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La Luce Del Cielo: Chiamata Alle Armi
La Luce Del Cielo: Chiamata Alle Armi
La Luce Del Cielo: Chiamata Alle Armi
E-book192 pagine2 ore

La Luce Del Cielo: Chiamata Alle Armi

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Info su questo ebook

Quello che era iniziato come uno spettacolare caso di evasione, si trasforma per il nucleo operativo 28 in un'intricata matassa. Gli agenti Fujimoto e Nomura, assieme al loro capitano, si trovano ad affrontare avversari sfuggenti e pericolosi, mentre la guerra dei cieli, sembra sempre meno lontana.
LinguaItaliano
Data di uscita15 set 2020
ISBN9788835887706
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    Anteprima del libro

    La Luce Del Cielo - Daniele Pezzano

    Rose

    Prologo

    Cinque lunghi anni erano trascorsi dalla partenza della Prometheus; un intero lustro da quel fatidico giorno in cui l’umanità intera aveva festeggiato da una parte all’altra del globo, la sua ultima conquista. I primi due, tre, furono anni di speranze e di attese. Tuttavia non durò a lungo: ben presto, un passo alla volta, il mondo tornò a preoccuparsi di cose ben più consuete come l’ormai costante crisi alimentare, le guerre, l'inquinamento, o gli interessi commerciali contrapposti. Avvenne così che l’euforia che per un attimo aveva fatto credere si potesse scrivere una nuova pagina nella storia dell’umanità, svanì, dissolvendosi come la nebbia in un mattino di primavera. Quando perciò, la stazione scientifica orbitale di Marte diede notizia dell'ingresso di un oggetto di ragguardevoli dimensioni nel sistema solare, la cosa venne quasi del tutto ignorata. Con molta calma, la comunità scientifica iniziò a vagliare i dati raccolti comprendendo quasi subito che dovesse trattarsi di uno sciame di grandi asteroidi. Ci fu addirittura chi ipotizzò potessero essere i resti di un pianeta distrutto da chissà quale cataclisma. Insomma le ipotesi e le teorie, più o meno credibili, non mancarono di certo. Qualsiasi cosa fossero però, furono tutti concordi nel ritenere che data la velocità e la traiettoria, avrebbero finito per essere catturati dalla gravità di Giove anche se i calcoli lasciarono una discreta possibilità che invece finissero preda di Saturno. In ogni modo la loro corsa si sarebbe conclusa con il terrificante impatto sulle atmosfere di uno dei due. Qualcuno si azzardò persino a calcolare l'immensa energia che si sarebbe sprigionata concludendo che se raccolta, si sarebbe potuto soddisfare il fabbisogno planetario per almeno sei anni. Si fece allora richiesta presso le nazioni unite affinché fossero stanziati fondi per l'osservazione ravvicinata del fenomeno, ma furono negati con fermezza assoluta: le spese sostenute dai finanziatori del progetto Luce del cielo erano state talmente ingenti che proprio quelle stesse nazioni rifiutarono categoricamente di impegnarsi. Le settimane passarono e nonostante tutto, a poco a poco, la notizia si ritagliò spazi sempre più ampi tra i titoli dei media di tutto il mondo. Infine ci fu un improvviso subbuglio quando alcuni scienziati della stazione orbitale di Marte, rilevarono un cambiamento di rotta nello sciame. Si ritenne ci fosse stato un errore iniziale nella lettura dei dati e subito si prese a ricontrollare ogni singola misurazione. Un’intera settimana scivolò via prima che si avesse la definitiva conferma della correttezza di tutte le osservazioni fatte fino ad allora. Un'altra ancora per scoprire la sconcertante verità: non si trattava affatto di asteroidi o meteore o comete o qualsiasi altro oggetto celeste quanto invece di un branco di enormi esseri viventi. Quando ciò accadde, la posizione era ormai prossima all’orbita di Giove. La notizia esplose come una bomba rimbalzando da Marte alla Terra, raggiungendo ogni singolo angolo del globo. Giornali, telegiornali, trasmissioni di ogni genere, nei giorni successivi a questa scoperta non si parlò d’altro. Di colpo l’umanità ebbe la certezza di non essere sola nell’universo. La popolazione e la comunità scientifica innescarono una vera e propria corsa per dare un nome a quegli animali; avrebbe dovuto essere qualcosa che facesse intendere la grandiosità della scoperta stessa e l’immensità di quelle forme di vita aliene. Alla fine si decise di chiamarli Leviatani come i mostri biblici. Passarono altri giorni. Il branco era ormai prossimo a Marte: aveva superato la fascia di asteroidi ed era chiaro a tutti come si stessero spostando sempre più verso le zone interne del sistema solare. Eminenti scienziati ed etologi supposero che fosse impegnato in una sorta di migrazione ciclica. Qualcun’altro ipotizzò si nutrissero del vento solare emesso dagli astri e che quindi avrebbero percorso una traiettoria tale da potersi avvicinare quanto più possibile al Sole. Adesso nessuno osò più tirarsi indietro. Venne mobilitata ogni risorsa necessaria. Nel giro di una manciata di giorni, la base scientifica internazionale su Marte fu pronta a lanciare una piccola flottiglia di astronavi alla volta del branco per sfruttare ogni secondo offerto dalla sua presenza e raccogliere quante più informazioni possibili. L’umanità sembrò aver ritrovato quel senso di fratellanza e unione che si era creato dopo la partenza della Prometheus. Un mese o poco più impiegarono i Leviatani a spingersi da Marte fino all’orbita di Venere. Il loro volo li portò a sfiorare anche l’atmosfera terrestre. Per giorni soprattutto la sera all’imbrunire, le loro sagome si stagliarono come minuscole macchioline contro la Luna. La popolazione terrestre rimase estasiata ed eccitata al tempo stesso da quell’incredibile spettacolo, ma i festeggiamenti durarono poco. Dapprincipio casi isolati di inspiegabili morie di uccelli in varie parti del mondo, a cui seguirono quelle di interi branchi di animali. I Leviatani passarono oltre il Sole allontanandosi sempre di più e non trascorse molto altro tempo, prima che la Terra si trovasse a dover fronteggiare una crisi senza precedenti storici: un batterio alieno era penetrato nell'ecosistema del pianeta. Il virologo Quatre Burnov fu il primo a isolarne il virione e sempre lui trovò conferme inoppugnabili del legame coi Leviatani: la sua struttura, il suo DNA erano qualcosa di totalmente estraneo a qualsiasi cosa fino ad allora catalogato dalla microbiologia. Non ci volle molto a quel punto a collegare il passaggio del Leviatani con l'ingresso del batterio nella biosfera e il suo successivo passaggio agli uccelli migratori. Nessuno però poteva immaginare fosse già troppo tardi: il salto dall'animale all'uomo era già avvenuto in diversi parti del globo. Rapidità di diffusione del contagio e mortalità furono devastanti: attaccando il sistema nervoso, il virus della SQB, o Sindrome di Quatre Burnov, provocava la paralisi di tutti i muscoli involontari e quindi la morte nel giro di qualche giorno, una decina al massimo. Il panico si diffuse quasi con la stessa rapidità e freneticamente ogni nazione tentò di porre rimedio a modo suo: chi bloccando intere popolazioni in casa e mobilitando l'esercito alle frontiere, chi sviluppando e testando vaccini sperimentali sui propri cittadini, chi bruciando interi stormi di volatili come fossero untori della nuova peste. Il disastro economico seguì di li a poco. Nessuna delle cure comunque, sembrò avere la meglio su quella terribile pandemia. Il conto delle vittime salì rapidamente. Dapprincipio furono centinaia, poi migliaia. A quel punto in una spirale di morte sempre più vorticosa, le vittime schizzarono a una decina di milioni nel giro di sei mesi. L’anno successivo i Leviatani erano spariti dal sistema solare. Le loro sorti però, non interessavano più al mondo. La Terra e l’umanità stavano morendo, forse ora in modo meno rapido, ma comunque inesorabile. La cosa peggiore era che nessuna delle soluzioni adottate pareva sortire alcun effetto decisivo. La SQB spariva per qualche tempo, in genere poco più di una settimana o due, un mese al massimo, per poi riapparire altrove. Migrazioni, guerre civili, carestie appesantirono oltremodo il bilancio già enorme delle vittime. Quando la popolazione mondiale dai quindici miliardi di nemmeno un anno prima, si ridusse a un terzo, nella frenetica disperazione del momento, si decise di riprendere in mano il progetto Luce Del Cielo e creare un’ulteriore serie di arche per poter mettere in salvo quante più persone possibile. L’idea avanzata da un gruppo di scienziati di creare colonie su Marte fu subito scartata quando anche tra il personale della stazione orbitale internazionale prese a diffondersi il morbo. Così mentre intere nazioni si sfaldarono come una diga mal progettata sotto la pressione dell’acqua, in un ultimo immenso sforzo, l’umanità si unì di nuovo. Correva il dodici di Giugno dell'anno 2182. Alle ore sei e 45 di mattina. Tre anni dopo la comparsa dei Leviatani. Un gruppo di astronavi ben più grandi della Prometheus, lasciarono il suolo della madre Terra con a bordo un totale di cento milioni di anime, tutto ciò che rimaneva del genere umano.

    La SQB tuttavia non lasciò tregua nemmeno a quel pugno di fuggitivi: li tormentò e falcidiò quei pochi per un ulteriore anno, ma poi accadde un miracolo. Un bambino, un fanciullo di nemmeno dieci anni: il suo sistema immunitario riuscì in qualche modo ad avere la meglio bloccando il virus prima che riuscisse a intaccare il sistema nervoso. Erano rimasti solo in quaranta milioni su una decina di arche quando il vaccino sintetizzato da quel piccolo eroe, riuscì a contenere il morbo. Non poteva però essere sufficiente: si doveva far sì che la SQB fosse debellata. Nei mesi successivi fu sperimentata una serie di terapie senza però trovare una soluzione definitiva. Alla fine si risolse di tentare la carta genetica e si procedette a cercare un modo di modificare il genoma umano in maniera da renderlo capace di coesistere col virus. Ciò che restava dell’umanità continuò a vagare nelle fitte tenebre dello spazio mentre freneticamente, alacremente, proseguì la ricerca e la sperimentazione. Poi accadde: circa sei anni dopo la partenza. Il segnale seguito come un faro nella notte, scomparve improvvisamente. La Prometheus era svanita nel nulla e così pure quel remoto pianeta che in tutto quel tempo con la sua mera presenza aveva alimentato la speranza dei sopravvissuti. Lo sgomento fu immenso, ma non ci fu tempo o modo per abbandonarsi allo sconforto. Si proseguì lo stesso, decisi a non mollare e onorare la morte di miliardi di persone. Nel corso delle settimane, dei mesi e degli anni successivi a quel tragico evento furono vagliate varie ipotesi per spiegare cose fosse accaduto. La più accreditata risultò quella del professor Watanabe. Egli imputava la scomparsa della loro nave guida alla distruzione della stessa causata da una perturbazione gravitazionale. Qualcosa di talmente potente da aver distorto il tessuto dello spaziotempo fino a far comparire un intero sistema solare in una falsa posizione; qualcosa però al tempo stesso così instabile che doveva esser stato sufficiente il passaggio ravvicinato della Prometheus stessa per distruggerlo. La ricerca e la sperimentazione nel frattempo, non si arrestò: il terrore che la Sindrome di Quatre Burnov potesse rialzare la testa, spinse tutti ad archiviare il più in fretta possibile ogni altro pensiero. Quella che infine, dopo ottocento anni, riuscì a trovare una nuova casa, era un'umanità totalmente differente: le modifiche apportate al proprio genoma erano riuscite a mutare il sistema nervoso centrale e periferico dell'organismo umano così da renderlo capace di sopravvivere assieme al virus. La speranza di un nuovo inizio pareva dietro l'angolo.

    Un Passo Alla volta

    Minos danzava pigramente attorno al suo sole, Castor-alfa, in un sistema binario, circondato da fasce di asteroidi tanto ricche di minerali preziosi quanto pericolosamente vicine. Decine di grandi stazioni orbitali di difesa si stagliavano alla luce del primo di quei due Soli volteggiando sopra la turbinosa atmosfera planetaria come api attorno a un fiore. Le grandi astronavi da battaglia attraccate alle stazioni, recavano su ciascuna le insegne della nobiltà di Minos: stemmi con creature fantastiche appartenenti ai miti terrestri come l’unicorno del casato Jarvis o il falcone dei Gerven, oppure con motti e simboli come i due soli sormontati dalla scritta " Ungenschalgen Minos", Minos Indomita,della famiglia Khoer, i signori planetari.

    La luce della stella filtrava a fatica attraverso il denso strato di nubi che attanagliava in una morsa gran parte del pianeta; si diffondeva, spandendosi in una soffusa luminescenza che faceva sfavillare gli oceani ghiacciati e i picchi candidi delle alte montagne nell'emisfero australe. Proprio laggiù sorgeva anche l’unica grande città di superficie, Karinia. Il baluginio della luce riflessa dalle steppe innevate, si specchiava sulla superficie liscia delle cupole che la proteggevano e da quest’ultime si levavano immense volute di vapore generate dai sistemi di termoregolazione. Strie luminose ferivano con cadenza irregolare il cielo. Piccole astronavi dirette verso lo spazioporto Ferdinand Khoer della città di superficie. L’estate di Minos era sempre più vicina, tra qualche giorno anche il secondo sole avrebbe fatto la sua comparsa appena dietro il primo, allentando un minimo, col suo calore, la glaciale morsa di quell'inverno perenne. Le strade di Karinia andavano animandosi: autobus, camion, serrande che si alzavano, persone che sciamavano da una parte all'altra. Erano stati giorni intensi quelli dell’ultima settimana: una serie di eventi avevano turbato la tranquillità relativa di un pianeta abbastanza lontano dal fronte stellare. Una spettacolare evasione, una vera e propria battaglia allo spazioporto, l’omicidio di una donna sui gradini della stazione centrale e per finire, la scomparsa del presidente Arata della corporazione Industrie Pesanti Minos. La luce del mattino si tingeva di un pallido azzurro mentre i sistemi d'illuminazione delle cupole quasi stessero destandosi assieme alla città si regolavano per mostrare ai cittadini di Karinia un cielo terso. Quella stessa luce però, non poteva giungere nella sala degli interrogatori della Polizia Corporativa Speciale. Proprio là, il capitano Takeshi Kanai con gli occhi rossi e il viso stanco, lottava con tutto sé stesso per non cedere allo sfinimento fisico e mentale che pervadeva ogni fibra del suo corpo.

    Da quanto tempo si trovasse laggiù, non avrebbe saputo dirlo nemmeno lui. Alcune ore per certo. Ogni angolo della sua mente rimandava dinanzi agli occhi, l’immagine del viso di Tessandra ferita mortalmente, facendogli rimbombare nella testa le sue ultime parole. Non c’era stato nulla da fare: colpita al cuore, era spirata nel giro di pochi secondi. Takeshi era solo adesso. Portato alla centrale immediatamente, gli furono poste un’infinità di domande: perché si trovasse lì, perché fosse armato, chi fosse Tessandra, come l’avesse conosciuta e se sapesse qualcosa che potesse in qualche modo giustificare quanto accaduto e lui rispose. Raccontò di lui e di lei, del loro primo incontro, di come si

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