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Lorian L'alleanza Dei Caduti
Lorian L'alleanza Dei Caduti
Lorian L'alleanza Dei Caduti
E-book230 pagine3 ore

Lorian L'alleanza Dei Caduti

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Info su questo ebook

Un autore da 2 milioni di copie.

Per chi intendesse proseguire l'avventura di Lorian, vorrei avvisare che per la fine del luglio 2019 uscirà il primo spin off della seconda serie HELLKAISER FORSAKEN.

Hell Kaiser Vol.1

La storia della razza umana, dell'universo, di tutto quello che esiste è diversa da quanto conosciamo, da quanto da sempre ci è stato narrato. È giunto il momento che il mondo, così come l'intero cosmo, comprenda quale terribile minaccia l'abbia colpito. Essa è inarrestabile, persino per il creatore stesso. La speranza è l'unica cosa che resta, l'ultimo sentimento a cui Dio può aggrapparsi e tale speranza ha un nome: Lorian.
Il solo in grado di rispondere alla chiamata di Dio, in grado di trascendere la sua natura al fine di essere condotto verso un destino inimmaginabile.
È l'anno 1812 e tutto sta per cambiare, per sempre.

Altre opere
Vai sul sito www.alessandrofalzani.com

LinguaItaliano
Data di uscita4 dic 2014
ISBN9781311743626
Lorian L'alleanza Dei Caduti

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    Anteprima del libro

    Lorian L'alleanza Dei Caduti - Alessandro Falzani

    «Ascoltate esseri umani, è giunto il momento che conosciate: io sono il vostro creatore, colui che ha plasmato l’universo. Da tempo avverto un pericolo che minaccia la sopravvivenza di ogni cosa. Ho taciuto troppo a lungo, ora cercherò di spiegarvi il legame che ci unisce e la condizione che ci accomuna. Voi, figli miei, mia creazione prediletta ed io, che più di ogni altra cosa ho voluto la vostra nascita, siamo legati da un triste destino, stiamo giungendo al culmine della nostra esistenza: l’universo si sta sgretolando.

    Tutto ebbe inizio nel momento in cui creai una nuova realtà, immensa e varia, sognavo un luogo speciale in cui sentirmi appagato. La realizzazione del mio progetto fu preceduta da una lunga analisi, trascorsi tantissimo tempo a scrutare il comportamento di altri universi che esseri creatori come me avevano generato, riflettei a lungo fino a quando mi risolsi alla creazione. Tornai nel Pleroma ed esposi il progetto di nascita a mio Padre. Credevo sarebbe stato un giorno per me indimenticabile. Certo della Sua approvazione, fui invece costretto a subire l’onta del rifiuto: il mio progetto era stato respinto insinuando che la mia energia ed il mio pensiero si sarebbero fusi in qualcosa di incontrollabile: mi riteneva inadatto a generare un mio universo. Eppure agli altri miei fratelli era stato concesso. Fui profondamente deluso e non comprendevo il suo timore, l’impulso di creare è sempre stato in me incontrollabile, inarrestabile. Mio Padre ben conosceva il mio pensiero, incaricò quindi alcuni fratelli di controllare il mio operato e frenarmi qualora fosse stato necessario. Fu in quel momento che il mio impeto prese il sopravvento e quanto era racchiuso nel mio pensiero iniziò a realizzarsi; ma qualcosa di incomprensibile era accaduto e invece dell’opera magnifica da dedicare a mio padre, Uno, generai un’aberrazione, un qualcosa di deforme da quanto avevo idealizzato. Ero sconcertato, preoccupato, deluso ma soprattutto ero solo con la mia incredulità: osservavo la mia creatura che a poco a poco prendeva forma, ingrandendosi, ancora ed ancora, sempre più, iniziando a vorticare minacciosamente, attirandomi verso di sé. Mai avrei immaginato nulla di simile. Un sentimento che prima di allora non conoscevo prese forma in me: ero disperato. Tuttavia mi riebbi in pochi attimi, elaborai un’energia che si opponesse a quella ma fu sufficiente un solo istante di distrazione e la vibrazione da me creata al fine di proteggermi si interruppe. Mi resi conto che la mia era una battaglia persa, per tale motivo quasi smisi di lottare e mi ritrovai sempre più vicino al centro di quella immensa forza distruttrice che tentava di ingoiarmi. Dovetti fare uno sforzo immane per poterne rimanere fuori, grazie ai miei immensi poteri potei salvarmi in una dimensione esterna. Lì ripensai a tutto, cercando di comprendere in cosa avessi sbagliato.»

    ***

    «Amore! Ti prego, svegliati! Di nuovo quello strano sogno!» Dalia scuoteva ripetutamente e con forza la spalla del marito che trafelato di sudore si dimenava nel letto, pronunciando parole e frasi incomprensibili. «Creatore, dimensioni, ma cosa ti succede? Per amor del cielo torna in te!» La donna era in preda al panico, il marito incontrollabile. Da giorni aveva incubi ricorrenti che lo assalivano improvvisamente, per abbandonarlo dopo pochi minuti ad un riposo tranquillo, ma non quella volta: il giovane parve non volersi svegliare, come se qualcosa lo avesse trattenuto in uno stato di dormiveglia da cui era impossibile uscire, poi, improvvisamente la calma. Dalia respirava lentamente, asciugava il sudore sulla fronte di Lorian, lo osservava ansimare cercando di immaginare cosa stesse disturbando il suo sonno, quale strano pensiero lo angosciasse e la causa del suo turbamento. Da quando si erano sposati, pochi mesi prima, Lorian aveva sempre riposato tranquillamente, andava a letto presto e si svegliava di buonora per iniziare una lunga giornata di lavoro. Da qualche settimana, tutti i suoi ritmi erano cambiati, trascorreva notti inquiete. Ad ogni sussulto, la moglie sobbalzava dal letto in preda al panico. Dalia temeva che andando avanti di quel passo il marito potesse crollare, ma non volle pensare nemmeno per un attimo che fosse diventato pazzo, così, improvvisamente. Infine gli carezzò il volto, adesso pareva tranquillo, anche quella notte era passata. Spense la candela che sullo sgabello era ormai quasi consumata e tornò a dormire, decisa che l’indomani avrebbe aiutato il marito.

    ***

    «Il tempo passava e l’universo si sviluppava velocemente, senza apparente ordine, seguendo un criterio che non era il mio. Spendevo tutte le energie nel tentativo di correggerlo ma le mie forze non erano sufficienti, mi sentivo solo, abbattuto dallo sconforto. Il mio impulso ebbe nuovamente il sopravvento, mi privai di una parte del mio essere e vi introdussi il mio pensiero, le mie volontà e quelle che voi, credo definiate emozioni, plasmando delle creature che mi ubbidissero e pregassero per me, alleviando la mia stanchezza e colmando la mia solitudine. Li chiamai angeli. Creai per loro un posto in cui vivere, un luogo bellissimo, dove calma e quiete regolavano lo scorrere del tempo; mi piaceva e piaceva anche a loro. Per la prima volta fui contento della mia opera e forse qualcuno era in grado di apprezzarla, interpretando in modo corretto la mia intenzione di creare un universo perfetto. Si trattava di un piccolo spazio, le cui dimensioni ed energia per nulla erano paragonabili alla mia creatura. Decisi di chiamarlo paradiso. Apprezzavo gli angeli, non potevo fare a meno di crearne altri e poi altri ancora, infine concessi loro la capacità di generare, li avevo dotati di libero arbitrio, ma ancora mi accorsi di aver sbagliato. Bramosi di potere, iniziarono a rivaleggiare tra loro e ad uccidersi selvaggiamente. Mal tolleravano di avere un creatore, ritenendo di essere miei pari tramavano alle mie spalle. Infine insorsero in una ribellione che dovetti sedare.

    Vivevo l’ennesimo fallimento, in cosa avevo sbagliato? Compresi che la creazione di esseri pensanti era un potere che non potevo concedere ad altri: gli angeli non avrebbero potuto più generare vita. Per la prima volta provai un impulso contrario alla mia natura, volevo distruggere tutto, ma l’universo era divenuto inarrestabile nella sua crescita, riuscivo a malapena a controllarlo, le miei forze non erano sufficienti. La mia rabbia crebbe in modo smisurato, quando alcuni di loro decisero di lasciare il paradiso per insediarsi sulla terra, l’unico posto in cui la vita stava seguendo il lento corso di sviluppo che mi ero riproposto, evolvendo esseri pensanti di limitate capacità, ma in grado di adattarsi alle condizioni e alle mutazioni fisiche che lentamente io proponevo loro: eravate voi, umani, le creature che amavo di più e alle quali rivolgevo tutte le mie attenzioni. Alla guida degli angeli ribelli vi era Lucifero, una tra le mie creature più belle e intelligenti, alla rabbia subentrò un grande sconforto misto a tristezza. Lucifero era stato per lunghissimo tempo al mio fianco sostenendomi devotamente, dimostrandomi la sua lealtà e l’avevo ricompensato concedendogli poteri smisurati, tale era la sua perfezione che pensavo addirittura di offrirlo a mio Padre. Lucifero era sceso sulla terra, deciso a dominare la razza umana confondendosi tra di loro e controllandoli subdolamente. Tali accadimenti minavano la mia salute, il mio equilibrio e mi stavano conducendo alla follia. Ero ormai controllato dall’ira che dava impeto ad una forza creatrice abominevole; malgrado il mio volere avevo generato un luogo diverso, orrendo e oscuro. Decisi di farne una prigione e di confinarvi gli angeli ribelli; tra loro si chiamavano demoni e presto iniziarono a riferirsi a quel luogo con il nome di Inferno.»

    Capitolo 2

    «Dalia, svegliati, è mattino!» disse Lorian ormai in piedi davanti al letto, tutto pronto per andare al lavoro. Dalia girò lentamente la testa aprendo gli occhi verso il soffitto, quindi la piegò e vide il marito già pronto. «Ma come fai a svegliarti sempre prima di me? Almeno avrai dormito qualche ora spero!» Di colpo lo sguardo del giovane si fece cupo, il sorriso scomparve dalle labbra e scosse la testa, «mi dispiace davvero amore, il fastidio che ti sto dando è enorme, ma credimi io non c’entro nulla, non sono io a voler vedere tutte quelle cose e non riesco a toglierle dalla testa. Come se qualcuno mi obbligasse a vedere, a sapere. Poi, stanotte è stato diverso, non so dire, ha parlato per più tempo e mi detto tante di quelle cose su di noi umani, ha raccontato anche di angeli e demoni. Sai, prima vivevano tutti insieme e…» Lorian si interruppe, osservando lo sguardo sconcertato della moglie. La stava facendo preoccupare, era meglio tenere tutto dentro, magari le avrebbe evitato inutili pensieri. Prese in fretta il borsino con il pranzo che Dalia aveva preparato la sera prima, si voltò rivolgendole uno sguardo di scuse, infine disse, «non sono pazzo e spero più di te che tutto questo finisca presto. Non sto sognando, almeno non credo. Tutto mi appare così reale… e comunque no, non mi faccio visitare da nessun dottore, non ne ho bisogno, adesso vado, ti amo.»

    ***

    È l’autunno del 1812, Londra in quell periodo dell’anno era particolarmente bella, misteriosa, avvolta da una sottile nebbia bianca, da cui solo i tetti più alti riuscivano a sfuggire. Quando pioveva, si poteva udire lo scorrere dell’acqua sui larghi lastricati di san pietrini e si sentivano le carrozze dei cavalli con i loro zoccoli, che increspano sull’acqua e le ruote che girando la trascinavano dietro, creando un piccolo rivolo. Alzando lo sguardo un po’ più in su, si notavano i fumi delle ciminiere mescolarsi con quella nebbia e creare una sorta di cortina grigia che saliva in alto e pian piano si dissolveva. Lorian non amava particolarmente Londra con tutte quelle diavolerie: fabbriche e macchine a motore, operai che con i loro grossi martelli creavano un tintinnio, quasi fosse una melodia e poi i commercianti, che per strada invitavano a concludere qualche grosso affare, per poi piantare chissà quale bidone. Ma Londra era anche tutta la campagna circostante, tanto spazio e silenzio interrotto solo dalla pioggia che bagnando la folta vegetazione ne nutriva le fonti e rallegrava gli agricoltori, che dell’acqua per i campi avevano assoluto bisogno. Con loro i terreni erano sempre generosi: ricchissimi raccolti ed una fiorente esportazione fecero delle campagne londinesi il fiore all’occhiello della città. Tra i contadini era uso comune celebrare la prima pioggia autunnale con una festa, dove canti e balli propiziavano la venuta di una stagione di abbondanti raccolti. Talvolta accadeva che le celebrazioni univano villaggi vicini, contagiando anche gran parte degli aristocratici di Londra, i quali raramente abbandonavano la città per controllare l’operato dei contadini e la resa del raccolto. Tra questi uomini dei campi spiccava per la sua forza fisica Lorian, conosciuto da tutti per le sue tristi vicende. La storia di come fosse orfano dalla nascita e di come i suoi genitori fossero stati trovati morti con la bocca inondata di sangue, era uno dei racconti preferiti dagli anziani per intrattenere ma anche intimorire i viandanti. Si narrava che la madre lo avesse appena partorito e che nel momento della morte lo stringesse forte tra le braccia. Il piccolo era ricoperto di sangue ma non piangeva, pareva fosse stato trovato dal prete, chiamato alcune ore prima dal padre, per avvisarlo dell’imminente nascita del figlio. Desiderava essere il primo a conoscere l’erede del suo caro amico Edwin e si era ben raccomandato di essere avvisato per tempo. Sembrava che i genitori fossero particolarmente religiosi e praticanti e che frequentassero assiduamente la loro parrocchia di cui erano grandi sostenitori. Attendevano la nascita del loro primo figlio con trepidazione e la mamma, Gloria, pregava regolarmente mattina e sera perché suo figlio nascesse sano e forte e crescesse nel giusto e nella verità. Il padre era un bravo falegname che lavorava sapientemente qualunque tipo di legno e che era particolarmente richiesto per le sue abilità. Il prete trovò i due bagnati da sangue reciproco, si tenevano entrambi le mani e si capiva chiaramente che sino all’ultimo si erano cercati con gli occhi. Questi erano sbarrati quasi avessero visto qualcosa di terribile. Non fece altro che imputare la colpa a quella povera creatura: Lorian era nato sotto una cattiva stella, per tutti era figlio del demonio.

    Per tali motivi crebbe principalmente in un convento nei sobborghi di Londra e trovò giusto conforto nelle suore, che lo educarono amorevolmente e lo indirizzarono verso una vita di rispetto per il prossimo e di amore per il Signore. Durante la sua permanenza non passò un solo giorno in cui il suo pensiero non fosse rivolto a Dio: chi era costui e perché tutti lo adoravano, per quale ragione egli era il centro della vita degli umani. Lorian, per quanto si sforzasse non riusciva ad amarlo, non provava nulla, gli rimaneva difficile persino pregare e questo, di certo, le suore non potevano accettarlo. Suor Elisabeth, entrata giovanissima in convento, cercò più volte di condurlo alla preghiera, i due si confrontarono spesso sull’argomento. «Sai piccolo Lorian, io mi sono fatta le tue stesse domande molte volte, ma come umani dobbiamo imparare ad accettare ciò che il Signore ci ha dato e ci chiede di fare, forse è la sola risposta che posso offrirti» concludeva Elisabeth, inclinando la testa in segno di resa. «No, no suor Ely, questo signore come tu lo chiami non mi ha mai chiesto di fare nulla, non mi ha mai chiesto di pregare e invocare il suo nome, io invece gli chiedo sempre di ridarmi mamma e papà ma lui non mi sente! Sono arrabbiato e non mi importa se anche lui lo è con me» rispondeva seccamente Lorian. Nell’ultimo dei loro frequenti discorsi, suor Ely si pronunciò in un modo che segnò il piccolo per sempre, «ascolta adesso basta! Per quanto io voglia comprendere il dolore del tuo cuore, non posso accettare i tuoi insulti, verso colui che ho deciso di seguire per tutta la vita. Evidentemente, Lorian, noi non abbiamo lo stesso Signore, il tuo deve trovarsi altrove!» urlò con le lacrime agli occhi la donna. Lorian non ci aveva mai pensato prima di allora: poteva, anzi, doveva essere così, egli percepiva di appartenere ad altri, ad una forza diversa ed inspiegabile da cui si sentiva profondamente attratto. Chinò il capo, quindi lo sollevò lentamente fissando la suora pentita per quanto detto poco prima, infine voltandosi di spalle le disse, «hai ragione suor Ely, non è questo il mio posto, ma non temere, il tuo operato è eccellente e se temi di non servire il tuo Dio come credi dovresti, sappi che ti sbagli, per me sei e sarai sempre la sorella che non ho mai avuto, ancora grazie!» Si diresse lentamente verso l’uscio socchiuso, tutte le suore del convento, udendo l’animata discussione, si erano radunate ed ora lo fissavano allontanarsi con sguardi insistenti, che pesavano sulle sue spalle come macigni. Forse suor Ely era la sola ad esser dispiaciuta che andasse via, lei lo aveva accudito amorevolmente e cresciuto. Chissà, magari un giorno sarebbe tornato a trovarla.

    A soli 13 anni iniziò a vagare per i paesi vicini con l’intento di nascondere il suo passato e provare a crearsi un futuro, magari una famiglia. Tuttavia, aveva una domanda a cui rispondere: era lui il colpevole della morte dei suoi genitori? In realtà nessuno gli aveva mai parlato dell’episodio della sua nascita, ma l’evento era ben noto nei villaggi vicini. Sin da piccolo percepiva gli sguardi biechi dei paesani che incrociando il suo cammino l’osservavano con timore e riprovazione. Crescendo, aveva iniziato a cogliere, nei bisbigli dei passanti, parole oscure a lui rivolte. Nelle notti, la sua mente elaborava voci e sguardi, restituendo incubi terribili che al risveglio lasciavano dolorosi interrogativi. Un mattino si era destato in preda al panico, per la prima volta aveva messo insieme i pezzi: sapeva che i propri genitori erano stati trovati morti, riversi nel proprio sangue, lo sguardo terrorizzato, egli, infante, era stato risparmiato. Per tutti egli era il figlio del demonio, in qualsiasi luogo andasse. Viaggiando fantasticava su quale futuro lo aspettasse, pensava alla casa in cui un domani avrebbe vissuto con sua moglie, gli piacevano le bionde, alte e che parlavano, che facevano battute, egli in fondo si sforzava di essere sempre allegro. Trascorsi alcuni mesi, il destino parve iniziare a sorridergli tanto da fargli trovare un paese in cui fermarsi stabilmente. Lì nessuno lo conosceva e l’appellativo figlio del demonio cadde presto nel dimenticatoio. Roxville, così si chiamava quel piccolo paese: una modesta chiesa, qualche artigiano, casette principalmente in legno e tanta, tanta quiete, proprio come Lorian desiderava. Facendo leva sulla sua grande forza, non ebbe difficoltà a trovare lavoro come bracciante nei campi ed in meno di cinque anni riuscì a costruirsi una piccola casa con un modesto pezzetto di terra, ma soprattutto non era più solo. Con lui vi era Dalia, una stupenda ragazza dagli occhi azzurri, profondi, in cui Lorian si perdeva e che a volte lo facevano piangere, tanta era la bellezza di quello sguardo, che poteva incantare persino la dea della bellezza stessa, come amava ripetere. Dalia era semplice, umile, sempre calma ed in grado di infondergli una forza spaventosa, ben più grande di quella fisica, una forza che negli anni gli permise di valicare qualsiasi ostacolo, come la fame, il freddo, la gente che lo derideva per la sua povertà e poi il dramma dei suoi genitori. Questo più di ogni altra cosa

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