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Senza speranza
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E-book139 pagine1 ora

Senza speranza

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Info su questo ebook

Aronne Navarri, ex militare/SISMI in pensione, vive in una ridente cittadina sul mare del meridione. Quando la figlia di un onorevole muore per overdose in discoteca durante il party dedicato all’eclissi della Luna Rossa, è a lui che si rivolgono il sindaco suo fratello e l’imprenditore «padrone» della zona. Vogliono che sia lui a gestire la situazione. Anche perché a Poliarco sta per essere inaugurato uno stabilimento farmaceutico al centro di interessi politici, affari internazionali e riciclaggio di denaro sporco e Aronne, da bravo «addetto alle pulizie», dovrà prima far venire fuori tutto lo sporco per poi ripulirlo in maniera definitiva e garantire il mantenimento dello status quo nella sua vita «senza speranza».
LinguaItaliano
EditoreNero Press
Data di uscita7 giu 2021
ISBN9788885497580
Senza speranza

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    Anteprima del libro

    Senza speranza - Arturo Fabra

    scrittura

    1

    Vivere in un posto di mare significa lasciare che esso detti le tue stagioni. Se poi il luogo vive di turismo, come la mia Poliarco, sai anche che il ciclo dell’anno è legato all’estate. Per noi, infatti, il vero capodanno è la festa del patrono, a metà luglio, e ogni estate segna l’anno con una sua specifica caratteristica. Abbiamo avuto quello delle Alghe (tutti ci ricordiamo le viscide montagnole puzzolenti sul bagnasciuga), quello Che-Non-Finiva-Mai (quando abbiamo fatto l’ultimo bagno per il ponte dei Morti), quello Freddo (che a mettere un giubbotto di pelle a luglio non era mai capitato fino ad allora) e, quest’anno, quello della Luna Rossa, che ha riempito giornali, notiziari e social. Stasera ci sarà l’eclissi.

    Il paese è tutto un viavai di feste, cene ed escursioni per far spendere qualche euro in più ai turisti. Non sopporto i rituali di massa, quindi ho scelto di starmene a casa da solo. Prima, però, devo concludere un lavoro e per questo sono venuto al porto.

    Percorro il molo e arrivo all’attracco dell’imbarcazione. È un Riva 100 modello Corsaro di colore nero, tirato a lucido. Qui mi accoglie un tizio pelato e massiccio, vestito con pantaloni blu scuro, scarpe da barca della stessa tonalità e t-shirt a righe orizzontali blu scuro e bianche, con le maniche tese allo spasimo sui bicipiti. Sembra un gondoliere pompato di anabolizzanti.

    «Cerchi qualcuno?» parla un italiano incerto.

    «Consegna per il signor Radu» mostro l’oggetto che ho tra le mani: un cofanetto intarsiato di classica fattura locale «portasigari».

    Mi soppesa con un’occhiata, si convince che sono innocuo e fa segno di aspettare mentre borbotta qualche frase in rumeno nell’auricolare. Un attimo dopo mi fa salire.

    «Prego».

    Obbedisco in silenzio, arrivando fino al ponte superiore dove il tipo si ferma e mi invita a proseguire. Costel Radu si alza dalla chaise longue, così ne posso apprezzare il fisico scattante e l’abbigliamento in colori neutri, completato da gioielli d’acciaio e tatuaggi che sbucano dalla maglietta. Si toglie gli occhiali da sole, mostrando occhi neri e sguardo aggressivo.

    «Non aspettavo nessuno».

    Gli consegno il cofanetto. «Infatti è una sorpresa».

    Lui sospetta una brutta sorpresa ma non vuole dimostrarlo, quindi prende il portasigari, lo apre e appare sollevato quando non gli scoppia in faccia.

    «Sediamoci».

    Si sposta verso un tavolino, dove appoggia il portasigari ancora aperto.

    «Il cohiba è molto delicato, le dispiace controllarlo?» il mio tono è insinuante e gentile.

    Lui, sempre più perplesso, prende l’astuccio di latta, svita il tappo e fa cadere con un colpetto il contenuto.

    Nel cellophane è avvolto un mignolo mozzato ornato da un anello in acciaio. Radu stringe il bordo del tavolino sporgendosi verso di me.

    «Sei un uomo morto».

    «Sono un soldato sacrificabile. L’importante è far passare il messaggio. Avete provato a fotterci e questo non si fa. Comunque, il proprietario del dito sta bene e possiamo rimandarlo indietro stasera prima di cena. Poi possiamo organizzare un nuovo incontro».

    Mi ascolta con interesse.

    «Oppure?»

    «Io muoio ma né tu né i tuoi tornate vivi in Romania».

    «Tu non sei nessuno».

    «Esatto, e questo è il mio vantaggio. Invece tu sei qualcuno e hai legami che possiamo raggiungere per farti del male. Se muoio io nessuno piangerà».

    «Intanto tu muori» nei suoi occhi c’è voglia di sangue.

    Mi sporgo verso di lui e pronuncio solo un nome: «Constantin» faccio scivolare in avanti lo smartphone, sul quale scorre il filmato di un ragazzino che gioca a calcio «sarà il primo».

    Finalmente ha paura.

    «Voglio il mio uomo stasera».

    Il bordo del tavolo scricchiola nella sua stretta.

    Mi alzo.

    «Sarà fatto».

    Nel percorso di ritorno vengo scortato sempre dall’energumeno di prima che, in un paio di occasioni, mi si avvicina tanto da farmi sentire il suo alito pesante. Non cado nella provocazione e raggiungo il molo sano e salvo.

    Monto sullo scooter, avvio il motore e il tizio mi fa un cenno minaccioso. Ho l’impressione che lo scontro sia solo rimandato. Provo a non pensarci.

    2

    Contrada Matino, dove si trova casa mia, è uno dei posti più ventilati del paese. La vicinanza delle gole montuose incanala fin dal tramonto un vento così fresco da rendere superflui ventilatori e aria condizionata. Ho osservato l’eclissi dalla sdraio in giardino per poi appisolarmi.

    I cani del vicinato si agitano all’improvviso. Apro gli occhi sul cielo stellato: la luna è tornata visibile, ma ha ancora una sfumatura sanguigna.

    Sento la frenata di un’automobile e mi alzo a vedere. È mio fratello Bastiano, sindaco di Poliarco. Guardo stupito l’orologio mentre gli vado incontro.

    «Che fai qui? Sono quasi le due» dico.

    «Fammi entrare».

    «Che succede?»

    «Guai grossi. Mi serve il tuo aiuto» taglia corto.

    «Ti faccio un caffè».

    Lui non discute. Mi segue in cucina e si mette seduto mentre carico la moka.

    «Allora?»

    «Barbara Donati, la figlia dell’onorevole, è morta di overdose».

    Lascio salire il caffè in silenzio. Gli passo la tazzina, lui beve un sorso.

    «Io che devo fare?» chiedo.

    «È successo al Geo, Franco Tezzi ha chiesto di te».

    Finiamo i nostri caffè.

    «Andiamo, ti seguo con lo scooter» dico.

    «Posso riaccompagnarti io».

    «Lascia stare, tu sei il sindaco e io devo essere indipendente. Forza, andiamo».

    Appena imbocchiamo il bivio tra la strada che scende dalle colline e la statale lungomare, ci troviamo imbottigliati. Il classico fiume di automobili che, da maggio a ottobre, percorre la statale costiera, sembra del tutto bloccato. Intravedo i lampeggianti gialli del soccorso stradale: un tamponamento a catena contribuisce a peggiorare questa lunga notte.

    Affianco l’auto di Bastiano, gli faccio un gesto di saluto e inizio la gimcana con lo scooter producendo non poche crisi d’ansia e qualche imprecazione da parte di chi, nel serpentone, sfoggia automobili costose, pulite e profumate, tra le quali svicolo veloce.

    Arrivato al promontorio svolto per la serpentina che porta al Geo. Il locale è ricavato dall’insieme di tre grotte naturali ed è conosciuto tra gli addetti ai lavori come esempio di architettura ecocompatibile. Nel parcheggio esterno sono accesi solo i lampioncini di sicurezza, l’insegna è spenta e dell’ampio ingresso è stata lasciata aperta soltanto una porticina di servizio. Posteggio accanto alla volante dei carabinieri, salgo la scalinata e spingo la porta.

    Dall’interno mi arriva un odore misto di cannabis, fumogeni aromatizzati, corpi sudati e profumi costosi. La prima sala è illuminata dai neon di sicurezza, gli impianti audio e luci sono spenti e l’unico rumore che si sente è quello delle ventole dell’aria condizionata.

    Il boato della porta che si chiude è assordante.

    «Ah, salve» faccio.

    Pia Basile, direttore del Geo, mi viene incontro in un completo di lino bianco e inserti dorati. Sfoggia il solito chignon che, insieme agli occhi verdi obliqui su un naso dritto e due labbra morbide ora tirate dalla tensione, la fa somigliare a Eva Kant.

    «Venga, Franco la aspetta».

    La seguo lungo i passaggi arredati di divanetti e paraventi, attraversando le altre due sale fino a raggiungere il privé. È la prima volta che entro nel locale e, devo ammetterlo, è spettacolare: un geode di vetro affacciato sul mare il cui costoso arredamento Frau è sparso disordinatamente qua e là. Al centro del caos stanno Franco Tezzi e due carabinieri. Il più anziano alza gli occhi e mi saluta.

    «Salve, Aronne».

    «Maresciallo» ricambio. Il più giovane mi ignora.

    Franco Tezzi mi stringe la mano.

    «Aronne, grazie per essere venuto. Bastiano?»

    «Bloccato nel traffico, io sono in scooter».

    Lui borbotta qualcosa passandosi le mani nei capelli, scuri come la barbetta che gli incornicia il mento, poi dice: «È una faccenda delicata».

    «La ragazza dov’è?»

    Alla mia domanda il giovane carabiniere ritrova le parole.

    «Il corpo…»

    Il maresciallo lo mette a tacere con uno spintone.

    «La ragazza è stata portata

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