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Una serie di racconti totalmente inaspettati: Quindici passi furtivi in prospettive inesplorate
Una serie di racconti totalmente inaspettati: Quindici passi furtivi in prospettive inesplorate
Una serie di racconti totalmente inaspettati: Quindici passi furtivi in prospettive inesplorate
E-book156 pagine1 ora

Una serie di racconti totalmente inaspettati: Quindici passi furtivi in prospettive inesplorate

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Info su questo ebook

Quindici racconti brevi dal finale inaspettato, di cui otto illustrati da giovani artisti, che spaziano in tre generi diversi: drammatico, thriller e humour. Passato, presente e futuro fanno da sfondo a uomini, donne, assassini, tossicodipendenti, folli scienziati, alieni e animali mansueti o molto pericolosi. L'autore, con uno stile asciutto e privo del superfluo, si ispira alle "short stories" dello scrittore Fredric Brown e dello sceneggiatore e regista Rod Serling con la serie tv "Ai confini della realtà", ponendo l'attenzione del lettore su come sia sottile quella lastra di ghiaccio sui cui poggia, più o meno sicura, la nostra quotidianità.
LinguaItaliano
Data di uscita20 ott 2020
ISBN9791220208086
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    Anteprima del libro

    Una serie di racconti totalmente inaspettati - Luca Rettore

    LUCA RETTORE

    UNA SERIE DI RACCONTI TOTALMENTE INASPETTATI

    QUINDICI PASSI FURTIVI

    IN PROSPETTIVE INESPLORATE

    Pubblicato per

    Independently published

    Proprietà letteraria riservata

    ISBN 979-85-57-50733-2

    Titolo originale dell’opera:

    Una Serie di Racconti Totalmente Inaspettati

    Prima edizione: novembre 2020

    Illustrazioni: Selene Viola, Riccardo Zoppello, Zamira Fikaj

    Icone: Pablo Rojas

    lucarettore.com

    facebook.com/racconti.inaspettati

    «Il tempo è un campo. La macchina

    che ho costruito può manipolare questo campo e anche invertirlo»

    Mentre premeva un bottone, disse:

    «Questo dovrebbe far tornare il tempo

    indietro

    tempo il tornare far dovrebbe Questo» :

    disse, bottone un premeva Mentre

    «invertirlo anche e campo questo manipolare può costruito ho che

    macchina La .campo un è tempo Il»

    Fredric Brown

    «Meglio un dito di caffè che una tazza di acqua sporca.»

    Fratel Mauro

    (il mio Virgilio che, ancor oggi idealmente, mi corregge

    con la sua severa penna rossa)

    Introduzione

    Molti anni fa, esattamente un 22 luglio, nell’occasione di un mio compleanno passato in uno splendido campeggio della Toscana, mi fu regalato un libro. Avevo forse dodici anni e la persona che me lo regalò e con cui passavo le vacanze estive insieme alla mia famiglia si tolse l’incombenza semplicemente cercando qualcosa che trattasse un argomento a me affine: la fantascienza. Fin da piccolo ero sempre rimasto affascinato da film, libri e fumetti che appagassero la mia curiosità di come doveva essere là fuori, oltre le stelle. Una raccolta di racconti intitolata Cosmolinea B2 di uno scrittore che mi era ancora sconosciuto: Fredric Brown. Subito mi misi avidamente a leggerlo e ne fui colpito dalla brevità dei testi, a cui però non mancava assolutamente nulla. Erano come distillati di immaginazione dove ogni parola era piazzata nel preciso posto in cui doveva essere, senza nessun artificio o ricamo. L’essenzialità logica di un pensiero espresso nella forma più concisa possibile. Inutile dire che dopo aver letto Asimov, Dick, Herbert, Bradbury, Clarke e altri capisaldi del genere, questo Brown mi meravigliò per la sua geniale esposizione e soprattutto per un racconto: Sentinella. Il reale stupore che provai nel leggere l’ultima riga me lo ricordo ancora oggi. Quando pensi di aver capito dove lo scrittore vuole andare a parare, ecco che tutto si rivela sotto un’altra luce. Il repentino ribaltamento narrativo tipico dei suoi racconti è una chiara dimostrazione di come percepiamo la nostra realtà, in un modo, solo relativamente, certo.

    Anni dopo mi chiesi perché non provare a replicare il suo modus operandi cercando di essere il più sintetico e diretto possibile. Come un cerchio di un preciso diametro il cui centro è l’idea e il costrutto narrativo è l’area ivi racchiusa. Andare oltre la circonferenza non è permesso. Aspettai pazientemente che mi venisse un’idea originale per poter subito cimentarmi nell’impresa. Mi massaggiai le meningi, feci qualche smorfia alla finestra dello studio, ispezionai accuratamente il cassetto della scrivania, ma non arrivò nulla, né in quel momento, né in quello successivo. Le intuizioni non arrivano mai a comando, te le devi sudare e giungono quando non hai mai sottomano qualcosa per scrivere!

    E così, dal primo racconto La Scatola all’ultimo Ophiocord, sono passati più di vent’anni, sempre alla ricerca di spunti narrativi originali che potessero destare l’attenzione del lettore e farlo riflettere. Involontariamente il genere dei racconti un po’ alla volta si è spostato dalla fantascienza classica (Il sorriso di Einstein, 30 km/s, Vacanze) verso il thriller (Umor vitreo) e l’umoristico (Ozzac!), ma sempre cercando di mantenere la struttura minimale delle short stories. Pensai, in seguito, di impreziosire la raccolta con delle illustrazioni, perché avendo una fervida immaginazione visiva, mi sarebbe piaciuto riuscire a far vedere, oltre che sentire, l’effetto della bordata finale. L’illustrazione però non doveva anticipare l’effetto sorpresa, ma solo presagirlo e quindi non fu facile trovare il giusto compromesso. Alla fine mi ritrovai con quindici racconti brevi da pubblicare, ma con un’eccezione che conferma la regola. Come fa la pecora? non è un racconto in stile Browniano, ma una prova, per così dire, di creatività su commissione. Una sera capitai quasi per caso a un Meetup di aspiranti scrittori a Milano, quando il moderatore diede un compito abbastanza singolare: inventarsi un racconto che includesse la domanda: Sei svizzera?. La sfida era talmente bizzarra che m’intrigò quasi subito e di ritorno verso casa, guidando lungo l’autostrada, ridacchiavo tra me e me per saper già cosa scrivere. Buffo, pensai, quando lo voglio io nemmeno a batter la testa contro il muro, lo vuole qualcun altro ed ecco che il cervello si mette in moto! Per varie ragioni, tra cui la lontananza, non sono più tornato a quegli incontri. Siate voi lettori, quindi, a giudicare il racconto. Personalmente mi fa sorridere ogni volta che lo leggo, se con voi sarà lo stesso ne sarò felice, altrimenti: Cu Cù!.

    I. Ozzac!

    Era incredibile.

    Rimasi a bocca aperta mentre l’immagine sullo schermo dai contorni pixelati diventava sempre più nitida e inverosimile. Un fenomeno di tale portata faceva vacillare la mente al solo pensiero. L’oggetto luminoso più lontano mai osservato, la galassia Abell 1835 IR1916 a 13,23 miliardi di anni luce dalla Terra e con redshift uguale a 10, non esisteva più. Qualcosa l’aveva disintegrata e al suo posto vi era un enorme burst di raggi gamma, una voragine minacciosa e in continuo fermento, come un turbinato rosso cremisi del diametro di 250.000 anni luce. Una saetta di un bianco accecante nel suo epicentro lo trapassava da parte a parte.

    Lì, in quel preciso punto dello spazio, era accaduto qualcosa di assurdo e inspiegabile.

    In tutti quegli anni, come assistente del più famoso astrofisico del mondo, ne avevo viste di cose al limite della comprensione, ma questa poi…

    Alla fine, dopo essermi ripreso, alzai gli occhi dallo schermo e scrutai quel faccione barbuto nel suo logoro camice bianco col taschino pieno di penne colorate ormai così familiare.

    Teneva le mani incrociate e i pollici picchiettavano nervosamente.

    «Dottore, com’è possibile?», chiesi concitato, «dov’è finita l’intera galassia?»

    «Antimateria, caro il mio vecchio agglomerato di carbonio (così mi chiamava, simpatico eh?), ci sta raggiungendo!», disse il dottore guardando verso il basso e rimanendo così a fissarsi le scarpe slacciate.

    Il suo viso impassibile denotava che tra la sua mente e il suo corpo dovevano esserci molti parsec di distanza.

    «Dottor Draper, cosa sta dicendo? Antimateria? Ma come? In quale modo?»

    Non so se fosse la sua calma serafica o il mio stomaco attanagliato dallo sgomento, ma qualcosa mi ribolliva dentro e stavo per esplodere. Che diamine! Era scomparsa un’intera galassia, tanto per cominciare!

    Con nonchalance il dottor Draper continuò: «Ecco l’evidente prova della supersimmetria. Esiste un universo di antimateria, chiamiamolo antiuniverso, che come il nostro è in continua espansione. Quasar, galassie e nebulose dell’antiuniverso sono composte da antiatomi e quando sfortunatamente si trovano nella medesima collocazione spazio temporale - a dire il vero per la dimensione temporale ho qualche perplessità - si annichilano producendo energia».

    Alzò lo sguardo e mi trafisse con quei suoi occhi sornioni: «L’antiuniverso si sta avvicinando lambendo i primi avamposti stellari, i più antichi. Fra poco toccherà anche a noi!»

    «Fra… poco?», lo squadrai sardonico.

    «Esatto! Fra qualche miliardo di anni… al più tardi.»

    «Proprio dietro l’angolo», commentai.

    Il dottore portò l’indice verso l’alto, stette per dire qualcosa ma non lo fece, girò su se stesso e quasi inciampò nelle stringhe, per poi dirigersi in un’ala del laboratorio facendo cenno di seguirlo.

    Scendemmo al secondo piano interrato dove attualmente trovavano posto grossi apparati quali il sincrotrone portatile (mai finito), il generatore di plasma ai gravitoni (in fase di ultimazione, così almeno diceva), una sedia per il rilevamento di neutrini cerebrali a massa immaginaria (firmware difettoso) e il famoso - e funzionante - riproduttore molecolare di magnesia aromatica (una divagazione ma, soffrendo di ulcera, per lui molto salutare).

    In fondo, nell’angolo in penombra e vicino a un distributore di

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