Time to travel
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Vincerà la passione per il lavoro o l'amore?
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Anteprima del libro
Time to travel - Teresa Gargano
CAPITOLO I
Ad occhi chiusi, mi godevo la dolce brezza del vento che mi dava sollievo dal calore del sole e pigmentava la mia pelle già dorata, ed assaporavo l’intenso odore del mare.
Avevo scacciato via dalla mia mente ogni cattivo pensiero, ero del tutto rilassata e non facevo altro che sospirare felice.
Purtroppo, però, tutte le cose più belle hanno vita breve. La mia pace venne interrotta da un fitto dolore al viso, colpito in pieno da un pallone lanciato da alcuni ragazzini che stavano giocando sul bagnasciuga.
Furiosa, afferrai il pallone e gridai: <
Un ragazzino, che avrà avuto all’incirca dodici anni, si avvicinò titubante, rosso in viso come un peperone e lo sguardo basso. Porgendomi le sue scuse, mi chiese se potevo restituirgli la palla.
Notando il suo imbarazzo, mi calmai e scoppiai in una fragorosa risata.
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Scappò via a gambe levate ed io rimasi a riflettere sul fatto che mi avesse chiamata signora
. Accipicchia… Avevo solo trenta due anni e i ragazzini già mi vedevano come una vecchia decrepita signora. Eppure ero nel fiore degli anni, ero ancora single e non certo pronta a sposarmi ed avere dei figli.
Le mie amiche, ormai quasi tutte accasate, non facevano altro che tentare di organizzarmi degli appuntamenti al buio con dei perfetti sconosciuti, ai quali dopo la prima uscita, ripetevo sempre la stessa cantilena: sei una persona stupenda, ma non è il momento per legarmi a qualcuno, devo pensare alla mia carriera.
Se erano fortunati, glielo comunicavo dopo esserci andata a letto insieme.
Deluse, le mie compagne di una vita, mi rimproveravano che non permettevo agli uomini di dargli una seconda possibilità, precludendomi qualsiasi chance di poter essere felice.
Come se l’unica occasione per essere felici nella vita era quella di creare una famiglia!
Dal mio punto di vista, era rappresentato da ben altro.
Inutili, le mie continue spiegazioni in merito, io non volevo sposarmi e crescere degli insopportabili marmocchi. Desideravo una vita piena di avventura, alla ricerca di nuove terre da poter esplorare, non volevo certo sprecarla a fossilizzarmi sempre nello stesso posto.
Per questo avevo talento nel mio lavoro. Ero una reporter per un’importante testata giornalistica a livello nazionale, che mi teneva sempre in giro per il mondo.
Quando cercai di farmi assumere, mi presentai direttamente davanti la porta dell’ufficio del direttore, Aldo Grassi, chiedendogli un colloquio. Dopo svariati tira e molla riuscii ad ottenere un incontro e nei successivi dieci minuti riuscii a farmi affidare un incarico della massima importanza, convinto che una principiante si sarebbe spaventata al primo ostacolo ed avrebbe fatto marcia indietro.
Consisteva nel dover stanare un giro di prostituzione di alto borgo nella provincia milanese, in cui erano implicati volti noti della politica.
Mi spacciai per una Escort e m’infiltrai nel giro per qualche settimana, giusto il tempo di prendere le prove necessarie per poter pubblicare il mio articolo.
Ovviamente, quando andavo con i clienti, mettevo nei loro drink una sostanza che li stordisse in modo che al risveglio credevano di aver avuto realmente un rapporto fisico con me, ma pensavano di essere talmente ubriachi da non ricordare assolutamente nulla.
Nel momento in cui, la cosa cominciò ad essere sospettosa, presi tutte le prove che avevo e sparii nel nulla.
Aldo, sbalordito dal sangue freddo con cui avevo affrontato il pericolo, nonostante la mia assenza di esperienze precedenti, mi fece firmare il contratto che mi legava al giornale a tempo indeterminato.
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Che dire, ero un portento e quando mi mettevo in testa qualcosa, la perseguivo finché non avessi raggiunto il mio obiettivo.
Degna figlia di mio padre; mia madre diceva che gli somigliavo ogni giorno di più. Era un ex generale dell’esercito italiano, autoritario ed inflessibile, ormai in pensione, ma non riusciva ad accettare la vecchiaia che avanzava.
In casa continuava a dare ordini per qualsiasi sciocchezza pur di sentirsi al comando.
Ogni volta che andavo a trovarlo, mi ribadiva di pensare innanzitutto a me stessa, di seguire i miei sogni e non permettere a nessuno di ostacolarli.
La sua voce era costantemente nella mia testa: Va figlia mia, fa che la tua vita sia straordinaria, abbatti i muri dell’ignoranza e prosegui per la tua strada.
Eravamo in perfetta sintonia. Era lui l’unico uomo della mia vita.
Mia madre era costretta a supportarlo per tutto il giorno, ogni scusa era buona per uscire e sparire delle ore. Quando, finalmente rincasava, mio padre la tartassava di domande, mettendola sotto interrogatorio.
Il loro rapporto aveva degli alti e bassi come in tutte le coppie sposate ormai da moltissimi anni, ma ero certa che si amassero ancora come il primo giorno.
Lei, al contrario di mio padre, avrebbe voluto vedermi sposata con figli; odiava il fatto che io me ne stessi costantemente in giro per il mondo, diceva che era un lavoro pericoloso fatto per gli uomini.
Ero la pecora nera della famiglia. Non come Laura, la mia cara sorellina, che pur essendo più piccola di me di un paio d’anni, era già convolata a nozze ed aveva partorito la bellezza di due figli, Leonardo e Sofia.
Adoravo mia sorella e i miei nipotini. Quando potevo, cercavo sempre di trascorrere il più tempo possibile insieme a loro.
Le mie meritate ferie di agosto stavano per giungere al termine e presto sarei dovuta partire per un nuovo emozionante viaggio di lavoro, volando nella vecchia e cara Inghilterra per scrivere un pezzo su uno degli uomini più ricchi del pianeta.
Non sarebbe stato per niente facile, dato che ottenere un’intervista da lui era praticamente impossibile; il mio capo, però, conoscendo le mie naturali doti persuasive, era convinto che ce l’avrei fatta di sicuro, promettendomi una lauda ricompensa.
Del denaro poco m’importava, per me era fondamentale la sfida che avrei dovuto affrontare e più ci pensavo, più cresceva in me l’entusiasmo.
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Mirella, era una delle mie più vecchie e care amiche, praticamente eravamo cresciute insieme e ne eravamo predestinate, dato che le nostre madri erano amiche sin dall’adolescenza.
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Trascorremmo tutta la giornata in spiaggia fino a quando il sole non fu tramontato.
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Giulia era un’altra amica di vecchia data. Eravamo state compagne di banco alle scuole medie, la nostra amicizia è durata nel tempo nonostante avessimo scelto corsi di studi diversi e si fosse sposata subito dopo la laurea in economia.
Aveva tanto sgobbato sui libri per poi ritirarsi a fare la casalinga perfetta ed ora aveva appena partorito, per questo dovevo andare a farle visita.
Non riuscivo proprio a capire, perché stressarsi a studiare per tanti anni, quando in realtà aveva progetti differenti.
Le sarebbe stato molto più facile sposarsi dopo il diploma.
Ero in macchina a pensare alle scelte di vita di una mia amica, mentre andavo da lei. Era un mio difetto professionale, dover analizzare le vite degli altri per tentare di capire le loro motivazioni e poter giungere adeguatamente ad una conclusione.
Tutti mi rimproveravano che pensassi troppo e che prima o poi il mio cervello sarebbe andato in fumo. Secondo mia madre, era andato già in fumo il giorno in cui avevo cominciato il mio lavoro da reporter.
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Lei non disse nulla, ma il suo sguardo valeva più di mille parole. Pensai che avrebbe preso volentieri un qualsiasi oggetto per scagliarmelo contro. Comunque, feci finta di niente e mi avvicinai alla culla.
Spostai il lenzuolino e vidi la minuscola testolina: aveva folti capelli neri, un viso tondo e la piccola manina vicino alla bocca.
Gli occhi mi si riempirono di lacrime e dissi: <
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Le davo ancora le spalle, così mi asciugai in fretta le lacrime e mi girai verso di lei sorridente.
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E all’improvviso eccola lì. La madre di Giulia, la signora Matilde, la donna di cui avevo sempre temuto il giudizio, si materializzò dal nulla a braccia aperte.
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Il nostro abbraccio durò almeno per cinque minuti pieni, fu molto intenso.
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Lanciai un’occhiataccia alla mia amica, la quale mi aveva giurato che sua madre non ci sarebbe stata al mio arrivo. Invece, adesso dovevo affrontare proprio quello che volevo evitare, il giorno del giudizio era arrivato! Povera me!
Matilde, era una donna tutta d’un pezzo, sicura di sé e guai a contraddirla. Tutto ciò che usciva dalle sue labbra era legge.
Nonostante questo, la adoravo, era la mia seconda madre. Insieme a lei, io e le mie amiche, ce ne eravamo fatte di risate. Aveva un senso dell’umorismo unico.
Però, aveva anche dei repentini cambi d’umore, difatti mentre rideva e scherzava, cominciava a parlare seriamente e bacchettarci. Non riuscivamo mai a capire se dicesse davvero o ci stesse prendendo in giro, era l’unica persona al mondo che non sarei mai riuscita a decifrare, un enigma vivente.
Nonostante tutto, era la donna più