Note d'inchiostro - Antologia dal concorso
Di AA.VV.
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Info su questo ebook
di AA.VV. in collaborazione con www.readandplay.it
La musica è una delle più belle forme d’arte e ha il potere di toccare l’anima; così come la poesia, è universale: ci emoziona. Per secoli è stata fonte di ispirazione; è in continuo divenire, si evolve, sperimenta. In qualsiasi sua declinazione, la musica è il prodotto perfetto di un’espressione artistica e creativa. È così potente da consolare un cuore spezzato e illuminare anche i nostri giorni peggiori; viene persino usata come pratica terapeutica le persone autistiche, per chi ha il morbo di Alzheimer il morbo di Parkinso, per chi soffre di ansia, depressione e persino schizofrenia.
La musica accompagna ogni momento della nostra vita, rallegra I nostri viaggi, ci aiuta a rilassarci, ci stimola mentre ci alleniamo e fa da sottofondo alle nostre letture.
Non ci sorprende, quindi, il rivolgerci alla musica per trarre ispirazione. La musica risveglia la creatività, attinge al nostro subconscio e tira fuori il meglio e il peggio di noi.
Questa raccolta di racconti, realizzata in collaborazione con il Blog “Read and Play”, è la dimostrazione che la musica e la letteratura viaggiano mano nella mano.
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Note d'inchiostro - Antologia dal concorso - AA.VV.
AA.VV.
Note d’inchiostro
Antologia di racconti
LE MEZZELANE CASA EDITRICE
Note d’inchiostro – antologia di racconti, AA.VV.
Curatori: Lara Santini e Davide Morresi per Read and Play, Rita Angelelli per Le Mezzelane Casa Editrice
Prima edizione 2020 - Le Mezzelane Casa Editrice
ISBN 9788833284682
Illustrazione di copertina di Giuseppe Di Benedetto
Progetto grafico: Arianna Dongu
Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, istituzioni, luoghi ed episodi sono frutto dell’immaginazione dell’autore e non sono da considerarsi reali.
Qualsiasi somiglianza con fatti, scenari, organizzazioni o persone, viventi o defunte, veri o immaginari è del tutto casuale.
Le Mezzelane Casa Editrice di Capomasi Camilla
Via W. Tobagi 4/h - Santa Maria Nuova - An
www.lemezzelane.eu
email: informazioni@lemezzelane.eu
Indice
Prefazione
Fine della carriera di un adolescente nel campo della musica sacra, di Stefano Cordoni
Alright, di Cinzia Milite
Killer Queen, di Pietropaolo Pighini
Mi ritorni in mente, di Silvana Salati
L’amore è una questione di PH, di Antonio Stella
Il diario dei perduti, di Elena Fanti
Sembrava un attrice kabuki, di Antonio Lucarini
Cuccurucucu, di Pina Rinaldi
Note per noi, di Giuliana Arpini
Delirio e castigo di una mente troppo romantica, di Diana Baldi
Redenzione, di Serena Barsottelli
Il vecchio e il mare, di Marco Bonini
Restiamo a casa, di Luca Brecciaroli
Lontano, di Gianni Fabiano
In the deep blue sea, di Renato Maria Luigi Ghezzi
Se tornerai, di Anna Rita Lisco
Un suono di fisarmonica, di Alessandro Manzi
Loop, di Maria Anna Mastrodonato
L’Erica di Chopin, di Floriana Naso
Alice e il violino, di Elena Passoni
Respira ancora, di Mike Papa
Note, amore e psicofarmaci, di Andrea Petrucci
La convenzione, di Donato Ruggiero
Ogni giorno, di Giovanni Ruggiero
Cinque sensi, di Chiara Sgambetterra
Postfazione
Note biografiche dei curatori
Lara Santini
Davide Morresi
Rita Angelelli
Pubblicati nella stessa collana
Guide
Title page
Copertina
Prefazione
Quante volte vi è capitato di incontrare un riferimento musicale in un testo di narrativa? Quante altre avete pensato di cercare on line proprio quel cantante o quel brano citato, per ascoltarlo e magari scoprire qualcosa di nuovo?
Sono molteplici gli scrittori, sia italiani che stranieri, che usano la musica nelle loro opere e che ne hanno fatto addirittura un tratto distintivo, dedicandole interi romanzi, tanto da farla diventare la protagonista.
Allo stesso modo, sono infinite le canzoni o gli album che hanno tratto ispirazione da libri di vario genere e epoche differenti.
Read and Play è un progetto nato poco più di un anno fa.
Nel corso di questo periodo, abbiamo avuto modo di conoscere scrittori, editori, musicisti, operatori impegnati nell’editoria, e tutti, davvero tutti, hanno confermato come ancora non esistesse un progetto simile, con l’intento di congiungere in modo integrato e approfondito i legami e le influenze tra musica e letteratura.
Se molti brani sono entrati a far parte della letteratura e altrettanti musicisti hanno composto le loro opere ispirandosi ai libri, perché non dare l’opportunità ad autori emergenti di scrivere racconti con uno specifico tema musicale?
Questa antologia, nata dalla collaborazione tra Read and Play e la casa editrice Le Mezzelane, è la conseguenza spontanea del lavoro che svolgiamo ogni giorno con passione. Il risultato è un volume dove la fusione tra musica e letteratura è totale.
I 25 racconti pubblicati sono quelli che hanno superato la selezione della prima edizione del concorso Note d’inchiostro
. È stato difficile scegliere: molti scritti erano davvero di ottima qualità, ma avevamo un limite da rispettare.
Qui trovate i migliori, giudicati tali considerando lo stile, la scrittura, la pertinenza al tema, l’originalità. In tutti la musica è fondamentale. A volte è protagonista, altre è un sottofondo, altre ancora è presente in forma di citazioni: in ogni componimento la troverete impressa tra le parole come parte imprescindibile del testo.
Non può ovviamente mancare la colonna sonora di Note d’inchiostro 2020
, creata in base alle canzoni scelte dagli autori. La potete trovare e ascoltare nel sito www.readandplay.it o nell’account Spotify Read and Play.
Ora non ci resta che augurarvi buona lettura. O forse dovremmo augurarvi buon ascolto?
Nel dubbio, facciamo così: ascoltate il libro e leggete la playlist. Sì, avete letto bene, non abbiamo invertito i verbi per errore. Perché questo libro va ascoltato, e la sua colonna sonora va letta.
Davide Morresi
Lara Santini
www.readandplay.it
Fine della carriera di un adolescente nel campo della musica sacra,
di Stefano Cordoni
1^ classificato
Stefano Cordoni, nato a Reggio Emilia, vive a Bologna.
Impiegato, scrive e suona in un gruppo jazz.
Ha pubblicato noir e romanzi per ragazzi con diverse case editrici, oltre a numerosi racconti inseriti in varie antologie.
Non c’è che dire, una volta sì che le parrocchie erano parrocchie.
Non come adesso, che le chiese sono aperte solamente agli orari delle messe e le poche che hanno un oratorio per i ragazzi, mezz’ora dopo il catechismo chiudono i portoni.
No, allora la parrocchia era terra libera. Andare a messa faceva parte del sistema, incombenza né entusiasmante ma neanche noiosa, semplice elemento di quell’universo, esattamente come il campetto, la sala proiezioni e il bar con il ping-pong e il biliardino.
Ogni tanto ci toccava fare il chierichetto, ma il compito non era particolarmente gravoso. Bisognava far suonare una campanella al momento giusto e portare il vassoietto con le ostie sull’altare al semplice cenno della testa di Don Franco. Il tutto in quella candida tunica ricamata. Solo che non è che propriamente fossimo angioletti... Nulla di che, beninteso, ma sempre bambini eravamo.
A quel tempo io avevo due passioni: il pallone e la chitarra.
Il pallone era la mia attività principale. Nel cortile della parrocchia, le sfide alla domenica dopo la messa o dopo il catechismo erano ricorrenti. Le porte erano il portone di servizio e gli alberi che recintavano il cortile. La regola principale era: la palla non si passa a nessuno…
L’altra grande passione che cominciava ad affiorare in quel periodo era la musica e, in particolare, la chitarra. Da un paio d’anni avevo iniziato a suonare con la mia chitarrina da ¾ ma da quell’anno ero passato alla chitarra di misura normale. L’acquisto del nuovo strumento aveva fatto affiorare in me nuova linfa. Era una chitarra costruita in Spagna, l’avevo voluta nera, con le corde di metallo, perché avevo deciso che nera era bellissima!
Andavo a lezione di chitarra da una ragazza di cui non ricordo il nome, io e un altro bambino. Solo che dopo un po’ l’altro bambino cominciò a non tenere più il passo con me per cui l’insegnante mi aveva dovuto cambiare compagno.
Fino allora la vita scorreva nella piacevole routine di ogni bambino della mia età. La mattina andavo a scuola e il pomeriggio spesso andavo all’oratorio a giocare con i miei amici. Quando era tempo brutto o non c’era nessun amico nei paraggi mi mettevo seduto sul letto con la chitarra in mano provando nuovi accordi e giri armonici.
L’evento che ebbe peso rilevante nella mia vita fu però il terremoto.
Il terremoto
Noi lo sentimmo poco ma mio cugino no. Laggiù, a Napoli, era stato un disastro. Mia zia ebbe la casa fortemente danneggiata e chiese a mia madre se poteva mandare da noi il figlio per un paio di settimane.
E così dopo pochi giorni arrivò mio cugino.
Non avevo una grande confidenza con lui perché ci vedevamo piuttosto raramente, e in quelle poche volte la differenza di età – lui era più grande di me di cinque anni, ma a quell’età è come se fossero venti – ci impediva di entrare in sintonia. Comunque era una novità e ne ero incuriosito, ma non avrei mai immaginato che proprio lui sarebbe diventato il mio idolo.
La molla scattò subito, quando, arrivato da Napoli in treno da solo, gli feci vedere la mia camera, nella quale avevamo aggiunto una brandina improvvisata. Piuttosto imbarazzato, non sapevo di cosa parlare e non mi azzardavo neanche a fargli vedere le mie cose. Lui si sedette sul letto in silenzio e si guardò intorno fino a che a un certo punto gli si illuminarono gli occhi: «Ma hai una chitarra!»
Mi alzai di scatto e gliela allungai, prendendola da dietro il cesto con i giochi e le costruzioni, che ormai tiravo fuori raramente.
«Suoni?» mi chiese.
«Sì», risposi. «Vado a lezione.»
Gliela consegnai. Lui la rigirò tra le mani. «Bella, è una... » guardò il marchio serigrafato sulla paletta «una... Pedro Martinez...» disse. Si sedette sul letto e fece un semplice accordo di Do. Era un po’ scordata per cui regolò le chiavette del manico fino a che non si ritenne soddisfatto. Poi iniziò a suonare.
Non sto esagerando se dico che quei minuti mi cambiarono l’esistenza. Non suonava semplicemente gli accordi, come facevo io, ma colpiva solo due o tre delle corde alte alternandole con i bassi, colorando il tutto con degli spezzoni di assolo di quella che adesso so essere una sonorità blues.
Ero stupefatto.
Non avrei mai pensato che si potesse suonare così, neanche la mia insegnante mi aveva mai fatto sentire cose del genere. Era un suono intrigante, con note tirate, con le corde percosse e vibrate.
Be’, passammo buona parte delle due settimane successive a suonare la chitarra. Lo ascoltavo ammirato, gli chiedevo come facesse a ottenere quei suoni e perché non suonasse gli accordi pieni, come facevo io, ma triadi, colorite da settime e none.
A quel tempo era Pino Daniele il suo idolo e, come succede in questi casi, in breve divenne pure il mio. Andavamo insieme a comprare i dischi dei suoi primi meravigliosi album, rompevamo il cellophane con cautela e li mettevamo sul giradischi (avevo uno di quei primi stereo compatti, con radio e piastra per le cassette). Poi rimanevamo tutti i quaranta minuti successivi sdraiati sul letto ad ascoltare l’intero disco, seguendo i testi delle canzoni stampati all’interno della custodia di cartone lucido.
Dopo due settimane mio cugino tornò a casa ma la sua partenza non mi lasciò indifferente. Chiesi a mia madre di cambiare maestro di chitarra. Mia madre, pur non capendo nulla di musica, fu brava, o fortunata, e mi consegnò a un insegnante coi fiocchi, che suonava in alcuni gruppi jazz e blues.
La chiamata
Passò forse un’intera stagione.
La mia vita era ancora basata sui capisaldi del pallone e della chitarra, però pian piano mi stavo sbilanciando verso la chitarra. Andavo qualche volta in meno all’oratorio per studiare la chitarra. Cominciai ad allargare le mie conoscenze acquistando gli album di Ivan Graziani, di Dalla e di altri, non disdegnando Goran Kuzminak, che arpeggiava meravigliosamente nelle sue canzoni. Poi, grazie al mio insegnante di chitarra, cominciai ad ascoltare anche gli americani e gli inglesi, dai Van Halen a Eric Clapton, e le mie competenze tecniche aumentavano con l’ascolto.
Intanto Don Franco cominciava a nicchiare: «Com’è che ti vedo di meno in oratorio?» E io rispondevo: «Devo studiare...» In realtà non è che studiassi moltissimo, tanto che spesso subivo da parte di mio padre terribili minacce di ritorsioni che variavano dalla possibile sospensione delle lezioni di chitarra alla paventata completa rottamazione di tutti i dischi e le cassette.
Così periodicamente ero costretto a intense sessioni di studio per recuperare un cinque in matematica o in storia.
Forse fu per una coincidenza o proprio perché mi aveva visto partecipare meno alla vita di parrocchia che Don Franco mi coinvolse quella domenica.
Dopo la messa mi ero fermato nella sala dell’oratorio. Era uno stanzone tipo circolo Arci con un bancone bar, qualche tavolo, un biliardino e un ping-pong. Io ero in attesa del mio turno al biliardino e guardavo i più grandi giocare. Stavo sorseggiando la bevanda a quel tempo più richiesta in tutte le parrocchie d’Italia: la spuma. Entrò a grandi passi Don Franco, si guardò intorno e mi individuò.
«Ah, cercavo proprio te!»
«Io?» feci, indicandomi il petto con l’indice.
I ragazzi che giocavano a biliardino alzarono gli occhi incuriositi.
«Sì, senti, c’è un problema. La signora Maria dalla prossima settimana sarà via perché deve seguire il marito all’estero e mi serve qualcuno che sappia suonare la chitarra per la messa delle dieci.» La messa delle dieci era quella dedicata ai ragazzi. «Tua madre mi ha detto che suoni, così ho pensato che potessi darmi una mano.»
Era una richiesta che non mi sarei mai aspettato, anche perché la chitarra era una passione un po’ intima, non certo molto decantata in parrocchia, dove mio principale interesse era giocare a calcio o a biliardino. Però non avevo neanche alcun motivo per dire di no, per cui, dopo qualche secondo di titubanza, accettai.
«Molto bene!» disse Don Franco con un sorriso. «Allora ci vediamo mercoledì che proviamo le canzoni.» Rimasi un po’ stordito mentre i compagni mi prendevano un po’ in giro per il mio nuovo incarico di ‘Sostituto in prova della signora Maria’.
Le veniali, supposte colpe della signora Maria
La signora Maria era una severa signora di mezz’età, piccola e con la faccia tonda, con i capelli grigi e gli occhialini rotondi sulla punta del naso. Oltre a essere in prima fila come aiutante di Don Franco in tutte le iniziative parrocchiali di quest’ultimo, ogni domenica si piazzava sulla sinistra della navata della chiesa, davanti al microfono, e accompagnava con rigore le canzoni durante la messa con la sua chitarra classica di legno di cedro rosso.
Per quello che ricordo io c’era sempre stata, in parrocchia era una specie di istituzione.
I ragazzi più maligni sostenevano che non disdegnasse affatto l’alcol, anche se nessuno l’aveva mai vista bere, e che era stata condannata a espiare la sua debolezza con la presenza in eterno nella parrocchia di Don Franco. La condanna evidentemente era stata temporaneamente sospesa dalle Autorità Celesti, e quindi da quella domenica al microfono ci sarebbe stato il sottoscritto.
I miei genitori furono molto contenti quando raccontai della richiesta di Don Franco, al contrario io ero un po’ preoccupato. Suonare davanti a un pubblico? Io che non l’avevo mai fatto?
E se sbagliavo?
Il giorno dopo andai a lezione di chitarra e raccontai il mio nuovo incarico al maestro di chitarra che si complimentò e mi incoraggiò dicendo che sarebbe stato molto semplice; era sufficiente memorizzare bene i tempi e le canzoni, e rimanere piatto e semplice sul tempo. Rispetto a quello che suonavo normalmente sarebbe stato come bere un bicchier d’acqua. Dopo di che mi disse: «Bene, adesso continuiamo il discorso sui turn-around.»
Ebbene sì, nonostante fossi ancora piccolo, ero già arrivato ad alcuni rudimenti di jazz e blues. Ma chi suona sa come funziona: si parte con gli accordi semplici poi si arriva alla grande conquista del barrè, condizione sufficiente per suonare tranquillamente qualsiasi canzone da spiaggia. Dopodiché qualche tuo amico ti fa sentire una scala blues che ti apre a nuovi orizzonti, fino a che non vedi il tuo insegnante che mette degli strani accordi, mai visti prima, che non riesci a collegare a tutto quello che ti sembrava di avere imparato. E ne rimani affascinato. Scopri che puoi ‘colorare’ a tuo piacimento una qualsiasi sequenza di accordi, che li puoi modificare, variare, abbellire. E scopri anche che certe sonorità, che prima ti sembravano strane o dissonanti, ora ti appaiono belle e sinuose.
Ecco, io ero in quella fase di scoperta.
Però il mercoledì andai timoroso lo stesso a fare le prove con Don Franco.
Le prime, incoraggianti illuminazioni
Durante le prove mi insegnarono alcune brevissime introduzioni su alcuni canti che servivano semplicemente a far sì che gli elementi del coro sapessero quando iniziare. In quasi tutte le altre canzoni invece bastava sgranare un accordo per far partire il coro alla battuta dopo.
Ammetto che mi piacque, e passai gli altri giorni della settimana alternando i miei studi blues e jazz alle canzoni come Esci dalla tua terra»,
Dove troveremo tutto il pane», e il "Padre nostro».
La domenica andò piuttosto bene. Non usai la mia chitarra acustica nera, ma una chitarra classica in dotazione all’oratorio. Don Franco mi aveva spiegato che l’accompagnamento nelle canzoni da chiesa doveva essere leggero ma con voce profonda, per cui la chitarra classica era più adatta di quella acustica che, amplificata, rischiava di risultare troppo acuta.
Non aveva torto, Don Franco, e adesso lo posso dire con cognizione di causa.
Ah, la mia esibizione in pubblico fu una festa, con entrambi i miei genitori a sentire la messa (ma in realtà ad ascoltare me...). Solo una volta, dopo una canzone, mentre appoggiavo la chitarra, sbattei sul microfono con il manico. Uno Sdong! con tanto di eco risuonò ammonitorio attraverso le casse degli amplificatori appesi ai lati