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Quello che le canzoni non dicono 2: Storie e segreti dietro alle nostre canzoni del cuore vol. 2
Quello che le canzoni non dicono 2: Storie e segreti dietro alle nostre canzoni del cuore vol. 2
Quello che le canzoni non dicono 2: Storie e segreti dietro alle nostre canzoni del cuore vol. 2
E-book443 pagine7 ore

Quello che le canzoni non dicono 2: Storie e segreti dietro alle nostre canzoni del cuore vol. 2

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Info su questo ebook

Cosa sono le canzoni? Senza dubbio molto più di semplici note e testi; sono frammenti di esperienze umane, racconti di amori intensi, di perdite struggenti, di sogni infranti e di vittorie trionfanti. In questo libro si raccontano i retroscena di alcune delle canzoni più iconiche e amate di tutti i tempi, svelando i segreti che le hanno ispirate. Sono come capsule del tempo, un pezzo di storia che può riportarci a momenti specifici delle nostre vite, farci rivivere le emozioni che provavamo allora, i luoghi che stavamo esplorando, le persone che stavamo incontrando Dalle ballate romantiche ai brani rock ribelli, dalle canzoni che hanno fatto la storia del jazz alle hit pop che hanno dominato le classifiche, scopriremo che dietro ogni canzone c'è una storia, e dietro ogni storia c'è un'anima in cerca di espressione. Le canzoni sono anche finestre su epoche passate: quando ascoltiamo una canzone degli anni '60 o '70, ad esempio, possiamo immaginare come doveva essere vivere in quel periodo, quali erano le sfide e le speranze delle persone, quali eventi storici stavano plasmando il mondo E puoi scoprire che Paul McCartney ha scritto Michelle a 17 anni per cercare di far colpo sulle ragazze, che Strangers in the night di Frank Sinatra è nata addirittura in Croazia, che Relax dei Frankie goes to Hollywood e Tutti Frutti di Little Richard parlano dello stesso scabroso argomento, o che per Ancora tu Lucio Battisti venne definito da un giornalista «un Barry White all'italiana»... Da David Bowie ai Beatles, da Aretha Franklin a Franco Battiato, ogni pagina di questo libro offre un'immersione profonda nel processo creativo dietro alle note che ci accompagnano nella nostra vita quotidiana.
LinguaItaliano
Data di uscita28 nov 2023
ISBN9791222701677
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    Anteprima del libro

    Quello che le canzoni non dicono 2 - Davide Pezzi

    Indice

    SONO SOLO CANZONETTE?

    INCONTRO CON MAURIZIO FABRIZIO

    INTRODUZIONE

    A

    B

    C

    D

    E

    F

    G

    H

    I

    J

    L

    M

    N

    P

    R

    S

    T

    U

    V

    W

    Y

    Titolo | Quello che le canzoni non dicono 2.

    Storie e segreti dietro alle nostre canzoni del cuore vol. 2

    Autore | Davide Pezzi

    ISBN | 9791222701677

    Progetto grafico e copertina: Davide Pezzi

    Foto dell'autore: Matteo Maresi

    © 2023. Tutti i diritti riservati all'Autore

    Questa opera è pubblicata direttamente dall'Autore tramite la piattaforma di selfpublishing Youcanprint e l'Autore detiene ogni diritto della stessa in maniera esclusiva. Nessuna parte di questo libro può essere pertanto riprodotta senza il preventivo assenso dell'Autore.

    Youcanprint

    Via Marco Biagi 6, 73100 Lecce

    www.youcanprint.it

    info@youcanprint.it

    Franco Zanetti

    SONO SOLO CANZONETTE?

    Mi piacciono i libri che raccontano le storie delle canzoni.

    Ricordo molto bene quando lessi un bel lavoro di Nick Hornby del 2002, 31 songs, che raccomando caldamente (è stato tradotto anche in italiano, col titolo 31 canzoni). Qualche anno dopo, nel 2008, ne ho mutuato la formula trattando ampiamente 40 canzoni italiane in un libro uscito nel 2008 intitolato Avant Pop, scritto a quattro mani con Riccardo Bertoncelli.

    La formula si è poi ampiamente diffusa, con svariate pubblicazioni italiane e con esiti a volte felici a volte meno. Davide Pezzi, riminese abitante a San Marino, pratica il racconto delle canzoni con passione e attenzione, e nel 2001 ha pubblicato un volume che di storie di canzoni ne contiene ben 179 - se non ho sbagliato a contare. Ho ricevuto il libro, e l'ho recensito molto positivamente su www.rockol.it, il sito che dirigo, sul quale ho poi pubblicato alcune delle schede contenute in Quello che le canzoni non dicono.

    Ne è nato uno scambio di email dal quale ho appreso che Pezzi stava lavorando a un secondo volume - quello che avete ora fra le mani - e ho accettato molto di buon grado di scriverne la prefazione: non prima di aver chiesto di leggerlo in bozza, cosa che dovrebbe fare chiunque metta il suo nome sotto una prefazione.

    Anche questo secondo libro è un ottimo esempio di come andrebbero raccontate le storie delle canzoni; raccogliendo dati, confrontandoli, incrociandoli e insomma dando al lettore/ascoltatore quante più informazioni possibile.

    Non è detto, intendiamoci, che conoscere la storia di una canzone possa farcela apprezzare di più - in fondo una canzone vive del testo e della musica, ed è perfettamente godibile anche solo attraverso l'ascolto ignorante.

    Ma chi ritiene, e giustamente, che canzonette non sia una parolaccia ma, anzi, una definizione affettuosa per creazioni artigianali che ci accompagnano e ci emozionano giorno dopo giorno, non potrà non apprezzare le storie di Davide Pezzi: che sono accurate, complete, minuziose, vivaci, e rivelano retroscena e aneddoti spesso poco o per nulla noti. Confesso volentieri che, pur ritenendomi piuttosto preparato in materia, anche nel secondo libro di Pezzi, come già nel primo, ho trovato parecchie cose che prima non conoscevo, e che hanno arricchito la mia competenza. Sono certo che succederà lo stesso anche a voi.

    Franco Zanetti, giornalista e scrittore, ha collaborato con decine di testate e scritto e tradotto numerosi libri. Dal 1996 è direttore editoriale di Rockol.it, sito di riferimento in Italia per quanto riguarda la musica pop e rock. E' considerato uno dei massimi esperti italiani dei Beatles.

    INCONTRO CON MAURIZIO FABRIZIO

    Dietro le quinte dei classici della canzone italiana

    In un libro che parla di canzoni, e che cerca di analizzare come nasce un successo e per capire per quali strani motivi una canzone diventa immortale mentre tantissime altre scompaiono dalla memoria, credo che fare parlare chi le canzoni le scrive sia la cosa più utile e opportuna.

    Soprattutto se ha scritto probabilmente più di 600 canzoni. E che canzoni!

    E per tutti i più grandi nomi della canzone italiana (e non solo...).

    I migliori anni della nostra vita, Almeno tu nell'universo, Che fantastica storia è la vita, Acquarello, Storie di tutti i giorni, Bravi ragazzi, Un'emozione per sempre... solo per citarne alcune, e alzi la mano chi non ne ha canticchiata almeno una.

    Uno degli autori più presenti al Festival di Sanremo con 34 canzoni, tra cui due primi posti (Storie di tutti i giorni per Riccardo Fogli nel 1982 e Sarà quel che sarà per Tiziana Rivale nel 1983) e tre terzi posti.

    Arrangiatore, produttore, chitarrista, autore di musical e colonne sonore... Insomma, direi che con tali credenziali Maurizio Fabrizio sia probabilmente una delle persone più indicate per parlare di canzoni.

    Maurizio proviene da una formazione classica al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano, e proprio da qui iniziamo la nostra chiacchierata, visto che ha mosso i primi passi nell'ambiente musicale alla Scala di Milano, tanto per partire col piede giusto.

    «Sì, parliamo del 1969 (all'età di 17 anni!!!, Ndr ) - racconta - Ho suonato due volte alla Scala le percussioni, perché tra gli studi che ho fatto c’era anche questa categoria di strumenti. Alla Scala suonavano già fissi due miei zii e un mio cugino, che ora è un grande Direttore d’orchestra, e suonavano tutti le percussioni».

    Del 1970 è però il suo esordio nel campo della musica leggera, insieme al fratello Salvatore, col nome d’arte Maurizio & Fabrizio. Inevitabile chiedere di chi sia stata l’idea di questo nome.

    «Questo nome ci ha perseguitato per molti anni in effetti- spiega divertito Maurizio - Ti lascio immaginare la confusione che si creava tra il nome vero e il nome d’arte. Il nome lo inventò Franco Crepax (fratello del disegnatore Guido Crepax, Ndr ), che era il direttore artistico della CGD, l’etichetta per cui incidevamo, anche se in questo modo mio fratello Salvatore restò come tagliato fuori, almeno per quanto riguarda il nome».

    Dopo gli inizi come solista, o meglio come duo, Maurizio è poi passato prevalentemente a occuparsi della scrittura per altri, alla produzione e agli arrangiamenti.

    Come mai c’è stato a un certo punto della tua carriera questo cambio di direzione, se così possiamo definirlo?

    «Il duo ho avuto vita breve, abbiamo fatto un Festival di Venezia e un Festival di Sanremo e sono andati male tutti e due. Poi partimmo tutti e due contemporaneamente per il servizio militare e per un anno e mezzo siamo stati fuori dai giochi. Quando siamo tornati non avevamo molta voglia di ricominciare col duo, a me poi in particolare all’epoca non piaceva molto cantare, esibirmi in pubblico, andare in giro… Ero un po’ timido. A un certo punto ebbi l’occasione di incontrare Angelo Branduardi che stava per fare il suo primo disco. Per una fortunata coincidenza ci fecero conoscere e io cominciai con lui questa mia avventura come arrangiatore, per cui lasciai perdere il canto, i dischi… come cantante non ci pensavo proprio di ritentare. Ma anche come autore, per la verità, negli anni ’70 non feci quasi nulla, mi dedicai all’arrangiamento e alle tournée con Angelo in cui suonavo la chitarra. Con Branduardi feci gli arrangiamenti di dischi che hanno avuto molto successo, come ALLA FIERA DELL’EST, LA PULCE D’ACQUA E COGLI LA PRIMA MELA. Questo fino al 1979, quando incontrai il produttore Giancarlo Lucariello, e da lì comincio la mia nuova vita prevalentemente come autore».

    Gli chiedo se ha davvero scritto circa 600 canzoni…

    «Sì, forse anche di più, non lo so neanch’io in effetti! Il fatto è che molte di queste canzoni restano nell’ombra. Io ovviamente le amo tutte ma quelle importanti che poi determinano il corso della tua carriera si contano sulle dita delle mani». Decisamente troppo modesto... in realtà nel caso di Maurizio Fabrizio la normale dotazione di mani di un essere umano non è certo sufficiente. Basta cercare su Google l'elenco (parziale) delle sue canzoni per trovare almeno qualche decina di classici della musica italiana. Ed è proprio guardando le canzoni che ha scritto che salta all'occhio un panorama molto variegato ed eterogeneo, con artisti e generi diversissimi uno dall’altro, da Renato Zero a Miguel Bosè, da Riccardo Fogli a Mia Martini, da Ornella Vanoni a Toquinho…

    Quando scrivi la canzone hai sempre in mente chi la canterà e in qualche modo gliela cuci addosso, o ti è capitato di scrivere una canzone per un cantante, e poi magari doverla adattare per un altro?

    «Ma guarda, non c’è una formula, succede di tutto, per cui può capitare che tu scriva per te, perché senti in quel momento che vuoi scrivere e non pensi assolutamente a nessun artista - ma magari ci pensi in un secondo tempo - così come è capitato spesso di trovarsi a scrivere una canzone diciamo su commissione. Alcuni cantanti non solo ti chiedono il pezzo, ma ti dicono anche come lo vogliono, come si sentono in quel momento, per cui ripeto: una formula non c’è, scrivi in tutte le condizioni possibili».

    In effetti, gli faccio notare, che una canzone, per esempio, come Bravi ragazzi sembra scritta su misura per Miguel Bosè. Sarebbe difficile immaginarla cantata da Renato Zero o da Mia Martini.

    «Quella in effetti fu scritta su misura come tutto l’album, con Lucariello produttore - spiega Maurizio - Fu un lavoro potrei dire scientifico: ci mettemmo lì per uno o due mesi a lavorare solo sull’album di Miguel, e poi alla fine quello che sarà il singolo viene fuori da solo. Mi sembra anche che sia venuto un buon lavoro, era adattissimo in quel momento storico per quell’artista. C’era stato tutto uno studio su di lui, e alla fine è stato forse il suo più grande successo».

    Una cosa che mi ha incuriosito è come nella sua ricca produzione spicchino anche alcune collaborazioni inusuali, con artisti che solitamente compongono da sempre in proprio sia i testi che le musiche. Gli cito per esempio Antonello Venditti, per cui ha scritto Che fantastica storia è la vita, per sapere come è nata la collaborazione col cantautore romano.

    «A un certo punto Venditti si rese conto, o decise, che poteva cantare anche canzoni di altri, e non solo le sue. Credo che sia stato il suo produttore storico Alessandro Colombini, che io conoscevo bene, a contattarmi per chiedermi se volevo scrivere delle canzoni per Antonello. Ci siamo quindi conosciuti personalmente e siamo diventati molto amici… Credo che la prima canzone che ho scritto per lui sia quella che poi è diventata più famosa, Che fantastica storia è la vita. In origine non era nata per Venditti, anzi: doveva essere un pezzo solo strumentale, ma poi discutendone con Antonello l’abbiamo fatta diventare una canzone vera e propria, ed è riuscita bene, direi. La musica l’ho scritta io, anche se Antonello di solito fa così: quando scrive il testo, un po’ la melodia la cambia a suo piacimento, per adattarla alle parole che ha scritto, per cui qualcosina della melodia l’ha leggermente cambiata, ma l’impianto totale è mio».

    Maurizio ha collaborato molto spesso con Guido Morra, un altro nome storico della canzone italiana, che ha sempre dichiarato di non amare la definizione di paroliere. Cominciamo quindi a entrare nello specifico della creazione di una canzone. Come si sviluppa in sede di scrittura di una canzone il tuo rapporto con lui, o con altri autori di testi con cui hai collaborato, penso a Riccardo Fogli, Maurizio Piccoli, Roberto Ferri? E qui perdonami la domanda, del resto scontata per un songwriter - del resto già nel '700 Antonio Salieri aveva composto un'opera intitolata Prima la musica e poi le parole -: nella maggior parte dei casi cosa nasce prima, il testo o la musica?

    «In effetti è la madre di tutte le domande! - risponde ridendo - Anche qui devo dire che in realtà non c’è una formula. Io da musicista, soprattutto nei primi anni del mio percorso professionale, tendevo a scrivere la musica e solo dopo interveniva l’autore dei testi – paroliere in effetti non è molto bello come termine – per scrivere le liriche. Però nel corso degli anni moltissime volte è successo il contrario… per esempio è successo con Renato Zero, che mi dà dei bei testi da musicare, è successo con tante canzoni per cui Morra e tanti altri autori hanno scritto prima il testo. Oppure ci si mette lì e si lavora insieme sulla musica e sulle parole, non ci sono né una formula né una regola».

    Ma quando nasce prima il testo, chiedo, un compositore è disponibile eventualmente a modificare in parte la melodia per adattarla meglio alle parole o capita più spesso il contrario?

    «Quando nasce prima il testo tu ovviamente adatti la tua musica alle parole. Spesso invece capita che tu dai la musica all’autore del testo, e lui ti chiede, magari per facilitargli una frase o perché deve mettere una sillaba in più, di modificare leggermente la melodia. L’importante per il musicista è non affezionarsi troppo a quello che ha scritto ed essere disponibile e aperto a cambiare, perché molte volte al momento ti secca di dover fare questi piccoli cambiamenti, diresti istintivamente di no, ma poi di solito così la canzone si migliora. È un lavoro di squadra, per cui intelligentemente bisogna adattarsi l’uno con l’altro. Una canzone è proprio quello: un insieme in cui non prevale una cosa sull’altra, è il perfetto sposalizio tra musica e testo. Le canzoni nascono in mille modi diversi. Per esempio, per Almeno tu nell’universo Bruno Lauzi sentì la musica e in mezz’ora scrisse il testo».

    Tu sei un chitarrista, un pianista, e gran parte delle tue canzoni si basano su armonie molto ricche, in cui si sente che vieni dalla musica classica. Poi ce ne sono alcune che sono invece relativamente semplici come Malinconia di Riccardo Fogli, che in pratica è un giro di Do. Vorrei chiederti quindi se l’approccio pianistico o chitarristico a una canzone determinano questa differenza di risultato armonico, e se quando componi alla chitarra o al pianoforte è perché hai già in mente una maggiore o minore complessità del risultato finale.

    «Sì, assolutamente, perché i due strumenti sono molto diversi dal punto di vista compositivo. Io prendo in mano la chitarra per scrivere alcune cose e mi siedo al pianoforte per scriverne delle altre. In effetti c’è questa differenza anche se, pensa, Almeno tu nell’universo – che è armonicamente molto ricca – è nata alla chitarra. Sono queste contraddizioni che una volta di più fanno capire che non ci sono formule. Proprio quella nacque alla chitarra perché all’epoca il pianoforte lo suonicchiavo, per cui facevo tutto alla chitarra. Avevo sentito un passaggio di un adagio di una sinfonia di Mahler che mi era molto piaciuto, e da lì è nata Almeno tu nell’universo».

    Scorrendo la lista degli artisti che hanno beneficiato della creatività di Maurizio Fabrizio davvero c'è da restare a bocca aperta. Gli chiedo però se c'è qualche cantante con cui non ha mai collaborato ma con cui gli sarebbe piaciuto farlo.

    «Beh, tranne quelli della nuova generazione, che fanno una musica che sinceramente io non sento, parlando degli artisti diciamo della mia generazione, non ha mai cantato una mia canzone Fiorella Mannoia. Mi sarebbe piaciuto molto però non è successo. Con gli altri credo di avere lavorato più o meno con tutti, perché sono tanti anni, ahimè, che faccio questo lavoro… Diciamo che magari mi piacerebbe fare ancora qualcosa con alcuni con cui ho collaborato in passato, sto pensando per esempio a Eduardo De Crescenzo, una voce meravigliosa».

    Qualche anno fa chiesero a vari cantautori quale canzone avrebbero voluto avere scritto loro del repertorio dei colleghi. Lucio Dalla per esempio rispose Giudizi universali di Samuele Bersani. Sono curioso di rivolgere a Maurizio la stessa domanda «Sicuramente… Guarda, visto che abbiamo citato De Crescenzo, credo che Ancora sia una delle canzoni più belle che siano mai state scritte, e ogni volta che la sento penso proprio Che bella, avrei voluto scriverla io, perché la ritengo perfetta. La musica era di Claudio Mattone, e il testo di Franco Migliacci, due grandi autori, forse gli unici autori diciamo puri, cioè che fanno solo musica per altri, come me. Gli altri sono più o meno tutti cantautori».

    Gli faccio notare che probabilmente molti sono convinti che Ancora sia stata scritta da De Crescenzo, così come molte canzoni di Renato Zero o di altri. La percezione del pubblico di solito è che il cantante sia sempre anche l'autore.

    «Ah certo, per il pubblico è più o meno sempre così. Il pubblico di solito pensa che il cantante abbia scritto la canzone che canta, soprattutto se si tratta di uomini, chissà perché. Anche perché nelle interviste si guardano bene dal sottolinearlo… - aggiunge sorridendo - Ma questo alla fine fa parte del gioco, è una cosa che accetti, sennò non faresti neanche questo lavoro. Se lo fai è anche perché ti piace stare dietro le quinte, altrimenti faresti il cantautore. Per le donne invece, chissà perché, è più accettata l’idea che siano solo interpreti. Anche I migliori anni della nostra vita tutti probabilmente sono convinti che sia di Renato».

    Tra le collaborazioni di Maurizio che esulano dal mondo della musica prettamente italiana ce n'è una molto prestigiosa col tenore Placido Domingo, per cui ha composto tre brani con testi tratti dalle poesie di Karol Wojtyła per l'album AMORE INFINITO. Inevitabile chiedergli come è nata questa collaborazione.

    «La proposta mi venne da Adrian Berwick, che è stato un grande dirigente discografico. All’epoca (nel 2008, Ndr ) era un produttore indipendente e aveva per le mani questo progetto, fare un disco per il Papa musicando alcune delle poesie che Giovanni Paolo II aveva scritto in gioventù. Ai compositori fu detto di scegliere alcune di queste poesie e musicarle. Io ne scelsi tre, e fui molto felice di questo lavoro e di collaborare con Placido Domingo, che è uno dei miei idoli, amando io tantissimo l’opera. È stato bellissimo collaborare con lui. Abbiamo lavorato a distanza, anche se poi ho avuto modo di conoscerlo alla conferenza stampa che c’è stata in Vaticano per la presentazione del disco».

    In chiusura della nostra conversazione (che per il sottoscritto avrebbe potuto anche durare un giorno intero) Maurizio non riesce a non nominarci il suo prossimo ambizioso progetto.

    «Come ti ho detto amo tantissimo l’opera (soprattutto Puccini, Ndr ), tanto è vero che a dicembre finalmente debutterà la mia prima opera lirica. Il libretto è di Guido Morra che ha scritto davvero qualcosa di molto bello. Il titolo è Édith, e tratta di un periodo della vita di Édith Piaf in cui lei si innamora follemente di Marcel Cerdan, che è stato campione del mondo di pugilato, credo l’unico campione mondiale francese. Si innamorano follemente e passano un anno e mezzo di amore passionale e intenso, ma poi Cerdan muore in un incidente aereo mentre sta per raggiungerla da Parigi a New York. Ed è proprio la Piaf la causa indiretta della sua morte, perché Cerdan aveva già preso i biglietti della nave ma lei al telefono lo prega di prendere l’aereo per arrivare prima. Una storia molto drammatica che sembra già scritta apposta per essere rappresentata».

    Il teatro musicale in realtà non è del tutto una novità per Maurizio, che in passato ha già scritto un paio di musical.

    «Sì, è vero, e questa storia di rifà proprio a uno di questi, a un musical che avevo fatto con Massimo Ranieri, Il grande campione, sulla stessa vicenda. Ma qui le musiche sono totalmente diverse e anche la storia si dipana in modo diverso, e soprattutto è supportata dall’orchestra e dai cantanti lirici. Sarà una vera opera lirica, e debutterà a Genova, al Teatro Carlo Felice. Dirigerà mio cugino, che è stato poi quello che l'ha fortemente voluta».

    Siamo partiti dalla Scala di Milano per arrivare, alla fine della nostra conversazione a base di musica leggera - che mi piace contrapporre alla musica pesante, e quindi senza alcuna valenza negativa - al teatro lirico. Curioso, mi dico mentalmente, mentre saluto un po' a malincuore Maurizio Fabrizio. Nelle prossime pagine, tra le altre, troverete la storia di I migliori anni della nostra vita, raccontatami da lui stesso, ma non nascondo che è stato difficile scegliere tra le tante belle canzoni che ha scritto, per non parlare di quelle che scriverà senz'altro in futuro.

    Si può ancora dubitare che possa esserci qualcuno che meglio di lui possa spiegarci come nasce una canzone?

    INTRODUZIONE

    «Le mie canzoni nascono da sole / Vengono fuori già con le parole», così cantava Vasco Rossi nel 1983 in Una canzone per te.

    Detto così sembra facile, vero?

    In realtà, ovviamente le cose non sono così semplici, non sempre almeno. Dietro a una canzone invece, soprattutto dietro a una bella canzone, c'è di solito un lungo lavoro. Magari l'autore parte da uno spunto arrivato per caso, o per l'ispirazione di un momento, ma il processo per arrivare al risultato finale è molto spesso lungo, tortuoso, fatto di cambiamenti in corsa, di limature, a volte di rifacimenti, frutto di talento, certo, ma anche - è innegabile - di mestiere. E quando tutte le tessere del puzzle vanno al loro posto - musica, testo, arrangiamento, interpretazione - a volte, ma solo a volte, si ha il capolavoro, il classico che tutti ricordano e cantano anche a distanza di anni, che attraversa le generazioni restando per sempre nel nostro cuore. Come avevo scritto nell'introduzione al primo volume di questo mio lavoro, le canzoni diventano delle vere e proprie macchine del tempo, in grado di riportarci a momenti belli o tristi del nostro passato, a un vecchio amore, a un viaggio, a una giornata in spiaggia o a un amico che si è magari perso nell'inevitabile avvicendarsi delle stagioni del cuore. Ma bastano poche note e quei momenti tornano vividi e reali come se li avessimo vissuti solo ieri.

    Aveva scritto Marco Ferradini in una delle prefazioni del primo volume: «Le canzoni sono folate di vento che appena si ascoltano svaniscono, sono inafferrabili, non le puoi toccare, ma nel momento in cui ti passano tra le orecchie sanno regalare e risvegliare emozioni nascoste, ti trasportano in altri luoghi immaginati o vissuti. Sono quadri appesi alle pareti della nostra memoria».

    Come ha giustamente sottolineato Franco Zanetti, conoscere la sto ria di una canzone, come è nata e perché, non è certo indispensabile per apprezzarla, ma a volte può farcela ascoltare in modo diverso, e in certi casi è stupefacente scoprire quante storie si nascondono dietro a quei tre/quattro minuti, quali strade contorte hanno percorso certe canzoni prima di arrivare alle nostre orecchie. Quello che questo libro racconta sono proprio le storie che si nascondono dietro a quelle note e a quei testi, i particolari, gli aneddoti spesso ignoti agli ascoltatori, a volte divertenti, a volte decisamente tristi, cercando il più possibile di lasciare fuori giudizi e pareri critici.

    In questo libro ci sono meno canzoni rispetto al primo volume, ma sono raccontate in modo più dettagliato, inserendole spesso nel contesto storico in cui sono nate, cercando di districarmi, a volte lo ammetto con difficoltà, tra versioni diverse e a volte contraddittorie della stessa storia, e facendo il possibile per separare la leggenda dalla verità. Come già scritto in occasione del primo volume, se la storia che conoscete voi è diversa da come la racconto io chiedo venia: spesso risalire a fonti attendibili è difficilissimo, e a volte gli stessi Autori, intervistati in diversi momenti, raccontano versioni diverse, si contraddicono, citano date diverse... Prevengo anche un'altra obiezione, e cioè che ci sono poche canzoni italiane rispetto al totale. È vero che la musica anglosassone la fa da padrona (ma non solo: ci sono cantanti austriaci, brasiliani, svedesi, francesi) ma la quota italiana è comunque un 25% del totale. Purtroppo reperire materiale interessante sulle canzoni italiane non è facile, soprattutto se si ha l'ambizione di raccontare una vera e propria storia, anziché scrivere delle fredde schede informative. Per quelle c'è Wikipedia...

    Dal primo volume ho recuperato quattro canzoni che erano state trattate troppo frettolosamente - mea culpa - e che invece meritavano ben altra attenzione: Rock around the clock, Your song, Moonlight Shadow e La canzone del sole. Quattro classici indiscussi, le cui storie sono state completamente riscritte per rendere giustizia alla loro importanza. Inoltre compaiono anche due storie scritte da un caro amico che non ringrazierò mai abbastanza, Andrea Montalbò, solitamente uso a scrivere di ben altre faccende. Cercate i suoi libri online, fidatevi.

    Infine i ringraziamenti: in primis a Simonetta, carissima amica lontana dagli occhi ma non dal cuore, che ha testato molte di queste storie, ha corretto, ha suggerito e commentato; a Franco Zanetti, per le dritte, l'appoggio e la bella Prefazione; a Maurizio Fabrizio, la cui intervista arricchisce le mie forse inadeguate parole, semplice e modesto come solo i grandi sanno essere; a Marco Giorgi, musicista a tutto tondo e prezioso amico, per i consigli da addetto ai lavori; a Marco Ferradini e Ivan Cattaneo per avermi generosamente donato le testimonianze che aprivano il primo volume; ad Andrea Montalbò per il supporto, l'amicizia e per avere scritto due belle storie senza aspettarsi ovviamente alcuna ricompensa se non la mia gratitudine; ai miei gatti Rodrigo, Crispino e Pablo per la compagnia e le fusa durante la stesura di molti dei testi; agli amici che hanno creduto in me e che spesso ho stressato chiedendo consigli e pareri, e che proprio perché amici veri non mi hanno mai detto quanto rompessi: Paolo e Tonino su tutti; a tutti gli appassionati di Musica che hanno acquistato il primo volume e che molto carinamente hanno voluto farmi conoscere il loro gradimento... spero che questo nuovo lavoro non li deluderà; infine a mia moglie Cinzia, costretta a sopportarmi e supportarmi, vivendo per mesi accanto a un uomo che per mesi ha parlato quasi sempre delle stesse cose.

    A


    Alfie

    Cilla Black / Cher / Dionne Warwick

    Autori: Burt Bacharach / Hal David

    Anno di pubblicazione: 1966

    Un giorno, mentre è in taxi diretta verso uno studio per una sessione di registrazione, Barbra Streisand ascolta alla radio una cantante che interpreta una canzone che la colpisce particolarmente. «Che bella canzone - si dice - Perché non l’ho mai registrata?». Quando arriva allo studio telefona alla stazione radio per sapere chi era a cantare, e le rispondono che è Barbra Streisand. «Immagino di aver registrato così tanti album e canzoni a quel punto che in realtà avevo dimenticato di aver cantato quella canzone - ha raccontato lei stessa - È uno dei temi cinematografici più belli mai scritti dal mio amico Burt Bacharach».

    Questa è la storia di una canzone scritta per un film in cui però non compare, che ha ben tre interpreti originali, che gli autori non volevano scrivere e che la prima interprete interpellata non voleva proprio incidere… quel che conta è però che, a dispetto di queste premesse, è una delle più belle composizioni del recentemente scomparso Burt Bacharach, che al proposito dirà «"Alfie" è quanto di più vicino alla migliore canzone che io e Hal (David, autore del testo, Ndr ) abbiamo mai scritto». Ma, come sempre, andiamo per ordine.

    Siamo nel 1965: Burt Bacharach viene contattato per scrivere una canzone destinata a promuovere il film Alfie, diretto dall’inglese Lewis Gilbert e interpretato da un giovane attore emergente, Michael Caine. Bacharach e il suo fidato collaboratore per i testi, Hal David, non sono molto entusiasti dell’idea, soprattutto David che così ricorda la sua prima reazione: «Scrivere una canzone su un uomo chiamato Alfie non mi sembrava troppo eccitante all’epoca». Alla fine i due accettano di scrivere la canzone a patto di riuscire a completarla in tre settimane, così al compositore, che vive in California, viene inviata una copia del montaggio preliminare del film. Bacharach sente però che in questo caso il testo deve venire prima, per fare capire di cosa parlerà il film, visto che la canzone è destinata a uscire prima della pellicola, a scopo promozionale. Fa quindi avere al collega David, che vive a Long Island (New York) una copia della sceneggiatura per consentirgli di comporre i testi, che difatti utilizzerà una delle battute di Caine, "What's it all about? (Di cosa si tratta?"), come frase di apertura della canzone. Nel giro di una settimana la canzone è praticamente completata, per cui Bacharach utilizza le restanti due settimane pattuite per rifinirla.

    «Continuavo ad agitarmi - racconta lui stesso - Una nota qui, una cosetta lì... Hai tre minuti e mezzo/quattro a disposizione, quindi non c'è spazio per lo spreco».

    Quando la canzone è finita i due autori vorrebbero che a cantarla fosse Dionne Warwick, che ha già inciso molte loro canzoni, ma la Paramount, che produce il film, ritiene che l’ambientazione londinese della pellicola richieda una cantante inglese. La prima scelta cade su Sandie Shaw, che aveva già avuto un successo al primo posto nel Regno Unito con la composizione di Bacharach/David (There's) Always Something There to Remind Me, che però rifiuta. Entra allora in gioco la giovane Cilla Black, il cui nome oggi forse dice poco ma che negli anni ’60 ebbe un momento di grande successo, aiutata certo anche dall’amicizia con un certo John Lennon, e che oltretutto aveva a sua volta avuto un numero uno in classifica con un’altra canzone di Bacharach/ David, Anyone Who Had a Heart. Il suo manager, lo stesso Brian Epstein dei Beatles, le fa ascoltare una demo della canzone cantata dal giovane Kenny Karan con Bacharach al piano, accompagnato da un ensemble di archi. La giovane pop-star quando la ascolta storce la bocca. «Non posso farlo - ricorda di avere detto al manager - Tanto per cominciare: Alfie?... voglio dire, chiami il tuo cane Alfie, o un pappagallino!». La ragazza, giovane e un po' viziata, comincia a porre delle condizioni: in primo luogo vuole che Bacharach stesso faccia l’arrangiamento, e quando arriva la risposta dall’America che il compositore sarebbe felice di farlo, alza il tiro e dice che la canterà solo se Bacharach verrà a Londra per la sessione di registrazione… Ancora una volta arriva dagli Stati Uniti una risposta positiva, così Cilla chiede che sia lui stesso a suonare il pianoforte, e davanti all’ennesima richiesta accolta non può che capitolare e rassegnarsi a registrare la canzone. Ma il compositore avrà la sua rivincita: in studio obbligherà la giovane Cilla a registrare in uno stesso giorno almeno 30 versioni della canzone, per la sua mania di perfezionismo. Il produttore George Martin ha raccontato di essersi sentito frustrato dalle continue richieste del compositore di ripetere, quando secondo lui già la quarta versione era perfetta. Non è difficile immaginare che Cilla si sarà ben presto pentita di avere preteso la presenza di Burt Bacharach in studio... Alfie viene pubblicata nel gennaio 1966, quattro mesi prima dell’uscita del film, come veicolo promozionale, ma un po’ a sorpresa sale fino a raggiungere in maggio la posizione numero 9 della classifica inglese. Ma qui si crea un corto circuito: il regista del film è un appassionato di jazz, e difatti ha commissionato la colonna sonora al sassofonista Sonny Rollins, considerato unanimemente uno dei musicisti jazz più importanti e influenti. Gilbert è convinto che una canzone pop come Alfie potrebbe in qualche modo banalizzare il film e distrarre dalla colonna sonora jazz che ha già, così nella prima edizione del film il pubblico attenderà inutilmente di ascoltare la canzone che ha impazzato in radio negli ultimi mesi. Addirittura Alfie non sarà neanche inclusa nell’album della colonna sonora pubblicato in Inghilterra.

    Quando il film viene distribuito negli Stati Uniti, però, nell’agosto del 1966, la United Artists, distributore statunitense della pellicola, si dimostra molto meno arrendevole dei colleghi inglesi e vuole assolutamente che Alfie sia inclusa nel film, cosa sono tutte queste fisime del regista? Però, invece di utilizzare la registrazione di Cilla Black, commissiona una nuova versione all’allora ventenne Cher, con un arrangiamento del marito Sonny Bono - in seguito piuttosto criticato dallo stesso Bacharach - che viene pubblicata un mese prima dell’uscita del film ma non arriva più su di una modesta 32esima posizione nella classifica di Billboard. Nel film, per trovare un compromesso e non incorrere nelle ire del regista, la canzone viene inserita alla fine, durante i titoli di coda. L’uscita della versione di Cher manda su tutte le furie il manager di Cilla Black, Brian Epstein, che ritiene che la cantante sia stata in questo modo derubata di un possibile successo sul mercato americano, così, poco prima che il film sia presentato in anteprima a New York, la Capitol Records pubblica negli Stati Uniti il singolo della Black. Purtroppo il tempismo non sarà dei migliori. Quando esce il disco di Cilla Black, negli Stati Uniti sono già uscite altre sette versioni della canzone: oltre a quella di Cher, anche quelle di Vikki Carr, Tony Martin, Jack Jones, Joanie Sommers, Carmen McRae e Billy Vaughan, per cui le radio americane sono già sature di interpretazioni di Alfie, e il singolo di Cilla Black si ferma in classifica a una triste 95esima posizione.

    Ma come in ogni bella storia, ecco che dopo i titoli di coda accade ancora qualcosa. Nell’autunno del 1966 Dionne Warwick sta ultimando le registrazioni del suo album HERE WHERE THERE IS LOVE, prodotto da Burt Bacharach e Hal Davide che hanno scritto anche diverse canzoni. Il disco è praticamente finito, ma visto che le sessioni sono terminate in anticipo rispetto alla tabella di marcia, Steve Tyrell, uno dei dirigenti dell’etichetta A&R, propone a Bacharach, per sfruttare il tempo già prenotato dello studio, di studiare un nuovo arrangiamento e includere anche Alfie nel disco. La Warwick in realtà ritiene inutile aggiungere un’altra versione di Alfie alle oltre 40 che nel frattempo sono uscite, ma si lascia convincere e alla fine registra la sua voce in un’unica ripresa. Evidentemente con lei - che, non dimentichiamo, doveva essere la prima scelta dei due autori - la sintonia è ben diversa rispetto a quella con la giovane e capricciosa Cilla Black. L’album here where there is love viene pubblicato il 4 dicembre 1966 ma Alfie non viene pubblicata come singolo, benché le radio inizino a trasmetterla già nel gennaio del 1967. La canzone non esce come singolo fino al marzo 1967, relegata al lato B della composizione di Bacharach / David The beginning of loneliness; ma come spesso accade i disc jockey preferiscono girare il disco e trasmettere Alfie così il singolo arriva fino alla posizione numero 15 di Billboard e alla numero 5 nella classifica dei singoli R&B, decretando quella che probabilmente diventa la versione di riferimento della canzone, come del resto avrebbero voluto i suoi autori.

    A dimostrazione della bellezza della canzone, da subito si scatena una vera febbre per registrarne una propria versione da parte di artisti noti e meno noti; nel solo 1967 ne escono 16 cover, e fino ad oggi se ne contano circa 350 diverse registrazioni tra cantate e strumentali.

    Tra queste ultime segnaliamo quella per armonica di Stevie Wonder nel 1968 (accreditato nella registrazione come Eivets Rednow - Stevie Wonder scritto al contrario), mentre tra quelle cantate ricordiamo almeno Sarah Vaughan nel 1967, la smemorata Barbra Streisand nel 1969, Mina nel 1971, Olivia Newton-John nel 2004, Joss Stone sempre nel 2004 - per il remake del film, con Jude Law nei panni che furono di Michael Caine - e addirittura il cantante degli Ultravox, Midge Ure, nel 2008.

    Una frase dal testo di Alfie è incisa sulla tomba di Cilla Black nel cimitero di Allerton, un sobborgo di Liverpool: "As sure as I believe there's a heaven above / I know there's something much more / I believe in love. Without true love we just existCome sono sicura che ci sia un paradiso lassù / so che c'è qualcosa di molto di più, credo nell’amore / Senza il vero amore esistiamo e basta".


    All I Want for Christmas Is You

    Mariah Carey

    Autori: Mariah Carey / Walter Afanasieff

    Anno di pubblicazione: 1994

    Ci sono stipendi buoni e stipendi ottimi, ma che ne direste di incassare, ogni dicembre, dai 500.000 ai 700.000 euro di royalties per una sola canzone? Non male eh? Vi basta scrivere una canzone come All I Want for Christmas Is You come ha fatto Mariah Carey nel 1994, e aspettare che ogni anno sia la canzone più ascoltata nel periodo natalizio, negli Stati Uniti come in Italia, parola di Spotify. E visto che la canzone è uscita 27 anni fa, è stato calcolato che il guadagno totale si aggiri intorno ai 19 milioni di euro. Solo per una canzone.

    Ma non è sempre stato rose e fiori per Mariah Carey. Nata da madre irlandese e padre nero e afro-venezuelano, che

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