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Un altro viaggio nelle Marche
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E-book254 pagine2 ore

Un altro viaggio nelle Marche

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Info su questo ebook

Con le foto di Mario Dondero e la prefazione di Angelo Ferracuti.Due marchigiani alla scoperta delle Marche. Da autentici viandanti immersi nella loro regione con la curiosità del forestiero e la coscienza dell’indigeno, liberi dal vincolo dell’automobile, viaggiano esclusivamente con i mezzi pubblici.È un viaggio diverso, un AltroViaggio sugli itinerari meno frequentati, arrivando nelle Marche segrete. Partiti con l’intenzione di tracciare una specie di alternativo portolano enogastronomico, hanno finito per guardare, ascoltare e scoprire l’umanità marchigiana. Ne è emerso un racconto a due voci, fatto di storie, di luoghi, di persone. Cercano le Marche e trovano i marchigiani.Un viaggio facilmente ripetibile; i percorsi, i singoli luoghi, i cibi descritti, possono essere l’ispirazione per tutti i viaggiatori curiosi, desiderosi di fare il proprio viaggio nelle Marche.Un autentico e vitale reportage on the road sostenuto dagli incontri “casuali” a tavola con giornalisti, scrittori e accademici come Massimo Raffaeli, ma anche contadini, vignaioli, osti, artigiani, inestimabili custodi di storie e saperi che saranno occasionali compagni di viaggio.
LinguaItaliano
Data di uscita11 set 2020
ISBN9788898848805
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    Anteprima del libro

    Un altro viaggio nelle Marche - Paolo Merlini

    Cinque

    …ÇA VA SANS DIRE

    Sabato 29 ottobre: gioioso risveglio nel mio letto. Come tutti quelli in odore di dromomania non sono particolarmente affezionato alla mia camera da letto, ma è ancora una gioia, di mattina presto, trovare mia moglie accanto. La luce filtra delicatamente dalla tapparella della finestra. I miei dormono ancora. Mi alzo. Sgattaiolo silenziosamente in soggiorno e metto mano al tesoro accumulato lungo tutto il viaggio: il taccuino e i tanti biglietti dei bus e dei treni che ci hanno trasportato. È un attimo, e con la memoria torno a viaggiare per le vie traverse delle Marche.

    Ieri sera, grande cena di bentornato al Sabya di Grottammare. Quale migliore accoglienza di un brodetto alla sambenedettese condiviso con familiari e amici? Luca, lo chef, sentendosi sotto esame, ha dato il meglio e nel padellone c’erano tutti: coda di rospo, mazzolina, vocca in capo, scorfano, ragno, triglia, busbana o merluzzo, razza chiodata, palombo, gattuccio, insieme a seppie, scampi o pannocchie. Che cena memorabile. Tutti hanno voluto ascoltare il racconto del nostro viaggio.

    È stato Guido Piovene a metterci sulla buona strada: Un viaggio nelle Marche, non frettoloso, porta a vedere meraviglie. A noi che abbiamo fatto della lentezza una bandiera, questa frase del suo famoso Viaggio in Italia, è sembrata un imprimatur. Da anni abbiamo scoperto il valore del viaggio lento e spesso ci concediamo questo lusso facendo un uso improprio del sistema di Trasporto Pubblico Locale.

    Poi, che la nostra regione sia piena di meraviglie, abbiamo iniziato a scoprirlo sin dalle gite scolastiche delle elementari (ai nostri tempi, entro i dieci anni, era d’obbligo visitare le Grotte di Frasassi e Recanati natìo borgo selvaggio). Come leggerete, la rete delle autolinee extraurbane è sufficientemente capillare e le corse sono abbastanza frequenti per poter fare un viaggio altro sin dalla scelta del mezzo di trasporto.

    Ci siamo avventurati a viaggiare le Marche dopo aver imbastito contatti con una serie di personaggi che potessero descrivere il loro territorio anche attraverso le specialità enogastronomiche. Questi giardinieri di Dio per dirla con Paolo Rumiz, ci hanno insegnato l’alfabeto segreto dei loro luoghi e a tutti loro saremo grati per sempre.

    ALn 668

    Un altro viaggio nelle Marche inizia di venerdì. Da un lato vorremmo sfatare il detto Né di venere né di marte, non si sposa e non si parte…, dall’altro io amo partire il venerdì sera. È come se il venerdì verso le 18 iniziasse il mio sabato del villaggio.

    Il primo autobus lo prenderemo ad Ascoli Piceno, che abbiamo deciso di raggiungere in treno. Il Mau salirà a Porto d’Ascoli, mentre io prenderò il convoglio alla stazione di Monteprandone che dista meno di un chilometro dal mio ufficio.

    Mentre cammino verso la stazione assaporo la partenza. La preparazione di questo viaggio è stata lunga e qualche volta non sono mancate le ansie del viaggiatore. Mi tornano in mente le parole di Ambrogio Fogar: La storia di queste pagine non è la descrizione di un viaggio, ma di me nel viaggio. È la narrazione di vita quotidiana, piccoli avvenimenti, piccole cose. Non ci sono lezioni per il mondo o rivelazioni per scuotere gli uomini…. L’incipit della prefazione al suo 400 giorni intorno al mondo mi fa compagnia.

    Conosco bene l’Automotrice FS ALn 668 che ci accoglierà a bordo, per anni mi ha portato al lavoro. Considerando che la produzione di questo modello è terminata, a quanto pare, nel lontano 1983, gli esemplari in circolazione sulla linea non sembrano dimostrare l’età che hanno.

    Ogni volta che, qui o altrove, salgo a bordo di questo treno, mi convinco che l’automotrice leggera a nafta è il famoso treno dei desideri quello che, come canta Paolo Conte, nei miei pensieri all’incontrario va.

    La Monteprandone Railway Station, come le centinaia di sorelle sparse per le linee ferroviarie secondarie dello Stivale, non è più presidiata da decenni, ma un tempo qui ci viveva un capostazione con tutta la famiglia. L’edificio della stazione dopo anni di abbandono è stato restaurato. Le stanze che ospitavano i comandi della linea oggi sono diventate la sede del locale ufficio della Protezione Civile. Dei vani ai piani superiori, un tempo abitati dalla moglie del capostazione e dalla loro prole, non è dato sapere. Faccio il giro della palazzina per cercare di capire il perché del color cacarella col quale sono state dipinte le mura esterne. Non ho successo, forse non c’è niente da capire, come ci ha insegnato De Gregori, ma mentre aspetto il mio treno dei desideri attizzo l’orecchio e mi sembra di sentire l’acciottolato che facevano i piatti all’ora di pranzo quando la moglie del capostazione metteva in tavola. Provo anche ad annusare con vigore, ma non mi arriva il profumo di quelle pietanze, spesso di altre regioni, che impregnarono le pareti interne nel tempo che fu.

    Guardo il mio biglietto Monteprandone-Ascoli Piceno: 24 km per 2,30 euro. Chiudo gli occhi e sento salire in bocca il sapore dolce delle endorfine. Mentre l’ansia evapora e la fretta pure, dall’altoparlante una voce metallica mi avvisa che ci siamo. È in arrivo il mio treno. Binario unico, lo vedo arrivare da Est rallentando, poi si arresta. Salgo e mi specchio nella faccia del Mau dove ritrovo lo stesso sorriso furbo del bimbo che sa di aver fatto una marachella. Siamo come in trance. Ci salutiamo. Ma poi, neanche fossimo reclute sulla tradotta per il fronte, silenziosamente sprofondiamo nel lessico di questo paesaggio molto familiare che vediamo ogni volta con occhi nuovi. È già viaggio!

    TENERA ASCOLI

    San Benedetto-Ascoli è il mio treno del cuore. Sarà perché è il primo che ho preso in vita mia oppure perché, prima di oggi, mi è capitato sempre di prenderlo da solo, al massimo in compagnia di un libro o di un pensiero. La prima volta mi portò al distretto militare per presentare la domanda di rinvio del servizio di leva, ai tempi delle guerre puniche, direbbe Paolo. C’erano i sedili di legno e l’odore di nafta che imperversava nella carrozza. Poi, durante gli anni di pendolarismo (stento a crederlo anch’io ma c’è stato un tempo in cui sono stato impiegato di concetto nella Pubblica Amministrazione del capoluogo di provincia), avevo imparato a memoria tutti gli orari e persino i turni dei vari controllori; i sedili erano quelli imbottiti, comodi per schiacciare un pisolino dopolavorativo. Nei prossimi mesi sarà avviata l’elettrificazione di questa tratta ferroviaria e probabilmente queste carrozze andranno in pensione, non si sentirà più l’odore caldo e minerale del diesel e non si avrà più il piacere di viaggiare con i finestrini aperti d’estate, un privilegio ancora riservato ai passeggeri delle gloriose littorine.

    La littorina per Ascoli è il treno per eccellenza di studenti e pendolari, passa esclusivamente nei giorni feriali. L’orario di Trenitalia non prevede nei giorni di festa la possibilità di andare ad Ascoli per fare una passeggiata, oppure per gli ascolani di venire al mare. La domenica tutti in auto, oppure in autobus.

    Ma l’aspetto più bello di questo trotterellante vaporetto su rotaie è l’ampia vista della vallata del Tronto di cui si può godere dai finestrini. Sul versante a Sud i primi pendii abruzzesi; sul lato a Nord i profili, uguali ma diversi, dei borghi piceni, vedette della valle: Monteprandone, Monsampolo, Spinetoli, Colli. La strada ferrata corre dritta costeggiando piazzali e magazzini di brutte zone industriali anni Settanta, ma anche una serie di piccoli orti domestici, vigneti e frutteti sistemati chirurgicamente tra le case e le traversine dei binari. Il pendolare attento finisce per imparare le cadenze stagionali di frutta e ortaggi: a primavera le fave e i piselli, d’estate dominano pomodori di tutti i tipi alternati a zucchine e melanzane; in inverno spopola il cavolfiore nelle sue molteplici varianti, guardato a vista da alberi carichi di meravigliosi kaki, sentinelle curiose di ogni orto che si rispetti. Nel riepilogo delle specialità cittadine della prima guida gastronomica d’Italia, pubblicata negli anni Trenta dal Touring Club Italiano, San Benedetto aveva una sola voce: cavolfiori. Ancora negli anni Sessanta si ricordano sconfinate distese di broccoli quasi fino al mare. Incredibile ma vero, niente pesce e brodetto, ma pare che i cavoli avessero un sapore unico e speciale, lasciato in dote dall’Adriatico scivolato verso la Dalmazia a fine Seicento.

    Dalla stazione di Offida-Castel di Lama in poi, come tanti indiani pronti a dare l’assalto al treno, sono gli ulivi a circondare la ferrovia. Ulivi a perdita d’occhio sotto l’ombra rassicurante della Montagna dei Fiori. L’ulivo nel Piceno è una figura familiare da sempre, e l’oliva è una cosa terribilmente seria, soprattutto quando si tratta dell’oliva tenera Ascolana, regina indiscussa tra le olive verdi da mensa ma soprattutto base per la produzione di una prelibatezza assoluta delle Marche qual è l’oliva farcita, più nota come oliva ascolana ripiena.

    Vista la complessità della preparazione e la ricchezza degli ingredienti è probabile che non sia un piatto di estrazione contadina, quanto piuttosto una creazione nata in un salotto aristocratico. Tuttavia non esiste quaderno di ricette di famiglia, popolare o nobile che sia, che non contenga una ricetta di questo piatto ormai celebre. In diversi casi il prezioso quaderno, custodito gelosamente e tramandato di madre in figlia, conteneva più versioni della stessa ricetta che si differenziavano per alcuni dettagli, insignificanti per un palato distratto, decisivi per la sensibilità sopraffina della cuoca di casa.

    Nell’entroterra ascolano è così, ogni nonna ha la sua ricetta personale e ognuno giura e spergiura che a casa sua si mangia l’oliva ascolana (liva fritta la chiamano) più buona. Non esiste un bambino che, vanificando ore di certosino lavoro della nonna per estrarre il nocciolo senza rompere la polpa, non abbia razziato di nascosto quelle tenere olive a forma di irresistibili spirali, messe a mollo in acqua e limone per non farle annerire, un tantino amarognole ma golosissime; che non si sia abbuffato di quella pasta molle e deliziosa, ancora calda, che era la carne macinata (ogni volta diversa, vero segreto e marchio di fabbrica dell’oliva di famiglia); che non abbia rubato quella palletta sbilenca di oliva e carne chiedendosi perché mai non si potesse mangiare così che era già buonissima; che non si sia impiastricciato le mani con quelle polpettine infarinate e non si sia divertito a tirarle nella vaschetta dell’uovo sbattuto; che non abbia goduto a rotolarle nel pangrattato immaginando che fossero biglie sulla sabbia; che infine non si sia ustionato la lingua mangiando un’oliva ripiena appena estratta dall’olio bollente, perché resistere a quella tentazione non era umanamente possibile. Anch’io sono marchiato a fuoco e posso dichiarare, senza timore di smentita, che l’oliva ascolana è il nutrimento dell’anima picena.

    La littorina per Ascoli è il mio treno del cuore. Probabilmente queste carrozze andranno in pensione, non si sentirà più l’odore caldo e minerale del diesel.

    Ascoli. Foto di Mario Dondero

    ASCOLI PICENO RAILWAY STATION

    All’imbrunire, nelle giornate invernali, la stazione ferroviaria di Ascoli Piceno si ammanta di un fascino antico che propizia i déjà-vu. Mi ha sempre affascinato la definizione di questo fenomeno psichico rientrante nelle forme di alterazione dei ricordi: esso consiste nella sensazione erronea di aver già visto un’immagine o di aver già vissuto precedentemente un avvenimento o una situazione che si sta verificando. È successo ancora entrando nella biglietteria della Start che è incastonata nel corpo del fabbricato viaggiatori (per i non addetti ai lavori l’edificio principale di una stazione ferroviaria nel quale si svolge il servizio viaggiatori e nel quale sono presenti tutte le connesse strutture).

    È tutto come una volta: gli infissi di legno verniciati di beige, il tetto a volta, il bancone d’epoca; solo la pettinatura dell’impiegata, un taglio moderno, fa evaporare il mio déjà-vu. Mi ritrovo in mano due biglietti Tratta 4 da 2,10 euro cadauno. Il titolo di viaggio ci consente di salire a bordo della nostra moderna corriera blu, che placida e tranquilla ci aspetta sul piazzale. Obliteriamo di slancio e ci assettiamo papali.

    Alle 18.10 si parte. Il bus raccatta passeggeri per il circuito cittadino che passa in pieno centro. Dai finestrini ci godiamo lo struscio serale ai margini della bellissima Piazza del Popolo quindi usciamo da Porta Romana e ci avviamo per la Strada Statale 4, la Via Salaria. A bordo ci fanno compagnia qualche anziano, seduto davanti, e la solita masnada di adolescenti ecologisti forzati seduti dietro.

    Dopo Mozzano la magia che non ti aspetti si materializza quando il bus non imbocca il nuovo moderno tracciato della Salaria. Il percorso contemporaneo, con alti viadotti ha raddrizzato gran parte della strada un tempo famigerata per le curve. Abbreviando le distanze si è ottenuto anche lo sgradevole effetto di diminuire il gusto del viaggio, oltre a tagliare fuori una serie di paesini un tempo floridi grazie al traffico sulla consolare. No, il nostro pullman della Start va sicuro per la Vecchia Salaria. Passiamo quindi per Arli che è già frazione di Acquasanta Terme. Arli è famosa per il suo ponte cinquecentesco. Più avanti, a Centrale (anch’esso frazione di Acquasanta) ecco sulla sinistra le cave di travertino. Dalla superstrada questi spettacoli sono invisibili e me ne dolgo per quelli che sono obbligati a correre.

    Ore 19.10 siamo ad Acquasanta Terme: 54 chilometri da casa ma già altrove. Al Caffè del Corso aspettiamo gli amici che ci porteranno in montagna al cospetto di Emma: l’ostessa dei Monti della Laga.

    LA GROTTA DELLE TERME DI ACQUASANTA

    Appuntamento al Caffè del Corso. La prima di una lunga serie di soste nei vari bar di piazza, immancabili in ogni comune dell’entroterra marchigiano. Spesso sono caffè storici ma senza blasone e solo di rado conservano gli arredi originali, magari restaurati a regola d’arte. Però tutti sono inderogabilmente luogo di

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