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Morte al Lupo: L'ultimo italiano: una saga in tre parti, #3
Morte al Lupo: L'ultimo italiano: una saga in tre parti, #3
Morte al Lupo: L'ultimo italiano: una saga in tre parti, #3
E-book221 pagine3 ore

Morte al Lupo: L'ultimo italiano: una saga in tre parti, #3

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Info su questo ebook

L'inverno crudele arriva nel Regno d'Italia. Una famiglia è lacerata dall'ambizione e dalla guerra.

Ettore Vacci celebra il suo ottantesimo compleanno mentre l’Italia abbraccia la sua disastrosa alleanza con la Germania nazista. Con l’Ottava Armata vicino a Stalingrado, Donato Como e il suo battaglione fronteggiano una massiccia offensiva sovietica e il micidiale clima invernale, mentre combattono per la sopravvivenza sulle spietate steppe russe. Con la disgregazione delle linee dell’Asse, Donato guida i suoi uomini in una pericolosa ricerca di salvezza, braccati dai sovietici e angariati dai tedeschi in ritirata, ora crudelmente sdegnosi verso i loro alleati italiani.

A Castrubello Regina Vacci, la donna amata da Donato, sfida coraggiosamente le autorità fasciste nella spietate persecuzione degli ebrei. Intano Ettore Vacci è scioccato nell’assistere all’ascesa al potere politico del nipote Pietro Como nel ferreo regime di Benito Mussolini. Con le lealtà familiari divise, come la stessa Italia, Vacci capisce di dover agire, per la giustizia, per Castrubello, per l’onore di famiglia.

SULLA SERIE

L’Ultimo Italiano: una Saga in Tre Parti è un’avvincente epopea che inizia nell’Italia del 1882 e copre più di sessant’anni di tumulto politico e sociale. Tre generazioni di personaggi, legati dal sangue e da storie condivise, fronteggiano proprietari terrieri rapaci, epidemie mortali, brutali combattimenti, conflitti etnici e atrocità fasciste nell’era turbolenta del Regno d’Italia. Mentre i protagonisti della serie lottano per la coerenza delle proprie ambizioni, sentimenti e lealtà contro le rigide imposizioni della sopravvivenza, il Fato è sempre in agguato per intervenire all’improvviso.

LinguaItaliano
EditoreBadPress
Data di uscita24 ago 2020
ISBN9781071558249
Morte al Lupo: L'ultimo italiano: una saga in tre parti, #3

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    Anteprima del libro

    Morte al Lupo - Anthony Delstretto

    PRIMA PARTE

    ‘IL DON’

    Capitolo 1

    13 maggio 1942

    Venite papà disse Regina, entrando di fretta nello spogliatoio del padre adottivo. Stanno arrivando i vostri ospiti.

    Ettore Vacci volse le spalle allo specchio dalla elaborata cornice di legno intagliato davanti al quale si era sforzato di appuntarsi bene il medaglione di Cavaliere dell'Ordine della Corona. Il distintivo che attestava il cavalierato conferito a Ettore, era una imponente croce di smalto bianco su cui era incisa la Corona di Ferro Lombarda. Al momento gli pendeva sbilenco da un corto nastro bianco e rosso a sinistra sul petto.

    La corona è storta si lamentò Ettore. E, ti dico, non metterò quest'assurda fascia rossa. Mi fa sembrare un usciere.

    Regina Collina Vacci si avvicinò al padre, e con qualche tocco abile raddrizzò il distintivo, sistemò il farfallino nero, stiracchiò le punte del colletto della camicia inamidata, poi sollevò la fascia cerimoniale presentata a Ettore dalla città in onore al suo cavalierato.

    Stiamo festeggiando il vostro ottantesimo compleanno, papà. Non è una giornata in cui essere informali. La casa si sta riempiendo di ospiti venuti a tributare gli onori a uno dei grandi costruttori moderni d'Italia - e ora un nuovo Cavaliere della Corona! Che piacere sarà per ognuno di loro essere visto con voi! Non negate loro l'occasione di bearsi della vostra gloria disse scherzosa. Dovete almeno mantenere la parte, o se ne andranno maledettamente delusi!

    Che giochetti! sospirò Ettore. Continuò a muoversi mentre la giovane disponeva la fascia dalla sua spalla destra fino alla linea della vita alla sua sinistra. Lei lo fece voltare, e si mise accanto a lui davanti allo specchio.

    Ecco disse, ora siete proprio come vi piace. Composto, pronto ad accentrare tutta l’attenzione! Sorrise, con gli occhi luminosi.

    Ettore sbuffò derisorio. Quindi non hai dovuto invitare il Duce, eh? Controllò la propria immagine, smoking nero, camicia bianca, cravattino nero. Il distintivo, simbolo del cavalierato. La dannata fusciacca. I suoi baffi folti e fuori moda avevano lo stesso colore del ciuffo ribelle e sottile di capelli sulla sua testa. Si tamponò gli occhi umidi con il fazzoletto, e si guardò di nuovo. Almeno rimangono grigio blu, pensò. Notò la pelle che cedeva sul collo, la faccia macchiata dal sole perennemente scurita da decenni di lavoro all’esterno. La giacca gli pendeva un po’ abbondante sulle spalle esili, con le maniche appena troppo lunghe. Le unghie curate apparivano stranamente civilizzate sulle mani grandi e robuste, scalfite e con qualche cicatrice dai primi tanti anni di lavoro manuale.

    Quel pozzo nero mormorò. Un ricordo di lui e Muto che spalavano a mano in un pozzo fetido gli attraversò la mente. Era davvero stato in un’altra vita?

    Cos’è che dite, Papà? Regina, alle sue spalle, gli domandò. Gli spianò le spalle della giacca con le mani. Da quanto tempo avete questo smoking, Papà?

    Da sempre lui rispose distratto. L’ho messo l’ultima volta al matrimonio di Pietro Como, credo.

    Regina riguardò con occhio critico Ettore, concludendo che era presentabile. Sembrate voi stesso uno sposo oggi, Papà.

    Controllò il proprio lungo abito giallo allo specchio, tirando un po’ su il davanti. La sua faccia era incorniciata da capelli scuri e ricci, legati da un nastro. Una splendida ragazza di portamento elegante, pensò Ettore. A ventiquattro anni, un vero buon partito per un qualche fortunato. Molto più bella di Maurizio suo nonno, pensò Ettore. Anche Pezzoli, vanesio com’era, avrebbe dovuto ammetterlo. Quanto ancora si sentiva in lutto per il suo vecchio amico!

    State qui per ora Papà disse Regina. Farò una verifica nella sala, vedrò chi è arrivato, e tornerò a prendervi per il vostro solenne ingresso!

    Uscendo Regina sorrideva fra sé e sé. Che bella giornata era questa! Era felice di aver insistito per creare l’occasione: l’ottantesimo compleanno di chiunque meritava un’attenzione speciale. E il conferimento del titolo di Cavaliere a Ettore era arrivato giusto due mesi prima. Perché non approfittarne per festeggiare? Quel padre senza pretese meritava ogni encomio che riceveva, un uomo di valore a cui era tributato il dovuto. Sarebbe sempre stato l’uomo più importante, più ammirevole nella sua vita, più padre che zio per lei. Quando aveva cercato di dirglielo con parole adatte a esprimerlo, Ettore l’aveva ringraziata ma aveva replicato Non dimenticare mai i tuoi veri genitori.

    Il suo padre naturale era stato Andrea Collina, un ex impiegato di Ettore che aveva avuto dei problemi mentre lavorava alle Cave Naviglio. A Torino aveva potuto ricominciare con Maurizio Pezzoli, il cognato ed ex socio di Ettore. Collina aveva poi sposato Anna Pezzoli, la figlia di Maurizio. Regina era la loro figlia, pronipote di Ettore e Marietta. In una terribile notte del 1924 entrambi i genitori di Regina erano morti in un incidente d’auto in una piovosa strada di campagna.

    Con la benedizione di Maurizio, Ettore e Marietta che non avevano figli, avevano adottato la bambina di sei anni, anche se ormai loro avevano passato i sessanta. La bambina era diventata Regina Vacci e da allora era sempre vissuta con loro. Dopo la morte della madre adottiva nel 1939 aveva assunto la conduzione della casa, e con l’invecchiare di Ettore, sempre più si era dedicata ai suoi bisogni.

    Non che l’anziano signore necessitasse di cure eccessive, lo doveva ammettere. Ettore Vacci era stato un personaggio preminente con cui confrontarsi fra i maggiori uomini d’affari italiani dalla fine del diciannovesimo secolo. Fra i settanta e gli ottanta anni era rimasto un imprenditore formidabile, malgrado ultimamente stesse un po’ rallentando. La sua impresa, Vacci Costruzioni d’Italia, VCI, aveva prevalso nel panorama industriale italiano per decenni. Anche se ancora attiva nella costruzione di strade, ora si stava specializzando in progetti a base di calcestruzzo di tutti i tipi, e gli affari erano vivaci.

    Il ruolo sanguinoso del Regno d’Italia nella Grande Guerra dal 1915 al 1918 aveva recato alla nazione tragedie umane e disastri infrastrutturali. Ma l’olocausto aveva rappresentato una pacchia per le costruzioni, e la compagnia era impegnata in massicce opere di riedificazione. Più tardi, quando i fascisti ebbero preso il controllo, determinati a trasformare l’Italia in una potenza industriale, la VCI si aggiudicò contratti per progetti grandiosi quali la vasta Esposizione Universale e il grande monumento ai Bersaglieri a Porta Pia a Roma. Adesso, dall’entrata in guerra del regno a fianco dell’Asse, i contratti per opere di difesa di ogni tipo si erano moltiplicati.

    Ettore sedeva in una delle rigide sedie Impero francesi che Marietta aveva scelto per l’arredamento degli appartamenti privati della villa. Anche questa festa passerà, si disse sospirando. La luce di un denso cielo grigio filtrava attraverso gli spessi tendaggi, parzialmente aperti.

    Sarà bello rivedere vecchie conoscenze, pensò, sebbene di solito in quei giorni avesse a che fare con la loro progenie. E di sicuro il posto si sarebbe riempito di politici, gente del governo. A questo avrebbe provveduto il suo ambizioso nipote, Pietro. Ettore sospirò. La verità era che non aveva idea di chi avrebbe incontrato giù di sotto. Con un po’ di fortuna, pensò, forse addirittura qualche concittadino di Castrubello potrebbe entrare dalla porta.

    Dov’era andata Regina? Si alzò e si guardò di nuovo allo specchio. Un vecchio rugoso gli restituiva fermamente lo sguardo. Com’è che sono arrivato a questo, in nome del cielo, si domandò? Non era giusto ieri che ero un robusto caposquadra che collocava binari a Milano? Si sentiva oggi come si sentiva allora, una forte energia fluida, lo stesso cervello, gli stessi occhi puntati all’orizzonte. Molto meno robusto questi giorni, devo ammetterlo, pensò. Eppure, mi sento come se fossi pronto a vivere altri ottant’anni! Diede un forte colpo di tosse, soppesò la sua espressione mesta allo specchio. Ah, bene. È abbastanza su cui concentrarsi oggi.

    Ettore capiva che una delle chiavi per una vita di successo era il tempismo. Aveva visto amici ostinati che cercavano di controllare le proprie imprese molto oltre il proprio tempo. Quando il declino arrivava, era veloce e irrevocabile. Conosceva uomini che una volta incutevano enorme rispetto ridursi a esseri inebetiti, con abiti cadenti, e che se la facevano addosso senza rendersene conto. La verità era che sentiva una fatica più profonda di sempre. Nel suo intimo più recondito lo sapeva. Era prossimo il momento in cui avrebbe dovuto passare in nuove più giovani mani la sua impresa, il lavoro della sua vita.

    Aveva pianificato una successione semplice. Avrebbe dato a Regina il quaranta percento della VCI, un altro quaranta percento al suo pronipote Donato Como, e diviso il restante venti fra Pietro Como e Rina Ameretti, la fedele vedova di Vito. Pietro era già benestante. Ettore aveva venduto la sua metà della cava a Carlo Como qualche anno prima: Pietro aveva ereditato tutto alla morte del padre. E sapeva che Rina, ora sessantanovenne, si sarebbe accontentata di una quota minore. Erano tutti membri della famiglia, ed era importante che l’azienda rimanesse in mano alla famiglia. Entro il mese, pensò Ettore, metterò in pratica il mio piano.

    Naturalmente Pietro Como era rimasto scontentato dall’idea, ventilatagli da Ettore qualche giorno prima. Niente era mai abbastanza per quell’uomo, rifletté Ettore. Se i suoi fratelli Gianni e Renzo fossero stati ancora vivi, Pietro non avrebbe posseduto più di un terzo della Cave e Calcestruzzi Naviglio. La cava aveva reso Carlo uno degli uomini più ricchi della zona. Ma qualcosa che Ettore non comprendeva spingeva suo nipote ad accaparrare, a manipolare sempre.

    E forse peggio. Io ho il mio distintivo reale che porto così orgogliosamente nelle occasioni speciali come oggi, pensò, Pietro ha la spilla di appartenenza del Partito Nazionale Fascista. Da quando suo nipote si era opportunisticamente aggrappato alla stella nascente di Benito Mussolini, Ettore aveva visto il simbolo fascista esposto con orgoglio sul risvolto della giacca di Pietro.

    Con un leggero bussare, Regina mise la testa dentro la stanza. Papà, tutti aspettano! Ettore le andò incontro, le prese le mani. Sei così bella, cara mia! Sono così contento che tu sia al mio braccio. Vieni, conducimi al mio destino!

    Il ricevimento era in corso nel grande salone da ballo ottagonale della villa, il cui parquet risplendeva. Imponenti colonne sostenevano il mezzanino dove stava suonando il quartetto d’archi. Camerieri in giacca nera portavano vassoi d’argento offrendo piccoli piatti di canapè salati agli ospiti in conversazione. Altri circolavano con prosecco e altre bevande dal bar ben fornito.

    La villa, costruita trent’anni prima, aveva superato le più alte aspettative di Ettore e Marietta. Edificata in stile rinascimentale, aveva l’interno aperto e spazioso, pieno di luce naturale. Il soffitto era un capolavoro, un affresco che rendeva splendidamente l’incontro di Vittorio Emanuele II e Giuseppe Garibaldi a Teano nel 1861. Il soggetto eroico e i colori robusti dell’opera le conferivano gravità ammorbidita da un’ariosa eleganza. Le numerose stanze della villa erano arredate in modo impeccabile: il gusto infallibile di Marietta aveva provveduto a ciò. Alte finestre con cornici dorate si componevano di pannelli di vetro piombato lavorato in forme geometriche elaborate.

    * * *

    Ai piedi della scala, Pietro Como si tolse un pelucchio dalla giacca. No grazie. Di nuovo disse con enfasi a un cameriere che gli stava offrendo un cocktail. Il cinquantaquattrenne si era reso conto che l’alcool era il tallone d’Achille di molti dei suoi colleghi d’affari. Sempre attento ad assicurarsi il proprio vantaggio, si era convertito astemio.

    Più basso di entrambi i fratelli, aveva la fronte alta, la linea dei capelli spaziata, basette corte. I capelli neri e sottili, ben tagliati e pettinati all’indietro, avevano qualche filo grigio. C’era un qualcosa della mascella Como in lui, ma il naso era quello di sua madre, lungo con una gobba. Aveva gli occhi scuri e penetranti. Quando parlava Pietro alzava il mento – qualcuno diceva di proposito – e letteralmente guardava il suo interlocutore dall'alto lungo il proprio naso.

    Pietro era sempre stato portato ai numeri, e amava ridurre le complessità a equazioni, al bianco e nero. Se dei tre fratelli Renzo era stato il figlio diligente, e Gianni quello con più propensione alla vita e alle persone, Pietro era l’abaco di famiglia, e riduceva ogni giorno a una serie di calcoli sistematici in una infinita battaglia per la vittoria.

    Si era assicurato che Regina invitasse un gruppo di persone utili alla serata dello zio ottuagenario. Senza i suoi suggerimenti, si sarebbe trovato davanti soltanto fossili dai bastoni picchiettanti dalla vita passata di Ettore. Ciò che lo zio non vedeva, Pietro rifletteva, era che l’Italia odierna era inondata di opportunità. Non era il momento di restare legati a vecchi metodi operativi. La competizione in uno stato socialista-fascista significava sgomitare aspramente non solo con altri uomini d’affari, ma con i gangli dei burocrati che controllavano i regolamenti e decidevano le assegnazioni. Era cruciale essere sempre un passo avanti. Pietro si toccò il distintivo del partito, si aggiustò i capelli, e ricominciò a osservare bene ogni personaggio che entrava.

    Gli ospiti raccolti erano più di un centinaio. C’erano membri della famiglia, ovviamente, come sua zia Rina e il figlio, Berto Ameretti. Da qualche parte c’era Donato Como, lo sapeva. C’erano molti conoscenti d’affari: fra di loro l’odierno avvocato della famiglia Vacci, Fiori, e il loro banchiere, Abramo Basillea.

    Pietro era solo. Sua moglie era morta dando alla luce il loro unico figlio più di vent’anni prima. Non gli mancava. Peccato che mia madre non sia qui a condividere il trionfo di suo fratello, pensò. Come i suoi fratelli, entrambi i suoi genitori erano morti. In una delle rare uscite a pesca sul Pirino, una domenica del 1929 il battello di Carlo si era rovesciato: il piede gli era rimasto intrappolato tra rocce sommerse. Sua moglie Tonia, che aveva portato il lutto ogni giorno dal novembre del 1911, lo aveva raggiunto dopo poche settimane soltanto, addormentandosi una sera per non svegliarsi più.

    Gli occhi di Pietro corsero al figlio, il Capitano Carlo Arturo Como, che indossava la casacca di lana grigio-blu della Regia Aeronautica. Pietro non riusciva a comprendere come il giovane Carlo Arturo fosse disposto a legarsi dentro un aereo da caccia G-50 e andare a rischiare la vita fra le nuvole. Ogni giorno si svegliava con una paura opprimente per la vita del ragazzo, anche se non condivideva mai i propri dubbi. Essere oggetto di troppe sollecitudini non rendeva nessuno più forte. E per essere franchi fino in fondo, il patriottismo di Carlo Arturo era un riflesso politico utile a suo padre.

    Si notava l’assenza del funzionario statale Carlo Brambilla, costretto a casa, morente nel proprio letto. Le libere elezioni erano una cosa del passato. Invece adesso i prefetti fascisti nominavano ogni sindaco di città, chiamati con il titolo medievale di podestà, che governavano per decreto. Con la dipartita di Brambilla attesa a breve, il posto direttivo vacante era di considerevole interesse locale.

    Pietro fu particolarmente gratificato nel notare la presenza del formidabile Eduardo Degligatti, uomo di fiducia di Mussolini e Ministro delle Corporazioni e Trasporti di Stato. Un convinto fascista, Degligatti era conosciuto per essere un amico intimo di Heinrich Himmler, il capo delle SS tedesche. Pietro conosceva bene il funzionario: molti contratti della cava gli erano finiti sul tavolo. I due avevano concluso parecchie collaborazioni reciprocamente utili. Insieme a Degligatti c’era un ufficiale SS che Pietro ancora non aveva conosciuto.

    Il quartetto sul mezzanino interruppe bruscamente l’esecuzione della Serenata Italiana di Hugo Wolf. L’improvviso silenziarsi della musica mise a tacere la folla.

    Regina Vacci, radiante nell’abito e nel portamento, era in cima alla scala curva. Attese fino a che tutti nella stanza le rivolgessero la propria attenzione.

    Egregi ospiti iniziò con voce chiara. Siamo veramente felici che abbiate voluto unirvi a noi nell’onorare l’ottantesimo compleanno del vostro collega e amico, il mio caro padre Ettore Vacci, Cavaliere della Corona!

    Ettore si portò alla vista di tutti. Madonna, pensò, che spettacolo! Che succederà quando compirò cento anni?

    Gli ospiti di sotto eruppero in un applauso spontaneo. L’onestà, la capacità di prendersi responsabilità, l’amore per i compagni, tutto ciò era personificato in cima alle scale. Ciò che era cominciato per qualcuno come educato ringraziamento per

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