenza di una lotta contro qualcosa di molto difficile. Non si tratta semplicemente di una qualche reazione automatica a qualcosa di brutto. Il mio lavoro si basa su questo concetto. Nella fattispecie, lottare contro difficili sfide di salute può produrre un cambiamento positivo, che tuttavia non è automatico. Questo libro può rappresentare un trampolino verso tale cambiamento.

    I ricercatori hanno riscontrato (e lo conferma la mia esperienza con le sfide di salute, come pure quella di molti miei pazienti) che chi intraprende una crescita post-traumatica da principio si trova ad affrontare lo sbarramento dei dettagli riguardanti ciò che è accaduto o sta accadendo. Ad un certo punto vive forti emozioni, che spesso includono rabbia e paura. Inizia poi un processo assai più intangibile e soggettivo nel quale scopre in ciò che è successo un qualche significato superiore. Questo libro prende in esame la seconda e la terza fase.

    La mia personale ricerca di risposte

    Oltre a essere uno psicologo, conosco di persona le malattie e i loro effetti su ciascun aspetto della vita. Attorno ai cinquantaquattro anni ho dovuto affrontare la mia dose di sfide di salute. Da giovane trascorrevo un mese dopo l’altro in ospedale, dentro a busti di gesso. Da adolescente e attorno ai vent’anni ero in preda alle dipendenze. Durante i miei primi anni come psicologo ho sviluppato sordità in seguito a una malattia autoimmune. Ho affrontato lo spauracchio maschile della mezza età, ossia l’intervento alla prostata, e appena qualche anno fa ero lì lì per morire a causa di una grave polmonite batterica.

    In varie occasioni il mio corpo è stato bucherellato, punzecchiato, tagliato e invaso in tanti modi poco simpatici da raccontare, tra cui chirurgia, chemioterapia e alte dosi di trattamenti steroidei che si sono ripercossi sulle mie condizioni mentali. Ho sviluppato piaghe da decubito e dolori alle braccia, che dopo essere state punte da innumerevoli aghi sembravano essere diventate dei puntaspilli. Perdita di peso, stipsi, diarrea e crisi di vomito da solo, nelle buie ore della notte, sono tutte esperienze scolpite nella mia memoria. Nel contempo, provavo paura, rabbia, smarrimento e disperazione, oltre a domandarmi come avrei pagato le cure ospedaliere e sostenuto la mia famiglia se non ero in grado di lavorare.

    Cercando un modo di affrontare le mie personali sfide di salute, come pure lo stress e le emozioni che le attorniavano, ho avuto l’impressione che ci fossero due principali approcci: quello medico tradizionale, che nell’affrontare una sfida di salute non prendeva in considerazione le componenti emotive, mentali e spirituali, e quello che abbandonava quasi del tutto la scienza. Pochi approcci sembravano rivolgersi alle reazioni emotive tanto concrete e opprimenti che proviamo durante una sfida di salute, al modo di intervenire sui pensieri per aiutare la nostra condizione fisica ed emotiva o al contributo che la sfida può dare per aiutarci a crescere.

    Eppure, l’oggettività scientifica di istituzioni quali la Stanford University ci dice che lo stile di vita, l’atteggiamento, il comportamento, le emozioni e i pensieri non solo possono aiutarci a guarire da una malattia, ma agiscono anche da potenti terapie preventive. Le ricerche ci hanno dimostrato un fatto semplice ma estremamente potente: i nostri stati psicologici ed emotivi svolgono un ruolo fondamentale per la salute fisica. Gli studi hanno rivelato (e pochi professionisti medici lo metterebbero in dubbio) che problemi quali dolori o malanni anche di minor entità, ipertensione o persino cardiopatie e tumori possono essere causati da una mancanza di benessere emotivo. Per di più, quantunque numerosi medici siano restii a discutere il ruolo dell’amore nella salute, in privato molti riferiscono di credere che esista un profondo legame tra la nostra salute e la quantità di stress o turbamenti che affrontiamo nella vita ma anche, per dirla in maniera più positiva, da quanto possiamo vivere gli effetti rasserenanti dell’amore.

    Nella mia vita e in quella di molte persone con cui ho lavorato ho riscontrato sino a che punto si spingano gli effetti di emozioni, atteggiamenti e pensieri. Influenzano i nostri livelli generali di energia e la nostra produttività in ogni ambito della vita. Nel numero del 24 gennaio 2005 della rivista Fortune sono state riportate le parole del dottor Norman B. Anderson, amministratore delegato dell’American Psychological Association (APA): Le aziende consideravano la produttività unicamente in funzione di quanto l’impiegato fosse motivato. Oggigiorno le ricerche dimostrano che una valutazione più accurata della produttività di un individuo è data dal suo benessere fisico ed emotivo.

    L’idea che la mente influenzi il corpo si sta diffondendo sempre di più. Per esempio, l’APA conduce una campagna informativa generale per sviluppare la consapevolezza che prendersi cura della salute e del benessere emotivo degli individui non esercita soltanto un impatto diretto e positivo sulla salute fisica, bensì può avere un’influenza altrettanto positiva sulle organizzazioni. Se a questa maggior consapevolezza aggiungiamo anche la cura dell’anima e dello spirito, ne traggono beneficio non solo la salute fisica, ma anche il lavoro e le relazioni.

    Consapevolezza centrata sulla Vita e consapevolezza basata sulla paura

    Questo libro parla dei modi in cui principi spirituali universali quali compassione, perdono e amore possono aiutarci ad affrontare anche i momenti più difficili. Tuttavia, non ricorro di proposito sempre a termini spirituali e mi sforzo di usare un linguaggio più neutro possibile. Quando uso parole come amore, spirito e saggezza interiore non intendo promuovere un sistema di credenze chiuso o specifico. Al contrario, tutti questi termini fanno riferimento al filo conduttore presente in tutte le religioni e le tradizioni spirituali: l’idea che esista un potere più grande di noi in grado di guidarci amorevolmente nel cammino della vita, incluse le sfide fisiche e/o emotive.

    Quando siamo in sintonia con questo potere, ci troviamo in uno stato che definisco consapevolezza centrata sulla Vita. Quando invece non siamo in questo stato, viviamo una consapevolezza basata sulla paura. Per estensione, anche il nostro modo di pensare è basato sulla paura o centrato sulla Vita. Una modalità di pensiero basata sulla paura e le reazioni fisiologiche che ne conseguono generano o alimentano un cumulo di problemi, come pure uno stato mal-sano.

    A impedirci di dire sì alla Vita quando il corpo dice no è sempre la paura. Questa si manifesta in varie forme, varie maschere e vari aspetti: paura della perdita, paura del dolore, paura di come la nostra situazione si ripercuoterà sui familiari.

    Superare la paura vissuta durante la mia più recente sfida di salute ha richiesto un andare oltre le credenze e i modi di pensare del passato. Se non avessi esaminato le mie credenze sulla condizione, avrei continuato a rimanere dove mi trovavo, per la maggior parte spaventato e sempre più depresso, in collera. La mia sfida di salute mi imponeva di affrontare la vita in maniera completamente diversa da quanto ero solito fare, una maniera cui pochissimi medici fanno riferimento.

    Il primo passo è stato capire cosa stessi dicendo a me stesso e quali fossero le mie convinzioni sulla sfida di salute, nonché cosa significassero il mio modo di pensare e le mie credenze riguardo a come avrei vissuto ogni singolo giorno. Il secondo passo è stato fare spazio alle reazioni emotive senza analizzarle eccessivamente, il che voleva dire che qualche volta dovevo permettermi di sentirmi allo sbando.

    Vorrei poter dire di aver ottenuto risposte profonde in quel periodo, ma gran parte dei miei pensieri era del tipo: Va tutto da schifo e dubito che le cose miglioreranno a breve. Magari non lo faranno mai. Mi sentivo ancora terrorizzato. Mi sentivo una vittima senza scelta. La mia malattia non era un qualcosa che volevo, questo è certo.

    Tuttavia, ad un certo punto è emersa una consapevolezza più serena, che diceva: Non dev’essere per forza di cose la fine o anche solo una brutta situazione. Posso uscirne migliore.

    ESERCIZIO: PIANTARE IL SEME

    Dire sì alla Vita è un modo per passare da è orribile e sto per perdere davvero tanto o per soffrire senza posa a in questa prova c’è qualcosa che devo imparare, una certa saggezza, un senso. Il cambiamento potrà non sembrare gran cosa e magari dalla posizione in cui vi trovate adesso non vi parrà nemmeno fattibile, ma vi assicuro che è fondamentale e io sono la prova vivente che è possibile. Anche se non credete che la vostra sfida di salute possa costituire un’opportunità di crescere, potete in questo esatto momento piantare un seme, cosicché ne nasca consapevolezza. Ponetevi le seguenti domande, concedendovi il tempo di rifletterci sopra e svilupparle:

    Che credenze nutro sulla mia condizione, sul mio corpo, e su ciò che significherà per la mia vita? È possibile che le mie credenze non siano corrette?

    Quali sono i miei sentimenti?

    Nell’affrontare la notizia sono disposto ogni tanto a sentirmi allo sbando?

    È possibile per me diventare una persona migliore grazie a quello che mi aspetta?

    Capitolo 2

    IL POTERE DI GUARIRE

    Scoprire il potere di guarire

    Ho trascorso più tempo di quanto non riesca a ricordare in ambulatori medici, cliniche e ospedali. Mi sono recato nelle migliori cliniche, rivolgendomi ad alcuni dei maggiori esperti nazionali. In tutti i casi, la cosa che trovavo più irritante era il fatto che il medico mi vedesse come un partecipante passivo alla mia guarigione e alla condizione in generale. Niente mi infastidiva più del percorrere lunghe distanze per recarmi da un esperto, aspettare ore interminabili prima di vederlo, non sentirmi riferire quasi nulla di quello che pensava e vederlo reagire con irritazione quando chiedevo altre informazioni. Era raro che un medico o il personale sanitario mi trattassero come un partecipante attivo al trattamento e al processo di guarigione.

    La nostra cultura medica presume che i pazienti ricoprano un ruolo di partecipanti passivi e venerino gli esperti come divinità. Questi esperti vengono visti come i detentori delle risposte, ma i pazienti non hanno il diritto di sapere nient’altro che l’orario in cui presentarsi per i trattamenti. Questa conclusione magari sembrerà dura, ma spesso è la norma, come forse avrete avuto modo di sperimentare. Molti non mettono in discussione il suddetto modello medico perché richiede pochissime responsabilità da parte del paziente. Ci viene fatta una diagnosi, ci sottoponiamo a un trattamento e speriamo che vada bene. Prendiamo una pillola, subiamo un intervento chirurgico, ci rivolgiamo ad altri esperti. Le risposte, il potere della nostra guarigione li detiene qualcun altro, ragion per cui non siamo costretti a impegnarci troppo in prima persona.

    Norman Cousins, autore del noto libro La volontà di guarire, indica una nuova direzione in medicina: È ragionevole aspettarsi che il medico riconosca come la scienza possa non avere tutte le risposte ai problemi di salute e alla guarigione. Cousins non suggerisce di smettere di rivolgersi al medico e nemmeno lo faccio io, perché la medicina e la tecnologia di oggi sono alquanto stupefacenti, sotto vari aspetti. Tuttavia, suggerisco di scoprire il proprio potere di guarigione dicendo sì alla Vita e diventando pertanto un partecipante attivo o addirittura un protagonista della propria guarigione e della crescita.

    Benché sia convinto che dire sì alla Vita possa aiutarci a guarire il corpo e di fatto lo faccia, la guarigione fisica non rappresenta l’elemento principale di questo approccio. Come specificato nell’introduzione, la salute può essere vista quale estensione della pace interiore e guarire significa lasciar andare la paura, per fare ritorno al nostro centro, a chi siamo davvero, né più né meno. Dice la dottoressa Rachel Naomi Remen: La guarigione non riguarda tanto il miglioramento [fisico] quanto il lasciar andare tutto ciò che non ha nulla a che fare con noi, ossia le aspettative e le credenze, per diventare chi siamo. Il potere di guarire se stessi è dunque la capacità di raggiungere uno stato mentale nel quale riusciamo ad abbandonare la paura e scopriamo la Vita.

    Che cosa significa davvero assumersi la responsabilità?

    Quando parlo di responsabilità all’interno di una sfida di salute, spesso mi viene chiesto se credo che creiamo da noi le nostre malattie. Questa domanda non mi piace e per vari motivi. Innanzitutto, se dico: Sì, sono convinto che siamo responsabili di molte delle nostre malattie, le mie idee vengono spesso respinte perché viste come New Age o non scientifiche, nonostante la grossa quantità di dati che dimostrano gli effetti di emozioni, stress, alimentazione, atteggiamento spirituale e stile di vita su certi aspetti della nostra salute, come pure il fatto che molte delle principali malattie mortali sono ampiamente prevedibili. Inoltre, trovo che questa domanda sia controproducente ai fini della guarigione, soprattutto nei primi tempi dopo un incidente o una diagnosi, giacché può far nascere sensi di colpa, biasimo e altri turbamenti emotivi.

    Quando ho perduto l’udito, certi amici armati di buone intenzioni e persino alcune persone che mi conoscevano a malapena mi hanno detto cose come: Talvolta le malattie sono create da noi. Hai riflettuto su ciò che non vuoi udire?. Altri mi hanno chiesto se la perdita dell’udito fosse legata allo stress e altri ancora se fosse la

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