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Il richiamo delle tenebre (eLit): eLit
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E-book334 pagine5 ore

Il richiamo delle tenebre (eLit): eLit

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PRIMAL INSTINCT 2

Saige Buchanan ha il dono di vedere la storia degli oggetti che tocca. E quando trova il secondo Marcatore Nero nelle foreste del Brasile, capisce che è arrivato il momento di affrontare gli acerrimi nemici della sua specie. Per vincere, però, deve liberare il proprio oscuro potere, e l'unico in grado di aiutarla è Michael Quinn, l'affascinante mutaforma che con la sua virile avvenenza suscita in lei una passione irrefrenabile. Ma nonostante l'attrazione che divampa tra loro, lui si rifiuta di saziare la fame del merrick che si sta risvegliando dentro di lei. Perché così facendo distruggerebbe la sua innocenza, legandola a sé per sempre. Anche se Saige non desidera altro.
LinguaItaliano
Data di uscita31 mag 2017
ISBN9788858970720
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    Anteprima del libro

    Il richiamo delle tenebre (eLit) - Rhyannon Byrd

    1

    Giovedì sera

    Amazzonia

    Se la donna stava cercando di confondersi tra la folla, non era molto abile. A Michael Quinn c'erano voluti meno di cinque minuti per individuarla nella penombra dell'O Diablo Dos Ángels, un barra sgangherato nell'animata città commerciale di Coroza, Brasile. Aveva viaggiato per due giorni attraverso l'umida e soffocante foresta pluviale dell'Amazzonia e si vedeva dal suo aspetto disfatto. Due giorni che gli erano parsi settimane; ogni ora aveva lasciato il segno sui suoi nervi come il graffio di un'unghia, fino a ridurlo in uno stato che superava di gran lunga qualsiasi scala del pessimo umore.

    Non che solitamente fosse un tipo allegro. Solitamente, Quinn si limitava a esistere. Erano anni che niente e nessuno riusciva a toccarlo o a smuoverlo dal suo equilibrio, e ora... Non sapeva spiegarselo, ma dal primo istante che aveva visto la foto di Saige Buchanan, il suo sangue freddo aveva cominciato a sciogliersi, scivolandogli addosso come acqua che scoli vorticando in un tombino. E al suo posto si era ritrovato quell'agitazione insistente... quella tensione che lo stringeva in una morsa.

    A peggiorare le cose, Quinn non aveva voluto quell'incarico, anzi, era stato categorico nel suo rifiuto. Eppure eccolo lì, con la camicia umida appiccicata alla pelle, l'odore pesante di tabacco e sudore che gli dava l'emicrania, in preda a una sensazione acuta e penetrante alla vista della sua preda.

    Così questa è la piccola Saige, pensò, allontanandosi dall'ingresso rasente il muro, facendo attenzione a evitare lo sguardo della donna che sedeva a un tavolino all'altro lato della stanza con una bottiglia d'acqua nella mano delicata. Accanto a lei sedeva un giovane che non dimostrava più di diciannove anni, con pelle, occhi e capelli scuri che tradivano le origini brasiliane. Il ragazzo stava muovendo le labbra ma, anche se Quinn possedeva un udito molto più fine di qualsiasi essere umano, non riusciva a distinguere le parole sopra la cacofonia di suoni che si levava dalla folla.

    Sembrava un luogo strano per una giovane donna americana e il suo compagno, eppure nessuno li disturbava. Nemmeno gli ubriachi. Era forse una frequentatrice abituale? Sotto la protezione del gestore? O c'era qualche altro motivo per cui i locali tenevano le distanze da lei?

    Qualsiasi fosse la risposta, non poteva essere perché non si faceva notare. Saige Buchanan spiccava tra i clienti dai volti segnati come un'insegna al neon nel mezzo della notte, luminosa e abbagliante.

    Quinn si sfregò il palmo sulla barba ruvida che era il risultato di diversi giorni senza un rasoio, poi scosse lentamente il capo, correggendo l'analogia. No, la brillante antropologa non era né vistosa né sgargiante come il neon. Era sì luminosa, ma era come se ci fosse un'aura morbida, quasi tenera intorno a lei, che probabilmente la faceva spiccare ancora di più di quanto non facessero il volto angelico, il fisico rigoglioso o la sfumatura insolita dei capelli. Né rossi né castani, erano una via di mezzo tra le due tinte e coglievano un morbido bagliore di luce che pioveva dall'alto, lottando contro le ombre della sera.

    Una pesante porta di legno sbatté dietro il banco e Quinn serrò la mascella, meravigliandosi che la struttura fatiscente non crollasse in un mucchio di cemento e mattoni. Lanciando una rapida occhiata in alto, fu sorpreso di vedere che il soffitto macchiato era rimasto al suo posto, come pure le spesse travi di sostegno che lo collegavano al pavimento coperto di segatura. Quel posto lo metteva a disagio. Non gli piaceva sentirsi chiuso, confinato, e preferiva l'aria aperta e la libertà sterminata del cielo.

    Perché non la smetti di lamentarti e non ti dai da fare? Prima metti le mani su di lei e prima potrai andartene da qui.

    Parole sensate, eppure, ora che l'aveva trovata, l'ultima cosa che Quinn voleva fare era mettere le mani su di lei. Non che pensasse di avere problemi, se avesse deciso di fare la difficile. Saige Buchanan poteva anche essere qualcosa di più di una donna nella media, ma lui non era un uomo nella media. Poteva sentire dall'odore che il lato merrick della giovane non si era ancora pienamente svegliato e, finché non l'avesse fatto, sarebbe stato lui ad avere la supremazia fisica.

    Poi, dopo il risveglio... be', non si era mai trovato ad affrontare un merrick femmina, ma si augurava che non fosse in grado di farlo a pezzi, altrimenti i suoi compagni non avrebbero più smesso di prenderlo in giro.

    Da quando faceva parte dei Guardiani – un'organizzazione di mutaforma che aveva il compito di sorvegliare i discendenti degli antichi clan originari – Quinn aveva imparato un po' di cose sui merrick, una delle più potenti fra le specie non umane che vivevano un tempo sulla Terra. E dopo tutto quello che era successo al fratello maggiore di Saige, Ian Buchanan, ne sapeva ancora di più. Ma Saige era... diversa. A differenza del fratello, che subiva alcuni mutamenti fisici quando il sangue merrick che scorreva nelle sue vene affiorava in superficie, si riteneva che le femmine merrick non mutassero aspetto, pur aumentando le loro prestazioni in termini di forza, agilità e potenziamento sensoriale. Non le sarebbero spuntati gli artigli all'estremità delle dita delicate. Non avrebbe sviluppato muscoli massicci e il suo naso non avrebbe alterato la graziosa linea femminile.

    Dimentichi le zanne.

    Ah, giusto. Evidentemente quello era uno dei cambiamenti che subivano anche le femmine merrick, per poter nutrire la parte più primitiva della loro natura. Sollevando una mano, Quinn si sfregò la base del collo dove sentiva un fastidioso prurito, come se avvertisse già i denti perlacei di Saige Buchanan che gli penetravano nella carne, succhiandogli il sangue, nello stesso tempo in cui lei lo accoglieva dentro il proprio corpo.

    Wow...

    Abbassò la mano e la strinse a pugno, chiedendosi che cosa ci fosse che non andava in lui. La calura gli aveva dato alla testa? La mancanza di sesso gli aveva deteriorato il cervello? O stava davvero impazzendo?

    Posando il gomito sulla mensola fissata alla parete laterale del locale, Quinn allontanò quel pensiero sgradevole e rivolse un cenno alla donna di mezza età che passava con un vassoio, servendo i clienti e fermandosi a chiacchierare con loro. Mentre si avvicinava, lui poté leggere il nome Inez ricamato sul grembiule ma, nonostante il modo gioviale con cui aveva trattato gli altri, la cameriera gli rivolse uno sguardo gelido. I suoi occhi scuri erano guardinghi mentre lo esaminavano dagli stivali malconci fino ai jeans macchiati e alla T-shirt nera bagnata.

    «Uma cerveja, por favor.»

    «Mi dica» replicò Inez in un inglese dall'accento marcato, piegando gli angoli della bocca in un'espressione sospettosa, «perché sta guardando la nostra Saige come se fosse affamato?»

    Quinn serrò la mascella, irritato per aver tradito il proprio interesse a quelli che lo stavano osservando. «Allora?» insistette la donna con un'aria di comando da far sospettare che non fosse una semplice cameriera.

    «Non ho idea di che cosa stia parlando» rispose lui con voce grave, ricambiando lo sguardo ostile. Quando fu evidente che non avrebbe ceduto, la donna borbottò qualcosa e gli voltò le spalle per tornare al banco.

    Dandosi mentalmente dell'idiota, Quinn distolse l'attenzione dall'americana e si guardò intorno. In uno strano modo, gli sembrava quasi di essere finito sul set di un film. Quel posto era così surreale, completo di asino che ragliava fuori dalla porta e una nube di fumo di sigari e sigarette così spessa da potersi tagliare con il coltello. L'unica cosa che lo rendeva sopportabile era Saige. Il suo profumo lo avvolgeva come un delicato rampicante, caldo, invitante e ipnotico. Era come... come una pioggia rinfrescante e pulita, che lavava via tutto lo sporco soffocante. Alleviava persino la tensione che provava nel trovarsi in quel luogo chiuso, affollato e rumoroso. Con uno sforzo, Quinn si concentrò su quel profumo, aspirandolo nei polmoni, cercando disperatamente di cancellare tutto il resto.

    Incapace di trattenersi, riportò lo sguardo su Saige e ne analizzò avidamente i dettagli, affamato di informazioni. Il modo in cui i folti capelli le ricadevano intorno al viso. Quella spruzzata di lentiggini sbarazzine e la linea sensuale della bocca mentre parlava con il giovane brasiliano.

    Anche senza la fotografia che teneva nella tasca posteriore dei jeans, Quinn l'avrebbe riconosciuta al primo istante. I capelli erano più chiari di quelli dei fratelli e la corporatura appariva esile in confronto alla loro forza muscolosa, ma aveva comunque i tratti dei Buchanan. Nonostante il fumo spesso che invadeva il locale, poteva distinguere il blu profondo dei suoi occhi come se fosse seduto al suo fianco. E c'era qualcosa, nel taglio della mascella, che testimoniava l'ostinazione dei Buchanan che aveva potuto constatare di prima mano quando aveva avuto a che fare con i due fratelli.

    La T-shirt attillata che indossava aderiva al busto come un guanto, fasciando un paio di seni sorprendentemente rigogliosi per un fisico così minuto. Quinn trattenne un sorriso di apprezzamento. Se non poteva toccare, ciò non significava che non potesse lustrarsi la vista. I calzoncini sfilacciati color cachi e la camicia di flanella che teneva annodata in vita non facevano niente per nascondere la curva femminile dei fianchi e Quinn si trovò a chiedersi se il suo posteriore fosse seducente come il resto. Immaginò che fosse alta più o meno un metro e settantadue ma sembrava più piccola, in qualche modo fragile. Eppure i suoi muscoli erano tonici sotto la carnagione chiara, a testimonianza di una vita attiva. Probabilmente passava il tempo a strisciare dentro e fuori scavi archeologici, a scalare pareti di montagne e a trascinarsi nella foresta pluviale, tutti posti ai quali non apparteneva una creatura fatata come lei.

    Quinn sollevò gli angoli della bocca in un breve sorriso pensando a come avrebbe accolto quell'osservazione maschilista Saige Buchanan. La posa sfrontata del mento gli diceva che era il tipo di donna che andava dove voleva, incurante dei rischi e dell'opinione altrui.

    Il ragazzo disse qualcosa, sorridendole, e lei allungò la mano per scompigliargli i folti capelli neri in un gesto cameratesco che parlava di amicizia. O di affetto. Quinn socchiuse gli occhi e per poco non fece un balzo sulla sedia quando la donna che serviva, Inez, gli arrivò alle spalle, sbattendo sul ripiano di legno la bottiglia di birra. Borbottò ancora qualcosa mentre se ne andava e Quinn prendeva la bottiglia. Bevve un lungo sorso di birra tiepida rimproverandosi mentalmente.

    Passandosi il dorso della mano sulla bocca, fece una smorfia, pensando che era assurdo che fosse geloso di un ragazzino. Era assurdo che fosse geloso in ogni caso. Geloso voleva dire possessivo. Strinse i denti, rifiutandosi di andare avanti su quella strada.

    Tuttavia Saige era sotto la sua responsabilità finché non l'avesse portata sana e salva a Ravenswing, una delle basi dei Guardiani in Colorado, dove abitava Quinn e dove la stavano aspettando i due fratelli. Sapeva che a Ian e Riley Buchanan non piaceva l'idea di un Guardiano solo con la sorellina, così come sapeva che Kierland Scott, il suo migliore amico e capo della loro unità, aveva assicurato ai due merrick che non avevano niente da temere da lui. Da un altro sì, ma non da Quinn. Le sue compagne di letto, quando aveva bisogno di sesso, erano sempre donne che aveva poche probabilità di incontrare di nuovo, il che significava che le future coinquiline erano escluse.

    Ruotando le spalle in un gesto di irritazione, concentrò di nuovo i suoi pensieri sul compito che aveva di fronte. Doveva riportarla a casa tutta intera e non sarebbe stato facile. Un merrick femmina sarebbe stato considerato una facile preda da quelli che le davano la caccia. Lui e gli altri Guardiani avevano sperato che Riley Buchanan, il figlio di mezzo, si sarebbe svegliato prima della sorella, ma, ora che aveva messo gli occhi su Saige, Quinn sapeva che non sarebbe stato così. Poteva sentire con l'olfatto il cambiamento che stava avvenendo in lei, il risveglio dell'antico lignaggio, e, anche se il processo non era ancora completato, era già in corso.

    Il che significava che molto probabilmente un altro casus, liberatosi di recente, le stava addosso e che il compito di Quinn si era appena trasformato in un pericolo mortale. Anche se erano ancora parecchie le cose che non capivano, si riteneva che i risvegli dei merrick venissero messi in moto dalla presenza dei casus, una razza di mostri soprannaturali che dava la caccia ai merrick per nutrirsene e potenziare così la propria forza, oltre che per vendetta. I casus immortali, che erano stati imprigionati per secoli a causa delle loro stragi indiscriminate, avevano scoperto il modo di fuggire dal loro luogo di detenzione e tornare sulla Terra. Anche se il loro numero era ancora limitato, Quinn e i suoi compagni Guardiani temevano per quello che stava per succedere.

    Bevendo un altro sorso di birra, osservò Saige da sotto le ciglia, chiedendosi quanto sapesse. Che cosa stava facendo in Sudamerica? Sapeva che il casus le dava la caccia? E dove diavolo era Paul Templeton?

    Templeton era il Guardiano che era stato assegnato a Saige negli ultimi mesi, ma, quando avevano cercato di contattarlo per dirgli di riportarla in America, non avevano avuto risposta. O Templeton aveva tagliato la corda, cosa che nessuno credeva, oppure era uno dei caduti in quella che stava diventando una guerra di vaste proporzioni.

    Date le circostanze – vale a dire che si trovavano in un mare di merda e che stavano affondando rapidamente – Quinn sapeva che non aveva altra scelta che muoversi il più in fretta possibile. Doveva agire subito. Ma qualcosa lo tratteneva, lo teneva inchiodato sul posto, con tutto il corpo vibrante di inquietudine.

    Quando qualcuno rovesciò accidentalmente una sedia, Saige si voltò verso la fonte del rumore, inclinando il capo ed esponendo la pelle vulnerabile della gola. Fu in quel momento che la fame trattenuta troppo a lungo si risvegliò in lui e che il lato animalesco della sua natura aprì gli occhi. Lui non si nutriva di sangue come un merrick, ma desiderava affondare i denti in quella parte tenera e allettante mentre penetrava dentro di lei più a fondo che poteva.

    Come se avesse avvertito l'intensità del suo sguardo, Saige si portò una mano al collo. Poi, a un tratto, si girò sulla sedia per scrutare la stanza e Quinn si affrettò a voltarsi verso la parete, dandole le spalle. Le dita si strinsero intorno alla bottiglia fin quasi a rompere il vetro.

    Era uscito completamente di testa? Stava per scatenarsi l'inferno e lui se ne stava lì a sorseggiare una birra tiepida, pieno di una voglia furiosa che poteva procurargli solo guai. Non aveva tempo per quelle idiozie.

    Smettila di perdere tempo, maledizione, e muoviti.

    Voltandosi con determinazione verso la stanza, vide che Saige diceva qualcosa al ragazzo e si alzava dal tavolo per dirigersi verso il bar. Stava parlando con l'uomo sorridente dietro il banco quando Quinn si portò al suo fianco, vuotando la bottiglia di birra. Nel preciso istante in cui lei si voltò e lo fissò con quei profondi occhi blu, di un colore affascinante come la luminosa perfezione della sua pelle, Quinn seppe di essere segnato.

    Posò sul banco la bottiglia vuota, preparandosi a presentarsi, quando Saige allungò la mano. Si chiese che cosa stesse facendo mentre le sue dita si stringevano intorno al collo della bottiglia e la sua espressione cambiava rapidamente dalla diffidenza al panico. Poi, prima che potesse intuire le sue intenzioni, lei lo colpì alla testa con la bottiglia. Il vetro si ruppe contro il suo sopracciglio destro, tagliandogli la pelle e facendo uscire un fiotto di sangue che gli oscurò la vista.

    Maledizione!

    Immediatamente la donna cominciò a correre, gridando qualcosa in portoghese al ragazzo, che superò Quinn e si precipitò fuori. Muovendosi nella direzione opposta, Saige si gettò in spalla lo zaino che aveva afferrato dal tavolo e si fece strada verso l'uscita sul retro, sparendo in mezzo alla giungla.

    Imprecando, Quinn gettò una manciata di banconote sul banco e si lanciò all'inseguimento, sperando di raggiungerla prima che quella pazza incosciente si facesse uccidere.

    Mentre usciva correndo dal bar, nell'aria calda e umida della sera che si appiccicava alla pelle, gli ultimi raggi di sole sbiadivano sotto l'incedere del crepuscolo. Seguendo il suo odore, Quinn si addentrò nella giungla, schivando le liane rampicanti. La lunga falcata gli dava un vantaggio sui suoi passi più corti, ma lei era veloce.

    Troppo veloce, si rese conto l'istante successivo, quando un odore intenso e malsano gli arrivò alle narici dalla stessa direzione in cui si spingeva Saige.

    Non c'è tempo!, pensò, afferrando la T-shirt e sfilandosela dalla testa mentre lasciava che la trasformazione avesse inizio.

    L'inferno era già lì e lei stava correndo dritta fra le sue grinfie mortali.

    2

    Muoviti... muoviti... muoviti...

    Saige Buchanan continuava a ripetersi il ritornello nella mente, costringendo le gambe ad avanzare anche dopo che i crampi le chiesero di fermarsi. Anche se aveva cercato di restare seduta al tavolo e di comportarsi come se non ci fosse niente che non andava, la realtà non poteva essere più lontana. La stanchezza pesava sulle sue spalle e i suoi nervi erano così logorati da farla sentire come se stesse per cadere a pezzi. Nonostante si sentisse al sicuro nel barra locale, di proprietà di Inez e del marito Rubens, che erano suoi amici, Saige sapeva che non avrebbe dovuto rischiare di incontrarsi con Javier Ruiz in un luogo pubblico. Ma prima di partire per l'America aveva bisogno di riprendere le preziose mappe che aveva lasciato nella cassaforte di Inez e quella era l'ultima occasione che aveva di vedere il giovane impiegato. Durante i mesi in cui Javier aveva lavorato agli scavi con lei e con gli altri membri della squadra di ricerca, Saige si era abituata a considerare il giovane brasiliano come un fratello minore e non voleva sparire nel nulla senza nemmeno un saluto.

    Il piano era molto semplice. Salutare gli amici, recuperare le mappe e tenersi bene in vista mentre si dirigeva all'aeroporto della vicina città di São Vicente. Invece era fuggita senza le mappe e, per quanto ne sapeva, forse aveva fatto di Javier un bersaglio per lo sconosciuto dai capelli scuri che la stava osservando con sguardo penetrante. Saige non poteva sapere con certezza chi fosse quell'uomo, che cosa rappresentasse e nemmeno cosa stesse cercando, ma non sopportava l'idea di avere esposto l'amico al pericolo.

    Guarda in faccia la realtà, chica. Hai mandato tutto all'aria.

    Una lunga catena di imprecazioni le uscì dalle labbra a quel pensiero frustrante mentre si faceva strada scostando la densa vegetazione della giungla e saltava di lato per evitare una radice contorta. Ma ormai era troppo tardi per tornare indietro. Aveva commesso un errore e ne stava pagando il prezzo, forse a rischio della vita stessa.

    L'uomo che la inseguiva era una nuova minaccia o era coinvolto in qualche modo con quella presenza maligna che aveva seguito ogni sua mossa negli ultimi giorni, perseguitandola come un'ombra? Saige l'aveva avvertita quasi ogni ora mentre lavorava nella giungla, come un'onda malvagia a bassa frequenza che faceva accapponare la pelle. Anche in quel momento avrebbe giurato che il suo odore fetido aleggiasse nell'aria della sera e le si insinuasse nei pori della pelle come una malattia.

    Sapendo quello che sapeva della leggenda zingara che annunciava un tempo in cui i casus sarebbero fuggiti dalla loro prigione per fare ritorno in questo regno, provocando il risveglio degli antichi merrick, Saige non poteva negare il velo di terrore che strisciava su di lei, avvolgendola in una stretta viscida e gelida. I casus erano già fuggiti? Era finalmente arrivato il momento che aveva sempre temuto sin da quando aveva sentito i primi frammenti nebulosi della leggenda dalle labbra della madre? Frammenti che Elaina Buchanan si era data da fare per scoprire a rischio della sua stessa salute mentale. La sua ossessione per i merrick aveva raggiunto un punto che perfino Saige definiva morboso, ma a modo suo la capiva. Lei stessa aveva dedicato la vita a cercare di mettere insieme quei frammenti per capire pienamente.

    O forse la minaccia veniva da un semplice mortale? Era forse diventata un bersaglio del Collettivo? Saige non dubitava che, una volta al corrente dei risvegli, quegli spietati mercenari umani, dediti a eliminare dalla Terra ogni forma di vita preternaturale, avrebbero fatto di tutto pur di distruggere i merrick. Tutto ciò significava che, finché non si fosse trovata faccia a faccia con il nemico, avrebbe continuato a chiedersi quale dei due l'avrebbe trovata per primo, se il mostro immortale o il fanatico umano.

    «E in quale categoria rientra il tipo del bar?» borbottò tra sé mentre issava più in alto lo zaino, stringendo gli spallacci così forte da avere le dita intorpidite. Voleva la potente croce che aveva scoperto nelle profondità della giungla... o la sua vita? Entrambi gli scenari sembravano probabili, eppure non era stato un cacciatore di armi antiche o un assassino che aveva visto quando aveva impugnato la bottiglia di birra vuota. Era stato sesso. Immagini dure ed esplicite di loro due avvinghiati insieme, lui che affondava con furia selvaggia tra le sue cosce spalancate mentre ruggiva il suo nome e lei che faceva penetrare un paio di zanne pesanti in quel collo forte e nerboruto mentre si contorceva sotto il suo corpo scuro e perfetto, consumata da onde travolgenti di piacere. Per poco non inciampò quando si premette la mano sinistra al bassoventre, per mettere a tacere quella strana sensazione di pesantezza che la riempiva. Era quasi come se quello sconosciuto fosse parte di lei, come se in quello stesso momento la penetrasse a fondo, accendendo un fuoco che minacciava di consumarla... Si morse il labbro inferiore per trattenere un gemito a quella sensazione mozzafiato. La sua temperatura corporea salì rapidamente e le gengive cominciarono a bruciarle come non aveva mai sperimentato prima; il suo cuore accelerò i battiti più per il risveglio di una fame insaziabile che per la paura.

    Il che vuol dire che sei matta da legare! Non puoi nutrirti da un nemico, idiota! E quell'uomo non è certo il tuo amichetto.

    Frustrata dal fatto di avere così poco controllo sui desideri viscerali e violenti del suo lato merrick, Saige strinse i denti e si concentrò nel muoversi il più rapidamente possibile; la sua velocità era molto maggiore di quella di un essere umano nonostante il risveglio fosse iniziato solo di recente. L'aspetto esteriore non era cambiato, ma dentro... dentro stava diventando qualcosa di molto più potente di quello che era. I suoi sensi erano potenziati; i vividi particolari della giungla che la circondava affollavano la sua mente in un flusso caotico di informazioni. I colori esplodevano con intensità elettrizzante, l'udito era così fino che poteva sentire gli animali notturni che cercavano rifugio nel sottobosco.

    Certa di poter sentire lo sconosciuto che si avvicinava alle sue spalle, Saige spinse le gambe con rinnovato vigore, ignorando il bruciore acuto dei muscoli mentre scostava la vegetazione umida e spessa che le bloccava la strada. La piccola bussola d'argento che portava al collo sobbalzava ritmicamente all'altezza del cuore che pompava frenetico sotto la maglia intrisa di sudore e per un momento lei desiderò che fosse la croce, che si supponeva fosse una fonte di protezione per chi la indossava.

    Lottando contro la vegetazione che le graffiava braccia e gambe, pensò che una piccola protezione le avrebbe fatto comodo in quel momento, ma la croce non era più lì. Dopo aver scoperto il secondo nascondiglio dei Marcatori quello stesso mattino, nelle profondità umide e soffocanti della foresta pluviale, Saige l'aveva spedita in gran segreto in Colorado, affidandola a un collega di nome Jamison Haley, poi era rimasta di proposito come esca. Era stata una mossa rischiosa, ma contava sul fatto che, se la stavano davvero tenendo d'occhio, l'ultima cosa al mondo che il casus si sarebbe aspettato da lei era proprio che, dopo aver trovato uno dei Marcatori, si separasse dal potente talismano.

    Il che, a prima vista, non sembra la cosa più intelligente da fare, vero?

    Ovviamente no. Forse sarebbe riuscita a depistarli, ma a costo di gettarsi in quella che sembrava la bocca dell'inferno.

    «Non che avessi altra scelta» si disse a bassa voce, lanciando un rapido sguardo oltre la spalla prima di tornare a guardare la foresta che si faceva sempre più fitta. Pericoli innominabili si nascondevano nelle sue cupe profondità. Il suo sangue merrick acuiva la vista, permettendole di vedere molto meglio di quanto avessero mai fatto i suoi occhi umani, eppure ancora non poteva dire che cosa l'aspettasse nella notte incombente. Sapeva solo che lui era lì...

    Stanno arrivando dei nemici che mi porteranno via da te.

    Quando aveva messo le mani sull'arma misteriosa, quelle erano state le parole che le aveva sussurrato nella mente una voce antica, dolce e inquietante, così diversa dalle voci o dalle immagini che percepiva solitamente. Ma il suo strano talento nel trarre intuizioni dagli oggetti si era rivelato il più delle volte una burla... o un colpo di fortuna. Solo nel suo lavoro riusciva a cavarne qualcosa di sensato. Un oggetto rimasto sepolto per secoli, se non di più, le rivelava i suoi segreti appena ne sfiorava la superficie con le dita.

    Ma quando si trattava della vita di tutti i giorni, ogni eccitazione veniva meno. Poteva prendere una bottiglietta di ketchup in un ristorante e percepire i pensieri dell'ultima persona che l'aveva tenuta in mano. Avrò spento il ferro da stiro? Queste calorie andranno dritte alle mie cosce? Meglio il gelato per dessert... o la torta di mele? Rivelazioni non certo sconvolgenti e lei aveva imparato a lasciare che quei pensieri banali entrassero e uscissero dalla sua mente come da una porta girevole, senza darvi importanza. Solo quando toccava qualche oggetto del passato si concentrava e cercava di saperne di più.

    Come l'anno prima in Italia, quando aveva trovato la prima croce riccamente intagliata

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