Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Amore a sorpresa
Amore a sorpresa
Amore a sorpresa
E-book159 pagine2 ore

Amore a sorpresa

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

L'ostetrica Ally Parker non ha mai messo radici in alcun luogo e ha sempre vissuto benissimo così. Ex bambina in affido, è sempre stata abituata a spostarsi e, una volta cresciuta, non ha cambiato abitudini. Anche questo incarico al Melbourne Maternity è temporaneo, o almeno così credeva prima di incontrare il suo capo, il dottor Flynn Reynolds, sexy, carismatico e... padre single! Flynn e il suo adorabile bambino hanno conquistato il cuore di Ally e l'hanno convinta a rimanere in zona più del previsto. Riusciranno a persuaderla di aver trovato finalmente una famiglia a cui appartenere?
LinguaItaliano
Data di uscita10 feb 2021
ISBN9788830525511
Amore a sorpresa

Leggi altro di Sue Mackay

Autori correlati

Correlato a Amore a sorpresa

Ebook correlati

Narrativa romantica per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Amore a sorpresa

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Amore a sorpresa - Sue Mackay

    978-88-3052-551-1

    1

    Alyssa Parker lasciò cadere le borse nel mezzo del salotto e guardò quella che sarebbe stata la sua abitazione temporanea. Poteva vedere quasi tutto l'appartamento con un unico sguardo circolare. Spolverare e passare l'aspirapolvere non avrebbero rubato molto del suo tempo libero, come era successo nell'ultimo posto in cui era stata. Le toccava trovare qualcos'altro per tenersi occupata, dopo il lavoro. Fare la maglia? Adottare un cane e portarlo a passeggio?

    Il suo telefono squillò, lo estrasse dalla tasca e lesse il nome sullo schermo prima di rispondere. «Ehi, capo, sono arrivata a Phillip Island.» Il viaggio in autobus da Melbourne fino alla costa meridionale era stato interminabile, ma l'aria fresca sul traghetto le aveva schiarito le idee.

    «Come va la testa?» le domandò Lucas Elliott, il capo ostetrico.

    «Bene, adesso. Con chi hai parlato?» Lei e alcuni membri dello staff dell'unità di Ostetricia di Melbourne erano usciti a bere la sera prima della sua partenza e forse avevano esagerato un po' con l'alcol.

    «Le mie labbra sono sigillate» la prese in giro Lucas. «Phillip Island, dunque, un altro posto da spuntare sulla mappa.»

    «Sì.» La vita di Alyssa era un turbinio di nuove destinazioni ed esperienze, tutto l'opposto della routine giornaliera che la maggior parte delle persone sceglieva di condurre.

    «Com'e l'appartamento?»

    «Circa delle dimensioni di una cuccia per cani.» Girandosi su un lato, Ally scrutò quella che sembrava una credenza troppo cresciuta. «È un'esagerazione chiamare questa una cucina. Ma, ehi, fa tutto parte dell'avventura.» Preferiva i pasti take away, in ogni caso.

    «Sei soddisfatta della sistemazione? So che apprezzi sempre qualunque posto in cui ti mandiamo, ma questo dovrebbe essere il migliore, con tutte quelle spiagge su cui giocare.»

    «Se non l'avessi notato, è inverno» sottolineò lei. «Ma finora l'isola mi sembra bella.»

    La risata di Lucas risuonò chiara e contagiosa. «Ti lascio disfare i bagagli e prendere confidenza col posto. Ti aspettano in clinica alle otto e mezzo di domattina. Il dottor Reynolds vuole discutere alcuni dettagli con te, prima di iniziare con la lista prenatale di lunedì.»

    «Come per ogni lavoro di supplenza che ho fatto, insomma.» Erano due anni che Ally lavorava come rimpiazzo temporaneo e quello stile di vita era perfettamente consono con il suo desiderio di spostarsi di frequente, nonché l'unica ragione per cui continuava a lavorare per l'unità di Ostetricia di Melbourne. Le avevano offerto più volte un impiego a tempo indeterminato presso qualche ospedale, ma lei aveva sempre declinato. Un posto fisso implicava uno stretto contatto sempre con gli stessi colleghi, e i giorni in cui aveva permesso a chiunque, amico, collega o amante, di piantarla in asso erano finiti.

    Per la precisione, dal giorno in cui aveva compiuto sedici anni e assunto il controllo della propria vita, uscendo dall'edificio dei servizi sociali per non farvi mai più ritorno. Non le importava di avere pochi soldi e nessuna idea su come sarebbe sopravvissuta; essere responsabile di se stessa era una sensazione meravigliosa. Da allora nessuno più aveva deluso le sue aspettative, perché era padrona del proprio destino e aveva smesso di desiderare l'amore di una famiglia.

    «Sto diventando pedante» si scusò Lucas, ancora in linea. «Volevo solo assicurarmi che andasse tutto bene.»

    Ad Ally non piaceva che gli altri si preoccupassero per lei, ma Lucas era fatto così e l'attenzione che mostrava per tutte le persone con cui lavorava le dava suo malgrado un senso di appartenenza al gruppo.

    «Farò una passeggiata per orientarmi e individuare la clinica non appena avrò disfatto le valigie» spiegò. Il giorno dopo avrebbe cominciato a lavorare.

    «La tua abilità nella lettura delle mappe potrebbe essere messa alla prova» scherzò lui, ridendo di nuovo. «Ti lascio a sistemarti. Ci sentiamo fra quattro settimane, a meno che non ci siano problemi.»

    Ally infilò il telefono in tasca, si diresse in camera e posò una borsa sul letto. Almeno era un letto matrimoniale. Non che avesse un uomo con cui condividerlo, non ancora, almeno. Chi poteva dirlo? Con tutti quei chilometri di spiagge magari c'era qualche bel surfista disponibile per un'avventura senza impegno. L'inverno non fermava tipi del genere: esistevano le mute, dopotutto!

    Dopo aver sistemato in un angolo della stanza la borsa più piccola, piena di libri e DVD, posò le mani sui fianchi e si guardò intorno. Erano le quattro del pomeriggio e lei non aveva niente da fare. Una volta che avesse cominciato a lavorare sarebbe andato tutto bene, ma le prime ore in un posto nuovo la facevano sempre sentire irrequieta. Non era casa sua e non conteneva i suoi beni più preziosi.

    A pensarci bene, però... Aprì la borsa da viaggio e ne estrasse due statuette d'argento, che sistemò sull'unico scaffale del soggiorno. «Ciao ragazzi, benvenuti a Phillip Island.» Con la punta delle dita tracciò il contorno dei due cuccioli. Se un giorno avesse avuto un cane vero, sarebbe stato di certo uno Springer Spaniel come quei due. Anzi, due cani, perché uno si sarebbe sentito solo.

    Ally non aveva perdonato i Bartlett, che le avevano regalato le statuette il giorno in cui le avevano spezzato il cuore, al pari della promessa che le avevano fatto di volerle bene per sempre. Aveva avvolto i due cagnolini in una scatola di cioccolatini vuota che aveva seppellito nel giardino della famiglia. Quel dono era il premio di consolazione per averla abbandonata, ma un giorno in cui si era sentita particolarmente depressa era sgattaiolata nel giardino e se li era ripresi. Da allora l'accompagnavano ovunque andasse, come talismani che le davano forza.

    Aver dato una collocazione alle statuette non rendeva suo quell'appartamento. Ogni volta che si trovava in un posto nuovo senza nulla da fare per qualche ora, veniva tormentata dalle domande. Come ci si sentiva a possedere una casa, un luogo a cui fare ritorno la sera? Si sarebbe sistemata se avesse trovato un uomo che l'amasse in modo incondizionato?

    La risposta era sempre la stessa. Un uomo del genere non esisteva.

    Stanca di rimuginare, si vestì per uscire, alla ricerca di un bar decente in cui prendere un caffè. Nel frattempo si sarebbe data un'occhiata in giro per stabilire dove fossero i ristoranti che facevano servizio di take-away.

    Il caffè si rivelò eccellente e lei svuotò il contenuto del bicchiere di carta prima di gettarlo e dirigersi alla spiaggia. Era una lunghissima striscia di sabbia dorata, che calciò con la punta dei piedi mentre guardava il mare. Alcuni bambini giocavano a pallone e un idiota si era avventurato in acqua, solo per uscirne un attimo dopo lamentandosi a gran voce del freddo.

    Ally estrasse il cellulare dalla tasca e chiamò l'unità di Ostetricia di Melbourne, felice che a risponderle fosse Darcie.

    «Che cosa ci fai ancora in ufficio?» esordì Ally in tono allegro.

    Darcie sbuffò. «Disse la donna che lavora più ore di tutti noi. Piuttosto, sappi che puoi venire a stare da me quando torni in città. La mia coinquilina si è trasferita altrove proprio stamattina.»

    «Fantastico, grazie.» Darcie stava diventando una buona amica. Anche se faceva sempre in modo di non affezionarsi alle persone, Ally doveva ammettere che era bello avere qualcuno su cui fare affidamento nel momento del bisogno. Come quel giorno, in cui si sentiva più irrequieta del solito, come se davvero le mancasse qualcosa.

    Era la solitudine con cui aveva imparato a convivere ogni volta che era stata spedita da una nuova famiglia affidataria, piena di persone dalle ottime intenzioni che però alla fine l'avevano immancabilmente allontanata.

    «Sei ancora lì?» domandò Darcie.

    «Sì, scusa. Sei stata chiamata, oggi?»

    «Ho appena finito un cesareo urgente e stavo per andare a mangiare qualcosa.»

    «Ti lascio al tuo pasto, allora. Grazie per il letto, accetterò volentieri la tua offerta al mio ritorno.»

    Terminata la conversazione, Ally infilò le mani nelle tasche del giaccone e s'incamminò verso il limitare della spiaggia. Passeggiare sulla battigia le restituì il buonumore a poco a poco. Come poteva essere triste in un posto del genere? La spiaggia era bellissima, l'aria fresca e corroborante e l'indomani avrebbe cominciato a lavorare. Cos'altro le serviva?

    Il sole stava per tuffarsi nelle acque dell'oceano e lei si fermò per ammirare i colori del cielo che si facevano sempre più vivi e fiammanti, come in un dipinto naïf.

    Fu allora che venne investita da qualcosa di solido e pesante, che malgrado i suoi sforzi la mandò col sedere nella sabbia. Come se non bastasse, il corpo estraneo si posizionò su di lei e cominciò a leccarle la faccia. Era un cane di proporzioni considerevoli e dall'alito tutt'altro che gradevole.

    Ally cercò di toglierselo di dosso, senza successo. «Ehi, lasciami andare!»

    «Sheba, vieni qui!» ordinò una voce maschile al di sopra dell'animale. «Vieni via subito!»

    Sheba, se era quello il nome della sua assalitrice, diede un'ultima leccata al mento di Ally e si scansò, evitando la mano del suo padrone che cercava di afferrarla per il collare. Anziché allontanarsi, il cane venne a sedersi proprio accanto a lei e le posò una zampa sullo stomaco, togliendole il fiato.

    Da qualche parte alle sue spalle un bambino scoppiò a ridere. «Sheba, sei buffa.»

    Il suono dolce e cristallino di quella risata indusse Ally a spostare la zampa dell'animale per potersi voltare a guardare il bambino. Un adorabile trottolo saltellava avanti e indietro, ridendo come un matto.

    «Sheba, seduta.» Era chiaro che l'uomo non fosse altrettanto entusiasta della condotta del suo cane.

    Ally sollevò lo sguardo su di lui. «Sto bene, davvero» assicurò con un sorriso.

    «Sono davvero dispiaciuto che Sheba l'abbia fatta cadere. Non si rende conto di quanto è pesante» spiegò lui. Quando i suoi occhi si spostarono sul bambino, la sua espressione irritata si addolcì. «Adam, non incoraggiarla.»

    «Ma è divertente, papà» protestò il piccolo, continuando a ridere.

    Ally riuscì finalmente a rimettersi in piedi, si scrollò di dosso la sabbia e sorrise. «Chissà perché i bambini non riescono mai a smettere di ridere.» Il semplice guardare quel piccolo la rendeva felice, soprattutto adesso che il cane si era rialzato per rincorrerlo, cosa che causò un nuovo scoppio di ilarità.

    Il padre scosse la testa, divertito a sua volta. «Non ho idea di come riesca a continuare per ore, a volte.»

    Ally fece una smorfia. Spazzolando via la sabbia da un fianco con la mano, provò una piccola fitta di dolore. Doveva essersi sbucciata nella caduta.

    «Sta bene?» volle sapere l'uomo con preoccupazione genuina. «Guardi, mi scuso ancora. Spero non si sia fatta male.»

    «Sto bene, gliel'assicuro. Il suo cane voleva giocare e se non fossi stata imbambolata a fissare il tramonto l'avrei visto arrivare.» Poi tese la mano. «Mi chiamo Alyssa. Se ho ben capito, quella è Sheba e suo figlio è Adam. Lei è?»

    «Piacere, Flynn. Siamo stati a casa di amici tutto il pomeriggio e avevamo bisogno di un po' d'aria fresca prima di rientrare» spiegò lui, distogliendo lo sguardo dal figlio e concentrandosi invece su di lei. «E lei, invece?»

    «Stessa cosa. È difficile resistere alla spiaggia quando il clima è così mite.» Non c'era bisogno che lui sapesse che era appena arrivata. Levando altra sabbia dalla giacca, si sforzò di non fissarlo a bocca aperta.

    Impresa non facile. Malgrado la tristezza che gli si leggeva negli occhi – o forse grazie a essa – l'uomo era davvero bello. L'ombra di barba che gli scuriva la mascella era molto sexy e altrettanto lo erano i capelli scompigliati dal vento. Se lei avesse giocato bene le sue carte, magari avrebbe potuto essere proprio lui la sua prossima scappatella.

    Ally abbassò lo sguardo e prese nota delle lunghe gambe. I jeans aderenti lasciavano intuire magnifici muscoli. Poi un ultimo raggio

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1