Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Gli insospettabili (eLit): eLit
Gli insospettabili (eLit): eLit
Gli insospettabili (eLit): eLit
E-book365 pagine4 ore

Gli insospettabili (eLit): eLit

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

La tranquilla casa al mare di un'amica in Virginia, perfetta per lasciarsi ogni problema alle spalle. Un rifugio dove potersi isolare per recuperare le energie e ritrovare l'equilibrio. Avrebbe dovuto essere il luogo ideale per Alicia Miller per staccare e prendere una pausa dalla propria vita ingarbugliata. Finché un giorno esce con il suo kayak e sparisce nel nulla. Quando viene ritrovata morta a bordo dell'imbarcazione, si pensa subito a un incidente. O a un suicidio. Ma Quinn Harlowe, l'amica che la ospitava, non ne è affatto convinta, e i suoi dubbi sono condivisi da Huck McCabe, che lavora sotto copertura per la Breakwater, società di sicurezza che ha sede nelle vicinanze della casa di Quinn. L'attrazione che provano subito l'uno per l'altro non è una cosa facile da gestire per un agente in incognito. Ma entrambi non sono disposti a rinunciare a niente. Né all'amore né alla verità.
LinguaItaliano
Data di uscita28 feb 2017
ISBN9788858966488
Gli insospettabili (eLit): eLit
Autore

CARLA NEGGERS

New York Times bestselling author Carla Neggers is always plotting her next adventure, whether in life or for one of her books. Her fertile imagination and curious nature make her ready for anything. It is also these qualities that sparked her love of reading as a child and continue to drive her passion for storytelling today. With her trademark blend of action, suspense and down-to-earth, realistic characters caught up in extraordinary circumstances, her novels never fail to take her readers on an exciting journey. Carla began writing as a youngster, when she'd grab a pad and pen and climb a tree to spin her stories. Growing up in western Massachusetts, she is the third of seven children. Just before she was born, her Dutch immigrant father and Southern-born mother packed up the car with two kids and all their belongings and headed north to start a new life. They settled in an eighteenth-century carriage house on ninety acres and began a long process of renovation. After graduating as valedictorian of her high school class, she went on to major in journalism at Boston University, graduating magna cum laude. She enjoyed a brief stint as an arts and entertainment writer, then turned to writing fiction full-time and now has more than fifty books to her credit. Travel and research both play a large part in Carla's writing. She can often trace the germination of a plot to the exact moment of inspiration. “It's part of the fun of being a writer—you never know what will spark an idea. For example, on a trip to the Netherlands some years ago, we did a tour of a canal-like waterway,” she says. “I kept thinking—what would happen if a dead body floated by? What if it was an American? It's the way my mind works—around me, everyone else was admiring the quaint countryside. I was devising a murder.” Once a plot is hatched, the real researching begins. Her novels have taken her atop the northeast's highest peaks, onto a shooting range with a police academy instructor and across the world as she scouts out locations and seeks the authenticity that imbues her novels. The author's greatest pleasure comes in those moments when she feels she's gotten the story just right—when it all comes together on the pages of her book, exactly the way she's envisioned the tale in her mind. Then, when readers connect with the story, her satisfaction is complete. “Everything comes down to the finished book,” says the author. “When I hear from a reader that the story resonated, and that he or she had a great time reading it, I know I've done my job and done it well.” When she's not working on her next book, Carla enjoys traveling, hiking and kayaking. She's set out to become a “four-thousand-footer” by climbing all forty-eight peaks over four-thousand feet in the New Hampshire White Mountains, and she's always planning the next trip—and the next adventure—either of which just might inspire a new story. Carla lives in Vermont, where she and her husband have recently renovated their mountain house not far from picturesque Quechee Gorge. 

Autori correlati

Correlato a Gli insospettabili (eLit)

Ebook correlati

Narrativa romantica di suspense per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Gli insospettabili (eLit)

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Gli insospettabili (eLit) - CARLA NEGGERS

    successivo.

    1

    Quinn Harlowe rinunciò a tentare di concentrarsi e pigiò alcuni tasti del suo notebook, salvando il file su cui stava lavorando.

    Battuta da un libro dell'alfabeto, pensò, sorridendo al bambino arrampicatosi, con il volume in mano, sulle ginocchia di sua madre al tavolo vicino. Lui le indirizzò una smorfia e si voltò dall'altra parte. La madre, rossa di capelli e ben vestita, non parve notarlo e continuò a leggere.

    Era solo alla B. C'era ancora un bel pezzo di alfabeto.

    Bevve un sorso del suo espresso. La scaletta del workshop che avrebbe tenuto all'Accademia dell'FBI il mese seguente avrebbe dovuto aspettare. Ma non le importava. Era solo l'una di un perfetto lunedì pomeriggio di inizio aprile, e non doveva rendere conto a nessuno. Poteva lavorare la sera, se necessario. Perché non marinare il lavoro per un'ora?

    Pensando che avrebbe fatto più fresco, quel giorno, aveva indossato un leggero golf di cachemire nero, che adesso le teneva troppo caldo. Per lo meno si era raccolta i capelli, neri quasi quanto il golf, e si era truccata solo il minimo indispensabile.

    Quattro minuscoli tavolini, ciascuno con due sedie, e una fila di grossi vasi pieni di viole del pensiero costituivano quello che voleva essere il patio del piccolo caffè a pochi passi dal suo ufficio. Nonostante il tempo splendido, lei, la madre e il bambino erano i soli clienti seduti all'aperto. Gli altri due tavoli erano liberi.

    Washington, pensò Quinn, non era mai bella come all'inizio della primavera.

    Represse l'impulso di andarsene a Potomac Park a vedere i ciliegi. Ci sarebbe voluto l'intero pomeriggio. Anche i nativi del luogo, come lei, non potevano resistere al breve, incredibile spettacolo dei delicati fiori rosa dei più di trecento ciliegi giapponesi allineati lungo il Tidal Basin a Potomac Park. L'annuale National Cherry Blossom Festival, che attirava turisti da tutto il mondo, stava finendo. Nel breve spazio di un giorno o due i fiori sarebbero spariti.

    La madre era arrivata alla lettera D. Quinn si chiese quale sarebbe stata la parola.

    Dinosauro.

    Diede un morso al proprio croissant. La farcitura al cioccolato era morbida, ma non sciolta. Una concessione alla gola. A pranzo avrebbe mangiato un'insalata.

    «Quinn! Quinn!»

    Sorpresa, lei alzò gli occhi, facendo cadere le briciole sul notebook mentre cercava di vedere chi l'aveva chiamata.

    «Quinn!»

    Alicia Miller attraversò correndo la strada, diretta verso il piccolo patio. Invece di fare il giro per entrare dall'apertura vicino all'ingresso del caffè, passò fra due vasi, battendo le ginocchia.

    «Ho bisogno del tuo aiuto... per favore.»

    Quinn si alzò subito in piedi.

    «Ma certo, Alicia» disse, calma. «Vieni, siediti. Dimmi che cosa sta succedendo.»

    Respirando a fondo, Alicia inciampò su una sedia vuota e si avvicinò al tavolino di Quinn.

    «Non posso... devi aiutarmi.» Sembrava avere difficoltà a pronunciare le parole. «Non so che altro fare.»

    «Alicia... mio Dio, che è successo?»

    Le lacrime avevano incollato ciocche di fini capelli biondi alle guance di Alicia. Il viso era innaturalmente arrossato. Gli occhi turchese erano orlati di rosso, sbarrati, e guardavano intorno ansiosamente.

    La donna al tavolo vicino chiuse il libro e afferrò il figlio attorno alla vita, pronta a svignarsela.

    Quinn cercò di rassicurarla.

    «È tutto a posto. Alicia è una mia amica.»

    Ma la donna, palesemente non tranquillizzata, raccolse la costosa borsa, prese in braccio il figlio, tolse con il piede il freno al passeggino e lo spinse davanti a sé attraverso l'apertura, in fondo alla fila di vasi.

    Il bambino indicò il tavolo.

    «Il mio libro!»

    «Te ne comprerò un altro.»

    Lui strillò, risentito, ma la donna non rallentò il passo fino a quando non raggiunse il marciapiede. Mise il bambino sul passeggino, si gettò la borsa sulla spalla e si allontanò.

    Alicia non parve notare l'impatto che aveva avuto su madre e figlio. Non doveva essere andata al lavoro, quel giorno. Non in quello stato, pensò Quinn, preoccupata per l'amica. Si conoscevano fino da quando avevano frequentato insieme l'Università della Virginia e si erano tenute sporadicamente in contatto dopo che Alicia era tornata a casa, a Chicago. Un anno prima Alicia era ritornata per lavorare al Dipartimento di Giustizia, dove Quinn era analista. Il trasferimento non aveva giovato alla loro amicizia quanto aveva sperato, specialmente dopo che Quinn aveva lasciato il Dipartimento, in gennaio. Aveva prestato ad Alicia il suo cottage a Chesapeake Bay per almeno cinque fine settimana di fila, ma non una volta lei l'aveva invitata a raggiungerla, neppure per un pomeriggio.

    Quinn sospettò che Alicia venisse direttamente dal cottage. Odorava d'acqua salata e indossava un maglione di cotone blu, jeans e sandali sportivi che sembrava fossero stati bagnati di recente.

    Di tutti gli amici ed ex colleghi di Quinn, Alicia Miller era quella da cui meno ci si sarebbe aspettati una scenata.

    «Ti prego, ho bisogno di...» Alicia artigliò il braccio di Quinn, facendo un visibile sforzo per concentrarsi su ciò che stava dicendo. «Ho bisogno di parlare con te.»

    Quinn toccò la mano fredda dell'amica.

    «Okay, possiamo parlare. Sediamoci...»

    Alicia chiuse gli occhi.

    «Non riesco a pensare.»

    «Che cosa posso fare per aiutarti?»

    Gli occhi di Alicia si riaprirono di colpo.

    «Niente! Nessuno può fare niente, adesso. Il falco pescatore...» Si passò le mani sul viso, rigato di nuove lacrime. «Ho visto un falco pescatore fare a pezzi un anatroccolo. Credo che sia stato lo scorso fine settimana. È stato orribile. Quel povero piccolo...»

    «Mi dispiace. Sono uccelli da preda, perciò sono cose che succedono, ma non è piacevole a vedersi.» Quinn mantenne un tono calmo. «Posso farti portare una tazza di caffè... qualcosa?»

    «Tu stai lavorando...»

    Quinn allungò una mano e chiuse il notebook.

    «Non proprio. È una bellissima giornata. Stavo resistendo alla tentazione di andare a Tidal Basin a vedere i ciliegi in fiore. Non dureranno ancora molto nel pieno della fioritura.»

    Alicia borbottò qualcosa di incomprensibile. Sembrava che non riuscisse a stare ferma o a smettere di agitare nervosamente le mani. Quel comportamento andava oltre un po' di stress dovuto al lavoro. Sembrava sull'orlo di un crollo totale. Staccò di colpo la mano dal braccio di Quinn.

    «Non posso... non so che cosa fare.»

    «A che proposito? Il falco pescatore? Alicia...» Quinn esitò, temendo di dire la cosa sbagliata. «Perché non andiamo nel mio ufficio? Là potremo parlare.»

    Alicia parve non sentirla.

    «Il falco pescatore, il falco pescatore. Quinn, il falco pescatore.» Affondandosi le dita fra i capelli, Alicia respirò a fondo tre volte, rapidamente. Le lacrime le scorrevano lungo le guance. «Il falco pescatore mi ucciderà.»

    Alicia si irrigidì come se facesse uno sforzo per impedirsi di frantumarsi in mille pezzi. I suoi movimenti erano scoordinati, a scatti. Negli ultimi mesi era stata decisamente irrequieta. Diceva di essere alla ricerca, nella vita, di qualcosa di più del lavoro, la prossima promozione, il successo. Solo, non sapeva che cosa. I fine settimana sulla baia avrebbero dovuto, in teoria, aiutarla a stabilirlo.

    «Alicia, almeno lascia che ti accompagni al tuo ufficio. Là qualcuno potrà aiutarti...»

    «No!» Alicia indietreggiò di un passo, andando a urtare il tavolino con un sussulto. «Non posso... non posso pensare.»

    Agitò la mano in aria, come se stesse cercando di scacciare qualcosa che le volava attorno. Il falco pescatore che uccideva un anatroccolo l'aveva traumatizzata fino a quel punto? Quinn avvicinò la borsa portadocumenti, dove teneva il cellulare. Se necessario avrebbe chiamato il 911.

    «Nessuno sa che sono qui con te. Non l'ho detto a nessuno.» Alicia abbassò la voce in un bisbiglio da cospiratore, ma sembrava incapace di smettere di muoversi. «Non a un'anima.»

    Quinn provò un'ondata di impotenza.

    «Alicia, che cosa succede? Cerca di rilassarti...»

    «Non parlare di me con nessuno.» Gli occhi di Alicia parvero farsi più limpidi, e tutto il suo corpo si irrigidì. Respirò a fondo. «Ti prego, non parlarne con nessuno.»

    «Okay.»

    «Promettimelo.» Ma Alicia non aspettò una risposta e sussurrò. «Non sono me stessa. Io... io so di non esserlo.»

    Ivan Andropov, l'immigrato russo proprietario del caffè, uscì nel patio con il suo grembiule bianco da cuoco, con un cellulare in mano.

    «Che sta succedendo? Chiamo la polizia...»

    Alicia sussultò e schizzò via, rovesciando una sedia e passando a fatica fra due vasi.

    Quinn fece un cenno con la mano a Ivan, mentre scavalcava i vasi. I suoi dieci centimetri di tacco non erano adatti a scatti improvvisi quanto i sandali sportivi di Alicia.

    «Non chiami la polizia, Ivan. È una mia amica.» Corse sul marciapiede, ma Alicia era già all'angolo. «Alicia! Aspetta. Nessuno chiamerà la polizia.»

    Alicia non guardò neppure indietro. All'incrocio, una lucente berlina nera si fermò accanto a lei. Somigliava a metà delle macchine di Washington.

    La portiera posteriore dal lato del guidatore si aprì.

    Alicia balzò dentro e la portiera si richiuse immediatamente. I finestrini oscurati la nascosero alla vista mentre la macchina riprendeva velocità.

    Quinn scalciò via le scarpe e corse, ma quando raggiunse l'angolo la macchina era sparita. Non aveva individuato un solo numero della targa, e aveva visto solo di sfuggita il guidatore.

    Chi aveva aperto la portiera posteriore?

    Se Alicia non aveva detto a nessuno che era là, come aveva fatto la macchina a trovarla? Ne aveva noleggiata una per la giornata? Ma noleggiare una macchina sembrava al di là delle sue capacità. Fisicamente ed emotivamente non sembrava in condizioni di fare molto di sua iniziativa.

    Quinn tornò al caffè. Notebook e borsa erano sul tavolino dove li aveva lasciati. Prese il libro dell'alfabeto abbandonato e lo portò a Ivan, che la guardava corrucciato dalla porta del caffè, a braccia conserte. Era sulla quarantina, con un viso rotondo e gioviale, ma non amava le scenate.

    Prese il libro e brontolò: «Non torneranno mai».

    «Ha chiamato la polizia?»

    Lui scosse la testa.

    «Non mi piace la polizia. Questa amica...» Ivan parve esagerare l'accento russo. «È pazza?»

    «No. So che lo sembrava, poco fa, ma no, non è pazza. Non ci vediamo più molto, ultimamente... dopo che ho lasciato il Dipartimento di Giustizia.»

    Ivan spalancò gli occhi.

    «È un avvocato?»

    «Sì, ma non ha più messo piede in un tribunale dopo la laurea. Sono sicura che non è andata in ufficio oggi, nello stato in cui era.» E nel modo in cui si comportava, aggiunse Quinn fra sé. «Le ho prestato il mio cottage negli ultimi fine settimana. Diceva di essere un po' stressata dal lavoro.»

    «Un po'?»

    «Forse più di quanto mi fossi resa conto.»

    Quinn sentì i capelli sfuggire alle forcine, ma non se ne curò. Si era lasciata alle spalle l'atmosfera da pentola a pressione del lavoro al Dipartimento di Giustizia perché voleva più normalità nella propria vita. La flessibilità del lavoro autonomo. Un ritmo meno frenetico per le sue giornate, o almeno un ritmo che potesse controllare lei stessa, anziché subirlo come un'imposizione.

    Mentre la maggior parte dei suoi amici aveva approvato il fatto che avesse lasciato il Dipartimento, Alicia l'aveva visto come un affronto personale, un tradimento non solo della loro amicizia, ma delle ambizioni che avevano condiviso, nonostante le differenze di lavoro e di interessi.

    «Non avrei mai immaginato...» Quinn non sapeva che altro dire. «Lo giuro, Ivan. Quello che è successo poco fa con Alicia non è affatto da lei.»

    «Droga» sentenziò lui, lasciando ricadere le braccia.

    Quinn non lo contraddisse.

    2

    Incastrata fra i sedili, sul pavimento della Lincoln, Alicia si contorceva e singhiozzava. Non pronunciava parole precise, almeno, niente che Steve Eisenhardt riuscisse a distinguere. Era seduto dietro con lei, cercando di non dare a vedere ai due tizi sul sedile anteriore - che fra sé lui chiamava i nazisti - quanto fosse turbato.

    Steve lavorava al Dipartimento di Giustizia con Alicia, era suo amico. Se avesse potuto fare a modo proprio, sarebbe stato più di un amico. Ultimamente, però, non aveva potuto fare tanto spesso di testa sua.

    Eppure anche ora, dopo che l'aveva tradita consegnandola ai farabutti seduti lì davanti, Steve stava scoprendo che avrebbe voluto salvarla. Non si era mai sentito così impotente. I suoi disgustosi genitori, i suoi tediosi anni alla facoltà di legge, il suo panico di non superare l'esame di stato... niente, nel suo passato poteva neppure lontanamente essere paragonato al pasticcio in cui si trovava ora.

    Aveva stretto un patto con il diavolo. E adesso il diavolo era venuto a riscuotere.

    Alicia scalciò contro i suoi stinchi in uno spasmo che sembrava incapace di controllare. Era notevolmente peggiorata nei cinque minuti da quando era salita sulla macchina. Era più agitata, più incoerente. In condizioni normali, sarebbe stata inorridita di vedersi in quello stato. Era una bellezza fredda, distaccata, un legale in gamba, la figlia adorata di due medici di Chicago. Lui non aveva mai avuto la minima possibilità con lei. Era stato assunto al Dipartimento di Giustizia due mesi prima, uno dei tanti avvocati ambiziosi, ricchi di denaro ereditato e legami politici. Alicia si confidava con lui, lo consigliava su come ridurre la sua arroganza e gli accordava la sua amicizia, ma non lo avrebbe mai considerato un potenziale amante. Non era male, come aspetto, ma non era neppure un adone. Secondo i criteri di Washington, era un tipo piuttosto ordinario. E Alicia Miller non era interessata all'ordinario.

    Adesso il suo atteggiamento l'aveva cacciata in guai seri.

    Steve si chinò in avanti verso il sedile anteriore.

    «Se le succede qualcosa, e la polizia fa un controllo su questa macchina, è meglio che voi bastardi abbiate il numero di un buon avvocato.» Riteneva di apparire relativamente calmo, anche se la sua voce era un po' più acuta del normale. «Il suo DNA è dappertutto, qui dietro.»

    Nessuna risposta dai due gorilla. Steve non sapeva per chi lavorassero. Aveva alcune idee, ma non voleva dettagli. Il guidatore aveva un aspetto da SS. L'altro sembrava uscito da un manifesto della Gioventù Hitleriana. Non poteva avere più di vent'anni. Entrambi avevano corti capelli a spazzola, spalle da lottatore, mascelle squadrate, una quantità di boria e nessun senso dell'umorismo. Steve affrontava la tensione con l'aiuto dell'umorismo. Quei bastardi no.

    Il tipo SS accostò su un lato di Pennsylvania Avenue e si voltò a guardare Steve. Lui non ne conosceva il nome. Non voleva conoscerlo. Gli occhi giallastri del bastardo sarebbero bastati da soli a terrorizzare un morto.

    «Fuori. Torna alla tua scrivania. Tu non sai niente.»

    «Maledettamente vero.»

    Neppure l'ombra di un sorriso.

    «Ci terremo in contatto.»

    «Io ho fatto la mia parte. Non potete...»

    Anche il tipo Gioventù Hitleriana si voltò a incenerire Steve con lo sguardo.

    «Fuori. Subito.»

    Lui non si mise a discutere. Non chiese che cosa ne sarebbe stato di Alicia. Aveva ricevuto una telefonata sul cellulare durante l'ora di pranzo che gli ordinava di trovarsi in Pennsylvania Avenue entro dieci minuti. L'oppure era implicito. Non era stato minacciato di percosse o di morte. Non ancora. Finora l'unica minaccia era stata la fine della sua carriera, la pubblica umiliazione, l'arresto, e forse la prigione.

    I bastardi avevano delle foto di lui e della figlia quindicenne di un importante membro del Congresso.

    Obbedendo alle istruzioni, Steve era corso all'appuntamento, arrivando in meno di dieci minuti. La Lincoln l'aveva preso a bordo ed era ripartita in direzione di Dupont Circle. Alicia stava vagando per Washington, e il suo compito era farla salire in macchina. Si fidava di lui. Se l'avesse visto, avrebbe collaborato.

    Avevano ragione, naturalmente, cosa che Steve trovava solo marginalmente confortante. Se doveva essere ricattato da due gorilla nazisti, voleva che fossero gorilla nazisti in gamba, che non si lasciassero prendere, facendo scoprire anche lui. Avrebbe obbedito ai loro ordini e sperato che se ne andassero, una volta che non avessero più avuto lavori sporchi da affidargli.

    Quando aveva scorto Quinn Harlowe, aveva provato un momento di panico. Quinn era una studiosa di storia, non un avvocato, ma gli Harlowe erano famosi per notare ogni maledetta cosa. Ficcavano il naso, facevano domande, si buttavano a capofitto nel pericolo. Quinn sosteneva di non somigliare ai suoi antenati, ma era solo che non voleva riconoscerlo. Non aveva lasciato un lavoro sicuro per mettersi in proprio, a trentadue anni? Non le era neppure passato per la mente che avrebbe avuto bisogno ancora di qualche anno di lavoro stipendiato, che poteva semplicemente fallire e perdere anche la camicia.

    Secondo l'opinione di Steve, le persone coraggiose facevano fare cattiva figura ai codardi come lui, e spesso si cacciavano nei guai.

    Doveva ammettere che la situazione in cui si trovava ora era solo colpa sua. Era stato stupido e debole.

    Per fortuna, i vetri oscurati della macchina avevano impedito a Quinn o a chiunque altro di vedere il sedile posteriore, e i nazisti, esperti, si erano mossi rapidamente.

    Ma Steve sapeva che sarebbe morto con impressa a fuoco nel cervello l'immagine dell'espressione di sollievo di Alicia che si trasformava in orrore quando aveva visto i due uomini sul sedile anteriore, e si era resa conto che lui l'aveva tradita.

    La berlina si fermò il tempo appena sufficiente per farlo scendere, poi proseguì per Pennsylvania Avenue, diventando solo una qualunque Lincoln nelle strade congestionate di Washington. Il famigerato traffico della capitale era ancora peggiore durante la stagione della fioritura dei ciliegi. Le annuali due settimane di follia sarebbero presto finite. Con un po' di fortuna, pensò Steve, sarebbe finito anche il suo mese da incubo.

    Si rassettò la giacca e la cravatta e si asciugò la fronte con il fazzoletto. Per la camicia fradicia non poteva fare nulla. Aveva sudato come un maiale da quando era arrivata la telefonata di quei due. Per fortuna non aveva avuto il tempo di mangiare, altrimenti ormai avrebbe vomitato il pranzo.

    Rallentò il passo avvicinandosi all'imponente sede neoclassica del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, un massiccio edificio che occupava l'intero isolato fra Pennsylvania Avenue e Constitution Avenue. La sua eccitazione al pensiero di lavorare alle dipendenze del sottosegretario alla giustizia Gerard Lattimore in persona era sfumata in quei due mesi. Adesso aveva non solo tradito Alicia, la sua sola vera amica al Dipartimento, ma anche le centinaia di superbi, onorati colleghi, macchiati dalle sue azioni.

    Ma lui era un'aberrazione. Infido, indegno. Feccia. Aveva saputo ciò che stava facendo, sia con la figlia minorenne del parlamentare, sia con Alicia. Con la ragazza si era trattato di gratificazione sessuale. Con Alicia... di salvarsi la pelle. Almeno, con le scappatelle sessuali poteva razionalizzare il proprio comportamento, convincendosi che recavano danno soltanto a lui.

    Ma dopo avere visto Alicia che gemeva e si contorceva, imprigionata tra i sedili della macchina, non poteva più farsi illusioni.

    I due nazisti non possono avere alcun motivo di volerla morta.

    Steve arrivò al suo cubicolo. A chi diamine cercava di darla a intendere? I bastardi erano due fanatici. Non aveva dubbi che avrebbero ucciso chiunque intralciasse loro la strada. Alicia. Lui. Non sapeva in che modo Alicia avesse pestato loro i piedi. Non voleva saperlo. Ma era chiaro che l'aveva fatto.

    Nella sua casella vocale c'era un messaggio di Quinn Harlowe. Il cuore gli batteva all'impazzata mentre ascoltava la sua voce tesa, controllata, che gli chiedeva di chiamarla il prima possibile.

    Controllò il cellulare. Aveva lasciato un messaggio anche là. La richiamò.

    Lei rispose al primo squillo.

    «Oh, Steve, grazie per avermi telefonato. Senti, so che tu e Alicia siete diventati molto amici ultimamente... L'hai per caso incontrata questo pomeriggio?»

    «Non l'ho vista per tutto il giorno. A quanto ne so non è venuta in ufficio. Credevo che fosse ancora al tuo cottage. Che cosa succede?»

    «L'ho vista circa mezz'ora fa. Stavo prendendo un caffè poco lontano dal mio ufficio, ed è piombata qui. Era sconvolta per qualcosa e voleva parlarmene, ma è corsa via prima che potessi capire che cosa le era successo.»

    «Perché è corsa via?»

    «Il proprietario del caffè ha frainteso la situazione e ha minacciato di chiamare la polizia.»

    Steve sentì di nuovo il sudore bagnargli la fronte. La polizia.

    «Però non l'ha fatto?»

    «No.»

    Quinn non era il tipo da fare colpi di testa, quale che fosse il senso di urgenza che provava. Ed era leale con Alicia. La loro amicizia poteva essersi logorata, forse essere prossima a finire, ma non avrebbe mai rivelato dettagli compromettenti sulle condizioni di Alicia senza sapere qualcosa di più concreto.

    «Alicia non è più lei in queste ultime settimane» disse Steve. «È stressata. Tutti dicono che qui non è più stato lo stesso da quando te ne sei andata... Non che sia colpa tua se è tesa, ovviamente. Che vuoi che faccia?»

    «Passerò da casa sua a vedere se è là. Non voglio peggiorare le cose. Se n'è andata prima che riuscissi a farmi dire qualcosa... o almeno qualcosa che avesse senso.»

    Bene, pensò Steve. Quinn non dava importanza, o quanto meno non riusciva a dare un senso a ciò che le aveva detto Alicia. Si schiarì la gola.

    «Mi dispiace che fosse così turbata.»

    «Anche a me. Se si fa viva lì, o telefona, me lo farai sapere?»

    «Assolutamente.» La camicia bagnata era fredda, adesso. «Se c'è qualcos'altro che posso fare, chiamami.»

    Quinn lo ringraziò, promise di tenersi in contatto se avesse avuto notizie e riattaccò.

    Steve si abbandonò contro lo schienale e lottò contro le lacrime. Diavolo, era proprio un farabutto. Aveva incontrato un paio di volte Quinn a qualche riunione fra colleghi dopo il lavoro... per lei, ex colleghi. Aveva senso dell'umorismo e benché fosse molto in gamba nel suo lavoro non era calcolatrice o eccessivamente ambiziosa, difetti così comuni a Washington.

    Ovunque i nazisti stessero portando Alicia, qualunque fosse stata la sua trasgressione nei loro confronti, desiderò di poter credere che sarebbe finito tutto bene.

    Non dipende più da me.

    L'avviso sonoro della sua agenda elettronica tintinnò. Cinque minuti alla riunione pomeridiana. Steve non riusciva neppure a ricordare quale fosse l'argomento. Lattimore sarebbe stato presente?

    Imprecando fra sé, aprì una bottiglia d'acqua e la bevve tutta d'un fiato. Si sentì meglio, e tornò a lavorare per il bene del popolo americano.

    3

    C'era qualcosa che non andava.

    Huck McCabe si fermò per fare un po' di stretching, dopo un paio di chilometri della sua corsa di metà pomeriggio. Era giunto alla fine di una stretta strada, una breve deviazione di quella che girava attorno al piccolo paese di Yorkville a Chesapeake Bay, Virginia. Nelle quarantotto ore da che era là, Huck aveva scoperto che aggirarsi per il pittoresco villaggio non richiedeva particolari doti di orientamento. C'era una strada principale lungo cui si allineavano graziosi negozi e un'antiquata tavola calda. C'era il lungomare, con una quantità di modesti cottage. C'erano un paio di porticcioli e un gruppetto di ristoranti che servivano ciascuno la propria speciale ricetta di famiglia di frittelle di granchio, e tre negozi di articoli per la pesca che offrivano tutto ciò di cui un pescatore potesse avere bisogno per qualunque evenienza, da un fine settimana a un'intera vita a Chesapeake Bay.

    Non c'erano case grandi e prestigiose, a Yorkville. La maggior parte, prime o seconde case che fossero, erano state costruite negli anni Quaranta e Cinquanta. Se avesse governato la città per un giorno, Huck avrebbe vietato le recinzioni a rete. Sembrava che tutte le case ne avessero una, e lui le trovava maledettamente brutte. L'unica, vera macchia in un paese per il resto così grazioso.

    Il cottage in cui Alicia Miller aveva passato il fine settimana era la seconda di due piccole, vecchie costruzioni sulla strada chiusa. Non aveva recinzione. Il portico anteriore era abbastanza basso da non avere bisogno di una balaustra, consentendo una vista indisturbata dell'acqua dalle sue linde poltroncine bianche di vimini.

    Huck aveva notato che non c'erano macchine nel breve vialetto sterrato. E neppure c'era alcun segno di vita all'interno, benché non si fosse spinto fino a bussare alla porta principale o a quella laterale, o a sbirciare dalle finestre.

    Finì i suoi esercizi di stretching. Avrebbe potuto evitarli, ma gli offrivano una scusa per controllare la zona. La strada finiva in una palude salata. Su un lato della marcita, circa cinquecento metri più avanti, sulla baia, c'era Breakwater, conosciuto localmente come il Complesso Crawford, cento acri di terreno sul mare di proprietà del ricco imprenditore di Washington Oliver Crawford. Crawford aveva fatto la propria fortuna nel mercato immobiliare e aveva comprato Breakwater

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1